I DOLORI
DEL GIOVANE FLORIAN
26
Agosto 1813
Oggi
c’è stata una magnifica battaglia. E pensa, Erich,
si è svolta
proprio sulle nostre terre, presso quel tratto del Katzbach che
scorre tra Wahlstatt e Liegnitz. Si è scatenata una furiosa
tempesta, insolita per la stagione. Amo pensare che sia stato il
Sacro Furore di Dio contro l’invasore francese,
perché essa ha
consentito al Feldmaresciallo Blücher di sorprendere le truppe
nemiche presso il fiume. A causa dei rovesci d’acqua era
impossibile usare i moschetti, per cui sono state le sciabole della
cavalleria a decidere le sorti dello scontro.
Ah,
poter far parte di quegli eroi! Perché sono ancora troppo
giovane
per portare le armi?
Mio
padre non si è smentito neppure questa volta, te lo dico con
la
consueta vergogna. Si è svolta proprio sui suoi possedimenti
una
battaglia della Sacra Guerra di Liberazione dall’odioso
invasore e
qual è stato il suo primo pensiero? Gioire? Sentirsi il
cuore gonfio
d’orgoglio? No di certo. Ha calcolato in talleri sonanti
l’ammontare del mancato raccolto, perché la
cavalleria, nel suo
eroico assalto, ha calpestato i campi.
La
sua
meschinità è ogni volta una stilettata al cuore.
E dire che la
nostra stirpe ha passato secoli a combattere per la Patria. Possibile
ch’egli non ascolti ciò che il sangue gli grida a
gran voce?
Possibile che in ogni suo pensiero sia la fredda ragione a prevalere,
coi suoi miserabili conteggi?
27
Agosto
Abbiamo
saputo che nella battaglia ci sono stati molti feriti. Così
tanti,
in verità, che gli ospedali da campo non sono in grado di
accoglierli tutti. Sua Eccellenza il Feldmaresciallo Blücher
ha
stabilito che alcuni di essi saranno alloggiati nelle case dei
dintorni affinché ricevano la necessaria assistenza, i
soldati e i
sottufficiali nelle fattorie e gli ufficiali presso le dimore
nobiliari.
Dato
il
nostro cognome, noi ci aspettiamo di ospitare un ufficiale, ma sarei
fiero di dare alloggio anche all’ultimo dei soldati,
perché si
tratterebbe in ogni caso di un eroe che ha combattuto per liberare la
nostra amata Patria!
28
Agosto
Mio
Dio, Erich, non speravo tanto! Poiché le terre su cui si
è svolto
lo scontro appartengono alla nostra famiglia, Sua Eccellenza ci ha
concesso l’onore di ospitare un autentico eroe!
Si
tratta del Conte von Eulenburg, un ufficiale dei leggendari Ussari
Neri! Giungerà nel pomeriggio, già fremo al
pensiero di vederlo.
Mio
padre naturalmente ha avuto il coraggio di protestare. Cianciava di
spese mediche e di vitto. Di vitto, ti rendi
conto? Come se
qualsiasi tedesco che ha sangue nelle vene e sentimenti nel cuore non
sarebbe disposto a privarsi finanche del necessario pur di dare
assistenza a un eroe della Sacra Guerra di Liberazione.
Insensibile
nella sua grettezza a queste pur giuste ragioni, ha protestato con
tale veemenza che è dovuto intervenire il Feldmaresciallo
Blücher
in persona. Ne sono rimasto davvero colpito, amico mio. Egli
è un
uomo dalla personalità magnetica, sembra letteralmente
irradiare
autorità tutt’intorno a sé, tanto che
neppure il mio meschino
genitore, giunto in sua presenza, ha più trovato il coraggio
di
porre obiezioni a che l’ufficiale ferito fosse alloggiato
presso di
noi.
29
Agosto
Come
ti
dicevo, ieri nel tardo pomeriggio è giunto finalmente il
tristo
convoglio dei feriti ad accompagnare il Conte von Eulenburg.
Non
voglio descriverti la pena di quella mesta colonna nella luce livida
del tramonto. Due poveri ronzini esausti tiravano un carro sul quale
erano distesi alla bell’e meglio, feriti e sofferenti, eroi
che
meriterebbero ogni onore. Chi li accompagnava faceva il possibile per
dar loro sollievo, ma l’aria risuonava di lamenti e le bende
che
erano state poste sulle ferite erano già sudice e intrise di
sangue.
Tutti
ci sentimmo stringere il cuore alla vista di quegli infelici. Io
implorai mio padre affinché accogliesse nella tenuta anche
altri
soldati, ma forse sarebbe stato più utile pregare una pietra.
Questa
storia mi è già costata anche troppo - ecco le
sue esatte
parole.
Mi
ordinò invece di sellare Blume e andare di corsa in paese a
chiamare
il dottore. Probabilmente risentiva ancora della visita di Sua
Eccellenza, che nonostante le sue vergognose recriminazioni gli aveva
ingiunto di dare all’ufficiale tutte le cure necessarie.
01
Settembre
Scusa
se ti ho trascurato per qualche giorno, mio caro Erich, ma sono stato
talmente impegnato che non ho trovato neppure quei pochi istanti
necessari a riordinare le idee per scriverti.
Ma
ti
racconto quel che è accaduto, così capirai il
motivo del mio
ritardo.
Come
ricorderai, mio padre mi ordinò di andare in paese a
chiamare il
dottore. Pensa, la nostra Blume, vecchia e bolsa
com’è, fece tutta
la strada al galoppo. Osservandola si sarebbe potuto pensare che
avesse capito la situazione.
Spesso
le bestie dimostrano nella loro semplicità molto
più buon senso
degli uomini, non ti pare?
Giunsi
dunque presso lo studio del medico e gli spiegai quello che era
accaduto. Egli, senza dubbio di sentimenti ben più nobili
del mio
prosaico genitore, fece attaccare immediatamente il calesse e mi
seguì alla tenuta. Qui mio padre lo accompagnò
alla camera azzurra,
ovvero quella in cui vengono normalmente alloggiati gli ospiti di
riguardo.
I
due
conversavano tra loro senza far caso a me, così che io potei
seguirli al capezzale del giovane Conte von Eulenburg.
Mio
Dio, Erich, ora che provo a raccontarti ciò che vidi mi
rendo conto
che le parole sono solo gusci vuoti privi di significato, meri segni
d’inchiostro, pallidi riflessi della realtà, vaghi
e tremuli come
fantasmi afflitti.
Ancora
adesso l’emozione minaccia di sopraffarmi e la mano trema
quando
m’accingo a scrivere di lui, tanto magnifico e commovente fu
lo
spettacolo che si offrì ai miei occhi increduli.
Un
arcangelo guerriero, questo il paragone che più
s’avvicina a ciò
che vidi. Uriel Fuoco di Dio, immagino, ha un volto come quello che
mi trovai ad ammirare.
Era
un
ovale perfetto, di nobile pallore, incorniciato da una capigliatura
d’oro pallido morbidamente ondulata. I bellissimi tratti
erano
regolari e delicati, ma al tempo stesso contenevano una nota di
durezza adamantina.
L’espressione
non era stravolta dalla sofferenza come spesso accade in questi casi,
ma singolarmente tranquilla, addirittura serena.
Io
rimasi a fissarlo con reverenza, quasi stessi contemplando uno
splendido San Sebastiano deposto dal martirio.
Egli
non era cosciente, giaceva immobile dove l’avevano adagiato e
solo
le bende insanguinate che aveva sul petto lasciavano capire che si
trattava di una creatura di questo mondo e non di un essere
ultraterreno.
Mi
richiamò bruscamente alla realtà la voce di mio
padre che chiedeva
al medico quali fossero le condizioni del ferito.
Con
tono serio, il dottor Kohn rispose: “Potrebbe essere troppo
tardi
per salvarlo.”
A
quelle parole ferali mi sentii letteralmente gelare il sangue nelle
vene, caro Erich. Non così mio padre, che disinvoltamente
replicò:
“Muore presto chi è caro agli dei, questo
è ben noto. Nel
malaugurato caso che il Signore lo chiamasse a sé faremo
dire una
messa in suo onore. Anche Sua Eccellenza il Feldmaresciallo a questo
punto dovrà ammettere che avremo fatto tutto il possibile
per il suo
ufficiale.”
Fui
colto da un empito di ribellione: ogni fibra del mio essere insorgeva
fremente all’idea che quello splendido giovane eroe morisse.
Avrei
preferito cento, mille volte dare la mia stessa vita purché
fosse
risparmiata la sua!
Mi
aggrappai al braccio del medico e crollando in ginocchio
così
implorai: “Mio buon dottore, vi prego, fate sì che
egli viva!
Qualsiasi cosa io possa fare per lui, fosse anche stillare fino
all’ultima goccia del mio sangue, la farò. Ma vi
scongiuro,
salvatelo!”
Levai
su di lui lo sguardo velato di lacrime.
Egli
mi
sorrise benevolmente, accarezzandomi i capelli. “Faremo tutto
il
possibile,” mi disse rassicurante.
Egli
mi
ha visto nascere e mi ama come un figlio, Erich. Senza dubbio in quel
frangente comprendeva il mio tormento molto meglio del mio
insensibile genitore, il quale invece non fece altro che spazientirsi
e ordinarmi di stare zitto.
Incapace
di tollerare oltre la vista di quel candido petto straziato dalle
ferite, corsi alla cappella di famiglia e lì caddi in
ginocchio
dinnanzi all’effigie del Redentore, cui rivolsi le
più fervide
suppliche.
Lo
pregai fino allo sfinimento di risparmiare la vita del giovane Conte
von Eulenburg. Io ti giuro, amico caro, che se in quel momento avessi
potuto offrire al Signore Iddio la mia vita in cambio della sua
l’avrei fatto di tutto cuore.
Da
allora è cambiato poco, mio caro Erich. Il mio arcangelo
è tuttora
in stato di incoscienza e per ordine del dottor Kohn io mi prendo
cura di lui. Lo veglio giorno e notte, concedendomi solo qualche
pausa ogni tanto per il necessario riposo.
Caro
dottore! Quando ha visto quanto profondamente mi avesse colpito il
giovane Conte, ha parlato con mio padre e gli ha chiesto che fossi io
ad assisterlo, cosa che lui gli ha volentieri concesso, essendo io a
suo parere troppo giovane per fare qualsiasi altra cosa.
03
Settembre
Ancora
niente. Ma io non dispero, Erich, sono certo che presto si
riprenderà.
Passo
le giornate e a volte anche le notti nella contemplazione di quel
volto, eppure non ne sono mai stanco. Conosco a memoria ogni tratto,
ogni sfumatura dell’incarnato, la piega morbida delle labbra,
l’ombra che le ciglia color miele gettano sulle guance
lisce… e
nonostante questo, appena me ne allontano provo un anelito doloroso,
un tormento che si esaurisce solo quando finalmente il mio sguardo si
posa di nuovo sulle amate fattezze, come se esse fossero
l’aria che
respiro, e privarmene equivalesse a morire.
Trascorro
ore intere a chiedermi di che colore abbia gli occhi e come sia la
sua voce. Immagino i primi color del cielo, tersi e trasparenti come
laghi di montagna, e la seconda forte e vibrante, adusa a lanciar
ordini sull’aspro campo di battaglia.
05
Settembre
Oh,
Erich, se tu sapessi! Sono in un parossismo di esultanza, mentre ti
scrivo sto ridendo e piangendo contemporaneamente, quasi non riesco a
tenere ferma la mano che regge la penna!
Il
mio
giovane ufficiale ferito ha ripreso i sensi!
Quando
Argo vide tornare il padrone, il suo vecchio cuore non resse alla
gioia di rivederlo. Potrei dunque morire anch’io per la
troppa
felicità, amico mio?
Ma
voglio raccontarti ciò che è accaduto,
affinché tu possa esultare
con me.
La
mattina gli medico sempre le ferite. Sono terribili, sai, i primi
giorni dovevo farmi forza per non distogliere lo sguardo. Immaginavo
lo strazio e il dolore che da esse deriva e letteralmente mi sentivo
venir meno. Ma ora si stanno chiudendo e riesco a sopportare molto
meglio la loro vista.
E
comunque… oh, mio Dio, com’è possibile
tradurre in parole la
felicità che mi trabocca dal cuore e pervade tutto il mio
essere?
Stamattina
dopo la medicazione mi sedetti accanto al suo letto come faccio
spesso e gli presi la mano. Tenendola fra le mie me la premetti
contro la guancia. E fu allora, caro Erich, che con un tuffo al cuore
percepii una lieve stretta delle sue dita!
Subito
lo fissai ansiosamente in viso, e lo vidi aprire i più
meravigliosi
occhi che si possano immaginare.
Due
gemme sfolgoranti, Erich, di un azzurro così intenso e
trasparente
da togliere il respiro.
Era
spaesato, si capisce, e guardava davanti a sé senza in
realtà
vedere nulla. La sua espressione, inizialmente trasognata e vacua, si
andava facendo più attenta man mano che tornava in
sé.
D’un
tratto il giovane ufficiale percepì la mia presenza. Le sue
dita si
strinsero ancora una volta debolmente sulle mie ed egli si volse
faticosamente nella mia direzione. Aprì le labbra senza
riuscire ad
articolare alcun suono, lo splendido volto che dolorosamente
esprimeva una muta domanda.
Cercando
di mantenere la compostezza – i feriti hanno bisogno
soprattutto di
tranquillità – gli passai delicatamente un panno
umido sulla
fronte e gli chiesi: “Come vi sentire, signor
Conte?”
Aggrottò
le sopracciglia. Lottava per capire, questo era chiaro, ma era ancora
troppo intontito per ragionare con la necessaria lucidità.
Emise un
sospiro di frustrazione e mi rivolse uno sguardo che sembrava
chiedere aiuto.
“Volete
sapere della battaglia, signor Conte?” domandai a bassa voce,
continuando a passargli il panno umido sul viso.
Non
so
se in quel momento ricordasse la battaglia, Erich. Così come
li
aveva aperti, richiuse lentamente gli occhi e si abbandonò
nuovamente al torpore dal quale era appena emerso. Probabilmente era
ancora così debole che anche quel minimo sforzo
l’aveva sfinito.
Rimasi
immobile con la sua mano fra le mie e la sensazione di aver appena
assistito ad un’apparizione soprannaturale.
08
Settembre
Due
giorni fa c’è stata battaglia anche a Dennewitz, a
sud di Berlino,
ed è stato un altro colpo inferto al maledetto despota!
Dappertutto
ormai l’odioso invasore viene scacciato dal sacro suolo
tedesco.
Ah,
perché non posso prendere parte a quella che non esito a
definire
una Santa Crociata contro l’oppressione e la tirannia? Potrei
brandire un’arma esattamente come chi ha più anni
di me, se solo
si concedesse all’entusiasmo che alberga nel mio cuore di
dilagare
come un torrente che rompe gli argini a primavera.
Ma
sono
egoista, Erich, voglio per me la gloria e l’esaltazione della
battaglia mentre ho qui il mio dovere da compiere. Il Conte von
Eulenburg sta meglio. Il dottore l’ha visitato ed
è rimasto assai
soddisfatto. Dice che è di fibra eccezionalmente robusta.
09
Settembre
La
sua
voce, Erich! Finalmente ho udito la sua voce! Come vorrei che tu
fossi qui con me in questo momento! Potrei fartelo conoscere,
potresti parlargli.
Ma
voglio descriverti quello che accadde ieri.
Entrai
nella sua camera ancora entusiasta per aver appreso della vittoria a
Dennewitz. Avevo con me una delle gardenie della serra, certo che
l’ufficiale avrebbe gradito il profumo di quei fiori
meravigliosi.
Collocai la pianta sulla mensola vicino alla finestra, poi mi sedetti
come sempre accanto al suo letto.
Presi
a
narrargli della battaglia. Gli parlo spesso, il dottor Kohn dice che
gli fa bene.
Probabilmente
la mia voce doveva vibrare di particolare entusiasmo, perché
il
giovane ufficiale sembrò riscuotersi dallo stato di
trasognata
apatia in cui versava e si volse lentamente verso di me.
Sotto
quello sguardo di ultraterrena bellezza presi a balbettare e in breve
ammutolii. Chinai appena la testa distogliendo imbarazzato il volto.
Mi
giunse allora una supplica, espressa con il tono più garbato
ma al
tempo stesso anelante che si possa immaginare: “Continuate,
vi
prego.”
Trasecolai.
“Dunque voi mi udite!” esclamai con un tremito
d’emozione nella
voce.
Caddi
in ginocchio accanto a lui, come se d’un tratto sentissi il
bisogno
di mostrarmi reverente di fronte a quello che mi appariva come una
sorta di miracolo. Gli presi la mano, me la portai alla guancia. Il
mio pianto silenzioso la bagnò di lacrime.
Sommessamente,
a tratti esitando, egli parlò di nuovo:
“Voi… è il vostro viso
che vedevo in sogno. Voi chi siete, signore?”
Così
tante parole si affollarono alle mie labbra tremanti che non riuscii
a proferirne alcuna. Mi limitai a contemplarlo come le Pie Donne
devono aver contemplato il Redentore risorto.
Infine
mi feci forza e gli risposi: “Il mio nome è
Florian von Boremski.
Sono il figlio del Barone von Boremski, che vi ospita nella sua
dimora fino a che non vi sarete rimesso dalle vostre ferite.”
“Florian”
ripeté il giovane ufficiale. Strinse appena le dita sulle
mie.
“Florian.”
Distolsi
lo sguardo mentre le guance mi si imporporavano.
Lui
sorrise. “E ora che vi prende, Florian?”
Balbettai
a fatica qualche vaga scusa. Come avrei potuto rispondergli che il
suo sorriso mi aveva trafitto il cuore come una lancia infuocata?
Poco
dopo mi giunse nuovamente la sua voce sommessa: “Mi chiamo
Armin
Konstantin von Eulenburg, ma mi fareste un grande dono se mi
chiamaste soltanto Armin.” Fece una breve pausa.
“Così come io
amerei chiamarvi solo Florian, se me lo consentite.”
“Come
volete” balbettai a capo chino. Senza dubbio ero rosso come
una
bragia. Abbandonai la sua mano e mi alzai in fretta con la scusa di
andare a spostare il vaso di fiori.
Lui
mi
seguì con lo sguardo. “Quelle gardenie sono
incantevoli” mi
disse.
Il
cuore mi batteva come se avesse voluto uscirmi dal petto.
Faticosamente risposi: “Le ho portate per voi…
Armin.”
“Che
pensiero gentile, io amo i fiori. Ma ora tornate qui, Florian, vi
prego. Narratemi ancora della battaglia.”
Mi
sedetti obbediente, ripresi il racconto da dove l’avevo
interrotto.
Gli narrai del generale Bülow e di Sua Maestà il
principe Carlo di
Svezia, del valore dimostrato dalle truppe svedesi e prussiane e di
come l’odioso invasore fosse stato ricacciato lontano da
Berlino
dopo aver subito gravi perdite.
Mentre
parlavo mi fissava anelante, pendendo letteralmente dalle mie labbra.
I suoi occhi erano accesi di entusiasmo e la sua espressione si era
fatta fiera e risoluta.
Anche
se fossimo stati gli ultimi due esseri umani rimasti sulla faccia
della terra non ce ne sarebbe importato nulla, in quel momento
bastavamo completamente l’uno all’altro. Quella
camera luminosa,
con le cortine mosse dalla brezza e il profumo dolce della gardenia
che aleggiava nell’aria, mi parve come un angolo di Arcadia,
nel
quale i nostri cuori palpitavano all’unisono inebriandosi di
gesta
eroiche e nobili sentimenti.
12
Settembre
Mio
carissimo Erich, ti ringrazio per le tue lettere. In questi giorni
grandi e terribili in cui ci troviamo a vivere, giorni in cui viene
scritta la Storia, esse mi sono di gran conforto.
Ma
voglio narrarti del Conte von Eulenburg, so che anche tu segui con
ansia i suoi progressi.
Egli
è
ora assolutamente lucido. Non è ancora abbastanza forte per
alzarsi
dal letto, ovviamente, ma parla e ragiona perfettamente. Ieri ha
addirittura mangiato da solo, senza bisogno di aiuto da parte mia.
Io
gli
tengo compagnia. Ho scoperto che ama i canti di Ossian, così
spesso
glieli leggo ed entrambi ci esaltiamo rivivendo le gesta degli
antichi eroi.
Mio
Dio, Erich, devi vedere come cambia il suo sembiante quando il Bardo
narra del coraggio e della nobiltà e delle grandi battaglie
combattute nelle selvagge brughiere battute dai venti! Gli occhi
brillano risoluti come quelli del falco che ha avvistato la preda, le
guance si soffondono di rossore ed egli freme come se da un momento
all’altro dovesse lanciarsi nel combattimento in sella al suo
fido
destriero.
Oh,
la
sua bellezza in quei momenti! È come vedere una fiamma
ardente
imprigionata in un blocco di ghiaccio, perché il suo volto
angelico
resta impassibile e i moti tumultuosi di quell’animo
appassionato
si colgono solo attraverso lo sguardo acceso e il tono imperioso
della voce.
13
Settembre
Pensa
un po’, Erich, questa mattina è giunto alla tenuta
l’attendente
del Conte von Eulenburg. L’ha mandato il Reggimento con il
cavallo
e gli effetti personali del signor Conte.
L’uomo,
un soldato che non poteva avere più di venticinque anni, con
la
superba uniforme nera degli Ussari del Primo, ha chiesto la grazia di
vedere il suo superiore.
Avrei
potuto negargliela, amico mio?
Lo
condussi dunque alla camera azzurra dove, adagiato elegantemente su
alcuni cuscini, il giovane ufficiale stava leggendo. Il sole lo
illuminava in pieno, traendo dalla sua capigliatura bagliori
d’oro
fino e conferendo al suo incarnato un nitore abbagliante. Mai fu
dipinto durante il Rinascimento un arcangelo più splendido
di quello
che rapiti ci trovammo ad ammirare.
Dimentico
di ogni disciplina, l’attendente corse accanto al letto,
s’inginocchiò e baciò la mano del suo
superiore come avrebbe
fatto un devoto con l’effigie di un santo.
Essendo
rimasto sulla porta non udii le poche frasi che si scambiarono, ma
colsi un affetto reverente e pieno di premura da parte di quel
giovane soldato.
Parlarono
un po’, quindi il tenente lo congedò dicendo:
“Riferisci a tutti
che sto bene e che presto tornerò a combattere!”
Pronunciando
quelle parole si erse gonfiando il petto d’orgoglio e i suoi
occhi
brillarono fieri e spavaldi.
“Sì,
Eccellenza” rispose l’attendente inchinandosi
ancora una volta,
quindi prese congedo per tornare al Reggimento.
E
così
ora abbiamo in scuderia il cavallo del Conte von Eulenburg, uno
splendido morello agile e focoso che porta l’evocativo nome
di
Sturm, dal
manto così lucido che pare fatto di giaietto. Che
differenza con la vecchia Blume, pasciuta e tranquilla! Non
è
l’unico cavallo che abbiamo, lo sai bene, ma il contrasto tra
i due
animali mi è parso particolarmente emblematico di due
mentalità
opposte: quella del giovane tenente, idealista e appassionato, e
quella della mia famiglia, opportunista e pavida. A proposito, ti
avevo detto che mio padre ha osato pretendere da Sua Eccellenza il
Feldmaresciallo Blücher un risarcimento per i famosi campi
calpestati dalla cavalleria? Prego il Signore che Armin non lo venga
mai a sapere, non oserei più guardarlo negli occhi per la
vergogna.
15
Settembre
Dimentica
l’umore plumbeo di due giorni fa, Erich, oggi sono
straordinariamente felice!
Finalmente
il dottor Kohn ha concesso ad Armin di alzarsi! Dovevi vederlo, con
la veste da camera lunga fino ai piedi e i capelli sciolti sulle
spalle…
Io
rimasi a fissarlo a bocca aperta, incapace di proferire verbo. Fu lui
che con tono quasi di scusa mi disse: “Florian, volete essere
così
gentile da avvicinarvi? Forse sono rimasto sdraiato troppo a
lungo.”
Lo
vidi
barcollare e fui lesto a raggiungerlo. Oh, l’emozione di
tenere
quel corpo armonioso fra le braccia! Mi afferrò una spalla
con un
vigore che non mi sarei mai aspettato, era chiaro che il suo orgoglio
gli vietava di mostrarsi debole ed egli cercava di mantenersi dritto
in piedi ad ogni costo.
“Venite,
Armin,” gli dissi premurosamente, “avete solo
bisogno di aria
aperta. Da troppo tempo siete chiuso qui.”
Lo
accompagnai al terrazzo, dove la servitù aveva
già preparato per
lui una chaise
longue coperta
da un drappo damascato. Avrei
voluto farvelo adagiare, ma egli la disdegnò per andare al
parapetto, dal quale a lungo lasciò vagare lo sguardo sulle
campagne
circostanti. Si distinguevano all’orizzonte il verde cupo
delle
querce secolari e lo smeraldo dei faggi; le betulle si piegavano sul
torrente, che il tiepido sole della tarda estate rendeva simile a un
nastro d’argento. Nel cielo terso passò solitario
un rapace.
Armin
inspirò profondamente, i capelli appena agitati dalla
brezza, quindi
si voltò verso di me e con gli occhi accesi
d’entusiasmo mi
chiese: “Non è meravigliosa la nostra terra
tedesca?”
“Oh
sì, lo è davvero!” esclamai con slancio.
“Io
credo, Florian, che per essa valga la pena di morire,” mi
disse con
tono di pacata consapevolezza.
Mi
avvicinai a lui, lasciai che le nostre spalle si sfiorassero. Il
vento cantava tra le cime delle querce. “Non vi è
causa più
nobile per cui sacrificare la vita,” risposi.
Egli
si
voltò lentamente verso di me. I suoi occhi sembravano
divenuti
lucidi per la commozione. D’impulso mi afferrò le
mani e se le
portò al petto. “Dite bene, Florian, non vi
è causa più nobile!”
esclamò.
Rimanemmo
immobili a fissarci per un tempo che mi parve infinito. Ancora una
volta avevo la sensazione che fossimo gli unici esseri viventi
rimasti sulla terra.
Infine
Armin abbandonò le mie mani, sorrise e sommessamente disse:
“Credo
che ora vi obbedirò, Florian, e mi sdraierò un
po’ qui al sole,
se a voi non dispiace.”
Era
stanco, senza dubbio quel magnifico momento di esaltazione
l’aveva
sfinito, debole com'era, così mi affrettai a porgergli il
braccio
affinché potesse sostenersi a me. Lo aiutai ad adagiarsi
sulla
chaise
longue e lo
coprii con il drappo di broccato.
S’addormentò subito, sul volto una tranquilla
espressione di pace.
Mi
sedetti accanto a lui e rimasi a contemplarlo come se fosse stato un
magnifico Endimione.
Per
quanto io sia estasiato dai progressi che compie ogni giorno, Erich,
il vederlo in piedi m'ha dato una strana sensazione di agrodolce
inquietudine: è meraviglioso pensare che tra un po'
sarà guarito,
vederlo riacquistare le forze di giorno in giorno mi riempie di
commossa gioia, ma questo significa inevitabilmente che presto se ne
andrà via. Tornerà al suo mondo, tra i soldati
che lo amano e che
combatteranno ai suoi ordini fino all'estremo sacrificio, entrando a
buon diritto nella Leggenda prima ancora che nella Storia. E io
resterò qui, stupido ragazzino troppo giovane per qualsiasi
cosa, a
struggermi nel ricordo dell'unica persona che avrò mai amato
veramente.
Sì,
mio carissimo Erich, hai letto bene: amato. Se amare significa essere
pronti a dare anche la vita per la persona amata, se amare significa
avere necessità dell'altro come dell'aria, dell'acqua e
della luce
del sole, ebbene io lo amo.
19
Settembre
Dimentica
il mio sfogo di pochi giorni fa.
Ho
dimostrato un egoismo degno forse solo del mio meschino genitore.
Armin
non è un giocattolo di mia proprietà,
è ovvio che presto farà
ritorno al Reggimento, com’è giusto che sia.
Essermi lamentato che
ciò debba accadere è stata solo una vergognosa
dimostrazione di
spregevolezza.
E
anche
questo mi tormenta, caro Erich: come potrò adesso guardare
negli
occhi una creatura che pare essere l’incarnazione di ogni
più puro
ideale?
Lo
amo,
e di questo invece non mi vergogno affatto. Ne vado fiero, anzi. Se
mi si chiedesse di immolarmi qui e adesso per lui, lo farei senza
esitazione alcuna. Esultando, anzi. Recherei meco nell’Ade
l’immagine adorata del suo volto come viatico e con essa a
confortarmi non avrei timore d’affrontare nemmeno la
più cupa
delle eternità.
21
Settembre
Sto
soffrendo in maniera atroce, Erich. Se c’è un Dio
– e voglio
credere che ci sia, a reggere con imperscrutabile equanimità
i
destini degli uomini – prego che mi chiami a sé.
Armin
compie prodigiosi miglioramenti, il dottor Kohn dice che presto
potrà
nuovamente montare a cavallo. È magnifico vederlo muoversi
con
sempre maggiore disinvoltura man mano che le sue condizioni glielo
consentono. Ha un portamento singolarmente nobile ed elegante, sai, e
un modo di parlare così pieno di grazia e spirito che
chiunque ne
rimane affascinato.
E
tu
giustamente mi chiederai: perché invochi la morte,
sciagurato? Un
giovane eroe bello e coraggioso sta ritornando alla vita dopo giorni
di atroce sofferenza e tutto quel che sai fare è
rammaricarti che
presto se ne andrà e tu lo perderai? O più
meschino e infelice tra
gli uomini, come puoi guardati allo specchio ogni giorno senza
provare vergogna di te stesso?
Sono
lacerato, Erich. Il mio cuore si spezza in due.
Ma
lascia che ti narri quel che è accaduto, paziente amico, e
forse
capirai meglio il motivo della mia sofferenza.
Ieri
lo
accompagnai a fare una passeggiata in giardino.
Senza
dubbio ricorderai il piccolo pergolato in ferro battuto che si
affaccia sul lago. Ebbene, la magnolia, il bosso ed i cespugli di
acanto sono cresciuti con tale vigore da nascondere quasi
completamente il sentiero che conduce ad esso. È divenuto
quindi un
luogo raccolto, nascosto, che da una parte ha il rigoglio del
giardino a schermarlo e dall’altra si apre sulla splendida
visione
del lago circondato da ontani e betulle, particolarmente belli in
questa stagione perché già ammantati dei colori
accesi
dell’autunno.
Soprattutto
al tramonto vi si respira una calma serena e piena di pace, nella
quale s’acquietano persino gli spasmi dolorosi della mia
anima
sofferente.
Ci
recammo dunque in quel luogo segreto e lì sedemmo a
contemplare
l’acqua tersa e immota.
L’ufficiale
sembrava pensieroso. I suoi occhi, normalmente brillanti e fieri,
erano pervasi d’una luce cupa, che mutava sinistramente il
loro
celeste in un gelido color acciaio.
“Qualcosa
vi turba, Armin?” osai chiedergli fissandolo preoccupato.
Egli
mi
restituì lo sguardo. “Tra un po’
dovrò far ritorno al
Reggimento” disse con un sospiro.
“Non
siete impaziente di tornare a combattere?”
Prima
di rispondere, egli fece una lunga pausa. “Certo che lo
sono”
disse infine “ma questo significherà lasciarvi, e
il mio cuore si
ribella alla sola idea di non vedervi più.”
Tale
era la portata della rivelazione che mi sfuggì un grido di
sorpresa.
Egli mi afferrò allora le mani, le baciò e se le
portò al petto.
Rivolgendomi uno sguardo di ardente intensità, mi disse:
“Voi mi
siete eccezionalmente caro, mio Florian, e non soltanto
perché sono
state le vostre cure a riportarmi alla vita. Io colgo in voi un animo
affine al mio, in grado di entusiasmarsi e vibrare per gli stessi
nobili ideali. Abbandonarvi per rientrare al Reggimento sarà
come
strapparmi il cuore!”
“Ma
che dite, Armin?” balbettai confuso, le mani che tremavano
fra le
sue “voi dovete combattere per liberare dalla tirannia la
nostra
Sacra Patria Tedesca! Voi che lo potete!” E mentre
così parlavo
soffrivo straziato nel profondo da quelle parole. Ma come avrei
potuto dimostrarmi così egoista da confessargli
ciò che anch’io
provo per lui? Non avrei fatto altro che rendergli la partenza ancora
più penosa.
E
così,
mio paziente Erich, eccoti svelato il motivo del mio dolore. Io lo
amo riamato, ma egli se ne andrà senza conoscere i miei veri
sentimenti per lui.
23
Settembre
Sei
sempre tanto caro, Erich. Le tue lettere mi sono di immenso conforto.
Proprio ieri rileggevo le ultime che mi hai mandato. Esse sono come
un balsamo benefico sulle ferite che tu conosci e che mi fanno
crudelmente soffrire.
Ah,
perché tardi, o Morte? Non posso, non voglio vivere senza di
lui!
Eppure
faccio del mio meglio per far sì che non s’avveda
del mio
tormento. È così pieno d’ardore e di
entusiasmo! Confessargli che
mi struggo d’amore per lui servirebbe solo a soffocare quel
fuoco
divino, a distoglierlo dalla sua Sacra Missione.
Posso
forse anteporre i miei sentimenti alla libertà della Patria
Tedesca?
Sarei l’ultimo degli uomini se lo facessi.
Eppure
soffro atrocemente, Erich. Trascorro notti inquiete bagnando il
cuscino di pianto, e vedere Armin è ogni volta come un
martirio, al
tempo stesso estasi e tormento.
26
Settembre
La
sentenza è stata pronunciata. Ora so quanto resta ancora da
vivere
al mio povero cuore straziato.
Ieri
è
giunta la lettera ferale: il primo di ottobre il Conte von Eulenburg
dovrà ricongiungersi al Reggimento. Con esso
marcerà verso Lipsia,
dove l’odioso tiranno si prepara a dare battaglia.
Quest’agonia
è dolce e amara a un tempo, Erich.
Dolce,
perché non ha eguale lo struggimento di questi ultimi giorni
insieme, consumati con la consapevolezza della fine, illuminati
dall’ultimo sole dell’estate morente.
Amara,
perché così come accade quando
l’incendio divampa, anche per me
spente le fiamme rimarrà solo cenere grigia e morta.
Non
voglio mai più provare un’emozione. Prego che il
Signore Iddio
renda il mio cuore come pietra, perché se avere sentimenti
significa
precipitare in questi abissi di sofferenza, allora è mille
volte
meglio morire.
Bisognosi
di pace, ieri sera ci recammo al nostro rifugio, ovvero il pergolato
di cui ti parlai giorni fa.
Sulle
acque immote del lago si riflettevano gli ultimi bagliori del sole
morente e vi era un silenzio solenne, rotto solo dal raro lamento
dell’assiolo che si apprestava alla caccia.
Ci
sedemmo l’uno accanto all’altro senza parlare, la
quiete era così
pura che invitava alla contemplazione e all’ascesi.
Fu
solo
all’arrivo del buio che udii la voce di Armin sussurrare:
“Siete
triste, Florian?”
Mi
voltai turbato verso di lui, senza sapere cosa rispondere. Avrei
dovuto dirgli la verità, ovvero che ero sconvolto
all’idea che lui
se ne andasse per sempre, oppure avrei dovuto dirgli una qualsiasi
menzogna per nascondere il mio reale stato d’animo?
Prima
che io potessi decidermi, fu lui ad afferrarmi le mani e a coprirle
di baci ardenti. “Ditemi cosa vi fa soffrire, vi
prego” insisté
“perché sono certo che sia la stessa cosa che sta
facendo a brani
anche il mio cuore!”
Quello
sguardo accorato, così brillante che anche alla luce delle
stelle se
ne coglieva il fulgore, mi fece capitolare. “Mi distrugge il
pensiero che voi ve ne andrete” balbettai faticosamente, con
la
consapevolezza che avrei dovuto invece mille volte tacere e far
sì
che il mio petto divenisse l’inviolabile mausoleo
dell’amore che
provo per lui.
“Oh,
ma se distrugge voi, mio Florian, lacera e tormenta ben più
crudelmente ogni fibra del mio essere!” esclamò
Armin di rimando,
stringendomi in un abbraccio pieno di passione.
Mi
abbandonai contro di lui senza un moto di ribellione. Stanco di
lottare, il mio spirito esausto s’era infine arreso.
Tolte
le occasioni in cui lo medicavo, non avevo mai avuto con lui un
contatto così intenso e intimo e ne fui stordito, inebriato
come da
un vino forte e generoso. Percepii la sua mano affondarmi fra i
capelli e gemetti cingendogli il corpo con le braccia. “Mio
Florian” ripeté, col viso così vicino
al mio che sentii il suo
respiro sulle labbra. “Mio amatissimo Florian.”
Fui
sopraffatto dall’emozione. Le guance mi si rigarono di
lacrime, le
membra tremavano, il cuore batteva come se avesse voluto scoppiarmi
nel petto. “Vi prego, portatemi con voi!” supplicai
piangendo.
Egli
ebbe un sussulto. “Non ditelo mai più. Voi non
sapete cosa mi
state chiedendo,” rispose, con voce d'improvviso dura e
fredda come
acciaio.
“Vi
prego!” implorai, “Meglio un solo giorno, anche una
sola ora con
voi di un'intera vita passata a rimpiangervi!”
Singhiozzavo
amaramente, incapace di frenarmi, aggrappato a lui come se d'un
tratto qualcuno avesse potuto strapparmelo via.
Armin
mi strinse a sé, mi accarezzò i capelli
parlandomi con dolcezza
fino a che io non fui esausto e non mi rimase altra scelta che
acquietarmi. Quando fui più tranquillo, con voce sommessa mi
chiese:
“State meglio ora, Florian?”
Accennai
di sì con la testa. Come immaginerai non era vero, Erich, ma
provavo
vergogna e non volevo dare altre dimostrazioni di debolezza.
Egli
allora proseguì: “Venite, torniamo in casa,
è venuto freddo.”
Mi fece alzare con premura e la mia vergogna se possibile
aumentò:
non ero più io ad occuparmi di lui, ma lui a prendersi cura
di me
come di un bambino spaventato. “Vogliamo leggere qualche
canto di
Ossian?” mi chiese strada facendo, “così
potrete distrarvi un
po’.”
Levai
incredulo gli occhi su di lui. Quale straordinaria forza
d’animo,
quale indomita volontà doveva avere per mantenere in quel
frangente
il contegno di un filosofo stoico?
“Io
vi ammiro sconfinatamene” balbettai “voi siete
saldo come una
roccia nelle avversità.”
“Devo
esserlo” fu la risposta, velata di una struggente nota di
amarezza
“sono un soldato.”
Rientrammo
senza aggiungere altro. La sera di tarda estate aveva ceduto il posto
ad una gelida notte autunnale e un latrare lugubre di cani echeggiava
in lontananza come un sinistro presagio di sventura.
28
Settembre
Ancora
due giorni, Erich. Due giorni e poi se ne andrà. Ora capisco
a pieno
la sofferenza dei condannati a morte che vedono la clessidra vuotarsi
a poco a poco.
Ogni
ora, ogni secondo che passo in sua compagnia ha l’angosciosa
connotazione di qualcosa che sparirà irrimediabilmente per
non
tornare mai più.
Signore
Iddio dilaniami, uccidimi, ma non infliggermi più questa
tortura. È
troppo.
Stamani
ha cavalcato per la prima volta da quando è giunto qui.
Il
suo
destriero, quel magnifico morello di cui ti ho già parlato,
dava
mostra d’esser felice di
rivederlo sano e salvo: l’occhio
era brillante, il passo elastico e la coda frustava l’aria
con
impazienza; sembrava gli stesse chiedendo col suo linguaggio quando
sarebbero tornati all’estasi e al tumulto del campo di
battaglia.
Armin
gli rivolse parole affettuose, quindi afferrò un ciuffo di
criniera
e in un attimo fu in sella. Oh, non ci sono parole per descrivere la
sua bellezza in quel momento! Dritto, orgoglioso, lo sguardo
spavaldo. Ecco di nuovo Uriel Fuoco di Dio, risplendente di fulgore
guerriero!
Fece
galoppare su e giù l'animale, constatando di avere
già recuperato
le forze a tal punto da riuscire a cavalcarlo senza la minima
difficoltà. Si girò allora raggiante verso di me,
e ancora una
volta il mio povero cuore si lacerò in modo atroce.
Era
così meraviglioso! Eppure era già lontano da me,
nello spirito ben
prima che nel corpo. Lo vedevo, anelava già alla lotta,
tutto il suo
essere fremeva d'impazienza.
Ma
fui
forte, Erich. Ricacciai indietro le lacrime e gli sorrisi a mia
volta. Avrei forse potuto svilire con il mio egoismo quell'entusiasmo
purissimo?
2
Ottobre
Come
Icaro sono giunto a sfiorare il sole e poi sono precipitato
nell'abisso con le ali bruciate.
Ho
toccato la felicità più pura e ora provo la
disperazione più
crudele.
Mio
Erich, amico e fratello, scusami se non ti ho scritto in questi
giorni, ma solo adesso riesco a trovare la forza di ripercorrere gli
ultimi eventi. Fino ad ora sono stato solo un viluppo di sofferenza
indicibile che invocava la Morte pietosa.
Se
n’è
andato.
Infine
m’ha lasciato, sì, come doveva accadere e come era
giusto che
fosse.
Ciò
che è giusto è sempre anche buono, Erich?
Non posso, non
voglio crederlo. Perché se così fosse, allora
sarei un essere
spregevole, a malapena degno d’essere definito umano. Il
dolore che
mi sta torturando non ha nome. Non esiste una parola che sia
così
orribile, straziante, spaventosa e atroce da descrivere quello che
sto provando in questo momento.
Vorrei
morire, nulla mi potrà mai più ridare un barlume
di gioia, e la
vita, questa miserevole scintilla che nonostante tutto non vuole
saperne di spegnersi, sarà per me d’ora in poi
solo una pena
spietata e senza fine.
Lascia
che ti racconti, Erich. Ho bisogno di farlo,
altrimenti questo
dolore inumano mi corroderà lentamente
dall’interno, lasciandomi
come un simulacro vuoto e gemente di quello che ero.
La
sera
prima della partenza anche lui era turbato. Si dominava,
naturalmente, ma conoscendolo ormai così bene riuscivo a
cogliere il
suo tormento.
Desideroso
di alleviare quella pena, lo accompagnai al pergolato sul lago, certo
che la raccolta calma del luogo avrebbe agito come un balsamo
benefico sulle ferite che facevano soffrire il suo spirito inquieto.
Ci
sedemmo a contemplare le acque immote, lucide e terse come uno
specchio nella pace della sera. Le betulle dai rami d’oro e
d’argento si protendevano sul lago come driadi dalle lunghe
chiome.
Com’era
lontana la guerra da quell’angolo nascosto, Erich! Sembrava
che
nulla potesse turbare l’armonia di quel rifugio segreto.
Nessuno
di noi due parlava. Sedevamo tenendoci le mani e contemplando assorti
la solenne bellezza della natura. Posai il capo sulla sua spalla e
sempre in silenzio lui mi accarezzò i capelli.
“Florian,”
mormorò poi a fior di labbra.
Levai
il viso verso di lui.
“Florian,”
ripeté senza smettere di accarezzarmi, “mio
Florian, il solo
pensiero di abbandonarti mi getta nello sgomento.”
“Ma
tu devi, Armin,” gli risposi cercando di non far tremare la
voce.
Ebbi la sensazione di avergli messo io stesso tra le mani il pugnale
con cui mi avrebbe trafitto il cuore.
Egli
sospirò. “Sì, devo,” si
risolse a dire, ma la sua voce era
spenta, non vi udivo l’entusiasmo che normalmente la rendeva
forte
e vibrante.
Vilmente
rimasi in silenzio. Avrei dovuto spronarlo, Erich, avrei dovuto
riaccendere in lui la passione per la lotta contro il tiranno. Non
riuscii a fare nessuna delle due cose. Mi strinsi a lui incapace di
proferire parola, mentre le lacrime mi scorrevano lungo le guance.
“Tornerai
da me quando la guerra sarà finita?” mormorai.
“Ma
certo,” rispose, “il giorno stesso.
Arriverò al galoppo, e poi
io e te verremo qui e io ti racconterò delle battaglie
e…” la
sua voce si spense in un sospiro. “Certo,”
ripeté a voce più
bassa.
Ci
fu
un altro lungo silenzio, rotto solo dal vago stormire delle fronde.
La luce ormai fioca trasformava gli alberi solenni in neri fantasmi.
Sollevai
una mano, gli accarezzai la guancia. Avrei voluto dirgli tante cose,
ma capivo che esse sarebbero state un peso troppo grande da portare
in battaglia.
Fu
lui
che in un empito di passione mi afferrò per le spalle e mi
rovesciò
all’indietro. In un attimo mi fu addosso coprendomi di baci
infuocati il viso e il collo.
“Mio
Florian!” gemette infine, cercando le mie labbra con le sue.
Fu
un
bacio ardente e disperato, Erich, bagnato di lacrime, appassionato
come l’amore ed eterno come la morte. Sembrava che non
dovessimo
staccarci mai più e che saremmo rimasti per sempre
così, mentre
intorno a noi sarebbero ruotate le sfere celesti ed intere epoche
sarebbero giunte a compimento, fino alla fine dei tempi.
Così
non fu, amico mio. La crudele realtà ci rincorse e ci
scacciò da
quella landa di sogno.
Il
giorno dopo all’alba il Reggimento lo reclamò.
Giunsero due
cavalieri dalle brume del viale, neri e silenziosi come Parche. Ci
scambiammo un’ultima lunga occhiata, poi Armin si
unì a loro. In
breve scomparvero nel bosco di querce, ombre tra le ombre nella luce
incerta del mattino.
Solo
allora mi voltai e corsi al pergolato, dove mi gettai singhiozzando
sulla panca di marmo che aveva visto consumarsi il nostro amore.
Oh,
perché non giunse un dio pietoso a strapparmi la vita in
quel
momento? Gli dei, se esistono, sono crudeli, Erich, e giocano col
destino degli uomini godendo della loro sofferenza.
4
Ottobre
Addio,
Erich. Amico, fratello, mio solo barlume di luce nei tanti momenti di
cupa disperazione. È giunta l’ora.
Non
essere triste per me, non devi, perché sono sereno nella mia
scelta.
Ho valutato tutto, ponderato tutto: cosa c’è per
me qui? Una
noiosa vita da contabile ad amministrare la tenuta, una moglie, forse
dei figli, e nessuno slancio, nessuna esaltazione. Bandito ogni
ideale in favore di una piatta e rassicurante quotidianità.
È
questa dunque l’esistenza che mi aspetta? Vegetare fino alla
morte?
Io
dico
no, Erich. Non posso accettare tutto questo.
Laggiù
a Lipsia colui che solo ho amato e amerò in tutta la mia
esistenza
sta andando incontro al suo destino con tranquilla consapevolezza.
Posso forse abbandonarlo?
Non
piangere per me, Erich, perché non sono mai stato
così felice.
25
Ottobre
Stimatissimo
Barone von Boremski,
è
con
grande dolore che devo annunciarvi la morte di vostro figlio Florian
von Boremski. Il giovane, che si era unito alle truppe mentendo sulla
sua data di nascita, è caduto eroicamente, combattendo
contro forze
nemiche soverchianti, colpito in pieno petto mentre cercava di
proteggere col suo corpo un giovane ufficiale ferito, il tenente von
Eulenburg.
Essi
avevano combattuto spalla a spalla per ore, dando prova di un
coraggio e di un’abnegazione davvero straordinari. Quando il
tenente è stato ferito a morte, vostro figlio ha rifiutato
di
abbandonarlo ed è rimasto al suo fianco fino
all’estremo
sacrificio.
Benedetta
dal Signore sia la terra che ha dato i natali a questo giovane eroe!
La
Patria vi ringrazia, Barone von Boremski.
Feldmaresciallo
Gebhardt Leberecht von Blücher
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