Rossane - il fiore di Persia

di EffyLou
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Premessa

I. Nonostante la presenza di Alessandro Magno e le sue gesta per circa 30 capitoli, non è incentrata su di lui ma su Rossane, la sua prima moglie. Una figura totalmente anonima, oscurata da diversi fattori storico-culturali, ma che era presente e non molto mite...
Ciò che riguarda questa donna (all'epoca poco più di una ragazzina) è quasi nullo e molto vago: nessuno descrisse con esattessa il suo aspetto fisico, limitandosi a dire che fosse la fanciulla più bella di Persia dopo Statira I, moglie di re Dario III; non si fa accenno nemmeno alla sua personalità. Tuttavia le donne della Persia Achemenide erano molto emancipate, al punto che potevano diventare satrapi o persino Immortali. In particolare i nativi della Battria-Sogdiana (come Rossane) erano sotto le influenze Scite, di cui facevano parte le famose Amazzoni, ed erano considerati feroci e agguerriti. Rossane stessa, ci è dato credere, che fosse stata una donna focosa e agguerrita. 
Cercherò di parlare del contesto persiano, l'aspetto antropologico e religioso, mettendolo a paragone con quello greco-macedone. Spero di rendere questa storia un viaggio nel passato. 

II. Ho sempre amato Alessandro Magno come personaggio storico, nonostante alcune sue brutalità, ma non avevo alcuna intenzione di scrivere su di lui. È una figura complessa e sfaccettata, e il rischio di snaturarla e fare un fiasco totale... è alto. Già temo di averlo fatto mentre scrivevo i capitoli in cui è presente, figuriamoci. 
Allo stesso tempo, a darmi l'input per scrivere questa storia fu un articolo online dedicato interamente a Rossane. Questa fanciulla che dai confini del mondo ha sposato una delle figure più straordinarie della storia. Personalmente dubito che lu l'abbia sposata solo per calcolo politico: ovviamente anche per quello, ma credo anche in una punta di romanticismo. Anche se se io questa storia l'ho resa più romantica di quanto, probabilmente, in realtà non fosse, senza togliere quel rapporto burrascoso che avevano HAHAH Nonostante questo, i due si sono voluti bene: dopo tante difficoltà superate insieme si era instaurata una buona complicità, al punto che Alessandro la voleva portare con sé anche durante la spedizione in Arabia, lasciando le altre due mogli a Susa.
Una nota per le Alessandro/Efestione shippers (?): non la troverete. Non come volete voi, immagino. In primo luogo perché la storia tratta di Rossane in primis; in secondo luogo perché ho dei dubbi sulla natura romantica tra i due. Credo sia stato un rapporto molto discreto, limitato ad atteggiamenti e parole piuttosto che ad azioni (baci, rapporti) come invece accadeva tra Alessandro e l'eunuco Bagoa, amanti veri e propri. Non so se mi spiego..
Vi prego quindi di evitarmi commenti come: "Alessandro era omosessuale" perché no, non lo era. Era bisessuale/pansessuale come il 99,9% dei greci, macedoni e persiani del tempo. Non esisteva questa polarizzazione all'epoca.
Troverete accenni di entrambi i rapporti, comunque, ma nessuna scena precisa. 

III. Per ultimo voglio chiedervi di cercare di dimenticare la nostra etica e morale. La storia è ambientata in un luogo lontano e in un tempo lontano, si parla di avvenimenti accaduti più di duemila anni fa. Gli usi, costumi, la mentalità, le persone.... erano molto diversi da noi oggi. Ciò che ora troviamo ripugnante o senza senso, all'epoca era normalità. Perciò vi chiedo di tener conto di questo prima di giudicare i personaggi, cercare di incastrare i loro comportamenti e motivazioni nel contesto del loro tempo.
Neanche dovrei farlo questo discorso, veramente, deve essere scontato, ma ho avuto lettrici che mi hanno fatto cadere le braccia a terra per certi commenti.

Fonti usate:
- il sito del professor Kaveh Forrokh per gli approfondimenti sui vari aspetti culturali della Persia Achemenide;
- una cronologia riassuntiva e dettagliata degli eventi sul sito leonardo.it.

Revisioni:
Revisione in corso dei capitoli pubblicati (prima parte della storia) + aggiunta (su EFP) dei capitoli dal 25 al 31.
La revisione di questi capitoli sarà molto generica e superficiale. Al termine della storia, la revisionerò in modo completo e radicale.



 


Moqaddame
prologo


 
 
 
Impero di Persia, regione di Sogdiana, provincia di Battria.
Città di Ai Khanum1, 328 a.C.


 
Amu era brava a suonare il santur. Quando le mezrab, le bacchette, sfioravano le corde cominciava magia. Ti portava in un regno dove tutto sembrava lontano e ovattato, quasi onirico e ultraterreno.
C'era un che di mistico nel suono di quello strumento.
Amu aveva ventuno anni, i suoi capelli erano neri e ondulati, lucenti, sempre ordinati con fermargli d'oro. Gli occhi erano di un profondo blu, simile al cielo notturno rischiarato dalla debole luce lunare. Suonava il santur e adorava creare bracciali con perle e minerali preziosi.
Il padre le diceva sempre che con il suo rango poteva avere tutti i gioielli che voleva, ma Amu si divertiva a fabbricarseli da sé. Inoltre, talvolta, le piacevano anche di più proprio perché erano personali.
Darya aveva quattordici anni, somigliava ad Amu solo che aveva gli occhi con un taglio diverso, più allungato, le labbra erano sottili e il naso leggermente adunco. Era ancora acerba, aveva tanto tempo per crescere.
Vivace e sbarazzina, i suoi capelli erano sempre in disordine e questo faceva dannare la balia che l'aveva cresciuta.
La loro madre era morta pochi giorni dopo la nascita di Darya per un'infezione, ma nessuno l'aveva detto alla ragazzina per non farla sentire responsabile. Le fu raccontato che morì quando aveva tre anni a causa di una malattia sconosciuta.
Darya era ingenua, innocente, pura. Credeva a tutti, anche agli sconosciuti. Era una sognatrice, si metteva spesso appoggiata al davanzale della sua stanza e sospirava guardando le montagne del Paropamiso2.
Rossane era la secondogenita, aveva diciannove anni. Era un po' diversa dalle due sorelle: la sua chioma era più chiara, i capelli si curvavano in una moltitudine di onde e riccioli poco definiti; gli enormi occhi felini erano di un colore simile all’oro vecchio; il naso all'insù, le labbra delicate, il volto a cuore.
Si considerava meno bella di sua sorella Amu, eppure di lei dicevano che fosse la fanciulla più bella dell'Asia. Il fiore di Persia.
Non ci aveva fatto molto caso a quelle dicerie. Molti uomini l'avevano chiesta in sposa, ma Rossane non era poi così interessata all'amore. I suoi piani non prevedevano il matrimonio. La principessa aveva un’idea molto chiara del suo futuro, in accordo anche con suo padre Ossiarte che la seguiva nei suoi studi politici.
Amu, che era promessa al figlio di un satrapo dell'impero persiano, le diceva che invece poteva nascere l'amore e non c'era niente di meglio.
Ma Amu si sbagliava, qualcosa di meglio c'era: la cultura.
 
Quel giorno le tre sorelle erano nelle stanze del palazzo riservato alle donne, l'harem.
Sentivano la balia cantare una nenia mentre tesseva, le concubine di loro padre ridere e ballare, suonare. Amu suonava il santur, Darya guardava fuori la finestra, Rossane leggeva alcune pergamene. Copie dell'Epopea di Gilgamesh.
Quel giorno erano quattro anni che loro padre, con l’esercito battriano, era partito per il cuore dell’impero per dare man forte al Gran Re Dario III nella battaglia contro l’invasione macedone.
Avevano poi saputo che, dopo la battaglia di Gaugamela, il sovrano si era dato alla fuga per non cadere in mano al re nemico.
«Perché dobbiamo starcene confinate qui? Nostro padre non è a palazzo, possiamo uscire» si lamentò Rossane, gettando la testa sui grossi cuscini cobalto sul pavimento, appena sotto una finestra con i vetri colorati e le grate.
Non le piaceva stare nel serraglio. Era un posto profumato e colorato, rilassante, ma la faceva sentire prigioniera in casa sua.
«Sta calando il sole, Rossane. Non è più sicuro uscire dalle mura del palazzo» le spiegò Amu, dolcemente.
Aveva smesso di suonare, stava accordando le corde del santur per quando l'avrebbe suonato di nuovo, così si sarebbe risparmiata quei preparativi. Il santur aveva tra le settanta e le cento corde da accordare. Era uno strumento complesso che tutte le donne del palazzo sapevano suonare, ma Amu era senza dubbio la migliore. Persino più brava di Fayruz, la favorita del satrapo.
Forse suo padre l'avrebbe presa in sposa.
«Nemmeno nel giardino interno?» provò a dire, districandosi dai suoi pensieri.
Amu scosse la testa.
Un eunuco fece l'ingresso nell'harem, vestito con abiti neri e un copricapo alto e rettangolare, da cui scendeva un velo semi trasparente che copriva la parte bassa del viso, lasciando gli occhi scoperti. Aveva le palpebre truccate con una linea di kajal e una polvere azzurra. Suo padre l'aveva acquistato in Egitto, uno schiavo senza più un nome proprio3
«Il mio signore vostro padre è alle porte di Ai Khanum. La cena verrà servita non appena si sarà ripulito delle polveri del viaggio».
Dovevano dunque prepararsi ad essere ricevute dal satrapo4.
Era un uomo di mezz'età, i capelli neri brizzolati, anelli e collane d'oro. Rossane non sapeva come definirlo, tuttavia adorava suo padre. Darya era quella più restìa ad averci a che fare, ed era più rilassata quando lui non era a palazzo, nonostante ella negasse e affermasse invece che le mancasse la presenza di suo padre.

Le tre sorelle si lavarono nella grande vasca di mosaico dei bagni.
C'erano alcuni servitori presenti, pronti a massaggiare le carni delle fanciulle con oli profumati e rimuovere la peluria.
Loro ridevano nell'acqua fumante della vasca, strofinandosi la pelle a vicenda con sali speciali, purificando l'epidermide. Quando uscirono dall'acqua alcune concubine le aiutarono a indossare dei teli per asciugarsi e ne avvolsero altri attorno ai loro capelli lucenti. Si stesero su dei lettini morbidi e imbottiti da cuscini, supine, e gli eunuchi spalmarono la pasta nūra in ogni punto del corpo per rimuovere ogni segno di peluria, anche minima ed invisibile. Mentre attendevano che la pasta depilatoria facesse il suo corso, alcune concubine si affrettarono a sistemare le loro sopracciglia con pinzette metalliche e truccare i loro visi con polveri dai colori tenui e kajal sulle palpebre.
Quando la crema venne rimossa, la loro pelle era liscia e morbida come seta. Gli eunuchi s'impegnarono per renderla ancora più bella, attraverso i massaggi con gli oli profumati.
Tornate nelle loro stanze, alcune servitrici le aiutarono con l'acconciatura. Intrecciarono pietre preziose, perle, spessi filamenti d'oro, ai loro capelli. Le aiutarono ad indossare gli abiti per la cena. Le braghe, una camicia lunga di lino, e due tuniche colorate la più corta sopra quella più lunga.
Non era un abbigliamento molto diverso da quello degli uomini, ma le donne persiane ci tenevano particolarmente agli abiti ricamati, la cura del viso, a risaltare i punti del corpo ritenuti importanti quali il punto vita e il seno.

Rossane era esile, con ben poco seno da esaltare. Al contrario di altri popoli come la Grecia, l'impero persiano non imponeva un modello femminile di bellezza poiché copriva una parte così vasta del mondo che le donne e gli uomini variavano anche drasticamente in base alle regioni.
Certo, le donne in carne erano favorite: la loro corporatura morbida era indice di buona salute e orientata verso la procreazione, ma nessuno sdegnava le fanciulle esili come le tre principesse.
Le tre sorelle fecero il loro ingresso nella sala dei banchetti di Ossiarte. C'erano anche la balia Mizda e Fayruz. Il satrapo era scuro in viso, non rivolse uno sguardo a nessuna di loro e mangiò in silenzio. Amu cercò di spezzare il silenzio parlandogli di ciò che avevano fatto in quei quasi quattro anni, ma Ossiarte non guardava, non ascoltava, e presto la giovane si zittì per l'umiliazione di così poca considerazione da parte del suo amato padre.
«Domani partirete» esordì, al termine della cena.
Rossane fece scattare la testa nella sua direzione. «E andare dove? Perché?»
«Perché così ho deciso» replicò, secco. «Andrete alla rocca di Arimazes5. Partirete all'alba, anche tu Mizda e anche tu Fayruz. Io finirò di disporre le ultime cose qui in città e vi raggiungerò. Questo è quanto. Buonanotte».
Ossiarte aveva lasciato le cinque donne in un'atmosfera gelida fatta di interrogativi e confusione. Non aveva dato spiegazioni, l'unica direttiva era andare. Partire. La rocca di Arimazes era inespugnabile, inaccessibile. Per quale motivo voleva mandarle lì?
Amu scoppiò a piangere, scappando nella sua stanza. Darya era rimasta interdetta, mille ipotesi pessimistiche le sfioravano la mente. Forse suo padre non le voleva più.
Rossane, invece, era di altro avviso. Al contrario delle sue sorelle, aveva una vaga idea dei tumulti che stavano avvenendo per mano del re di Macedonia. Aveva invaso la Battria, avanzava tra le montagne, e presto sarebbe arrivato ad Ai Khanum.
Non sapeva altro, ma questo le bastava per formulare ipotesi. Fu grata a suo padre per aver disposto la loro partenza già dal giorno successivo verso un luogo sicuro.

Si ritirò nelle sue stanze. Avrebbe dovuto dormire il più possibile, la partenza era prevista all'alba e sarebbe stato un lungo viaggio.
Una servitrice la seguì per aiutarla svestirla, struccarla, districarle i capelli e prepararle una valigia con tutti i suoi effetti.
Rossane la fermò con uno sguardo. «Metti solo le camice di lino, i pantaloni, e le tuniche leggere. In un sacco mettici i sandali, gli stivali, le altre scarpe con la punta arricciata. Niente gioielli, niente profumi, niente cosmetici. Non voglio caricarmi di pesi inutili, sarà un lungo viaggio» sospirò «…e portami l'Epopea di Gilgamesh»
«Sì, mia signora».

Avvolta nella sua lunga veste da notte, i capelli sciolti sulle spalle, Rossane uscì sulla balconata del palazzo. Le montagne oscure alla sua destra, il fiume Oxus che scorreva placido a sinistra, la città che si estendeva nella vallata. Fumi, luci, le musiche che venivano dalle strade, la brezza fredda invernale che arrivava dalle montagne. Avrebbe dovuto abbandonare quel luogo dopo quella notte, vivere in una rocca inespugnabile. Era la cosa migliore, certo, ma per quanto tempo? Rossane aveva paura di fare la fine del topo.
Non seppe dire per quanto tempo rimase lì a contemplare la città, ma le musiche andarono a scemare e le luci delle case si spensero poco a poco. Doveva rientrare, era molto tardi.
Nel corridoio verso la sua camera, passò di fronte allo studio di suo padre. Ossiarte era dentro, una candela accesa sullo scrittoio e un generale in piedi di fronte ad esso.

«Consentitemi, mio signore, ma a mio parere dovrebbe seguire le sue figlie alla rocca di Arimazes. È rischioso restare qui e lei non sa quando potrà raggiungerle»
«Non posso. Ci sono cose che devo disporre, ma le seguirò al più presto. Conto di partire tra una settimana. Fidati di me».
Rossane si appiattì sulla parete vicino all'arcata. Non c'era una porta, solo una pesante tenda verde impediva di sbirciare all'interno. Sentì una terza voce, gracchiante, di Pirsar. Il funzionario del re che ogni tanto gli inviava missive per comunicare i movimenti di Ossiarte.
Un vecchio spelacchiato che guardava in modo viscido e lascivo le figlie del satrapo, in particolare la piccola Darya.
«Non dannarti l'anima, Ossiarte. Avete fatto la cosa giusta»
«Pirsar tu dici così perché odiavi Dario. Come Besso, Satibarzane, e Spitamene. Ma hai visto loro che fine hanno fatto? Trucidati dal conquistatore straniero. Sono rimasto l'ultimo» un sospiro rammaricato gli sfuggì dalle labbra prima di caricarsi di rabbia. «Quegli inetti! Non sono stati neanche in grado di uccidere a dovere un re! Dario si fidava di loro, era nelle loro grinfie. E non l'hanno pugnalato nemmeno a dovere, quegli idioti! Stanno pagando per la loro superbia»
«Come può il re di Macedonia conoscere i nomi dei satrapi traditori, mio signore?» domandò il generale.
«Ha trovato Dario morente, lui gli ha comunicato i nostri nomi. E lui ha deciso di vendicarlo. È qui, in Battria, e sta facendo stragi tra i civili per trovarci. Besso è stato così idiota e pomposo da essersi autoproclamato re di Persia. Satibarzane è stato il primo a morire, in un conflitto a viso aperto con il conquistatore. Barsente fu il secondo: l'idiota tentò la fuga verso l'India ma fu catturato e consegnato al re macedone. Spitamene fu il peggiore, infame fino alla fine. Consegnò Besso nelle mani dello straniero, è stato ucciso a Persepoli. Poi Spitamene fu così stupido da attaccare Marcanda, solo per dar fastidio al conquistatore e dichiarargli guerra, cercando di dimostrargli che non lo temeva. Quell'imbecille! È morto anche lui. Sono rimasto solo io, Pirsar. E non per molto, ma non posso andarmene senza aver dato le ultime disposizioni per la città. Il re di Macedonia si macchierà anche qui di terribili crimini di guerra come è successo in altre città di Battria, la mia gente deve stare pronta. Ho davvero paura, i miei compagni sono andati incontro una fine cruenta e terribile, non voglio che alle mie figlie venga fatto lo stesso. Devono andare via».

Come poteva non avere paura, il satrapo Ossiarte? Era stato un congiurato di re Dario. Il leone di Macedonia non avrebbe interrotto la sua marcia, non avrebbe mollato la presa ora che aveva gustato il sangue dei traditori. Era stato ampiamente dimostrato: da Gaugamela fino alla Sogdiana. La fine del mondo. Aveva bussato personalmente a tutte le porte dei congiurati e avrebbe fatto altrettanto alla porta di Ossiarte. Avrebbe trucidato lui e la sua famiglia.
Il satrapo credeva in ciò che dicevano i magi: il re dei macedoni era l'incarnazione di Arimane.
Viene il signore dell'Asia, colui che ha negli occhi il giorno e la notte.

«E com'è questo macedone?» fece Pirsar.
«Scaltro, anche troppo. Dicono sia irruento, passionale, ma gelido in battaglia e capace di valutare situazioni complicate con incredibile distacco. Difficile da inquadrare. Giovane, molto bello, molto forte. Forte come un leone, maledizione»
«E non ha punti deboli?» incalzò il generale.
«Vino, donne. Niente di rilevante. Pare che non si lasci soggiogare nemmeno dall'amore».
Rossane non ascoltava più. Si mise una mano sulle labbra, per non emettere un grido.
Il re macedone stava arrivando per uccidere suo padre e, per beffa, anche loro. Per questo dovevano andarsene al più presto. Gli occhi le si riempirono di lacrime, il cuore di tristezza.
Rifletté sulle parole di suo padre. Gli uomini uccisi dal conquistatore straniero erano satrapi come lui. Da quanto aveva capito, Besso e Satibarzane avevano pugnalato a morte re Dario, ma non abbastanza da ucciderlo subito, ed era stato trovato dal re di Macedonia. Aveva comunicato i nomi dei satrapi traditori e tra questi c'era pure suo padre.
Ci mise un po' ad ingoiare il groppo, non voleva vedere la verità eppure era così palese: suo padre era stato uno di quei traditori ad organizzare l'assassinio di re Dario. La delusione era troppo forte, qualcosa in lei si era spezzato. L'affetto che provava per suo padre, tutta l'ammirazione... un ricordo lontano.

Fece irruzione nel suo studio, lasciando il generale, Pirsar e Ossiarte inizialmente confusi. Poi sul volto del satrapo si dipinse un'espressione furibonda, dura.
«Hai origliato!»
«Come avete potuto uccidere il vostro re! Lo stesso re che vi ha dato tutto questo» indicò il palazzo intorno a sé. «Siete un uomo spregevole, irriconoscente. Mi avete delusa nel profondo, mi fate schifo! Spero che moriate sotto la spada del re di Macedonia come re Dario è morto sotto la lama dei vostri tradimenti!».
Aveva parlato senza pensarci. Aveva mancato di rispetto a suo padre, il satrapo di Battria e re di Sogdiana.
L'aveva fatto davanti al funzionario del re Dario, anche lui un traditore, Pirsar. L'aveva fatto davanti ad uno dei generali più vicini ad Ossiarte. Erano tutti traditori in quella stanza, irriconoscenti, infami. Il disgusto che Rossane provava per loro era ineguagliabile.
Nessuno avrebbe mai potuto farle più schifo di così. Avevano ucciso il loro re.
In un momento tutto le fu ancora più chiaro e ancora più infido: re Dario era fuggito da Gaugamela per non morire sotto le mani del re di Macedonia. Si fidava solo dei suoi satrapi, non poteva sapere che erano tutti traditori e tramavano per ucciderlo. L'avevano pugnalato alle spalle. Un tradimento orribile e ripugnante.
Ai bambini persiani veniva insegnato a non mentire mai, per nessun motivo. Per questo non si aspettavano che qualcuno mentisse. Rossane era ingenua, non si sarebbe mai aspettata di vedere colui che le aveva sempre insegnato il valore dell'onestà, tradire in quel modo il suo sovrano.
Ossiarte si avvicinò a grandi passi verso la figlia, lo sguardo ridotto a due fessure nere che lanciavano fulmini rabbiosi.
Alzò una mano, la colpì in pieno viso facendole girare la testa dall'altro lato. I segni rossi delle dita sulla guancia, le piccole ferite che le avevano procurato gli anelli che ornavano le mani del padre.
Non so dove trovò il coraggio di guardarlo negli occhi, dove trovò il coraggio di pretendere di avere l'ultima parola in capitolo.
«Io vi disprezzo».





 

1 - Ai Khanum si trova a nord dell'Afghanistan, all'estremità orientale della pianura di Battria, vicino al fiume Oxus. La regione (Battria) era chiamata in persiano Bakhtār  e Ai Khanum era chiamata anche Zariaspa.

2 - Il Paropamiso è la regine storica che oggi conosciamo come Hindu Kush.

3 - Nella Persia antica, i fanciulli in età pre adolescenziale potevano venir sottoposti all'evirazione. I motivi erano vari: povertà, schiavitù, religione. Dopo l'evirazione questi bambini perdevano il proprio nome e venivano chiamati Bagoa. Nella storia persiana troviamo spesso questo nome per indicare di solito gli amanti eunuchi dei sovrani, ma di fatto non è neanche un nome proprio.

4 - I satrapi erano nobili nominati dal Gran Re stesso per governare in sua vece in determinate regioni dell'impero, le satrapie.

 




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