LSNC.3.BELLA
La
Spada è nel Cuore
(e
ci resterà)
(Oh
love, don't let me go,
won't you take me where the street lights
glow?)
Dal
loro ritorno a quella parte, Eos aveva graziato i cavalieri di Atena di
albe splendenti, dalla luce quasi accecante; come se la dea dalle rosee
dita volesse rassicurarli, e convincerli, che quella vita novizia
che
stavano vivendo non sarebbe svanita al prossimo tramonto.
Aiolia di Leo aprì gli
occhi al nuovo giorno, non li chiuse al troppo sole.
Il
riverbero del mattino gli restituì il riflesso di una finestra che non
era la sua, e il calore di coperte che non erano le proprie; l'Aurora
illuminò l'uomo che gli dormiva accanto, il suo braccio bianco e i
capelli neri.
Sorridendo beato, Aiolia inspirò l'aria della stanza,
un'aria in cui si mischiavano il caprifoglio, la carta, la pietra
polverosa...e l'olezzo che era proprio del carnale, quello di due corpi
che si incontrano, del loro sudore e del loro desiderio.
Shura dormiva
profondamente, come se non fosse accaduto
nulla: ma la sua chioma corvina era troppo scompigliata e sul suo collo
c'erano i segni rossi della passione; gli teneva un braccio attorno al
fianco, non possessivo ma affettuoso, per tenerselo vicino.
Il Capricorno che tutti
credevano rigoroso e
intransigente in ogni momento riposava scomposto su quel letto troppo
piccolo per entrambi, con una mano abbandonata sulla fronte, una gamba
infilata tra quelle del Leone, mentre il piede dell'altra faceva
capolino dal bordo del giaciglio.
Lo vedessero adesso, pensò Aiolia
alzando il busto piano, in modo da non svegliarlo, per poterlo ammirare.
Ammirare ciò sarebbe
stato soltanto SUO fino alla fine, qualunque essa fosse.
Quella loro notte non era
stata perfetta: le loro mani
avevano tremato troppo, per troppa emozione, e i loro movimenti a
tratti erano stati decisamente scoordinati; alla fin fine poco
importava, e anzi era stato meglio così. Perché era stato
quasi un sollievo scoprire che anche dopo aver vissuto più di
una vita l'amore fisico era per entrambi un terreno nuovo e tutto da
esplorare; perché a farlo,
quell'amore, non avrebbero mai potuto imparare se non da loro stessi e
da quello ch'erano disposti a donarsi l'un l'altro.
Ed era stato bellissimo ma non era stato per
niente facile; ed era stata tutt'altra cosa rispetto al sesso.
Aiolia aveva sempre pensato che il sesso fosse una cosa facile: lo aveva fatto con
altri e non se ne vergognava e neppure se ne pentiva.
Come tanti, anche lui non era stato immune, nell'adolescenza
irrequieta, nella giovinezza tormentata, da qualche scappatella nei
meandri del Pireo. Succedeva sempre dopo le giornate più brutte:
quelle in cui gli abitanti del Santuario erano particolarmente
insistenti nel ricordargli il suo status di "sangue marcio", di "mela
che non cade mai troppo lontana dall'albero", e tante altre cose poco
carine e non simpatiche da ripetere.
I suoi primi baci li aveva sperimentati con due ragazze di almeno
cinque anni più grandi di lui che gli avevano lasciato segni di
rossetto fino alle spalle. Con una di quelle due ragazze aveva
condiviso la sua prima volta: non
era andata né male né bene, com'è tipico di certe
occasioni. Il piacere era stato troppo veloce, la soddisfazione
arrivata troppo in fretta. Si era distratto dalla realtà per
qualche ora e nulla di più.
Poi aveva volto le sue attenzioni ai ragazzi. Ora, con questi doveva
ammettere che all'inizio c'era stata un pò di titubanza, e
guardando la persona di cui si era innamorato (un UOMO) nel presente,
Aiolia si diede dello stupido. Ma al tempo aveva
dato retta solo al suo fisico giovane che reclamava qualche sfogo ogni
tanto: cosa c'è di male? aveva pensato, e si era buttato.
Aveva velocemente constatato che a parte l'ovvio c'era ben poca
differenza.
Con chiunque passasse quelle ore, la dinamica non era mai cambiata:
accettare le avances della prima persona che gli suscitasse un minimo
di interesse, appartarsi da qualche parte, fosse stato anche solo un
vicolo, chiudere gli occhi e smettere di pensare.
Smettere di pensare almeno per un pò a suo fratello morto, ai
suoi compagni che non lo consideravano, al Gran Sacerdote crudele, alle
giornate tutte uguali; alle voci di corridoio, agli insulti, alla
macchia del tradimento sulla sua testa e sulla sua bella Leo, la sua
Nemea preziosa ch'era stata l'unica cosa a cui tenesse davvero.
Sopra quei corpi servi del sesso (sempre sopra, sempre)
aveva imparato quanto la carne potesse essere infida e bugiarda:
corazza solida all'apparenza, veicolo di piaceri intensi, in
verità specchio dell'avarizia umana, arma di chi prende senza
dare.
Qualche volta si era ubriacato: e là era iniziata la sua guerra
personale con l'alcool, perchè il vino non gli dispiaceva ma il
suo stomaco e la sua testa non sembravano essere d'accordo. E poi, gli
alcolici erano sempre troppo amari; e già la vita era amara di
suo e ben presto non c'era stato più bisogno di rincarare la dose
con qualche bicchiere di
troppo.
Col senno di poi si era reso conto che era stato sciocco a credere che
quelle notti di eccessi avrebbero potuto essergli di conforto. Ora che
conosceva l'amore, non gli restava che dispiacersi di tutte quelle
occasioni sprecate, delle attenzioni che aveva dato ad altri a cui di
lui non era mai importato nulla.
Perchè anche se era solo per una notte, Aiolia non era mai stato
irrispettoso, egoista o addirittura violento: aveva sempre cercato di
soddisfare al meglio colei o colui che sceglieva, consapevolmente, per
l'ennesimo giro di luna, ma spesso quegli altri neppure lo avevano
ringraziato.
Quindi non ne era rammaricato, no, ma intristito almeno un poco sì.
Ma quella notte Shura gli aveva fatto dimenticare la tristezza, e in
realtà gliel'aveva fatta dimenticare da un bel pezzo, dal
momento stesso in cui lo aveva sfidato con lo sguardo pieno di speranze
nascoste e aveva accettato il loro primo bacio andandogli incontro.
E quello sì che era stato un bacio VERO.
Se avevano mai avuto una
cosa in comune, era stato proprio il non sapere delle cose vere,
autentiche e genuine dell'intimità...ma avevano recuperato in
fretta.
Delle carezze e dei
baci erano divenuti presto esperti;
avevano fatto a
gara a chi faceva prima a
catturare la lingua dell'altro quando si incontravano, e nessuno dei
due aveva mai avuto voglia di essere quello che s'allontanava per
ultimo, vestendo le labbra dell'inevitabile "a
domani".
Eppure quel "a domani" era diventata la cosa preferita di Aiolia sopra
tutto
il resto; la promessa con cui si addormentava e che lo teneva lontano
dagli incubi.
La prima volta che aveva avuto il pensiero di andare oltre era stato in
un giorno di pioggia ininterrotta. Il Leone era arrivato ad uno dei
loro abituali posti segreti ( uno degli anfratti sul lato ovest della
montagna, da cui i monti si avvallavano in colline) in ritardo di
almeno tre quarti d'ora, perchè Aioros aveva avuto bisogno di
aiuto per affilare dei giavellotti da allenamento; come cavalieri
di Atena era
loro vietato l'uso delle armi ma quelle poche che possedevano, Libra a
parte, erano considerate come attrezzi ginnici dei tempi antichi e le
tenevano in buona condizione per affinare la mira e il tiro.
Dato che ad Aioros era davvero difficile dire di no, e per lui davvero
quasi impossibile, aveva corso fin lassù col rischio di farsi
seriamente male, ma sul momeno non gli era di certo importato, avendo
in mente solo la possibile faccia delusa di Shura o peggio ancora la
sua assenza. Quasi certo che il Capricorno si fosse stancato
d'aspettarlo e se ne fosse andato era arrivato all'appuntamento mogio
come un bambino a cui è negato il dolce dopo la cena.
Quale era stato il suo sollievo e la sua contentezza quando invece
aveva trovato il suo amante ad attenderlo come sempre, seduto
alla meno peggio su un grosso sasso e con la testa riparata sotto una
giacca di velluto scuro ormai fradicia!
" Scusa...non volevo fare tardi..." aveva avuto appena la forza di
balbettare, tra fiatone e il batticuore che ormai era diventato
familiare.
Shura non era sembrato offeso. S'era alzato e aveva percorso quei pochi
passi che li separavano con calma, e quando gli era arrivato davanti
Aiolia s'era potuto consolare vedendo l'espressione tranquilla sul suo
volto.
" Sapevo che saresti venuto. " aveva risposto, e la sua voce aveva
fatto eco nella pioggia e nelle fronde degli arbusti che li
circondavano. Poi gli aveva dato un bacio su una guancia.
Aiolia aveva cercato le sue labbra come un affamato, come faceva sempre
alla fin fine.
Era stato lì, sotto le fronde di un ginepro arrampicato e con
l'odore di quelle bacche pruriginose nelle narici, con le mani immerse
nei capelli bagnati di Shura, che l'aveva pensato per la prima volta:
Voglio fare l'amore con lui tutta la
notte.
E gliel'aveva quasi chiesto, disposto persino a pregarlo di dire
sì, lo voglio anch'io, ma a quel punto il sole li aveva minacciati col
tramonto,
dall'orizzonte allineato con una coltre di nubi nerissime, e non aveva
potuto fare altro che baciarlo ancora e ancora finchè non erano
dovuti riscendere.
Non aveva
avuto
paura al pensiero, ma apprensione sicuramente: perchè conoscere
le basi non significa aver imparato in modo efficiente la materia.
Aveva
poi immaginato la scena più volte, sotto le sue coperte che
aspettavano solo di prendere la forma del corpo amato, aveva preso in
considerazione varie
possibilità, aveva fantasticato su pratiche erotiche (non che ne
conoscesse molte...) che aveva scartato una ad una con crescente
frustrazione. Diglielo e basta, s'era detto alla fine, diglielo che lo
vuoi spogliare e non lo vuoi far uscire dal letto prima che l'alba sia
sorta.
Diglielo che ti va bene qualunque cosa, che non ti importa se non
andate fino in fondo, che ti vuoi godere ogni singolo momento.
Ma tra il dire e il fare...
Shura l'aveva stupito come al solito, grazie alla Dea; quel "resta"
mormorato a bassa voce gli era parso un grido di giubilio, una
preghiera finalmente accolta.
Ciò che era successo tra di loro non era stato il
soddisfacimento di un bisogno.
Era stato togliersi le vesti con troppa foga, tanta da singhiozzare per
il
respiro perso, per poi fermarsi e scoprire i contorni crudeli
delle cicatrici che entrambi si portavano dietro con malinconia, ma
anche con profondo onore; era stato scoprire ciò che i vestiti, la
timidezza e la titubanza aveva
fino ad allora celato.
Aiolia aveva appreso a godersi la sensazione di muscoli che si
contraggono sotto le
dita, del
fiato bollente che si spezza su colli sudati, ed essa non gli era mai
parsa così potente fino ad allora, non gli era mai parso che avesse
quel potere di aumentare a dismisura la voglia, e allo stesso tempo
farlo sentire così giovane davanti ai fatti della vita.
Si era davvero sentito come il giovane leone che era, e che era sempre
stato: a volte si
dimenticava di avere vent'anni e che a vent'anni si ha solo voglia di
mordere e graffiare, voglia non di fare male ma di lasciare marchi
scarlatti e pensare solamente sei
mio, mio, mio...
Voglia di fare l'amore, dopo che lui e Shura si erano fatti la guerra,
una guerra fredda, lunghissima e silenziosa, fatta di occhiate
terribili e parole troppo spesso taciute.
Entrambi
si erano avvolti nel bozzolo del disprezzo e dell'indifferenza, pur di
tirare avanti; quella notte si erano spogliati di tutto, ed era rimasta solo la
nudità completa.
E il peso e la tensione del
desiderio di lui, di Shura di Capricorn, concreto come non lo era mai
stato, lì sulla sua coscia.
Aveva tremato, solo per un momento, ma aveva tremato.
Shura non se n'era accorto, immerso anche lui nella contemplazione,
quella che i suoi santi e i suoi eremiti di tela e d'inchiostro non
avrebbero mai potuto insegnargli.
Aiolia l'aveva guardato dal basso, dal sotto in cui non aveva mai
lasciato che
nessuno lo mettesse: e allora aveva abbandonato il controllo, e aveva
accolto la vulnerabilità del trovarsi avvolto da
altre braccia, intrecciato ad altre gambe.
Era stata una comunione di
sguardi mai provata; aveva sempre avuto cura di guardare il meno
possibile prima, ma con Shura anche gli occhi avevano reclamato la loro
parte di fame.
Sopra di
lui, Shura si
era trasformato: argenteo come la lama nel buio, poi scuro come la
terra, e come la terra si era mosso, scosso dal profondo. Lo aveva
guardato come nessuno mai prima di allora, e Aiolia si era sentito come
una cosa preziosa, amato e protetto in un modo gentile e fiero, come
Shura sapeva essere quando dimenticava la cattiveria del mondo.
E lo aveva toccato: e nessuno lo aveva mai toccato così.
Perchè la
verità era che aveva toccato altri, e in fondo non gli era mai sembrato
un granché, ma quando s'era lasciato toccare da Shura gli era
sembrato di tornare allo stato liquido, ad uno stato vergine, pronto per il divenire.
S'era sentito come un
vaso da modellare: prima solo
creta, poi opera d'arte; Shura l'aveva elevato ad un punto a cui da
solo, per quanto ci provasse, non sarebbe mai potuto arrivare. Aveva
sempre creduto di sapere come si soddisfa un uomo, e come si soddisfa
una donna, e in realtà non aveva mai saputo proprio niente.
E
nessuno gli aveva mai detto che sarebbe stato come bruciare, e che la
sola cosa che avrebbe occupato la sua mente sarebbe stato il calore,
asfissiante e fantastico,
delle mani del suo uomo che gli davano piacere.
Le mani di Shura le aveva conosciute sempre fastidiosamente fredde, e
in quei mesi si era impegnato con dedizione a tenerle nelle sue, a
tenerle sui suoi fianchi e sulle sue guance, ma quella notte non aveva
avuto bisogno di farlo: da sole lo avevano abbracciato, da sole gli
avevano fatto prendere fuoco.
Non c'era stato bisogno di chiedere più nulla.
Però almeno all'inizio era dovuto salirgli sopra. Perché Aiolia di Leo
era stato una
volta un bimbo molto basso che doveva alzare per bene il mento per
poter guardare in faccia Shura di Capricorn, e quindi sì, quella
rivincita se l'era presa: quella di stargli sopra a cavalcioni e di
bearsi dei suoi occhi sbarrati per la sensazione di averlo addosso.
Ecco.
Il desiderio di rivedere quell'espessione lo avvolse, e dunque fece in
modo di spostarsi tutto sul suo uomo, prendendosi un momento per
indugiare nel calore della pelle su altra pelle.
Al sentirsi il suo peso addosso, Shura fece un respiro più profondo
degli altri e si svegliò; si guardò intorno con gli occhi socchiusi e
impastati di sonno per qualche istante, prima di focalizzarsi
sull'amante steso sopra di lui.
" Mí león."
mormorò con una
punta di sorpresa, come se non si aspettasse di vederlo; gli scostò un
ciuffo ribelle di capelli dietro l'orecchio. Aiolia si godette quella
carezza discreta, chinandosi per lasciargli un bacio fugace all'angolo
della bocca, per poi issarselo contro, stringendolo a sé e immergendo
la faccia nella chioma spettinata; là tra quei fili scurissimi era
forte il
profumo dell'acqua di colonia, l'unico vezzo che il Capricorno, da
sempre votato alla modestia dei costumi, si concedeva.
" E chi si alza adesso..." mormorò mentre Shura gli vezzeggiava la
schiena a piene mani, guardandolo con un'espressione a metà tra il
divertito e il beato. Aiolia lo baciò ancora, e stavolta più a lungo.
" Ci sono così tante cose che vorrei dirti." gli rivelò riprendendo
fiato quando si staccarono " Cose che non ti ho detto prima perchè ero
troppo preso da..."
" Da noi ?" concluse per lui
l'amante, e il suo sorriso si allargò fin quasi ai lati della faccia al
suono di quella bellissima parola.
" Sì... da noi. Da tutto, tutto quanto. Ne abbiamo passate così tante,
Shura. Mi sembra di essere finalmente arrivato dopo un viaggio molto
lungo. "
" E quindi hai molte cose da raccontare, immagino. "
Era incredibile come Shura riuscisse a seguire i suoi discorsi. In quei
mesi non avevano parlato poi molto, era vero, ma quelle volte che il
leone aveva avuto voglia di tirare fuori a parole ciò che sentiva
dentro Shura era sempre stato lì pronto ad ascoltarlo, e addirittura
era stato bravo a capire in anticipo quello che voleva esprimere.
" Quando siamo così insieme io non posso fare a meno di pensare...a
quanto ti ho disprezzato."
Anche se a volte tendeva a parlare troppo. Aiolia sapeva che era
necessario pensare prima di parlare, ma questo consiglio gli era sempre
venuto molto difficile da mettere in pratica. La cosa in genere lo
innervosiva molto, e specialmente quando era Shura ad essere vittima
della sua lingua maldestra. Perché anche se il Decimo Guardiano sembrò
comprendere dove voleva andare a parare, il suo sorriso si affievolì;
nascose il viso sul suo petto, e Aiolia non poté fare altro che
infilargli una mano nei capelli e cercare di confortarlo.
Sentì che quella conversazione era necessaria, anche se dolorosa.
"
L'odio che provavo per te era reale. Quell'odio mi ha consumato,
tanto che pensavo...pensavo che non sarei mai più riuscito ad essere
felice." svelò senza indugio " Tu mi hai dimostrato il contrario ed io
non so come...voglio darti qualcosa in cambio, ma non so cosa. "
Fin dall'inizio della loro relazione aveva provato un certo senso di
debito verso Shura: non era una cosa che lo faceva star male di per sé,
ma desiderava davvero estinguere quel debito, facendogli un regalo
magari.
Vederlo contento e appagato era, dopotutto, il suo obbiettivo massimo.
Era come una sfida, e sia mai che Aiolia di Leo si tirasse indietro
davanti ad essa.
Sapeva ciò che Shura desiderava più di ogni altra cosa al mondo, ed era
arrivato il momento di fargli quel dono, anche se magari non nel modo
che questi si aspettava.
" Io so che da me vuoi perdono."
A quelle parole, il suo innamorato proruppe in un singulto e nascose il
viso tra le mani. Aiolia l'aveva visto spesso pregare in quel modo,
come se volesse annullare i suoi tratti, e mostrare solo l'uomo
prostrato nella fede; ma in quel momento aveva bisogno che Shura lo
guardasse, così circondò la sua testa con le dite e gli fece alzare gli
occhi, dolecemente ma con fermezza.
" Io non ho bisogno del perdono per amarti." affermò, e l'altro
abbandonò la tristezza per la sopresa: le iridi nere si allargarono,
quasi lucide di pianto.
" Ma se tu lo vuoi, io te lo posso dare. Passerebbe da me a te, e non
ci farà più male. Che ne dici?"
Aveva preso la decisione definitiva. Il resto lo lasciò a Shura, che
assunse un'espressione meditabonda; dopo aver chiuso un'altima volta
gli occhi e raccolto i pensieri, gli rispose:
" Quando mi sono reso conto dei
sentimenti che provavo per te io... io ero disperato, Aiolia. Io non
avevo nessuna speranza che tu mi ricambiassi. Non pensavo di averne.
Non ne avevo ragione."
Non faticava a crederci. Tra loro erano passati troppi anni, troppe
disgrazie li avevano tenuti separati.
Troppo odio.
Troppo sangue.
Poi l'odio s'era estinto e il sangue era stato lavato. Avevano trovato
pace l'uno nell'altro, e quello era il prodigio più grande al quale
loro, potenti e quasi divini, loro che potevano dire di aver visto
tutto, avessero mai assistito.
" Tu mi hai ridato la ragione. E io ti sono devoto."
Aiolia per poco non lasciò andare una lacrima a quell'affermazione. La
Dea gli aveva rivolto parole d'affetto, Aioros gli aveva espresso con
la voce il suo amore ogni volta che poteva, gli amici gli avevano
offerto confidenza e fiducia: però mai, mai aveva sentito una tale verità e
forza scaturire da chi gli aveva parlato.
E cosa poté fare se non piantare le labbra su quelle dell'amato per
esprimere la sua gioia: piantarsi lì su quella bocca benedetta dove
avrebbe potuto costruire un tempio che fosse solo loro, suo e di Shura
di Capricorn, solo loro fra le lenzuola. Tra i baci e le lingue e le
dita immerse negli incavi più sensuali del corpo rischiarono seriamente
di rinfocolare il desiderio, quando erano ben consapevoli entrambi che
era vitale ritornare alla razionalità.
" Tu avrai la mia pelle, come io ho già la tua. Un leone non può darti
che questo." esalò sfuggendo a malapena dalla passione che l'altro, di
rimando, gli stava dimostrando.
Shura dovette fare uno sforzo estremo per togliergli le unghie dalle
cosce (che sembravano piacergli particolarmente...) e porre fine a
quello scambio di confessioni e voglie.
" Vale." disse, combattendo
anche lui con un groppo alla gola e il respiro interrotto. Aiolia
poteva anche non capire lo spagnolo, ma aveva appreso a percepirne il
senso: lo aggradava molto il suono della parlata iberica, perchè gli
pareva che non lasciasse spazio ai dubbi; era decisa e, seppur
articolata, aveva suoni che lasciavano immediatamente il segno.
Si alzarono
mesti, rimpiangendo immediatamente il tepore delle coltri e della
compagnia.
Mentre si lavava nella stanza da bagno di Shura (cercando di non
soffermarsi sulle fantasie che voleva far diventare realtà là dentro)
il pensiero di cosa avrebbe detto a suo fratello per spiegargli tutta
la faccenda si fece velocemente spazio nella sua mente.
Non aveva paura di affrontare Aioros, perchè non ve n'era alcuna
ragione, ma trovare le parole per rivelargli la sua relazione con Shura
non sarebbe stato facile; non voleva deluderlo, o turbarlo, o farlo
preoccupare. Era comunque sicuro che, come sempre quando si trattava di
Aioros, prepararsi un discorso fosse totalmente inutile: il Sagittario
era particolarmente bravo a spiazzarlo e fargli sputare il rospo come
meglio veniva nel giro di due minuti. Aveva sempre avuto la sensazione
che 'Ros fosse stato investito di qualche strano potere che solo i
fratelli maggiori hanno, oltre che dell'armatura d'oro.
Dopo essersi strofinato i capelli per l'ennesima volta e aver tentato,
inutilmente, di dare loro un senso che non fosse palesemente quello del
"mi
sono appena alzato dopo una notte di fuoco con il mio amante" ritornò
in camera, dove Shura era già bello che vestito: indossava un blazer di
lana a quadri sui toni del grigio, e una camicia con il colletto alla
coreana che, Aiolia constatò compiaciuto, non arrivava a coprire i
morsi del leone sulla pelle diafana.
Da allora in avanti sarebbe stato così: Shura con quei vestiti da
figlio modello...e i suoi succhiotti sul collo. La cosa gli faceva
venir voglia di gongolare per ore.
Lo abbracciò : voleva tenersi quello Shura "nascosto" ancora per un pò,
solo per
qualche minuto ancora, prima di doverlo inesorabilmente condividere con
le persone che facevano parte della loro quotidianità; allo stesso
tempo
anelava alla libertà di poterlo prendere per mano in pubblico, di poter
affermare senza esitazione, e con soddisfazione, che erano uniti.
" Voglio che tutti sappiano che ci apparteniamo." disse con le labbra
appoggiate sul segno che gli aveva lasciato quella notte. Shura lo
strinse più forte.
" Lo sapranno." assicurò lo spagnolo soffiandogli quelle parole
nell'orecchio, e Aiolia pensò che sarebbero potuti davvero rimanere
così, l'uno con il viso premuto nel collo dell'altro.
Separarsi fu una sofferenza, ma sapevano entrambi che ne valeva la
pena; camminarono senza dire nulla dalla camera all'entrata della
Decima, fermandosi solo un momento davanti a Capricorn, così che Shura
potesse poggiare fugacemente la fronte sullo zoccolo della mitica
creatura che aveva scambiato e unito la terra con l'acqua.
Anche lei rimase in silenzio.
Sulle scale li accolsero forti raffiche di vento ghiacciato che, senza
ombra di dubbio, avrebbero portato la neve da nord. Non ci furono
parole neppure a quel punto: Shura si chinò per baciarlo un'ultima
volta sul collo, per salutarlo, e ritornò indietro, con passi sicuri
che forse mai aveva compiuto nella vita precedente.
Il Leone lo guardò salire per raggiungere gli amici, e il freddo
dell'inverno lo punse crudele, fermo lì com'era, ritto sullo scalone.
Si sedette
con lentezza, bisognoso di schiarirsi le idee.
Ho fatto veramente molta strada,
si disse, e per la prima volta ne fu consapevole al cento per cento. Si
sentiva felice e sollevato, ma
anche sopraffatto dall'enormità degli avvenimenti che gli avevano
cambiato la vita.
Si sentiva
cambiato insieme alla vita, sentiva di essere diventato come il frutto
di un albero dalle molte radici; un frutto nato da semi diversi e messi
insieme, un vero miracolo della natura. O forse era solo il volere
della sua fanciulla dalle bianche vesti, colei che gli aveva sempre
sorriso in quella maniera fiduciosa, quasi complice.
E sentirsi complice di una Dea non era cosa da poco per uno come lui,
che per molto tempo non aveva mai saputo davvero come definirsi, se non
guerriero, se non di Leo, se non di niente e di tanti, tirato da una
parte all'altra.
C'era stato un tempo in cui Aiolia di Leo non era ancora "di Leo", un
tempo in cui la sua altezza si fermava al metro e una mela e la
mancanza di tutta una fila di denti davanti lo faceva sembrare più un
cucciolo che un apprendista Cavaliere.
Sorrise al ricordo di sé stesso bambino, rammentando quanto il suo
essere piccino e puttosto paffuto sulle guance lo avesse fatto
indignare tanto quando si guardava allo specchio, e quando notava che i
suoi progressi erano sempre una frazione di secondo indietro rispetto a
quelli degli altri.
Rammentava bene, come fosse stato ieri, che Aioros lo incoraggiava e
sosteneva, sorridendogli in quel modo che era troppo paterno e maturo
per un volto da adolescente; a quel tempo, non viveva che per quello:
per suo fratello che alla sera lo avvolgeva tra le coperte dicendogli
che era
stato bravo e che il giorno dopo sarebbe anche andato meglio. Da
piccolo aveva davvero vissuto nella convinzione che ci fosse sempre un
domani migliore.
Shura era completamente diverso da lui: lo era anche ora che erano
adulti, ma al tempo dell'infanzia quella differenza nelle loro
personalità era stata ancora più accentuata. Ciò non aveva impedito
loro di legarsi.
Si era creata una
bizzarra
complicità tra lui, il pulcino della nidiata,
iperattivo e testardo, e Shura, lo straniero allampanato che non
parlava quasi mai e se parlava lo faceva con un accento strano, con
tutte quelle erre arrotondate ed esse sibilate.
Ricordava distintamente come una delle prime cose che aveva chiesto a
Shura, dopo che Aioros l'aveva spinto più volte ad andare a presentarsi
al nuovo arrivato, quale fosse la ragione di quella parlata così
impacciata.
Shura aveva ovviamente risposto che non aveva mai parlato greco prima
di allora e che stava ancora imparando, quindi aveva bisogno di tempo
per migliorare.
Poi se n'era tornato a svolgere complicati esercizi con le braccia come
al solito.
Da allora, il piccolo leone aveva fatto di tutto per attirare la sua
attenzione, dato che quella era la sua migliore tecnica, totalmente
inconscia peraltro, per fare amicizia. Lo spagnolo all'inizio aveva
cercato di sfuggirgli in tutti i modi, e questo aveva dato vita ad un
nascondino comico, presagio forse di ciò che sarebbe successo in
futuro, quando dopo la riconsacrazione Aiolia aveva preso a rincorrerlo
dappertutto. Alla fine Shura doveva essersi arreso davanti a tanta
tenacia, perchè aveva finito per accettare di buon grado la sua
compagnia.
Compiaciuto, Aiolia l'aveva ripagato portandogli periodicamente da
mangiare, perchè nella sua visione fanciullesca della vita l'unico
regalo veramente degno di tale nome era il cibo.
Non avrebbe davvero saputo dire quante volte aveva preso il futuro
Capricorno per un polso per poi portarlo nel campo degli ulivi,
ficcandogli tra le mani martoriate frutta secca d'ogni genere,
pagnotte ancora calde dal mattino, dolciumi trafugati con la
complicità di uno Scorpione goloso.
Allora, la sua esistenza era fatta di cose semplici ma preziosissime:
Aioros che lo amava, qualche biscotto ogni tanto, gli amici con cui
bisticciare e fare marachelle.
Shura che non si annoiava della sua parlantina, Shura che rideva poco e
ascoltava molto, Shura che in generale aveva sempre qualcosa di
intelligente da dire.
Quella vita era cambiata nel giro di una notte, una notte che Aiolia
malediceva e avrebbe continuato a maledire. Strinse i pugni,
conficcando le unghie nel palmo per ricordarsi che quel dolore poteva
controllarlo, che poteva tenerlo a bada.
Ma non avrebbe mai smesso di fare male, lo sapeva bene, persino ora che
era adulto e non più il bambino che aveva visto il suo mondo luminoso
spegnersi, il bambino che era cresciuto, nonostante tutto.
Il metro e una mela era diventato un metro e un
tronco d'albero; i denti gli erano ricresciuti in zanne pronte a
scagliarsi sui nemici.
Il buio aveva riempito il resto.
Aiolia s'era chiuso nel suo dolore immenso, nella rabbia più
nera, con l'unico conforto delle candele che teneva sempre accese,
nella speranza che Atena vedesse la loro luce e si ricordasse che anche
lui esisteva.
L'amicizia con Shura, l'aveva dimenticata.
L'aveva rifiutata,
per meglio dire, relegandola
nell'angolo del suo animo in cui aveva chiuso tutto ciò che,
qualora fosse riaffiorato, non avrebbe fatto che male: i giorni dorati
dell'infanzia e il ricordo, pieno d'affetto e nostalgia, dei
genitori defunti; la mano ossuta del vecchio Shion che gli accarezzava
i capelli, e che gli aveva sempre fatto un pò paura ma che non
aveva mai rifiutato, perchè essa era stata sincera e benevola;
la risata squillante di Milo che scappava via con le braccia cariche di
mele e pasticcini; i silenzi irritanti ma così familiari di
Shaka e di Mu, e le loro ombre, sagome già adulte contro la luce
del tramonto; i bisticci con DeathMask, la soddisfazione di batterlo
nell'Arena.
I " ti voglio bene" di Aioros la sera, quando lo metteva a dormire.
I "grazie" a mezza voce di lui,
di Shura, la sua mano coperta di tagli che si tendeva per accetare
acqua e cibo.
E tante altre cose: tutto andato, perduto, distrutto.
Aiolia s'era rintanato nella pietra che doveva difendere e con cui si
difendeva, belva nell'oscurità, e chiunque avesse
avuto l'intenzione di insidiarlo aveva ricevuto puntualmente il
benservito.
Shura di certo non ci aveva mai neppure provato e questo
sfortunatamente l'aveva fatto
imbestialire ancora di più, perchè Shura di Capricorn
aveva la colpa di TUTTO, e Shura di Capricorn non aveva la decenza di
dirgli qualcosa.
Shura era stato colui che, le poche occasioni in cui s'erano
malauguratamente incrociati sulle scale, o incontrati davanti ad Arles,
il maledetto, non aveva proferito parola né aveva avuto il
coraggio di guardarlo. Il Leone l'aveva più volte apostrofato
come vigliacco, masticando quell'insulto e altri simili tra di denti,
ma quello non aveva battuto ciglio: mai una sola volta gli aveva
risposto; mai una sola volta aveva dato segno di disagio o
indignazione per quelle parole.
Era stato l'affronto più grande.
Quel ragazzo che s'era detto suo amico e che invece l'aveva tradito nel
peggiore dei modi non aveva avuto la sacrosanta decenza di prendersi le
sue responsabilità; non aveva chiesto un incontro, un misero
momento per dirgli almeno "sì, sono stato io".
L'aveva dovuto venire a sapere da altri, il fattaccio! Aveva dovuto
subire
l'ennesima umiliazione di stare ad ascoltare le chiacchere delle
reclute (quello era diventato, tra le altre cose, il suo povero
fratello: un pettegolezzo!), aveva dovuto chinare il capo e ringraziare
il Gran Sacerdote, ringraziare
per l'amor di Atena, di avergli lasciato l'opportunità di
battersi per Leo nonostante il suo nome fosse calpestato e ammantato di
vergogna...
E in tutto questo Shura cos'aveva fatto? Shura era stato zitto.
Shura non aveva detto NIENTE.
In silenzio era rimasto, dritto come la spada che si portava nel
braccio, dritto come il boia che era!
L'odio che Aiolia aveva provato per lui era stato cieco e sordo, un
odio a cui nulla importava: un odio che insidiava perennemente l'animo
speranzoso che tentava disperatamente
di
preservare dall'errore gigantesco in cui si era trasformata la sua vita.
Perché quello era stata, tutta la faccenda: un ERRORE.
Aiolia non aveva mai creduto fino in fondo alla colpevolezza del
fratello; aveva sempre avuto il sentore (il ridicolo sogno) che ci
fosse uno sbaglio, che Aioros avesse avuto le sue ragioni per fare
quello che aveva fatto.
Anche Aioros non gli aveva detto niente.
Non si era confidato con nessuno il buon Sagitter, il giusto, il
nobile: cosa gli era passato per la testa al Sagitter, quella notte?
Cos'aveva davvero fatto Aioros, quella notte?
Questi dubbi avevano aumentato il suo odio a dismisura: perchè l'unico
che
poteva saperne qualcosa, l'ultimo a vedere suo fratello vivo, non aveva
pronunciato verbo.
Il Capricorno, muto, era diventato la tomba che doveva essere di suo
fratello, e che invece non c'era.
Perché neppure una tomba su cui piangere gli avevano concesso! Ma il
boia silente, quello sì.
Ad Aiolia le
ragioni di Shura non sarebbero mai servite a niente, ma se questi
avesse avuto il fegato di confessargli il suo crimine almeno una
soddisfazione se la sarebbe presa. E invece, neanche quella.
Gli anni erano volati,
tra infamia e dolore.
Atena
l'aveva salvato: proprio quando aveva creduto di essere arrivato al
limite, di non avere più speranze, lei lo aveva salvato.
Aveva guardato nei suoi occhi di cielo e aveva ritrovato vigore.
Aveva rivisto suo fratello, e aveva finalmente potuto calmare
quell'anelo di verità che tanto lo aveva fatto penare: l'arsura che
aveva sentito dentro di sè per tredici lunghi anni era stata alleviata
dall'amore incondizionato della Dea (la sua Dea!)
e dalla persona che fin dal suo primo giorno di vita l'aveva stretto a
sé, cullato, curato, amato come nient'altro al mondo.
Aveva creduto ciecamente nella potenza di quell'amore, aveva creduto
che fosse giunto il tempo del risanamento, il tempo in cui sarebbe
arrivata per lui la ricompensa per aver resistito, e il riscatto per il
suo nome.
Chi di dovere avrebbe pagato quel riscatto, ne era stato certo.
Ma colui che ai suoi occhi doveva pagare più di tutti era morto, e lui
non aveva ottenuto la giustizia che gli spettava.
Aiolia sentì il cuore appesantirsi al ricordo della Scalata, al ricordo
di quella giornata più lunga della vita stessa.
Una volta conclusa la battaglia era calato un terribile silenzio, e una
penombra inquietante, ché nessuno di loro rimasti s'era preso la briga
di accendere più luci del nessario.
L'eco di quelle vite spezzate non s'era assopito, permanendo nelle
stanze che i compagni superstiti avevano dovuto chiudere a chiave,
perchè non avevano avuto il coraggio di toccare niente di ciò che vi
era rimasto dentro, nelle tende sempre svolte che avevano mormorato col
vento la voce di chi non c'era più. L'eco era stato scritto sulla
pietra di lapidi attorno alle quali non erano cresciuti fiori.
Aiolia, che naturalmente non sopportava né il silenzio, né l'ombra, né
la calma piatta che precede la tempesta, non aveva portato fiori a
nessuno.
I cadaveri non li aveva neanche voluti vedere.
Aveva vissuto come uno spettatore esterno quelle ore di veglia,
complice anche il fatto che gli altri non gli avevano chiesto di dare
una mano, forse rassegnati dal suo sguardo torvo, dal mutismo in
cui s'era chiuso.
Deluso da tutto e da tutti il Leone era tornato a rintanarsi nella
Quinta, cercando invano di scacciare la visione della fila di teli
bianchi insanguinati, degli occhi vacui di Milo, dei petali di rosa
ormai secchi che strusciavano inerti sui selciati.
Era stato in quel periodo di tremenda stasi che la morte di Aioros gli
era pesata come un macigno, come se quei tredici anni si fossero
sommati a formare il sasso che aveva sentito di avere al posto del
cuore.
Ed era stato sempre in quel periodo che, proprio come avrebbe potuto
fare un sasso, le parole Shura è
morto l'avevano schiacciato.
Non si era confidato con nessuno. Come avrebbe potuto? Chi avrebbe
potuto capire qualcosa che allora neppure lui poteva capire?
Come comprendere, come spiegare quella sensazione troppo simile alla
tristezza profonda del lutto, come spiegare quel sentore di rimpianto,
di cose che avrebbero potuto essere e che non erano state...
Come avrebbe mai potuto descrivere l'angoscia, il gelo che lo pervadeva
quando, la notte, sognava il volto terreo e sporco di suo fratello
morto che si trasformava in quello bagnato di lacrime di Shura di
Capricorn?
Si era svegliato da quelle visioni di morte urlando disperato, facendo
accorrere al suo capezzale i compagni sgomenti e confusi; tra di loro,
forse solo Shaka aveva intuito qualcosa, e per questo qualche volta era
rimasto seduto sul suo letto a vegliarlo.
Una volta, qualche notte prima della Guerra, gli aveva stretto una mano
nelle sue, senza proferire parola. Aiolia non era riuscito neppure a
ringraziarlo.
L'aura che Aioros aveva abbandonato dietro di sé dopo la sua dipartita
era tornata ad essere luminosa, quando prima era stata spettrale, ed
era rimasta ad avvolgere
gli spazi e i cuori: era stata la sua unica consolazione di quel
periodo, potersi sedere con la schiena al muro nella Nona e lasciare la
mente sgombra per un pò.
Ma anche se quegli istanti in cui gli sembrava che il fratello tornasse
ad abbracciarlo, a sussurrargli "finirà presto" e "non ci sarà più
dolore", il pensiero di Shura, fisso e doloroso come un pungolo nello
sterno, i suoi occhi che lo supplicavano già offuscati dalla nera
morte, non avevano smesso di tormentarlo.
Poi era arrivata la Guerra.
Aiolia aveva stupidamente creduto che non si potesse soffrire più di
quanto aveva sofferto nei lunghi anni del buio, bambino abbandonato ed
umiliato.
La sofferenza dell'Ade non era concepibile alla mente umana durante la
vita terrena.
Gli Inferi lo avevano inghiottito, avevano inghiottito ogni sua
speranza e tutta la sua luce. Non una singola fiammella era rimasta nel
suo animo, non finché Atena era tornata, portando pace, finalmente.
Era stato pronto a morire, pronto a lasciare un mondo dove la gioia era
sempre stata un fiore reciso sul nascere. Pronto a lasciare il
tradimento, l'ingiustizia, l'oscurità, dove dovevano stare: lontani dal
suo cuore.
Ma la vita era tornata, e con essa era tornato tutto il resto: il
rifiuto, il risentimento.
Non era stato facile far pace con i compagni, ma Aiolia doveva
ammettere a sé stesso di essersi impegnato al meglio da quel punto di
vista, così come avevano fatto tutti. Ognuno di loro si era sforzato di
comprendere, in quel vorticoso giro di vite spezzate, gli sbagli, le
debolezze, le scelte degli altri.
Avevano
riconosciuto che alla fine tutti loro avevano scelto non una strada,
non una fazione, ma che avevano tutti fatto la stessa scelta: quella di
sopravvivere.
E chi più di lui poteva capirlo? Chi più di lui, animale
ferito e braccato? Lui e i suoi compagni avevano cercato di reggersi in
piedi in tutti i modi, aggrappandosi a qualunque appiglio pur di
rimanere se non sani almeno vigili, pronti ai loro posti.
Tra i suoi compagni c'era anche Shura, e a quel punto era venuto il
tempo di smettere di negarlo.
Ed era presto arrivato il momento di smetterla di addossargli la colpa
di tutto.
Come era stato difficile! Come era stato arduo combattere la seduzione
dell'odio, quel nero male che strisciava come un serpente nella notte
senza luna.
Vincerlo era stato doloroso come strapparsi la pelle di dosso.
Aveva ripensato ai rimproveri di Aioros e li aveva riconosciuti per
quel che erano: appelli disperati di un fratello amorevole al vederlo
troppo cambiato, al vederlo schiavo dell'odio.
All'inizio l'aveva fatto per suo fratello, dunque: si era dato una
bella calmata per non vederlo più così preoccupato e
intristito.
E dopo avergli ricambiato il favore aiutandolo a sbrogliare i suoi, di
nodi, Aiolia aveva ripreso in mano la questione di Shura.
Una volta per tutte.
Aveva parlato con Nemea, perchè lei era l'unica con cui poteva
confidarsi senza che nessuno lo sapesse. Non era stato pronto, non
subito, ad esternare il groviglio di sensazioni contrastanti che gli
attanagliava l'anima, e persino il fisico, dalla testa fino allo
stomaco, quando pensava al Capricorno.
Cosa che gli era capitata molto spesso dopo la resurrezione, per nulla
aiutato dal fatto che Shura aveva ripreso la sua vita in mano e non si
nascondeva più, andando avanti nella vita di tutti i giorni con forza
inaspettata.
Nemea non aveva usato mezzi termini:
Tu lo cerchi, è inutile che lo neghi,
tanto noi vediamo tutto. Ammetti che vuoi qualcosa da lui, che l'hai
sempre voluto.
" Cosa mai dovrei ammettere... che abbiamo un conto in sospeso?
Che dovremmo cercare di risolverlo? Io non so come parlargli, non so
come!" aveva protestato con sconforto crescente.
La sua sorella di ferro celeste non gli aveva lasciato tregua. Lei
sapeva, aveva saputo dal principio, e non gli aveva lasciato
possibilità di fuga. Non che Aiolia intendesse fuggire, ma si era
sentito davvero messo nell'angolo, alla resa dei conti.
Non devi dire altro che ciò che hai
nel cuore. Quando mai hai avuto timore di farti sentire? ,
aveva incalzato ancora lei, con una vena di tenerezza nella voce
possente.
Ci aveva pensato per qualche giorno, prima di riaffrontare il discorso
con la sua Cloth, dando voce a tutto ciò che più lo intimoriva.
" Se accettasi
quello che provo...perderei la mia dignità?"
Oh, bambino testardo... tu hai sempre
confuso la dignità con l'orgoglio.
Perchè di essere troppo orgoglioso Aiolia lo sapeva bene, e
sapeva che era un difetto non da poco, ma per molto tempo non gli era
rimasto che quello, l'orgoglio, quel suo stare a testa alta in ogni
circostanza.
Proteggere l'orgoglio, proteggere le sue ferite, proteggere tutto ciò
che nel suo animo c'era di buono e resistere.
Proteggere il cuore, ad ogni costo.
La guerra è finita. Perchè indugiare
ancora? Và e prendi ciò che è tuo, e tienilo con te.
" É già mio? Può esserlo?"
Si era accoccolato contro la sua bella fatta d'oro, come faceva da
bambino.
Perché non dovrebbe?
Forse quel suo cuore l'aveva protetto troppo. Ammirando i giochi
di luce con cui il tramonto dipingeva di rosso il suo pavimento, Aiolia
s'era convinto che no, da perdere non c'era proprio nulla.
E che sì, era arrivata l'ora di lasciare libero il cuore. Dopotutto, un
cuore non si può tenere in una gabbia.
" E sia. Sarà nostro."
Figuriamoci un leone.
"Sarai con me?"
Noi saremo con te sempre. Ma tu sai quello
che lui ci ha fatto, e noi non lo possiamo dimenticare. Il sangue non
si dimentica.
Era rimasta allora solo una
domanda,
l'unica alla fin fine che importasse davvero, l'unico quesito che aveva
avuto il potere di fermare il sangue nelle sue vene.
Quindi, sei tu a doverlo fare. Tu lo
puoi perdonare?
A quella domanda aveva
dovuto trovare la risposta, e aveva saputo fin da subito che farlo gli
sarebbe costato più dell'orgoglio, più della dignità.
L'aveva capito, come si capiscono
il cadere delle foglie e il volgere delle stagioni, che gli sarebbe
costato la vita stessa: quella
prima vita che era finita ma che era stata sua
fino in fondo, e che avrebbe dovuto lasciarsi definitivamente alle
spalle.
Shura aveva cercato quel perdono,
non ne aveva potuto fare a meno, era stato più forte di lui;
l'aveva chiesto in
una maniera silenziosa e crudele, per sé stesso e per Aiolia: da
bravo cattolico, s'era messo in ginocchio a sussurrargli all'orecchio
quella supplica immonda, quella richiesta che entrambi avevano sempre
saputo non poteva essere esaudita ...
Nell'Ade non l'aveva voluto
ascoltare, ma la sua voce era tornata a cercarlo nella nuova
realtà, alla luce del giorno e nei suoi sogni.
Io volevo solo dirti...
Non aveva più potuto
cacciarla via, e anche peggio: Aiolia aveva dovuto ammettere che in
realtà Shura non aveva più nulla da dirgli.
Che gli aveva già detto tutto, anche senza parlare.
Era lui che non aveva voluto sentire... e CAPIRE.
I suoi occhi
s'erano sempre girati contro la sua volontà verso l'altro,
spinti da una forza che gli veniva da dentro e a cui era stato
difficile dare un nome, a
cercare una ragione, a cercare il lui
che Shura era veramente.
Ne aveva scorto dei pezzi, col passare dei giorni, in quell'estate
troppo ampia come un campo arato che il contadino si trova a dover
seminare da solo.
Dietro l'uomo distrutto dalla colpa, dietro il guerriero piegato dal
disonore, aveva visto una fiamma ardere, e quella fiamma era piccola ma
c'era, c'era, per Atena! L'aveva vista nel modo discreto ma autentico
con cui sorrideva agli amici; nel suo parlare pacato, nel suo sforzarsi
di scambiare una parola con tutti (ma non con lui!), di lottare contro
la reticenza che gli era propria e di ricostruire i legami che s'erano
spezzati.
Aveva visto la luce tornare nei suoi occhi, fragile neonata: e s'era
chiesto allora se anche nei suoi ci fosse ancora luce, e soprattutto,
se Shura avesse il desiderio di vederla.
Un desiderio lui ce
l'aveva, eccome se lo aveva: tirare fuori il
Capricorno dal buio di cui si ammantava. E non era un desiderio nuovo,
perchè ce l'aveva avuto sin da bambino, quando Shura lo guardava
ancora, quando questi lo fissava piegando la testa di lato come se non
capisse e poi invece sorrideva, cercando invano di nasconderlo.
Quei desideri, quel suo volere
verso Shura, l'avevano atterrito. Solo di fronte a queste volontà,
aveva avuto paura.
Ma il tempo della paura era finalmente finito. La Dea era tornata, li
aveva riconsacrati, tutti loro.
Nella luce, aveva accolto la verità, e accettato ciò che provava. Ed
era stato abbastanza fortunato, lui che di certo non era stato baciato
spesso dalla buona sorte, da essere ricambiato.
Essere innamorato era
come camminare sull'erba alta: morbida, fresca
erba di campo, e considerando che prima di arrivare all'amore aveva
camminato sulle pietre per anni e anni non era male.
No, non era male proprio per niente.
Era sereno: e sereno si alzò, pronto ad affrontare una nuova tappa in
quella vita concessa per misericordia e merito.
I suoi piedi sembrarono volare sulle scale immacolate, nel vento.
(Now my feet won't touch the ground.)
Salve a tutti e buona estate.
Dopo mesi mi rifaccio viva e credetemi, non per mia volontà.
Mi dispiace moltissimo avervi fatto aspettare così tanto per avere
questo tanto agognato nuovo capitolo, ma come dicevo non è dipeso da me.
In realtà questo terzo appuntamento era bello pronto ad aprile.
Pensate un pò, prima di Pasqua avreste avuto questo fantastico uovo di
cioccolata virtuale tutto da gustare, solo per voi!
E invece anche no.
Proprio quando stavo ultimando le ultime correzioni prima di pubblicare
il mio computer di buona marca e nuovo, essendomi stato regalato a
luglio 2016, ci tengo a precisarlo per farvi capire l'assurdità della
situazione, ha deciso di fare un ripristino improvviso.
Sì, esatto, una di quelle cose che i cari PC fanno senza avvisarti,
bloccandoti nel bel mezzo del lavoro.
Quando il figliolo si è riavviato,
dopo quasi mezz'ora di attesa, era tutto perduto: il file del capitolo
ce l'ho ancora intatto sul computer... il testo è sparito.
Non ho idea di come sia possibile una cosa simile, e potete immaginare
come io abbia provato a recuperare il capitolo in tutti i modi.
Non c'è stato nulla da fare.
Dopo aver pianto come una poppante per due giorni di fila (la buona
SherryVernet, che ha provato ad aiutarmi, ve lo può testimoniare) mi
sono rassegnata, lentamente, a ricominciare tutto d'accapo.
La sessione d'esami è però arrivata presto e ho dovuto per forza di
cose ridurre le mie ore di scrittura creativa a favore di tesine da
consegnare e libroni da studiare.
Il
caldo non ha dato tregua ( e continua a non darne! T_T) ed essendo io
una personcina fragile che già a venti gradi boccheggia sono stata
anche male.
Grazie al cielo ho ripreso un pò di ritmo e tempo libero (anche se sto
già studiando per l'appello di settembre, che vita grama!) e spero di
aver fatto un buon
lavoro con questo terzo capitolo.
In esso sono presenti alcune parti del vecchio perduto che ricordavo a
memoria, e anche la struttura generale è sostanzialmente la stessa. Ciò
che è cambiata molto è la prima parte, che all'origine era più corta e
non comprendeva il punto di vista di Aiolia della prima notte con la
sua bella capretta, nonchè il dialogo tra i due, che era praticamente
completamente differente.
Il resto ha come dicevo somiglianze molto forti con l'originale di
aprile, solo credo di averlo ampliato.
Molto ampliato.
Parecchio ampliato.
Ops. X'D
Devo dire di essere abbastanza soddisfatta, fermo restando che voglio
comunque migliorarmi ulteriormente. Più che altro sono felice di non
essermi scoraggiata e aver ripreso subito in mano il progetto, perchè
purtroppo per carattere sono una che tende a farne una tragedia quando
qualcosa a cui tengo non va proprio per il verso giusto.
Ma ora bando alle ciance (quanto chiacchero, mamma mia) e largo alle
note a pié di pagina:
- I versi di inizio e fine vengono da "Life in technicolor" dei
Coldplay. Qualcuno dovrebbe seriamente pensare a fare una statua a
questo gruppo, perchè le loro canzoni arrivano giusto in tempo a
salvarti quando vuoi impreziosire la tua storia con una citazione
musicale e non sai dove cavolo andare a prenderla.
-
Non ho scelto il ginepro come albero testimone delle fughe dei due
piccioncini per caso: secondo la simbologia dei fiori il ginepro ha il
significato di soccorso e protezione, anche per il fatto che la radice
greca del nome , "arkéo",
significa proprio "respingere il nemico". In un momento in cui la
coppia non desidera palesarsi in pubblico e ha appena iniziato a fare i
primi passi insieme, direi che è l'ideale. Inoltre leggenda vuole che
il ginepro sia stato uno dei legni a cui toccò l'ingrato compito di
andare a costruire la croce di Cristo. Della serie allora ditelo che se
c'è Shura di mezzo sempre alla religione torniamo!
-
Sono abbastanza convinta che i cavalieri di Atena tra di loro usino il
greco come lingua franca. Mi sembra logico dato che è la lingua madre
della Dea. Anche se è molto poetico pensare che parlino in una lingua
mistica che conoscono solo loro, e che non assomiglia a nessuna di
quelle che si parlano sul pianeta, direi che la prima ipotesi è più
plausibile.
- Le
armature d'oro parlano al plurale. Io ho provato a contrattare una
tranquilla e di certo più umile prima persona singolare come tutti i
comuni mortali, ma loro non ne hanno voluto sapere. Inoltre,
come tutte le cose greche che si rispettino, hanno gli epiteti; Leo si
fa chiamare Nemea per ovvio legame geografico, e pian piano scopriremo
nomi, nomignoli e compagnia cantante di tutte le altre. Diciamo che
l'idea di base è che esistendo dai tempi del mito ed essendo state
portate da molte generazioni, le armature abbiano conservato man mano
un pezzo di tutto ciò che hanno visto e vissuto, e perciò non
considerano sè stesse come esseri singoli ma come "insieme" di robe
varie.
Sì, sostanzialmente le fanciulle soffrono di sindrome da personalità
multipla. Vi lascio solo immaginare in che condizioni sta Gemini.
-
Secondo le auguste ed infauste leggi kurumadiane per il funzionamento
corretto di Saint Seiya il più giovane dei Gold Saint è Milo. Adesso,
io a sentire una cosa del genere mi spiscio dalle risate, perchè va
bene che Milo è un pischello, ma andiamo! Ditemi se non sarebbe stato
più logico far nascere Aiolia per ultimo. Dai. 'Lia è un gattino, si
vede dalla faccia. Eddaie. Ditemi voi se non vi completa tutta la
dimensione tragica della Notte degli Inganni mettere Aiolia nel posto
del pulcino della nidiata, appunto. Quindi sì, in questa raccolta
sgangherata sarà proprio il leoncino a doversi sorbire la sfigata
posizione del più giovane. Proprio perchè gli voglio bene, eh...
-
Aiolia è nato ad agosto, come tutti ben sappiamo, e io ho sempre
immaginato che sia nato di mattina prestissimo. Nei meandri del mio
computer esistono già degli abbozzi dell'enorme headcanon che la mia
mente ha elaborato sulla famiglia degli Aiobros. Ho grandi progetti su
questa parte della storia, e ci sarà in futuro un capitolo apposito. Ci
sarà un capitolo anche sulla famiglia di Shura, ma quella storyline è
già meno delineata. Ci sono alcuni indizi disseminati in questo
capitolo sui genitori dei due grecissimi, ma credo siano molto blandi
ed è meglio che non vi ci rompiate la testa, per il momento. Ce ne
saranno di più dettagliati in seguito.
- Come
avete potuto notare è tornato Milo passione pasticceria ambulante. Il
nostro scorpioncello è buon amico del Leone, ma allo stesso tempo uno
dei peggiori incubi del povero Capricorno, e per un semplice
motivo: Shura si fà prestare i suoi tanto amati libri dal vicino di
casa, e non vi devo dire chi occupa il letto del suddetto vicino di
casa...e di rimando, anche la sua biblioteca. Ormai Shura si è
rassegnato ad usare carte di caramella trovate qua e là tra le pagine
come segnalibro.
Nonché alle macchie di zucchero e marmellata sui congiuntivi.
-
Torna anche Shaka, seppur per una misera riga e mezzo. Ma a lui basta,
fà presenza anche se non parla! Anche questa volta giuro su tutto
quello che volete che il Buddha non era in programma e si è infilato lì
da solo. Io sono totalmente impotente, che vi devo dire! A questo punto
direi che in futuro si potrebbe approfondire la strana amicizia che
intercorre tra Aiolia e il suo illuminatissimo vicino di casa, che ne
dite? Lo metto nella lista delle (innumerevoli) cose da fare.
-
Alzi la mano chi avrebbe voluto essere protagonista delle scappatelle
al Pireo insieme ad Aiolia. Su forza, non siate timide! u_u
-
L'acqua di colonia mi è sembrata, francamente, l'unico profumo che
fosse adatto a Shura. Leggendo un pò in giro ho scoperto che è un
composto antichissimo di cui ancora oggi i mastri distillatori sono
restii a rivelare la ricetta. In generale si può dire che è un composto
di oli eterici in etanolo diluito a cui si aggiungono, pensate un pò,
fino a trenta fragranze diverse, dai fiori agli agrumi fino ai legni.
Io
adesso vorrei esprimere i miei pensieri su lui, sì proprio lui, Aiolia
di Leo, signore del pugno sul grugno, padrone incontrastato dei cuori
di tante fangirl, viziatissimo micio di casa.
Partiamo da un concetto fondamentale: Aiolia è l'amore.
Io quando ero bambina e guardavo la serie in televisione (bei tempi!)
non potevo vedere quasi nessuno dei personaggi: mi stavano proprio
antipatici quasi tutti! Lasciando perdere come nel corso
degli anni abbia cambiato idea, Aiolia era uno dei pochi che si salvava.
Primo
perchè mi piacevano i suoi capelli: motivo ridicolo, lo so, ma tutta
quella gente strana con certi capelli da Barbie nella foresta
incantata non mi convinceva granché.
Penso che il mio rifiuto per questa cosa delle chiome fluenti sia
arrivato al culmine con Shaka. Shaka che mi picchia Ikki (il MIO
Ikki!), facendo turbinare in una maniera improbabile quella massa di
capelli biondissimi e
luccicosissimi, é stata proprio la goccia che ha fatto traboccare il
vaso.
Ma Aiolia NO: Aiolia aveva i capelli corti e di un biondo tutto sommato
molto normale, e a me quindi piaceva.
Secondo, già dalle prime scene lo capisci subito che Aiolia è buono:
Aiolia è la classica persona che nel gergo nostrano viene definita
"pezzo di pane".
Cioè, parliamo un attimo di come nonostante debba sottostare agli
ordini di Arles riesca comunque a non perderci la faccia. Sta sul culo
a tutti quanti per svariati motivi e non
gliene frega una cippa.
Chiunque abbia un minimo di buon senso capisce che Aiolia non è marcio
come tutto ciò che lo circonda. Almeno, a me dava quest'impressione.
Terzo: AIOROS. Fiumi di parole tra noi su quest'uomo.
Aiolia ferma il pugno diretto ad Atena per lui, piange per lui, tira
avanti nel suo ricordo: la maniera in cui si scioglie quando 'Ros gli
parla dalla nuvoletta splendente basta ed avanza per commuovere pure le
pietre! E poi, qualunque bambino cresciuto negli anni novanta non
avrebbe potuto fare a meno di collegare la scena con il "ricordati chi
sei!" del Re Leone.
Regà, io sono una Grifondoro: non potevo deludere Mufasa, essù!
Insomma, l'affetto che io provo per il leoncino è immenso, complice
anche un fratello Leone nella vita reale.
L'unico problema che ho con Aiolia è che il micio di casa è logorroico.
Parecchio logorroico.
Aiolia di cose da dire ne ha parecchie, e a ragione, non lo biasimo di
certo, con la vitaccia che ha fatto. Ma quando ci sono cose importanti
da dire, le cose sono due: o tende a straparlare e fare un casino, o si
lascia prendere dalla confusione (e dallo sconforto a volte!) e non sa
come dirle. Abbiamo
già detto come Aiolia tenda a buttarsi a capofitto nelle cose senza
perdere
tempo in chiacchere, ma quello dell'amore è un terreno sconosciuto:
seppur predatore, non se la sente di partire subito all'attacco e
preferisce tastare il terreno a piccoli passi.
Con Shura chiaramente la cosa è moltiplicata per mille, e quindi i loro
dialoghi, almeno in questa fase iniziale della loro relazione, li vedo
sempre un pò cauti e incerti. Ma tranquilli, miglioreranno col passar
del tempo.
Intanto però le pippe mentali se le beccano tutti e due. Perchè, come
ho già detto, io sono buona.
Ciò che mi premeva esprimere in questo capitolo era la loro ferma
risolutezza a lasciarsi il passato alle spalle e guardare al loro
futuro insieme, e questo è certamente il più grande desiderio di
entrambi: Shura non può fare altro che andar dietro al suo innamorato,
totalmente preso ed affascinato dalla sua forza d'animo.
Non mi dilungo oltre e vi lascio recensire, sperando di rivederci al
più presto. Grazie ancora a tutti quelli che hanno lasciato e
lasceranno un pensiero!
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