Dani

di esmoi_pride
(/viewuser.php?uid=984263)

Disclaimer: questo testo è proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


 
 
4 - Buona fortuna
 



 
Il fischio delle ruote che frenano mi riempie le orecchie. È un fischio lungo, dura un bel po’. Poi la lieve spinta in avanti di quando il treno si ferma. Alla fine mi rinchioda sullo schienale del sedile ed emette un potente sbuffo dalla canna di scarico. Allora i rumori del treno si interrompono: resterà silente altri dieci minuti, il tempo di far salire e scendere i passeggeri.
 
Guardo il ragazzo che si trova davanti a me. Zazzera biondo scuro, vispi occhi castani, guarda la mappa della Interrail rapito. Sta studiando il prossimo allacciamento di treni per la sua rotta. Nell’ultimo mese la mia e la sua sono state le stesse. Abbiamo iniziato questo viaggio insieme: lui è il mio fidanzato. Per un altro paio d’ore.
 
Rialza lo sguardo dalla mappa e mi sorride. I suoi sono sorrisi raggianti, leggeri come la brezza che ci accarezza la faccia dalla finestra della cabina.
“A cosa stai pensando?”
Io scrollo le spalle e guardo oltre la finestra. Il paesaggio che mi si staglia davanti è un allegro misto di flora tipica del territorio tedesco. Man mano è diventato sempre più florido, e tra poco attraversando il confine ci troveremo in Danimarca. Chissà quanto è verde la Danimarca.
“Sei triste?” Lo sento chiedere.
Rifletto. Resto a scrutare. Una farfalla bianca spunta tra i fili d’erba e svolazza tra un fiore e l’altro. Alla fine faccio una smorfia.
“Sì, ma sto bene.”
Sento il suo silenzio. Torno a guardarlo per vedere che mi sta ancora fissando, mi sta scrutando. Si preoccupa ancora per me dopo tutto questo tempo. Sbuffa, sorride guardando il panorama per un momento.
“È normale.” Dice lui. “Anche io sono un po’ triste.” Ammette, guardandomi. I suoi occhi, così sinceri, mi guardano dentro. Mi sento improvvisamente nudo. È capitato spesso in questi anni. Credo che mi mancherà questa sensazione.
“Mi chiedo se mi sentirò mai più così. Mi chiedo se troverò mai qualcuno come te.” Gli confesso.
Lui allarga il sorriso e allunga la mano per cercare la mia, sul tavolo di metallo della cabina. Io gliela porgo, lascio che me la stringa dolcemente.
“Dani, non devi cercare qualcuno come me.”
Rialzo gli occhi dalle mani al suo viso. Lui le sta scrutando, e un po’ scruta anche me. Resto a osservarlo. Non so se rivedrò più il suo viso. Mi mancherà anche quello?
“Quanto tempo passerà prima che io ti dimentichi?”
Lui ride.
“Spero molto!” Inarca le sopracciglia.
Io mi lascio sfuggire un sorriso. È così semplice, riesce sempre a prendere le cose con leggerezza. È importante perché così si concentra su quelle davvero importanti. Una delle cose che mi ha insegnato in questi anni.
“Io non ti dimenticherò mai.” Dice lui. Mi stringe più forte la mano prima di lasciarla e continua a parlare.
“Forse tra dieci anni ci rivedremo e ci racconteremo tutto quello che abbiamo passato!”
Io rido e entusiasta al pensiero gli rispondo.
“Tu mi farai vedere le foto dei tuoi esperimenti in Antartide e io ti parlerò di come ho salvato una donna diagnosticandole il lupus!”
Ride anche lui scuotendo la testa e poggia il mento sulla mano, il gomito poggiato sul tavolo. Mi ammira da lì. Io faccio lo stesso. Le ruote del treno sono ancora silenziose. Ogni tanto si sente il chiacchiericcio lontano di qualche passeggero, ovattato dalla porta chiusa della cabina. Non diciamo niente. Restiamo così, a guardarci per l’ultima volta e pensare a tutti i bei ricordi che abbiamo vissuto insieme.
 
Alla fine arriva la sua fermata. Ci dobbiamo separare: io continuerò fino in Danimarca, mentre lui tornerà in Italia passando per la Francia.
Prendo il mio zaino e resto con lui per gli ultimi dieci minuti, sulla porta del vagone, lui a terra, davanti a me, in attesa che parta il treno.
“Alla fine di tutto… ne è valsa la pena?” Gli chiedo.
Lui ha le mani nelle tasche. Mi rassicura con il suo sguardo.
“Non dubitarne mai.” Mi dice.
Gli sorrido.
La canna del treno sbuffa.
Il campanello suona.
Io prendo un respiro, l’ansia mi prende. Indietreggio di un passo per allontanarmi dalle porte ma non smetto di guardarlo. Ho un nodo in gola, ma cerco comunque le ultime parole da dirgli.
“Buona fortuna.”
 
Lui mi sorride di nuovo.
“Anche a te, Dani.”
 
Le porte si chiudono, ma riesco ancora a guardarlo. Lui guarda me. Il treno inizia a muoversi, e presto i nostri visi non si incrociano più. L’ho lasciato andare, dietro di me, e sono andato avanti. Il treno è andato avanti. Che se l’avessi dovuto fare io da solo non ci sarei riuscito.
Butto un sospiro malinconico fuori dai polmoni e torno in cabina, quella che sarà la mia piccola casa per un’altra ora prima di fare il cambio con un regionale. Guardo il panorama che mi si staglia davanti. Un panorama che ora solo io vedo, e lui no. Una realtà che conosco io e di cui lui non fa parte. Qualcosa di solo mio.
Un nuovo inizio, mai visto. Chissà dove mi porterà il treno, chissà dove mi porterà questa strada.
E un giorno, magari, gli racconterò dove mi ha portato.
 
 
 




Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3686167