“So I know we haven’t talked in like, two years, and
that things ended pretty badly between us but what the fuck do you mean you’re engaged to be married” AU
Si era buttato sul divano non
appena era tornato da lavoro, estremamente esausto; era rimasto così, a
sfiorare lo schermo dello smartphone con il pollice senza un vero interesse,
scrollando attraverso i post del social network e cliccando ogni tanto su un
like o un commento, finché non si era accorto che la stanza si era fatta più
buia e il suo stomaco aveva brontolato insoddisfatto.
Con un sbuffo, si era alzato
controvoglia lasciando il suo compagno di serata tra i cuscini, desiderando che
rimanesse in silenzio, e aveva canticchiato in cucina mentre riscaldava nel
microonde i rimasugli della cena della sera prima.
Non era di cattivo umore, ma
la giornata plumbea che aveva passato aveva sicuramente inciso sulla sua solita
vitalità.
Riprese il suo posto preferito
sul divano, giusto all’angolo per poter stendere le gambe e avere una visuale
perfetta del televisore, il piatto di zuppa ben stretto in una mano e una
bottiglia di birra nell’altra – i vantaggi del vivere da solo consentivano
assolutamente di potersi stravaccare in quella maniera, ignorando il tavolo,
per una sera.
Riprese il cellulare in mano,
desiderando l’oblio della finta attenzione alle vite altrui, e ricaricò
l’homepage con un semplice gesto.
La notifica subito in altro
gli fece cadere il cucchiaio nella minestra, spruzzando alcune gocce in giro e
colpendolo sulla maglietta pulita, una parolaccia sibilata che gli scappò dalle
labbra.
«Minto Aizawa ha cambiato il suo stato a fidanzata ufficialmente con Sadao
Kimura.»
**
Continuava a rigirarsi nel
letto, gli occhi secchi infastiditi dalla luce dello schermo che non voleva spegnere.
L’ultimo messaggio che si
erano scambiati risaliva a circa un anno e mezzo prima, un messaggio di auguri
per il suo compleanno. Corto, conciso, al punto, cordiale come lei era sempre
stata per educazione. Si rese conto di non averle mai ricambiato il favore,
anche se poteva ricordare con precisione dove fosse quel giorno di ottobre.
Si massaggiò la fronte,
lanciando un’altra occhiata alla sveglia che scandiva le ore rimaste al suo
prossimo trillo.
Non sapeva se non si fosse
accorto che erano davvero passati quasi due anni dall’ultima volta che si erano
parlati parlati, o se aveva fatto
talmente il callo a relegare quel pensierino nell’ultimo angolo del suo
cervello che ormai era diventata una ottundente abitudine.
Eppure, se si sforzava,
riusciva ancora a ricordarsi il suo profumo.
Era finita talmente male, tra
loro due, che si era stupito di ritrovarsi gli auguri di buon compleanno, o tra
i riceventi della formalissima email con gli auguri di Natale – lei e quel suo
odioso cane col maglioncino colorato. Le urla e le liti di quegli ultimi giorni
gli potevano rimbombare ancora nelle orecchie, il ricordo delle porte sbattute
e delle sue lacrime che comunque gli inacidiva lo stomaco.
Quante volte si era chiesto
dove avessero sbagliato?
Si era meravigliato della
facilità con cui avessero smesso di parlarsi, carica del rancore che sapeva lei
provasse nei suoi confronti. Ma i chilometri che erano stati messi tra di loro,
culmine di tutti quei non detti che non avevano mai avuto il coraggio di
affrontare, avevano reso le cose più semplici. Aveva impacchettato i ricordi
insieme ai soprammobili di casa, e si era lasciato tutto alle spalle.
Eppure, gli affondava il cuore
nel ventre a fissare e rifissare quella riga sullo schermo.
Chissà perché non si erano
eliminati dai social network – si faceva così quando ci si lasciava, giusto?
Lui non ne aveva mai avuto il coraggio, e forse lei era sempre stata troppo
superiore a tutto per poterlo fare, per potergli dare quella soddisfazione di
fargli sapere che l’avrebbe infastidita continuare a vederlo. Non che entrambi
postassero chissà quanto, anzi, forse era la prima volta che vedeva da parte di
lei un così chiaro ed esplicito simbolo dei tempi moderni.
Aveva visto che lei si stava
frequentando con qualcuno, certo, aveva colto qualche segno qua e là (nemmeno
con lui aveva mai voluto condividere troppo, si ricordava di quanto l’avesse
punzecchiata perché insisteva a non cambiare, con lui, lo status), ma non aveva certo pensato che…
Due anni. Erano davvero
abbastanza per certe decisioni?
Si girò con uno sbuffo
sull’altro lato, il cellulare sempre stretto tra le mani. Poi era inutile
aggrapparsi a certe minuzie da Facebook, quando i problemi veri erano altri.
Una parte di lui ringraziava
di essersi trasferito in un’altra città, perché sapeva che il suo lato
impulsivo, quello che ancora faticava a maneggiare, sarebbe partito in quarta e
avrebbe solamente provocato casini. Con quale coraggio, poi. Era stato lui a lasciare lei, dopotutto, come poteva ora andare a recriminare che lei si
stesse ricostruendo una vita?
Cliccò sul nome del fidanzato, le sopracciglia aggrottate.
Aveva il profilo chiuso agli sconosciuti, ma la stessa dicitura sul profilo di
lei campeggiava in bella vista, aperta a tutti.
Da quanto poteva capire,
faceva parte anche lui del balletto del teatro. Una noce di disappunto gli
rotolò in gola, ricordando la fonte di molti litigi, il suo essere per nulla interessato a ciò che lei
faceva.
Non era mai stato vero, e lui
non era mai stato capace di dimostrarglielo.
Con uno sbuffo aprì l’icona
verde della chat, scorrendola veloce alla ricerca di uno di quei pochi contatti
che manteneva nella vecchia città. Non era ancora tardi e, come previsto,
l’ultimo accesso era di pochi minuti prima.
Mosse i pollici a pochi
millimetri dallo schermo mentre pensava a cosa digitare, così dal nulla.
Come previsto, non dovette attendere
per molto la risposta, la fragola accanto al nome che illuminò lo schermo.
Stai davvero cercando di fare il
finto tonto?
Lui sbuffò irritato – una vocina nella
testa che gli ricordava non fosse cortese rispondere con una domanda ad una
domanda – e scrisse velocemente.
Pensavo tu avresti saputo più di me di sicuro.
Poté quasi avvertire l’insicurezza di
Ichigo, immaginarla mordersi il labbro mentre se ne stava a gambe incrociate
nel letto, la testa un po’ piegata verso lo schermo, nel vedere che scriveva, e
si fermava, e poi riprendeva a scrivere diverse volte.
Kisshu… seriamente, dopo tutto
questo tempo, credo sia meglio per tutti che lasciamo perdere la cosa.
Digitò con furia sui tasti,
improvvisamente ancora più irritato di prima, stringendo le labbra.
La tua migliore amica si sposa e tu
lasci perdere?
Ichigo, questa volta, andò a colpo
sicuro.
Quando centri tu, si parla della tua ex-ragazza che
hai mollato due anni fa in maniera parecchio oscena prima di trasferirti a tre
ore da qua senza dire niente a nessuno, ex-ragazza con cui attualmente non
scambi parola da mai, quindi sì, direi che lasciamo perdere. Per te, per me,
per lei.
Lui lanciò il telefono da qualche
parte tra le coperte, si tirò il lenzuolo sul naso, e chiuse gli occhi.
**
Aveva trangugiato circa 6 tazze di
caffè a lavoro, e giocato non sapeva quante partite a Call of Duty online – voleva mettere molta distanza tra lui e il
record di Shirogane - ma ancora il
malumore non riusciva a passargli, così come non gli passava quel fastidioso
ronzio nell’angolino della testa.
Si tolse le cuffie con rabbia, la
testa ormai che gli pulsava. Non aveva pensato a lei così tanto da… mesi,
forse?
La pensava, ovviamente, ogni tanto,
sempre meno ultimamente, ma gli era impossibile non farlo mai. Era lei, dopotutto,
nonostante fossero così sbagliati. E comprendeva il suo egoismo nel realizzare
che non aveva mai pensato alla possibilità che lei potesse mai appartenere a
qualcun altro.
Non che avesse mai creduto sarebbero
potuti tornare insieme, visto i magri tentativi da parte di entrambi, ma
comunque…
Si decise ad agire come avrebbe sempre
fatto, ripescando il cellulare dalle pieghe del divano e aprendo la chat,
scorrendola veloce. Aveva cancellato tutte le conversazioni abbandonate più
vecchie di sei mesi, ma non quelle con lei. Non le apriva, era ovvio, c’erano
alcune ferite che ancora non potevano rimarginarsi, però traeva un certo
conforto nel sapere che comunque erano lì.
Esitò prima di toccare il campo di
digitazione, non volendo dare nessun indizio – come se poi le avrebbe mai tenuto i messaggi con lui, ma nemmeno per
sogno.
Poi fece un respiro profondo, pigiò i
tasti con cautela, spinse invio, e girò il telefono prima di poter vedere anche
solo le doppie spunte.
Ma dovrei farti le
congratulazioni con questa storia dei fidanzati?
Non guardare più il cellulare era una
cosa troppo da teenager, dall’alto dei suoi trent’anni. Continuava a battere i
talloni sul tappeto (quello che aveva scelto lei perché lui aveva il gusto di uno struzzo), muovendo
le gambe nervoso. Una parte di lui non si aspettava la risposta, ben conscio
che non se la meritasse.
Passarono dei minuti lunghissimi, col
telefono girato e la televisione accesa su un canale di brutti reality show,
che gli piacevano per staccare il cervello ogni tanto.
Solo quando tornò dalla pausa
obbligata in bagno si decise a controllare.
Farò finta di pensare che siano sincere, e ti
ringrazio cordialmente.
Gli venne da ridere. Cos’avrebbe mai
dovuto fare per scomporre Minto Aizawa?
(Una vocina nella testa gli ricordò
che in realtà lo sapeva molto bene.)
Perché mai non dovrebbero essere
sincere?
Lasciò aperta la conversazione questa
volta, guardando quella foto in tutù che lei non aveva mai cambiato in tutto
quel tempo, il cuore che batteva rumoroso contro il petto ad ogni secondo di
quello sta scrivendo…
Già.
Aspettò qualche istante, prendendo una
decisione a cui non aveva ancora pensato prima d’ora e per cui sapeva si
sarebbe pentito presto.
Torno a casa a trovare i miei, questo
fine settimana. Ti va se ci salutiamo con un caffè?
Già si immaginava dover spiegare un
sacco di cose a sua madre. E a Pai.
Attese impaziente, le dita sudate
nonostante la sua casa fosse un po’ troppo fredda per i suoi gusti.
Ti dovrei dire di no.
Ma non ti meriti nemmeno di essere ignorato da
me.
Domenica mattina,
al parco. Offri tu il caffè.
Lui rise ancora, un moto di soddisfazione
e il vago sentore di essere sperduto che lo colsero allo stesso momento. Mandò
un ultimo smiley come risposta affermativa, e bloccò lo schermo, stendendosi
all’indietro sul divano.
Ora doveva chiamare sua madre.
**
Era più freddo, nella sua
città natale, di quanto si ricordasse. Oppure era l’effetto della lentissima
digestione che stava ancora subendo dopo che sua madre, per due giorni, l’aveva
rimpinzato a forza di quello che lei chiamava “cibo vero”.
Si strinse di più la sciarpa
di lana attorno al collo, il fumo della sigaretta che si mescolava al vapore
del suo fiato, lanciò un’occhiata all’orologio che portava al polso. Era
arrivato con estremo anticipo, alcune farfalle d’ansia nello stomaco, ma lei
sicuramente non sarebbe stata in ritardo.
Rimase seduto sulla panchina,
tracciando con le dita le incisioni del tempo e di qualche innamorato vecchio
stile che aveva preferito un coltellino al solito pennarello. Il parco era
semideserto vista la giornataccia, le pesanti nuvole grigie cariche d’acqua e
di minacce che coprivano il cielo e precludevano qualsiasi raggio dal
riscaldare un po’ l’aria.
Il rumore dei passi leggeri
sul ghiaino lo fece voltare, il gelo che stringeva sempre di più la pancia
dall’interno, e si alzò in piedi con un mezzo sorriso.
Minto non era più bella di
come se la ricordava; era semplicemente lei, avvolta da un cappotto blu
dall’aria calda e costosa, una bella sciarpa rossa attorno al collo e le mani
infilate a fondo nelle tasche. Non che a lui mancasse vedere cosa potesse
esserci sulle dita.
«Ciao… passerotto,» aveva esitato
sull’ultima parola, incerto se potesse davvero pronunciare il suo nome, «Ti
trovo bene.»
Minto si fermò a qualche cauto
passo da lui, guardandolo con aria truce: «Ciao, Kisshu. Vedo che le vecchie
abitudini non ti hanno abbandonato.»
Lui rise piano, dando un
ultimo tiro alla sigaretta e lanciandola per terra prima di schiacciarla col
piede: «Il lupo perde il pelo…»
Raccolse il mozzicone al suo
sguardo inviperito, allontanandosi per gettarlo in uno dei cestini appositi.
«Pensi di venirmi a salutare
per bene?»
Lei rimase ferma immobile, la
schiena dritta e l’aria seria: «Non mi piace quando fumi.»
«Potrebbe non piacermi la tua
novità.»
«Mi hai lasciata tu, se ben
ricordo.»
«Non che tu abbia fatto niente
per evitarlo.»
Minto si strinse nel cappotto,
spostò il peso da un piede all’altro: «Non sono qui per recriminare il passato.
È successo e basta, e ci sono state tante cose di mezzo.»
«D’accordo, d’accordo,
tregua,» Kisshu si riavvicinò a lei, ma mantenne lo stesso una distanza di
sicurezza «Vogliamo andare a prenderci quel caffè?»
Lei si guardò i piedi: «No, è…
è meglio di no. Preferisco stare qua.»
Kisshu la fissò incuriosito:
«Qua si gela, passerotto.»
«Ho un nome che ora più che
mai dovresti imparare ad usare.»
Lui esalò già esausto, aveva
perso l’abitudine alla sua testardaggine che una volta aveva trovato adorabile:
«Possiamo almeno farci una passeggiata? Tra un po’ mi coleranno dei ghiaccioli
dal naso.»
Minto annuì e si incamminò
davanti a lui, le mani sempre infilate nelle tasche e l’aria concentrata. Il
ragazzo le si affiancò da lontano, ben attento a non sfiorarla, e camminarono
insieme in silenzio, incerti su cosa dirsi dopo tutto quel tempo, consci di
com’erano andate le cose tra di loro.
«Volevo ringraziarti di aver
accettato di rivedermi,» iniziò poi lui dopo svariati minuti con il solo rumore
dei loro passi sul sentiero, «So che non è esattamente la tua cosa preferita.»
«È ora di lasciarsi molte cose
alle spalle,» rispose lei sottovoce, «Non ci siamo mai salutati, dopotutto.»
«Come stanno tutti?»
«Bene,» Minto si fece scappare
un sorriso, «Seiji è diventato direttore responsabile, ora mamma e papà passano
molto più tempo a casa e posso vederli di più. Sto anche per diventare zia,
sai?»
Kisshu sorrise: «Natsumi è
incinta?»
«Quasi otto mesi. Sarà un
bambino di Natale.»
«Falle le mie congratulazioni
allora… se vuoi.»
«E credo saprai tutto delle
altre,» Minto sembrò ignorare quell’ultimo commento, «Soprattutto con Pai e
Taruto…»
«Posso vantarmi di essere
stato il secondo a ricevere la foto del primogenito Shirogane appena nato,» lui
rise, poi esitò: «E come sta -?»
«No,» Minto rispose
velocissima e secca, «Lascia perdere.»
«Quando lo posti con tutte le
fanfare su Facebook, è un po’ difficile lasciar perdere.»
Lei fece dei grandi passi in
avanti per allontanarsi da lui prima di fermarsi di colpo e voltarsi: «Invece
sì. Non ti riguarda. Non più.»
Kisshu la fissò, e più
guardava quei grandi occhi marroni più si rendeva conto del lontano e sordo
dolore: «Voglio solo assicurarmi che tu… tu stia bene. E sia felice.»
«Perché?» Minto risultò buffa
ad allargare le braccia senza mai togliere le dita dal cappotto «A te che te ne
viene, eh? Non ti dovrebbe importare. Non dovresti nemmeno essere qui. Io non
dovrei nemmeno starti ad ascoltare.»
Lui iniziò a percepire una
linea di irritazione montargli in corpo: «Perché sia quello che sia, ma sei tu,
Minto. E in questo momento mi importa. Mi è importato di Ichigo, mi è importato
di Retasu, mi importa di te.»
«Be’, lascia perdere,» abbaiò
lei, «Io sto bene. Meglio di come sono stata da un sacco di tempo a questa
parte. Tutto va esattamente come dovrebbe andare.»
Un soffio di vento gelido
portò a lui un alito del suo profumo: «Sei sicura?»
La vide rabbrividire, le
guance rosse, gli occhi pieni di quella rabbia che aveva imparato a conoscere: «Non
lo amo come ho amato te. Non sarebbe possibile. Ma ho smesso di fare i tuoi
giochetti, Kisshu. Non ho più voglia di giocare.»
Lui annuì, le mani infilate in
tasca che si rilassarono: «Forse l’abbiamo sempre saputo che non saremmo mai
riusciti a funzionare come avremmo voluto. Forse era quello il vero problema.»
«Ti ci sono voluti due anni di
silenzio per arrivare a questa romantica conclusione?»
Kisshu ghignò alla familiare
cattiveria: «Ripeto, non che tu abbia fatto meglio.»
«Ero stanca di essere l’unica
a doversi rimboccare le maniche.»
«Non è vero, e tu lo sai.»
Minto alzò gli occhi al cielo:
«Basta, Kisshu. È ora che me ne vada.»
Lui fece un cenno di assenso
con la testa: «Almeno ora avrai il tuo matrimonio di maggio, con le rose
bianche e quella montagna di tulle e pizzo addosso.»
«Settembre,» la ragazza lo
corresse senza quasi pensarci, lo sguardo rivolto verso il lago grigio, «Sarà a
settembre, e il vestito di Vera Wang.»
«Terrai almeno i capelli
sciolti?» le chiese con un sorriso sardonico che gli fece guadagnare
un’occhiataccia.
«Vedremo.»
Kisshu fece qualche passo in
avanti, fino ad arrivare a un braccio da lei: «Sarai una sposa magnifica. È un
uomo fortunato.»
Lei lo fissò: «Lo sa.»
Lui sorrise, le tese la mano: «È
stato bello rivederti.»
Minto sbatté lentamente le
palpebre, accettando la sua stretta con cautela: «Anche per me.»
«Buona fortuna per tutto.»
Le lasciò appena un bacio
sulla guancia, così veloce da non scalfire il freddo, e si allontanò
velocemente da lei, divertito dalla sua espressione corrucciata.
«Non fare troppi casini,
Ikisatashi,» la sentì esclamare alle sue spalle, e senza voltarsi indietro alzò
solo una mano in segno di saluto.
Era ora di tornare a casa.
**
Si buttò a peso morto sul
divano, facendo rimbalzare i cuscini senza curarsene, troppo concentrato sul
pulsante del condizionatore, salvavita per il caldo inaspettato di fine
settembre.
Tirò fuori il cellulare dalla
tasca, pronto a qualche minuto di totale, pigra, accaldata indolenza, cominciò
a scorrere i vari post, fintamente interessato.
Quando la home si riaggiornò,
alzò il dito dallo schermo.
«Ichigo Momomiya ha aggiunto tre nuove foto all’album Caricamenti da
cellulare: Live dal matrimonio di Minto
e Sadao! <3»
Sorrise appena nel vederla
sorridere, impostata ed impeccabile, nell’abito di cui gli aveva sempre
parlato. Aveva i capelli sciolti.
Chiuse l’app, e spense lo
schermo.