Broken Souls

di michaelgosling
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CAPITOLO 3. GIOVANNA MARCONI

“Le donne hanno sempre dovuto lottare doppiamente. Hanno sempre dovuto portare due pesi, quello privato e quello sociale. Le donne sono la colonna vertebrale della società.”

Rita Levi – Montalcini




Il cielo si oscurava sempre di più come in attesa di una tormenta, le nuvole si univano e arrivarono i tuoni, tanto terrificanti da aver spaventato almeno una volta ogni bambino, e tanto rumorosi da riuscire ad interrompere sogni beati riportando gli addormentati alla realtà, quasi bruscamente.

Non era il caso di Giovanna Marconi, i cui sogni erano ben lontani dall'essere beati e anzi, erano tormentati e agitati, e quando i suoi occhi azzurri si aprirono nel mezzo della notte al ritmo dei fulmini, fu quasi grata al temporale di averla scossa abbastanza da dargli la forza che gli serviva per svegliarsi.

Iniziò a respirare affannosamente sia con il naso che con la bocca, come se fosse rimasta a lungo senza la capacità di respirare, mentre i suoi occhi non la smettevano di roteare in ogni direzione. Non si muoveva, sia il viso sia gli arti erano fermi, inerti, come pietrificati dalla paura come lo era lei, e per quanto sforzasse il suo udito, gli unici rumori che sentiva provenire dal suo corpo erano i suoi sospiri e i suoi lunghi capelli biondi, le cui ciocche si muovevano delicatamente sulle sue spalle, mossi dal vento.

Non poteva assolutamente farsi prendere dal panico, soprattutto se voleva restare viva. Aveva già affrontato situazioni pericolose, più di quante una donna di ventisette anni come lei avrebbe mai dovuto avere a che fare, ma se c'era una cosa che aveva imparato nel corso della sua vita era che se voleva sopravvivere, doveva mantenersi lucida, o sarebbe stata la sua stessa paura a distruggerla.

Inizierò a muovere molto lentamente il suo corpo, aspettandosi di trovare braccia e gambe legate al letto, ma erano libere come l'aria. Nessun laccio, nessuna catena. Nulla la teneva legata al letto, e per quanto ne fosse da una parte sollevata, dall'altra ne fu confusa.

Sollevò le mani verso l'alto: le sue dita affusolate erano sporche di terra, la sua terra. Sì, ricordava. Ricordava di aver lavorato nella terra di suo marito. Giacomo era un contadino, ma era anche cagionevole di salute, e come a volte capitava, era stato male e non era in condizione di lavorare, così era andata lei al posto suo, come faceva ogni volta che lui non riusciva.

Ma a quando risaliva questo ricordo? Per quanto si sforzasse, non riusciva a trovare risposta. Era un ricordo recente, accaduto poco tempo fa, ma quando di preciso non lo sapeva. Due ore prima? Il giorno prima? Una settimana prima? Il mese prima?

Ricordò il sole accecante che in passato non l'aveva mai fermata ma quel giorno era stato insopportabile, il mal di testa. Le sagome. Le sagome di sei persone come dipinte sul terreno arido in cui coltivava le verdure. E poi, lo svenimento.

E poi c'era stato quello strano sogno. Quel Frank. E tutte quelle strane cose di cui parlava. Cose a cui Giovanna non credeva, cose di cui era terrorizzata, cose che un po' la incuriosivano.

Ora si ritrovava in quella stanza. Una stanza accogliente, più grande e sicuramente più curata della camera da letto sua e di Giacomo. Il pavimento era in legno, c'era qualche armadio, uno scaffale, un piccolo tavolo all'angolo e una sedia. Non era legata. Non aveva ferite, e il mal di testa era completamente sparito. Non era nemmeno nuda, perché si tastò il corpo con le mani e sentì la vecchia stoffa del suo abito. Era come se qualcuno l'avesse trovata e salvata. Eppure non era tranquilla. Per niente.

Pensò alla sua famiglia. A suo marito Giacomo. Ai loro figli, che voleva assolutamente riabbracciare. No, doveva tornare subito da loro. Sarebbe sopravvissuta per loro.


Ma quando si alzò dal letto, capì che forse non stava bene come inizialmente aveva pensato. Sentì qualcosa sulla sua testa. Non era una ferita perché non sentiva dolore, era come se ci fosse qualcosa di nuovo, qualcosa che premeva. Infilò le dita tra i capelli cercando di capire con il tatto di cosa si trattasse, e quando arrivò al punto dal quale proveniva il fastidio sentì come un puntino. Un neo. Eppure, non aveva mai avuto niente di simile.

Nel preciso momento in cui allontanò le dita dalla testa perché arrivata alla conclusione che toccandolo più a lungo non avrebbe comunque capito di cosa si trattasse, vide la porta aprirsi. Si alzò frettolosamente allontanandosi il più possibile, maledicendosi per non essere uscita quando poteva farlo.

Sulla soglia apparve un uomo anziano, ma con addosso degli abiti che Giovanna non aveva mai visto, eppure aveva uno sguardo rassicurante. Aveva i capelli bianchi e corti, era molto magro, e due occhi azzurri chiari come i suoi. In mano aveva un vassoio, con del latte su un piatto grigio. Sul viso, i segni indelebili di un trauma, una ferita, un dolore passato ancora presente dentro di lui.


Va tutto bene, non devi avere paura. Ecco..” disse, mettendo il vassoio sul tavolo e aggiunse “..avrai fame.”


La ragazza iniziò a muovere gli occhi sempre più velocemente. Prima erano sul vecchio e poi sul vassoio, poi di nuovo sul vecchio poi ancora il vassoio.


L'uomo tirò fuori un cucchiaio che teneva in quegli strambi abiti, lo infilò nel piatto e prese un sorso di latte che bevve davanti alla ragazza, per dimostrarle che non era avvelenato e che poteva fidarsi.

“Vedi? E' buono.”


Giovanna sospirò. Non si sentiva ancora al sicuro, ma l'uomo era gentile e l'unica cosa sensata che potesse fare era rispondere con la stessa gentilezza, ma senza abbassare la guardia.

“Non posso accettare.”


Perché?”


Non ho monete, o niente di valore da darle in cambio.”

“Non voglio niente. E' gratuito.”


Giovanna lo guardò sorpresa.

“Non capisco.”


L'uomo prese il piatto e lo porse alla ragazza.

“Se volessi qualcosa in cambio, non te lo offrirei gratuitamente. So che non mi conosci, che non hai motivo di fidarti di me e che sei spaventata, ma non hai nulla da temere.”

La ragazza lo fissò per un minuto abbondante, ma poi prese il piatto e iniziò a bere il latte, prima lentamente, poi tutto d'un fiato.

“Perché non vieni con me nel soggiorno? Scommetto che avrai molte domande. Cercherò di rispondere.”


Giovanna lo seguì continuando a guardarlo sospettosa come se si aspettasse da parte sua un gesto inaspettato, mentre continuava a tenere il piatto ormai vuoto.


Quando raggiunsero l'enorme stanza, Giovanna si pietrificò. Era davvero grande, quella sola stanza era il triplo più grande della sua intera casa, inoltre gli oggetti al suo interno erano pochi se paragonati alle dimensioni del soggiorno, il che dava l'idea che la stanza fosse anche più grande di quanto fosse in realtà. C'era un vecchio e polveroso tappeto, e nell'angolo c'erano una serie di grandi oggetti, alcuni mobili, altri erano oggetti che Giovanna non aveva mai visto. Uno in particolare attirò la sua attenzione: era alto ma stretto, e completamente bianco. Sul davanti c'era una specie di maniglia, simile a quelle che trovi sulle porte.

Ma fu ciò che era lungo la parete alla sua destra che la lasciò di sasso. Un lungo tavolo e un paio di sedie. Il tavolo sembrava bianco, ma era difficile esserne sicuri perché non era facile vederlo dato che sopra c'erano talmente tanti oggetti da coprirlo quasi del tutto. Gli oggetti in questione erano qualcosa che Giovanna non avrebbe mai pensato di vedere, non sapeva neanche come classificarli, come descriverli. C'erano tre grossi cubi, al centro erano neri ma nei bordi bianchi. Davanti a loro, un oggetto dalla forma rettangolare con dei simboli disegnati sopra, e il tutto era unito da dei grossi fili neri. A rendere il tutto ancora più inquietante agli occhi della donna ci pensava una grande poltrona accanto al tavolo, vuota.

L'uomo accorse subito in suo aiuto.


Non ti spaventare. E' un oggetto che da dove vieni tu non esiste ancora, è per questo che non lo conosci. Vieni, sediamoci.” disse, prendendola gentilmente per un braccio e accompagnandola verso alcuni divani al centro della stanza, che Giovanna non aveva neppure visto.

“Da dove vengo io?”

“Ti ricordi di una certa chiacchierata con.. Frank?”


La ragazza sgranò gli occhi e si alzò immediatamente, facendo cadere il piatto che andò in mille pezzi.

“E'.. è stata opera sua?”


Si può dire così, sì.”


Giovanna iniziò ad agitarsi. Tutta la calma che aveva fino a quel momento se ne andò all'istante e rimase solo la paura. Non le piaceva quella situazione. Affatto.

“Ti prego, lasciami andare. Riportami a casa. Riportami dalla mia famiglia.” fece in tono supplichevole, sperando nella bontà dell'uomo.

Voglio mio marito.
Voglio i miei figli.
Voglio la mia vita.


Gli occhi dell'anziano si fecero lucidi, forse l'aveva commosso. Forse l'avrebbe aiutata. Forse l'avrebbe portata a casa.

“Sei libera di andare, potrai farlo non appena sarai pronta.”


Non capisco.”


L'uomo andò verso un grande portone, probabilmente l'ingresso della casa. Per un momento, Giovanna pensò che l'avrebbe chiusa per impedirle di scappare, ma non lo fece. Fece l'unica cosa che non si aspettava. La aprì.

“Non sei una mia prigioniera, e questa non è la tua cella. Vuoi andare via da qui? Vai. Ma uscendo da questa porta, non riuscirai mai a tornare a casa. E se ti ricordi di Frank, credo che una parte di te sappia già il perché.”

Frank.
Creature da combattere.
Viaggi nel tempo.
Sei persone.
Anime spezzate.

Da quando era cominciata quella storia assurda, per la prima volta, Giovanna iniziò seriamente a considerare che fosse tutto reale. Che ciò di cui aveva parlato Frank era vero. Non era mai stata una persona particolarmente credulona, ma quella era l'unica spiegazione possibile. E se davvero aveva viaggiato nel tempo, quell'uomo aveva ragione. Non era varcando quella porta che sarebbe tornata la casa. E l'ultima cosa che voleva era perdersi in un luogo e tempo lontano da quello che conosceva.

Si sentiva inconsciamente stupida a pensare davvero una cosa del genere, ma quella situazione era troppo assurda e poteva avere solo una spiegazione altrettanto assurda.

“Dove siamo?”

“Dusseldorf, Germania. Sai dov'è la Germania?”


La donna scosse la testa.

“E' sopra l'Italia. A Nord.”

“E dov'è l'Italia?”


Questa volta era il turno dell'uomo ad essere sorpreso, ma poi rifletté un momento e si colpì la fronte con la mano destra.

Cazzo Henrich, questi sono errori da principianti!
Non fai altro che confonderla!
Come ho fatto a dimenticarmi che nel 1817 non c'era nessuna Italia?
E' lei viene dal 1817!
E' naturale che non capisca!
Stupido stupido stupido!
Pensa Henrich, pensa!
Com'è la sua Italia?
Eppure avevo cercato informazioni al riguardo mentre li aspettavo!
Ah, già! Il Congresso di Vienna!
Lei viene dalla zona Nord, Piemonte se non sbaglio, quindi era nel..

“Regno di Sardegna?”

Giovanna annuì con la testa.

“Devi perdonarmi. Il fatto è che, un giorno, il Regno di Sardegna e altri territori vicini si uniranno e diventeranno l'Italia. Mi sono confuso per questo.”


E finiranno tutte le guerre?”

Ehm.. No.
Ne inizieranno di peggiori.
Che faccio?
Non voglio illuderla, ma non voglio neanche farla stare male per un futuro che non vivrà nemmeno.

“Non divaghiamo.. comunque sì, questa è la Germania. Anno 2086.”


La donna dovette sedersi.

“Due.. duemilaottantasei?”


Ora sai perché ci sono così tanti oggetti che non conosci. Possiamo fare una pausa, se non te la senti..”


No. Voglio sapere. Come sono arrivata qui? Ho.. ho viaggiato nel tempo?”


Ti ho portato io qui. Per salvarti. Ricordi.. ricordi un forte mal di testa? E un successivo svenimento? E' successo perché nel tuo corpo è stato inserito un fluido che altera le tue cellule, e che ti dà questa capacità. La capacità di viaggiare nel tempo. Essendo una cosa che comporta grossi cambiamenti e che va ad influire sul mondo passato, presente e futuro, il tuo sistema immunitario non ha retto lo sforzo, ecco perché il mal di testa e lo svenimento.”


La donna ascoltava l'uomo con attenzione, mentre muoveva ovunque le braccia per il nervosismo.

“Una volta svenuta, avresti dormito per tre giorni, e durante questo tempo il tuo sistema immunitario si sarebbe adattato al fluido. Una volta sveglia, avresti già potuto viaggiare nel tempo, ma non sapevi come, ed era un rischio troppo grande. E' come mettere un bambino che non sa nuotare in una piscina. Finirà con l'annegare. Avresti potuto finire per caso in un epoca e in un luogo che non conoscevi, magari pericoloso. Avesti potuto essere arrestata perché senza documenti. Rinchiusa in un manicomio per i tuoi abiti che rispecchiano la tua epoca e non quella in cui ti ritrovi. Per questo sei qui. Io aiuterò te e gli altri cinque. Vi insegnerò come viaggiare nel tempo e vi spiegherò cosa dovete evitare per non alterare l'umanità.”

Tutto iniziava ad avere un senso, e Giovanna ammise a sé stessa che ciò che diceva l'uomo era sensato, per quanto potesse essere sensato viaggiare nel tempo, e che sembrava davvero che volesse aiutarla, ma c'erano ancora tanti vuoti, e la donna voleva riempirli.

Stava per fare un'altra domanda, ma si sentì un suono provenire dal tavolo con sopra tutti quegli aggeggi strani. Giovanna sobbalzò, ma l'uomo la rassicurò immediatamente.

“Stai tranquilla, non è niente! Questo suono significa che un altro dei tuoi compagni si sta per svegliare. Meglio che vada ad accoglierlo come ho fatto con te, vorrei evitare che si spaventi e scappi dalla finestra. A breve si sveglieranno tutti uno dopo l'altro, quindi non spaventarti se senti ancora questo rumore.” fece l'uomo, andando verso i mobili e aprendo quell'oggetto bianco con la maniglia e prendendo dal suo interno quello che sembrava del cibo, per poi metterlo sul vassoio e dirigersi verso una stanza, ma la donna gli andò incontro.

“Aspettate! Io ho altre domande!”


Quando saranno tutti svegli, risponderò ad ogni vostra domanda, così non dovrò ripetermi per certe cose. Farò con ciascuno di loro quello che ho fatto con te, e quando sarete tutti insieme, riprenderemo il discorso.”

“E io cosa faccio?”

“Quello che vuoi. Aspetta qui nel divano, oppure se hai ancora fame vai in cucina. Presente quel grosso oggetto bianco con la maniglia da cui ho preso il cibo? Si chiama frigorifero. Se lo apri, ogni cosa che troverai dentro è cibo. Serviti pure. Magari evita di avvicinarti al tavolo dal quale provengono i rumori, ed evita anche di uscire di casa. Una donna vestita come te non passerebbe inosservata.”


La donna annuì, e si sedette nuovamente nel divano.

“Comunque il mio nome è Henrich. Henrich Bauer.”

“Giovanna Marconi.”


Lo so.” fece Henrich con un mezzo sorriso, salutandola con il capo e dirigendosi verso uno dei compagni della ragazza.




Ok, tanto per cominciare mi scuso per l'enorme ritardo con cui aggiorno. Avrei voluto farlo prima ma sono stata impegnatissima, e inoltre questi primi capitoli sono piuttosto difficili da scrivere perché sono quasi un "prologo" alla storia vera e propria, quindi confido che i prossimi aggiornamenti saranno più rapidi.


Ci tengo a ringraziare tantissimo chi ha letto i primi due capitoli (e chi leggerà anche questo) e un grazie speciale a sissyaot01 per la recensione, spero apprezzerai anche questo capitolo!


E niente, ci risentiamo al prossimo capitolo (che spero non tarderà ad arrivare) e ricordate, ogni recensione sarà molto gradita! A presto.








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