Noir guardò il suo riflesso nell’acqua increspata
dai pochi peli rimanenti.
Ora che le guance e il mento non erano più nascoste dalla
folta barba il suo volto dimostrava almeno dieci anni di meno.
Ripose il coltello nella fondina che portava alla cintura e si
rialzò, pulendosi con i palmi i pantaloni sporchi di
fanghiglia.
L’uomo tornò a dirigersi verso il suo cavallo,
misurando a lenti passi la distanza che stava percorrendo. Intanto, i
suoi pensieri correvano veloci lungo i quindici anni che aveva passato
spostandosi da una città all’altra.
Metà della sua vita era stata impegnata nel nascondersi e
scappare.
La Grande Vivente, ormai, per lui non era più un luogo
sicuro. Qualunque villaggio lo avrebbe riconosciuto, figurarsi le
città con la loro guardia cittadina. Doveva lasciare quella
foresta, almeno per qualche anno.
Dove poteva andare, allora?
L’impero sotterraneo dei nani era imploso con il crollo della
fitta rete di cunicoli che aveva scavato nel corso degli anni. Ormai,
le poche famiglie rimaste di quella razza non potevano nemmeno sperare
in una nuova alba del loro dominio del sottosuolo.
Una delle Chiritai. Se fosse riuscito a superare il controllo
all’ingresso di una di quelle cittadelle, avrebbe potuto
trovare una buona sistemazione. Ma era un’impresa
impossibile, introdursi all’interno di quelle mura.
Avrebbe dovuto cercare fortuna oltreoceano. Si sarebbe dovuto
introdurre in una delle navi dirette verso il continente.
O forse no. Poteva provare a farsi accogliere in un tempio, per lo meno
i sacerdoti avevano l’obbligo di ospitalità.
Ma se l’avessero riconosciuto? Sarebbero stati in grado di
ucciderlo?
L’uomo si sistemò il mantello sulle spalle, prima
di rimontare sulla sella.
Sul volto di Noir comparve un sorriso tirato quando i suoi talloni
premettero sui fianchi del destriero. Sarebbe stato comico se coloro
che avevano consacrato la loro vita agli dei gli avessero davvero
offerto la loro ospitalità.
La Piana Umana, ora divenuta una conca a causa del collasso del regno
nanico, era vuota, silenziosa, sotto quel sole al suo culmine. Avevano
sicuramente perso le sue tracce.
Il cavallo dal manto scuro procedette risalendo il fiume verso sud, per
poi staccarsi da esso appena incrociò il secondo braccio del
Vrag, le cui acque, scorrendo verso ovest, si sarebbero poi buttate nel
mare, passando però prima attraverso l’immenso
lago che ora riempiva buona parte delle Terre non coperte dalla folta
Grande Vivente.
Noir percorse la sponda senza fretta, guardando le acque limpide che
correvano al suo fianco. Nelle zone meno profonde, erano ancora
riconoscibili i ruderi dei villaggi che prima erano stati coinvolti nel
collasso della terra e poi erano stati sommersi per diventare la dimora
dei pesci d’acqua dolce che lì si erano insediati.
In lontananza si sentì il sibilo del treno che percorreva da
ovest ad est le terre, seguendo le centinaia di chilometri di rotaie
costruite negli ultimi anni della Seconda Era.
A un paio di centinaia di metri dalla terraferma, un campanile pendente
svettava dalla superficie calma del lago, i mattoni consumati erano
assediati dalle alghe e dai muschi che lì cercavano il caldo
tocco del sole.
Lontano, in direzione dei monti, scure nubi si stavano avvicinando
velocemente, sospinte dal vento di alta quota.
Il riverbero di un tuono si spanse nell’aria, mentre il sole
veniva inghiottito dall’oscurità gettata dalle
pesanti nuvole che stavano conquistando il cielo.
L’uomo batté i talloni sui fianchi del cavallo,
incitandolo ad aumentare l’andatura per evitare il temporale
che stava arrivando. Nonostante ciò, le prime gocce di
pioggia riuscirono a raggiungere il mantello scuro del cavaliere chino
sulla sella.
Un lampo squarciò il cielo scuro, illuminando le gocce
d’acqua che cadevano con frequenza sempre maggiore e una
struttura alta che si stagliava sulla sponda del lago.
Noir serrò la presa sulle briglie che teneva in mano,
facendo dirigere il cavallo galoppante verso quel segno di
civiltà.
Un secondo lampo serpeggiò tra le nuvole temporalesche,
illuminando un tempio in mattoni racchiuso in un piccolo recinto di
legno, che pareva abbracciare il giardino davanti al portone.
Noir legò velocemente il suo destriero sotto una tettoia
sghemba, costruita su un muro laterale del tempio, per poi precipitarsi
a capofitto sotto il cornicione dell’ingresso, cercando
riparo dalla pioggia che si era fatta battente.
La sua mano corse al battacchio in ferro appeso al possente battente in
legno, sollevandolo e lasciandolo ricadere più volte.
Il cupo suono che produssero i colpi riverberò per il legno
della porta e le pareti murarie della struttura, superando per un
istante il fragore dell’acqua.
I secondi in cui nulla si mosse parvero eterni.
Un vento gelido si levò, spirando dalla superficie del lago
verso nord, verso l’entroterra e la Grande Vivente che
là si ergeva.
L’uomo si strinse nel mantello fradicio, cercando riparo
dalle intemperie che parevano averlo preso di mira.
Finalmente il portone si smosse, facendo filtrare verso
l’esterno la luce delle candele che dietro a questo ardevano.
Un uomo dal cranio rasato si sporse da quella feritoia, guardando con
gli occhi socchiusi chi aveva bussato alla sua porta.
Noir sorrise da sotto il suo cappuccio, sperando che
l’assenza della barba fosse sufficiente a non farlo
riconoscere.
- Posso mendicare un giaciglio per la notte? –
provò a chiedere, appoggiando la propria mano sulla porta.
L’uomo calvo parve incerto, poi, chinando la testa, si decise
ad aprire completamente la porta, in modo da far entrare il mendicante.
- La ringrazio. – continuò Noir, facendo pochi
passi oltre l’ingresso.
L’uomo si voltò, facendo ondeggiare la tonaca
bianca che portava addosso, e avviandosi per il corridoio dal quale era
arrivato.
Noir lo seguì, guardandosi attorno, cercando di memorizzare
qualunque cosa lo potesse aiutare o ostacolare durante una fuga.
Il corridoio d’ingresso era lungo, stretto, con le pareti
ricoperte di legno spoglie, se non per le candele appese ad intervalli
regolari.
A sette metri dall’ingresso, il sacerdote in tunica candida
si fermò quei pochi secondi necessari per aprire la porta
che si trovarono davanti. Oltre a questa, inginocchiati su spesse
panche di legno pieno, altri nove uomini rispettavano il religioso
silenzio di preghiera.
Il sacerdote che aveva aperto la porta indicò con un gesto
della mano una panchina vuota contro il muro, sulla quale Noir si
sedette senza dire nulla.
Un’ora e mezza passò lentamente, non una volta uno
dei sacerdoti si alzò o si sistemò in quella
scomoda posizione.
Attraverso le sottili pareti della struttura si riusciva perfettamente
a sentire il battente suono delle gocce di pioggia che impattavano sul
terreno e sulla superficie dello specchio d’acqua.
Fu il suono di un campanello appeso alla parete a risvegliare la stanza
dallo stato catatonico in cui era caduta.
Un sacerdote si avvicinò al trentenne, il fisico magro era
malcoperto da una tonaca azzurra e il viso dimostrava almeno
quarant’anni in più del confratello che era andato
ad aprire la porta allo sconosciuto.
- Perché hai bussato al nostro tempio? – chiese
seccamente l’anziano, con una voce resa rude da troppi anni
passato in isolamento in quel tempio.
Noir si sforzò nel sembrare il più onesto e
candido possibile, sorridendo bonariamente a quel viso rugoso che lo
stava squadrando. – Vede, sono stato preso alla sprovvista
dal temporale che sta imperversando durante il mio viaggio. So
perfettamente che voi, in quanto sacerdoti devoti ad Aria, predicate
uno stile di vita lontano dalla caotica civiltà, ma vista la
mia posizione ho ipotizzato che avreste potuto offrirmi un tetto per
questa sola notte. –
Lo sguardo del sacerdote non sembrò mutare a quella
spiegazione. Nonostante ciò fece un passo indietro,
allontanandosi dal mendicante che il suo confratello aveva fatto
entrare.
- Ti offriremo riparo per questa sola notte perché il Fato
ti ha condotto a noi. –
- La ringrazio infinitamente. –
Nessuno si preoccupò di guidare il trentenne dai capelli
neri all’interno di quell’edificio consacrato,
lasciandolo da solo con i propri pensieri in quella sala della
preghiera per un’ulteriore ora. Quando, finalmente, una
tonaca candida ricomparve da una delle porte, fu per riferirgli che di
lì a poco sarebbe stata servita la cena.
Noir si ritrovò una manciata di minuti dopo in una stanza
laterale che si sarebbe potuta scambiare per un largo corridoio lungo
il quale, contro il muro di destra, erano stati sistemati piccoli
tavolini, il cui unico compito era ospitare la nera fetta di pane e
poche verdure probabilmente colte dall’orto accudito dai
confratelli stessi.
Non una volta, durante la parca cena, un sacerdote provò a
parlare con l’ospite sconosciuto, chiedergli il nome o la
storia che l’aveva condotto fino al loro uscio. Di quando in
quando un di loro alzava lo sguardo nella sua direzione, squadrandogli
il volto per diversi secondi, per poi far tornare i suoi occhi in
direzione del piatto.
La stanza silenziosa fu attraversata da un attimo di fremito, generato
forse da una parola, forse da un gesto che, comunque, Noir non
riuscì a cogliere.
Che l’avessero riconosciuto?
No, in quel caso si sarebbero già mossi.
Noir si portò alle labbra le poche briciole che erano
rotolate fuori da suo piatto, aspettando che qualcuno lo scortasse al
pagliericcio che lo avrebbe dovuto ospitare per la notte.
I piccoli loculi destinati ad ospitare i corpi dei sacerdoti durante le
poche ore di sonno che questi si permettevano durante la notte erano
stretti, al punto da riuscire ad ospitare solamente una brandina e
nulla più.
Noir si sdraiò in silenzio, con il suo zaino al fondo della
stanza a far compagnia ai suoi piedi. Non appena il sacerdote che
lì l’aveva condotto se ne fu andato, facendo
perdere il suo sguardo contro il soffitto legnoso che lo divideva dalla
pioggia scrosciante.
Non potevano averlo riconosciuto, si disse. Avrebbero reagito
immediatamente, scappando o attaccandolo. Oppure sapevano chi era, ma
avevano preferito rimanere fedeli alla loro natura di devoti religiosi.
Il trentenne chiuse gli occhi, cercano di rallentare il battito
frenetico del suo cuore.
Cullato dal suono dell’acqua, si addormentò poco
dopo.
Ancora non capisco
perché abbiano creato questo.
Nessuno penserebbe mai
di tornare sulla cima del Flentu Gar, dopo quell’inferno che
avete scatenato. A questo punto, mi chiedo, perché abbiate
nascosto tutto sotto queste spoglie, piuttosto che far erigere un
normale palazzo.
Noir sentì il sangue fremergli nelle vene, farsi bollente,
scaldandogli le carni e facendolo svegliare di soprassalto.
Conosceva quella sensazione. L’aveva provata troppe volte
nella sua vita, prima nell’Oasi, poi durante le sue fughe.
Avvertì qualcosa di viscoso colargli sul petto.
Sangue.
Sangue tiepido, sgorgato da una ferita appena inflitta.
Aprì gli occhi, con la cornea che pareva nera sotto la poca
luce della luna che riusciva a filtrare dalla stretta finestra sopra di
lui. Non uno dei capillari intorno alle sue iridi era rimasto integro,
facendo sì che il loro contenuto venisse sparso senza
criterio.
Noir boccheggiò per un attimo, intuendo cosa fosse la
macchia sfocata che vedeva di fronte a sé.
Un sacerdote stava imperioso su di lui, con gli occhi spalancati e la
mascella pendente. Il suo petto era stato trapassato da una lancia
nera, che si sarebbe detta nata direttamente dalla pelle sullo sterno
del trentenne, ora sporca di quella linfa vitale.
La lancia si ritrasse nuovamente, tornando nel corpo
dell’uomo dai capelli neri, togliendo così
l’unico sostegno che teneva ancora in piedi il confratello,
che crollò a terra già privo di vita.
Il pugnale che teneva in mano tintinnò contro il legno prima
ancora che il corpo toccasse il pavimento.
Noir si alzò, evitando di toccare il cadavere riverso che
continuava a spargere il proprio sangue ai piedi del letto, prendendo
il suo zaino e rimettendoselo in spalla.
Doveva scappare. Quel sacerdote aveva provato ad ucciderlo, sapeva chi
era, e nessuno avrebbe tentato una cosa del genere da solo.
Nessuno sarebbe stato tanto folle da sfidare il suo sangue in un leale
duello. Per quanto potesse essere leale un duello contro di lui.
Noir, ripercorse a passo svelto la strada che lo separava dalla sala
della preghiera. In nessuno dei loculi che oltrepassò
riuscì a trovare un sacerdote, vegliante o dormiente che
fosse.
Il dormitorio terminò con la porta che lo avrebbe condotto
alla stanza principale, che sì aprì non appena i
suoi avambracci impattarono contro il legno. Il trentenne non dovette
nemmeno rallentare il suo passo, lasciando che fosse lo slancio del suo
corpo a far muovere i cardini.
La larga sala centrale si presentò oscura e silenziosa
all’uomo.
Le strette feritoie poste in alto lasciavano appena filtrare il poco
bagliore lunare che era riuscito a farsi strada tra le nubi
temporalesche.
I candelabri erano immobili, appena riconoscibili senza la fiamma
ardente delle candele consumate che su di essi riposavano.
A sinistra, sulla parete contigua a quella attraversata da Noir, si
poteva immaginare la porta che lo divideva dalla mensa. Superato ancora
l’angolo successivo, da qualche parte, doveva esserci
l’accesso al corridoio che lo avrebbe portato
all’esterno.
L’uomo proseguì dritto, stringendo a sé
lo zaino con una mano, mentre l’altra tastava
l’aria sul suo percorso nel caso un inginocchiatoio si fosse
frapposto sul suo percorso.
Le dita del trentenne si appoggiarono sulla parete opposta, seguendone
il profilo finché non incespicarono su un montante.
L’anta si mosse, silenziosa, facendo penetrare nella stanza
oscura una lama di luce rossastra, vivida, intensa al punto da
infastidire le pupille dilatate di Noir.
Il corridoio era illuminato a giorno, una dozzina di candele ardevano
sui loro bronzei supporti sulle pareti, gettando la loro luce sui volti
dei nove sacerdoti che lì stavano fermi, in piedi, schierati
come le pedine su di una scacchiera.
I loro volti apparivano ora cadaverici ora demoniaci con il danzare
delle ombre scure sui lineamenti di quei visi.
Sulla barba dell’uomo più anziano, a capo di
quello schieramento, i riflessi delle fiammelle parevano accendere
tizzoni ardenti, che danzarono, quando le labbra asciutte si mossero
per proferire parola.
- Cosa hai fatto al nostro confratello? – chiese quel vecchio
con voce inquisitoria, voce che parve riverberare tra le pareti
rivestite di pannelli di legno.
- Ha avuto quel che si meritava. Magari la vostra dea l’ha
punito per aver attentato alla mia vita durante il sonno. –
- Tu, mostro. Tu, creatura dal sangue impuro. – il sacerdote
fece un passo avanti, stringendo tra le mani un lungo bastone da
passeggio. – Tu non potrai più sporcare le Terre
con la tua vita invisa agli dei, noi non ti permetteremo un ulteriore
passo. –
Noir, flesse leggermente le ginocchia, cercando di riportare alla mente
i dettagli che aveva cercato di memorizzare la sera precedente.
Fosse riuscito a superarli tutti rapidamente, si sarebbero trovati
impacciati nel voltarsi, offrendogli una buona finestra di vantaggio.
Un metro alle sue spalle lo divideva ora dalla sala della preghiera.
Un metro davanti a lui c’era il primo sacerdote con, dietro
di sé, due metri abbondanti occupati dai suoi confratelli.
Tra gli uomini in tonava bianca e la porta d’uscita
rimanevano poco più che due metri. Due metri di vantaggio
per scappare.
Noir fece un passo indietro, cercando di prepararsi per quello che
avrebbe dovuto fare.
- Ascoltate. – provò a dire il trentenne alzando
lentamente le mani. – Non voglio farvi del male. Se mi
lascerete uscire non vi farò nulla e potrete andare a
seppellire il corpo di quell’altro. È una
promessa. –
- Tu ci stai offrendo una seconda possibilità? Nel nome di
Aria, giuro che ti fermeremo ed epureremo il mondo dal tuo sangue.
–
L’uomo sospirò, facendo mutare il suo sguardo in
uno più serio e concentrato. – Non credo che Aria
ne sarà molto felice. –
Noir scattò in avanti, colpendo il sacerdote con una
spallata che gli fece perdere l’equilibrio. Si mosse quindi
di lato, spingendo il primo uomo in tonaca che incontrò
contro i suoi vicini.
Sfruttò lo spazio che si era andato a creare per lanciarsi
contro l’ultima linea di persone che si frapponevano tra lui
e la sua libertà.
Le sue suole impattarono contro il petto del sacerdote in mezzo al
corridoio, facendolo cadere schiena a terra. Una pozza di sangue
cominciò a spandersi sul pavimento sotto la nuca
dell’uomo caduto.
Il trentenne dai capelli neri non si trattenne a constatare le
condizioni del confratello sul quale era atterrato, scattando in
direzione della porta, così vicina.
Un rigolo di sangue cominciò a colare dal naso di Noir,
quando questo impattò contro l’uscio, chiuso a
chiave. |