Blinking
In The Starlight
Rose: « You think you’re so impressive.
»
Doctor: « I am so impressive! »
Rose: « You wish. »
Doctor: « Right then, you asked for it.
I know exactly where to go. Hold on! »
— “The End of the World”, 1x02.
"Now I'm here, blinking in the sunlight
Now
I'm here, suddenly I see
Standing here, it's all so clear
I'm where I'm meant to be"
— "I see the light", Tangled.
Rose era stata su un battello, una volta. Pur essendo il trasporto
fluviale una strategia abbastanza nota ai Londinesi per evitare lo
stress dell’ordinario traffico metropolitano, i costi dei
biglietti erano notoriamente più alti di quelli per gli
autobus o la metro, e anche nel caso in cui si fosse optato per un
abbonamento, si trattava comunque di un prezzo che avrebbe inutilmente
assottigliato le entrate già esigue in casa Tyler.
Tuttavia, ogni turista degno di questo nome non avrebbe mai fatto a
meno di un giro turistico sul Tamigi, e così era stato per
il cugino Bertram, un lontano parente di Jackie giunto direttamente da
Monaco di Baviera per affari quando Rose aveva all’incirca
undici anni. Giorni di preparativi avevano anticipato la venuta di Bertie, il cui
arrivo era diventato tutto ad un tratto pari al ricongiungimento con un
caro amico a lungo disperso a tal punto che, al solo nominarlo, Jackie
sembrava sul punto di commuoversi.
Solo con il senno di poi Rose avrebbe iniziato a sospettare che la sua
commozione avesse molto più a che fare con il lavoro del caro Bertie
– un noto agente di Borsa, se la memoria non
l’ingannava – e molto meno con il tanto declamato
affetto della madre nei suoi confronti: dopotutto, mai prima di quel
momento era stata fatta menzione anche solo del suo nome.
Ad ogni modo, qualunque fossero le reali intenzioni di Jackie, ella
dipinse Londra in toni così vivaci, decantando orgogliosa
ogni dettaglio che le paresse degno di nota, che non appena giunto in
città Bertram non oppose alcuna resistenza alla proposta di
visitare la città in lungo in largo. E quale modo migliore
di una crociera sul Tamigi per godersi alcuni fra i migliori panorami
che la capitale potesse offrire?
Fu una bella giornata, nonostante tutto, e Rose ricordava ancora il
dolce rollio del battello che scivolava sulle onde placide e scure del
fiume: lo stesso movimento oscillatorio del Tardis intento a viaggiare
immerso nel vortex spazio-temporale, ragion per cui nella sua mente si
aperto all’improvviso quello spaccato sul suo passato.
Sbatté più volte le palpebre, Rose Tyler, per
tornare alla realtà.
Le sembrava che fosse passata una vita da quando lei e il Dottore si
erano distesi sul pavimento della nave per concedersi qualche oretta di
dovuto riposo – a tal proposito, si appuntò
mentalmente che quella dei materassini gonfiabili era stata
un’ottima idea, soprattutto alla luce dell’ultima
volta in cui i segni lasciati dalle grate di ferro le erano rimasti
sulla pelle per ore – e tutto quell’ondeggiare
prima o poi l’avrebbe fatta decisamente cadere in un sonno
profondo. O andare di corsa in bagno a vomitare, probabilmente, seppur
ritenesse ormai di aver superato quella fase.
« Rose Tyler! » esclamò
all’improvviso il Dottore rizzandosi in piedi, una
combinazione di suoni e movimenti che quasi la fece sobbalzare,
considerato il silenzio e la calma in cui fino a poco prima erano stati
immersi.
« Questa monotonia mi ha stancato, » soggiunse,
spazzolandosi i vestiti e dirigendosi ai comandi « tutto
questo continuo salvare il mondo strappandolo alle grinfie di qualche
specie che intende distruggerlo per poi farne carburante
intergalattico, o magari risvegliare qualche oscura creatura o
infrangere qualche legge della fisica… insomma, tu ti ci
stai abituando e non va bene, non
va proprio bene »
La ragazza si mise a sedere, seguendo con non poca
difficoltà i suoi movimenti celeri e i suoi borbottii a
mezza voce – sarebbe
un azzardo, non c’è dubbio, ma forse…
eppure M-47 non è troppo lontana, e l’ultima volta
che ho parlato con i Pashtuasi… ora che ci penso,
però, non furono molto benevoli, considerate le circostanze,
e secondo il loro calendario… le tre lune di Barwin
dovrebbero… o forse no? - decidendo
di non interromperlo, perché sapeva che quando sarebbe stato
pronto l’avrebbe messa al corrente dei suoi piani.
Prima o poi. Più poi che prima, probabilmente.
Contò mentalmente fino a dieci, per poi schiarirsi la gola.
Rumorosamente. Più e più volte.
« Mmh, Dottore? »
Solo in quel momento egli alzò la testa dai comandi, gli
occhi che brillavano rapiti da qualche nuovo e intrigante progetto, e
schiuse le labbra in un enorme sorriso.
« Rose Tyler! » ripeté, questa volta con
più convinzione, nel solito tono petulante di chi
è in procinto di rivelare qualcosa di straordinario ma,
prima di farlo, sceglie di prendersi tutto il tempo necessario per
godere fino all’ultimo della posizione privilegiata di colui che sa.
« La straordinaria vitalità ed
eterogeneità delle milioni di specie lì fuori non
cessa mai di meravigliarmi, è vero, »
esordì, raggiungendo la ragazza a grandi passi e tendendole
una mano per aiutarla ad alzarsi,
« ma non lo è forse altrettanto che talvolta ci
sono istinti che vanno oltre le razze e superano le distanze, anche
quelle immense che separano i due estremi dell’universo?
»
« Non mi dirai forse che credi di aver visto tutto e che
nulla possa più impressionarti? Devi essere invecchiato
» soggiunse allora Rose ridacchiando, in attesa che egli
continuasse e giungesse al punto.
Era solito che ci fosse sempre un melodrammatico monologo ad anticipare
la rivelazione di ogni nuova meta prescelta, ma soltanto qualcosa di
veramente grande
e inaspettato
avrebbe potuto giustificare un così largo giro di parole.
Non che qualunque altro viaggio al suo fianco fosse stato anche
soltanto lontanamente noioso, ovviamente, ma c’erano luoghi
che, rispetto ad altri, semplicemente erano in grado di toglierle il
fiato,
e il Dottore questo lo sapeva benissimo. Ad ogni modo, però,
non rispose subito alla sua provocazione: il suo sguardo ora era perso
in qualche zona recondita dell’universo, e per un attimo gli
occhi parvero incendiarsi improvvisamente per la luce di stelle
lontane, per poi ritornare d’un colpo alla
normalità e rivolgerle nuovamente lo sguardo.
« Vecchio io?
» rispose corrucciando la fronte per qualche istante, per poi
scoppiare a ridere e attirarla a sé tirandola per la mano
che ancora teneva stretta. « Oh, no. C’è
ancora così tanto da scoprire ma vedi, già una
volta, all’epoca del nostro primo incontro, mi sfidasti ad
impressionarti. Ebbene, è una scommessa sempre aperta, e se
allora ti portai a vedere un epilogo, quello del tuo
pianeta… »
« Accidenti, ricordi? Ora che mi ci fai pensare, non fu forse
in quell’occasione che distribuisti con
prodigalità aria dai tuoi polmoni in cambio di preziosi doni
alieni? Disones- »
« Come dicevo, » la interruppe impazientemente il
Dottore, seccato di essere stato interrotto a metà di quella
che sarebbe dovuta essere una straordinaria frase conclusiva ad
effetto, « se in quell’occasione potemmo assistere
ad una morte, questa volta tocca ad una nascita: Rose Tyler, preparati
a vedere come nasce una stella »
Rose Tyler non si sarebbe mai, mai abituata alla bellezza strabiliante
dell’universo.
Le porte del Tardis spalancate sullo spazio cosmico, la ragazza dovette
sedersi in terra, le gambe ciondoloni nel vuoto, e attendere di
riprendere a respirare.
Certo, aveva visto pianeti, asteroidi, addirittura buchi neri sospesi proprio sulla
sua testa, ma questo… oh, questo vinceva su
tutto a mani basse.
Qualche angolo recondito della sua mente era vagamente consapevole
dello sguardo del Dottore fisso su di lei, eppure non riusciva a
distogliere lo sguardo, gli occhi pieni della meraviglia che le stava
di fronte.
Colori indescrivibili disegnavano mirabolanti scie su uno sfondo blu
notte trapuntato di stelle lontane, stelle come quella che
lì, proprio sotto il suo sguardo attonito, andava formandosi
a poco a poco.
« E’ una nebulosa, non è vero?
» sussurrò a mezza voce, tentando di riportare
alla memoria quelle poche nozioni di scienze che aveva veramente
apprezzato, a scuola,
e ritrovando chissà dove il respiro, fino a poco tempo prima
perso dietro spirali viola di polvere stellare che le danzavano dinanzi
agli occhi.
« Una nube molecolare, per la precisione, » le
rispose il Dottore entusiasta, sedendosi al suo fianco,
« nebulose note per ospitare fenomeni di formazione stellare.
Incredibile, non è vero? »
« Incredibile,
tutto qui? » gli fece eco Rose, riuscendo solo allora a
distogliere lo sguardo e voltarsi verso di lui, poco convinta dalla sua
scarsa eloquenza.
« Allora ammetti di essere impressionata! »
Il sorriso malizioso del Dottore la fece scoppiare a ridere, e la sua
risata leggera riempì il Tardis e riecheggiò fra
le pareti metalliche e oltre, fra i corridoi nascosti e gli anfratti
bui, tutti quelli che ancora non aveva avuto modo di scoprire. Si
strinse a lui, posando la testa sulla sua spalla, e sospirò.
Felice.
« Ammetto che talvolta sei così impegnato a
cercare di superare te stesso da non prestare neppure attenzione al
risultato, perché questo… oh, Dio. Questo
è meraviglioso. »
« Ho visto così tanto dell’universo,
Rose. E nonostante si tratti di poco più di un millesimo di
quanto c’è ancora da scoprire… non
m’importerebbe del risultato, a meno che non stupisca te »
Non ebbe il coraggio, Rose Tyler, di voltarsi a guardarlo negli occhi,
né il Dottore fu in grado di fare altrettanto.
Rimasero così, l’aria gravida di parole non dette
e la testa del dottore delicatamente appoggiata su quella della
ragazza: se non l’avesse conosciuto, avrebbe detto che era
immerso nella contemplazione del cosmo,
ma era da tempo, ormai, che non riusciva più a ingannarla, e
il battito irregolare dei suoi due cuori tradiva il suo nervosismo.
« Potrei averti mentito, » esordì lui
d’un tratto, spezzando il silenzio e sollevando il capo.
« Cosa? »
« Ho detto che potrei averti mentito. Ti avevo promesso la
nascita di una stella ma ecco, occorrerebbero milioni di anni, a
seconda della massa della stella – il Sole, ad esempio, ha
impiegato all’incirca cento milioni di anni per formarsi,
mentre a stelle più massicce basterebbero anche solo
centomila anni… il che è straordinario, ma ad
ogni modo ci ruberebbe decisamente
troppo tempo e quindi siamo qui durante la cosiddetta fase di
pre-sequenza finale, il massimo che possiamo permetterci prima che
– »
« E’ perfetto. »
La voce di Rose fu poco più di un sussurro, ma
bastò perché il Dottore interrompesse la sua
parlantina spedita.
Più dell’universo, più di tutte le
meraviglie che lui sarebbe mai stato in grado di mostrarle, Rose Tyler
non avrebbe mai smesso di stupirsi dell’uomo che era al suo
fianco, della sua straordinaria riservatezza,
della sua capacità di irretire i sensi di chiunque spostando
il centro dell’attenzione su un argomento qualsiasi,
purché nessuno si avvicinasse troppo a ciò che
veramente gli stava a cuore.
Quando alzò lo sguardo, si rese conto che anche lui la stava
fissando, in attesa.
« Tutto questo, » mormorò lei, voltando
per un attimo il capo per fare cenno a tutto ciò che stava
avvenendo appena al di fuori del Tardis, « non avrei voluto
vederlo con nessun altro al mondo, se non con te. »
Una luce indefinita si accese negli occhi del Dottore, e quando le
labbra di Rose si curvarono verso l’alto, anche lui sorrise
di rimando.
Angolo Autrice.
Esordisco con il dire che a) non scrivevo qualcosa di senso compiuto da
mesi, b) non scrivevo su efp da anni e c) non ho mai scritto in questo
fandom,
ma Doctor Who mi ha investito come un treno in corsa con il suo carico
di emozioni, e io non mi sono potuta tirare indietro. Avevo iniziato
questa fanfic prima di vedere “Doomsday”
(quando il mondo era ancora tutto bello e profumava di Rose Tyler) per
poi finirla in un secondo momento, e ho preferito un po’ di
fluff all’angst che avevo dentro perché loro due
meritavano così tanto di più.
Così. TANTO. Ad ogni modo, se siete arrivati fin qui, grazie
di tutto!
Spero vi sia piaciuto, e che vi abbia trasmesso anche solo un minimo di
quanto questa coppia straordinaria sia stata in grado di trasmettere a
tutti noi p̶e̶r̶c̶h̶é̶ ̶l̶o̶r̶o̶ ̶d̶u̶e̶ ̶a̶v̶r̶e̶b̶b̶e̶r̶o̶
̶d̶o̶v̶u̶t̶o̶ ̶r̶i̶m̶a̶n̶e̶r̶e̶ ̶i̶n̶s̶i̶e̶m̶e̶ ̶p̶e̶r̶ ̶s̶e̶m̶p̶r̶e̶
̶
Love you always,
— afterallthistime.
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