Titolo: Losing
My Religion
Autore:
Achilles29
Personaggi:
Genzo Wakabayashi, Karl Heinz Schneider, Nazionali tedesca e giapponese
(solo
citate)
Rating:
Arancione (sarebbe giallo ma per sicurezza è meglio
così…)
Avvertimenti:
Nessuno… bhe, c’ è una scena di sesso,
ma non è descrittiva… però, fangirl e
fanboy avvisati, mezzi salvati!
Pairing:
Genzo/Karl
Note: Cosa
posso dire? E’ la mia prima fan fiction in questo fandom, ed
il tutto è un
piccolo esperimento senza pretese… Scritta per festeggiare
il mio terzo anno su
questo sito, non tiene conto degli eventi del manga (alcuni numeri li
ho letti,
ma ella mia biblioteca sono irrecuperabili... sigh!).
E quindi, Once
more, with feeling!
Dedicata
a slanif, che
mi ha introdotto alla Genzo/Karl
E
a quegli amici che
sono rimasti nonostante il vento contro
N. 1:
Losing my religion (R.E.M.)
(Karl Heinz
Schneider/Genzo Wakabayashi)
“Oh, Life is
bigger
It's bigger
than you
And you are not me
The lengths that I will go to
The distance in your eyes
Oh no I've
said too much
I set it up”
La prima
volta che si baciarono, all’ ombra di un palcoscenico al Große Freiheit 36 (1), avevano sulle
labbra il sapore della
birra e delle lacrime.
Erano venuti
per festeggiare una vittoria, e mentre gli altri ballavano al centro
della
pista, con in mano bicchieri traboccanti di Astra
e Ratsherrn
(2)
loro
due erano rimasti gli unici fermi sul bordo, in bilico.
Non
seppe mai come, ne quando: in quel caleidoscopio
assordante di luci multicolori, Karl riuscì a trovare Genzo.
L’ altro, alzando
la testa dal boccale di birra, incrociò il suo sguardo.
Fu
un attimo. L’
attimo eterno prima dello scoppio di una bomba.
Attraversò
la pista con passo marziale, come se i
tacchetti da calcio gli si fossero incollati ai piedi. Prendendolo per
mano,
quasi trascinandolo, fino all’ impalcatura di legno lucido.
Erano
come un piccolo,
autonomo micro-universo,dai colori forti: i
capelli dorati di Karl, simili a un immenso campo di grano, gli occhi
del
colore del cielo primaverile.
Lui invece,
era inchiostro e oro. E in quel chiaroscuro di musica assordante, fumo
e alcool,
si ritrovarono per la prima volta, guardandosi in faccia con gli occhi
sgranati.
Dopo lo
schiaffo, improvviso, non gli rimase altro che un sorriso lieve, di
sfuggita, mentre
tutt’ intorno il tempo tornava a scorrere inesorabile, e la
musica copriva ogni
pensiero. Karl se ne era andato, inghiottito dalla folla.
Gerzo rimase
solo. E senza un perché...
“That's
me in the corner
That's me in the spotlight
Losing my religion
Trying to keep up with you
And I don't know if I can do it”
Ma la scintilla,
tra loro, era
scoppiata molto tempo prima: durante il suo primo allenamento tedesco,
quando,
ormai sfinito e con in bocca fili d’ erba e terra, aveva
rialzato per l’
ennesima volta lo sguardo.
E aveva
incontrato il suo.
Gli occhi di
Karl, il sorriso obliquo, un:” Non
sei
male” che aveva significato tutto, per lui, mentre
prendeva in mano un
pallone e lo sistemava al limite dell’ area, con lo sguardo
deciso e fermo di
sempre.
Genzo si era
rimesso tra i pali, con i muscoli brucianti e la maglietta appiccicata
alla
schiena, sistemandosi meglio il cappellino per guardare in faccia il
suo
nemico.
Rimanendone
folgorato.
“Oh no
I've said too
much
I haven't said enough
“Pronto?”
“...
Sono
Schneider. Sto cercando Genzo”
“Ciao
Karl…
Sono io…”
“…”
Un sospiro.
Due corridoi vuoti di due anonimi hotel. Due nazionali, anche se
diverse,
appiccicate alle porte per origliare quell’ improbabile
telefonata nel cuore
della notte. E due
ragazzi troppo soli,
troppo giovani ed orgogliosi per ammettere le proprie debolezze.
Perfino
quella telefonata, al limite dell’ onirico. Perché
entrambi sapevano che non avrebbero dovuto. Non
la sera prima
di un Mondiale. Non con i propri compagni così vicini.
Ma c’
era la
solitudine, a roderli dentro; una lontananza metaforica, non solo
reale; non da
quando avevano litigato, prima di partire per le rispettive strade, e
si erano
ritrovati a corto di parole, aridi di immagini e amore.
Vuoti
dentro.
Erano
orgogliosi: Karl lo era. Genzo pure. Ma per un attimo, per entrambi,
non rimase
altro che la desolazione del corridoio deserto davanti agli occhi. E
faceva
paura.
“Mi
dispiace…” E fu un sussurro, nel silenzio,
perché era da così tanto tempo che non
lo
diceva a qualcuno.
“Anche
a me”
Perché le barriere da abbattere erano due: la freddezza di
Karl, e l’ orgoglio di
Genzo; perché, per una notte, volevano solo dimenticare.
Tutto e
tutti. E rimasero solo loro, con le loro mezze parole e i loro silenzi.
Senza
più alcun motivo per continuare a parlare, ma incapaci di
interrompere la
chiamata.
Perché
erano
davvero
stanchi, di tutto e di tutti. Il vuoto dentro rimbombava
delle parole
non dette, e faceva male.
“Scommetto
che ti sei appena seduto sul pavimento…” disse,
con il solito tono
strafottente, in un modo come un altro di spaccare il ghiaccio.
“Tu
come lo
sai?”
Silenzio:”
Perché l’ ho appena fatto anche io” e in
quell’ affermazione c’ era lo
sfinimento, quello di una guerra combattuta a suon di silenzi e urla
rabbiose,
guardando un telefono sempre muto.
Il muro di
legno era freddo, contro la sua schiena, così come il
metallo della cornetta tra
le sue mani; era scomodo, ma non lo avrebbe mai ammesso.
“Allora…
come va il ritiro?” C’ era dell’
esitazione, nella voce di Karl, lo sforzo di
allungare una conversazione con tante, troppe parole. Nessuno dei due
amava
parlare, ferventi sostenitori di un Ermetismo
tutto loro. Eppure quel compromesso lo accettarono entrambi.
Gettare
o le armi e cominciare a
parlare. Fregandosene delle belve nascoste dietro le porte ad
origliare…
“Bene
dai…
soliti compagni, soliti allenamenti… il sorriso da pirla di
Tsubasa e le
maniche arrotolate di Hyouga non è che siano cambiati
così tanto…”
Lo
sentì ridere,
attutito, immaginandoselo mentre si portava una mano alla bocca per non
farsi
sgamare…
“Voi
invece?
Kaltz, Margas, Shuster?”
“Kaltz
ha
preso una sbandata incredibile per una dell’
hotel… Margas e Shuster invece si
sono barricati nella loro stanza…”
“Davvero?”
Rise, e continuarono così per tutta la notte.
Ininterrottamente.
Birrerie
prese d’ assalto, corteggiamenti mortali…
inspiegabili incendi…
Mai
niente come questo…
Alla fine
non si sentivano più così lontani, e pazienza se
i mattino dopo si ritrovarono
con delle occhiaie spaventose…
Era solo
un’
altra cosa che li accomunava.
“I thought that I heard you laughing
I thought that I heard you sing
I think I thought I saw you try “
La notte di
Amburgo era calda, in quell’ afosa metà di luglio;
avevavo buttato la coperta
ai piedi del letto, con foga, mentre si spogliavano, bramosi
l’ uno dell’
altro, in un unico vortice di sensazioni e rumori, fino a divenire
un’ unica
entità.
Fino a
quando non erano rimasti altro che due corpi nudi uno accanto
all’ altro, e una
meravigliosa sensazione di calore nel petto.
La notte era
calda, e loro, nel manto scuro e opprimente della stanza, erano due
stelle
bollenti.
“Siamo
come
il sole” borbottò, con il volto nascosto nella
clavicola dell’ altro.
Genzo,
guardandolo con un sorriso serafico, da gatto sornione, sul volto, non
riuscì a
trattenersi: “E da dove arriva questa filosofica
affermazione?”
Karl
alzò
gli occhi, due sottili fessure color ghiaccio, e il moro ne
approfittò per
ribaltare la situazione, sovrastandolo e riempiendolo di baci.
Il biondo
ricambiò, stringendogli i capelli tra le dita, per poi
scorrere i palmi per tutta
la schiena, rotolando tra le lenzuola nocciola sotto di loro.
Ridendo, e
soffocando le parole con i baci, ignorando lo scorrere inesorabile del
tempo.
Un
tempo che non li voleva, e che non
li avrebbe mai accettati per ciò che erano davvero.
Si fermarono
solo quando le persiane dimenticate aperte lasciarono entrare i primi
raggi del
sole; avevano il fiatone, ed erano entrambi coperti da un leggero velo
di
sudore.
I capelli di
Karl, illuminati dal sole, brillavano come l’ oro; Genzo si
avvicinò e gli
sussurrò all’ orecchio: “Avevi ragione
prima… sei davvero come il sole”
Il tedesco
lo guardò, sapendo di aver ragione.
Mise un
braccio dietro alla testa, sospirando soddisfatto, mentre canticchiava
sottovoce, stonando inesorabilmente:
“They
call her sunshine
The kind that everybody knows
They call her sunshine
She’s finer than a painted rose
Yeah yeah, Sunshine, yeah”
Finì
la canzone,
sfumando, per poi ricominciare dal ritornello. E guardandolo,
cambiò quell’ her
in him.
Genzo, baciandolo
nuovamente, si sentì
Infinito.
Finita
il 18/07/2017
Modificata
il 19/07/2017
Ringrazio
Melanto per avermi
fatto notare, con la sua recensione, alcuni errori grammaticali. Mi
scuso con
tutti i lettori.
Credits:
Losing my religion appartiene
ai R.E.M. La canzone canticchiata da Karl è Sunshine degli
Aerosmith.
(1) Große
Freiheit 36, 22767 Amburgo. Famoso
locale della città, divenuto leggendario per le esibizioni
dei Beatles.
(2)
Astra
e Ratsherrn,
famose birre amburghesi.
|