Prologo 2
Prologo
“Sono
convinto che la motivazione più autentica, quella
però che meno traspariva dai discorsi ufficiali, fosse la
formidabile potenza conseguita da Atene e l’apprensione che
ne derivava per Sparta: e la guerra fu inevitabile.”
[Tucidide,
Sulla Guerra del
Peloponneso]
Al
centro della sala vi era un enorme tavolo da strategia. Non si
trattava di un semplice tavolo con una mappa inchiodata sopra, ma di
una superficie su cui mani esperte avevano modellato una vera e propria
mappa topografica in rilievo. Vi erano monti appuntiti, alti un palmo,
e valli talmente profonde da quasi trapassare la superficie lignea. I
fiumi
erano veri e propri solchi in cui turbinava acqua cristallina, messa in
moto da un silenzioso meccanismo nascosto, tracciando solchi
fra delle volte spessi come un dito, altre volte sottili come
un capello. La mano attenta di un pittore aveva applicato tinte vivaci
ove vi erano campi coltivati, stuccato con minuzia di bianco i templi e
le case, applicato un marrone intenso sulle montagne e tinto di verde e
giallo le scogliere ricoperte di macchia mediterranea.
La Grecia stessa
sembrava aver preso vita grazie ad un fine lavoro di altissima
qualità
artistica, mai corroso dal tempo o dalle termiti. Una pedina di rozzo
legno quadrato, la cui lavorazione era grossolana, venne
trascinata sul tavolo in direzione di una bianca città, che
sorgeva su
un promontorio. La parte inferiore del tavolo fungeva quasi
esclusivamente da conca per il mare, che s'increspava ad ogni minima
vibrazione, costellato da innumerevoli isole, anch'esse decorate
attentamente. L’acqua faceva risplendere le case
bianche, ma ancora di più, rendeva fulgidi come il sole
dodici
edifici
dorati, posti sulla sommità della città. Un altro
quadrato, della
stessa rozza fattura, venne posto dietro i dodici edifici
d’oro,
mentre
un triangolo ligneo venne posizionato a pochi centimetri dal candido
tempio che
sovrastava la cittadina.
<<
… e così facendo, il Santuario
sarebbe accerchiato. Non sarà difficile
marciare su Atene. >>
Otto persone, sette uomini e una donna, erano in piedi attorno al
tavolo. Uno di loro era chino sulla mappa, intento a muovere le pedine,
alzando lo sguardo per soffermarsi sui volti dei presenti, girandosi
poi verso un foglio di pergamena, afferrare un pennino di
legno ed intingenrlo in un barattolino d'inchiostro. A lungo nella
sala, tranne che per il crepitare di candele ormai consumate, il
grattare della superficie acuminata del pennino sulla pergamena fu
l'unico suono udibile.
Gli uomini
indossavano enormi mantelli rossi, drappeggiati sulle spalle e fermati
da pesantissimi spallacci corazzati, tradendo le armature che portavano
nascoste dai mantelli. Bastava un movimento ampio del braccio per
rivelarle con un fruscio ovattato. Erano armature nere come la notte,
con elegantissimi dettagli di bronzo argentato. Non avevano elmi, ma
soltanto una spessa corona metallica a protezione della fronte. Quasi
tutti avevano i capelli scuri, e la pelle bruciata dal sole. Due di
loro, tuttavia, avevano un aspetto estremamente peculiare, e spiccavano
nella scura sala.
Uno di loro si distingueva per la statura, che lo
faceva troneggiare di alcune spanne sopra gli altri, con
lunghi capelli biondi intrecciati sulle tempie e vibranti occhi verdi,
le guance coperte da una
folta barba. Il volto severo era segnato da una cicatrice che
gli
attraversava quasi
orizzontalmente il naso, dando al volto un'aspetto ancora
più
provato.
L’altro era decisamente più basso ed
esile,
il capo sormontato da una rossa zazzera incolta, il cui colore sembrava
riprendere lo stesso dei mantelli sanguigni. La
parte sinistra del suo volto era orribilmente sfigurata a causa di
diverse, enormi cicatrici, e il suo occhio sinistro era totalmente
cieco e bianco. Il lato destro del viso, invece, era
miracolosamente
integro, reso vivace da un occhio ceruleo che tradiva la giovane
età
del guerriero e la sua passata bellezza. Questi due, a differenza degli
altri uomini, tradivano un leggero nervosismo, gli occhi fissi sul
tavolo da strategia. Il rosso alzò lo sguardo sull'unica
donna
in sala, avvolta da una pomposa veste nera, che guardava con vivace
interesse le pedine.
Lunghissimi capelli canuti le ricadevano sulla
schiena come un manto di luce,lisci come seta, donando
luminosità ad un volto pallido, dai tratti delicati e
splendidi,
decorato da una bocca rossa come il sangue e occhi dello stesso colore,
coronati da folte ciglia bianche. Una bellezza fredda e divina, capace
di incatenare il cuore di qualunque uomo con un battito di ciglia. Le
mani bianche, che spuntavano da ampie maniche ornate di pizzo, erano
serrate sul bordo del tavolo, il volto concentrato. Il silenzio regnava
sovrano nella stanza, illuminata soltanto da gruppi di candele
appoggiati su nicchie scavate nei muri.
<< Mia
signora…
>>
azzardò il ragazzo sfigurato, mentre un sudore freddo gli
percorreva la
schiena. Ella, dopo un attimo di assoluta immobilità, si
girò verso di lui con un movimento lento e calcolato.
<< Hai
qualcosa da aggiungere alla tattica?
>> Chiese
freddamente, con voce monocorde, fissando i suoi occhi inumani in
quello azzurro del soldato. Lui non diede segno di cedere sotto quello
sguardo, prendendo il coraggio di parlare che fino a poco prima gli
mancava, aggrottando le sopracciglia e aprendo le spalle. Fece qualche
passo, aggirando il tavolo, arrivando di fronte
ai dodici templi dorati presso i quali erano state sistemate le pedine.
Allungò un braccio fuori dal matello, l'elaborata armatura
che
copriva tutto l'arto risplendeva alla luce tremolante delle
candele, posando le lunghe dita bianche su un particolare gruppo di
pedine.
<< Profetessa, nessuno ha preso in
considerazione il
villaggio
di Rodorio. So che le Sacerdotesse di Athena vi vivono, ma sono
perlopiù civili ad abitarvi. Dovremmo permettere ai
cittadini di fuggire
prima di attaccare, ma con la tattica proposta gli tagliamo ogni via di
fuga. Propongo di lasciare libere le vie verso la Beozia, in modo da
limitare il più possibile i danni collaterali e dare modo
all'esercito di mettere in salvo la popolazione. >>
Disse
togliendo le pedine a nord, lasciando così un corridoio
libero.
Lei osservò con posata sorpresa la nuova disposizione delle
truppe, come se non avesse minimamente calcolato la questione
giustamente sottolineata dal guerriero. Senza dire alcuna parola, si
avvicinò al ragazzo, senza staccade gli occhi dal tavolo. Il
suono acuto di tacchi che colpivano il pavimento scandiva con cadenza
regolare il tempo che sembrava essersi fermato. Avanzava con grazia, la
postura fiera e nobile di una leonessa, la postura di chi sa di
stringere il mondo fra le mani, e di poterlo demolire con un singolo
schiocco di dita. Il rosso prontamente si scansò, attendendo
le
nuove direttive del superiore. Occhi sanguigni si scontrarono con
l'azzurro cielo, prima di rivolgere la loro crudele attenzione al
tavolo.
<< Takis.
Questa tua strategia comprometterebbe la
riuscita della battaglia?
Perchè mi sembra che tu stia dando tempo al nemico per
organizzare una difesa.>> Chiese con voce
fredda.
Improvvisamente, nella stanza sembrava
essere sceso un gelo mortale. L'uomo intento a scrivere sulla pergamena
si fermò, osservando con sguardo severo il ragazzo. Takis si
prese qualche secondo per realizzare ciò che era appena
successo, allargando gli occhi. Dall'altro lato del
tavolo, il biondo si stava mordendo un labbro.
<< Signora,
dobbiamo permettere a donne, bambini, anziani
e
malati di scappare. Combattere per il sommo Ares e per te è
il
più alto onore a cui io possa aspirare. >>
disse chinando
rispettosamente il capo, portandosi una mano chiusa a pugno sul petto
in segno di sottomissione, così da nascondere gli occhi
spalancati e i denti stretti. <<
Ma fin dall'alba dei tempi
ci siamo
dimostrati caritatevoli verso i più deboli. La nostra
missione
è dominare i campi di battaglia, e il nostro esercito
è
potente. So che lasciar andare i civili ci porterà via del
tempo
prezioso, ma se agiremo velocemente e con il pugno di ferro avremo
comunque un'altissima probabilità di conquistare la
città
in appena un giorno. >>
La Profetessa rimase ferma, facendo
saettare gli
occhi da Takis al tavolo da strategia. Poi, con un movimento deciso,
posizionò nuovamente le pedine a sbarrare il percorso. Takis
serrò la mascella, temendo ciò che sarebbe
accaduto di
lì a breve.
<< Non ho
mai parlato di voler risparmiare i civili.
>>
Dichiarò con voce decisa, i tratti del volto impassibili.
Qualcosa nello stomaco dei presenti si contrasse, mentre le mani si
facevano tremanti.
<< Hai idea
dell'effettiva forza del
nostro nemico? Se
lasciassimo fuggire
i civili, loro avrebbero
modo
di organizzare una difesa. La nostra vera arma è la
sorpresa.
Colpiamo forte, così forte da non lasciargli il tempo di
tirare
il fiato. Disseminiamo il panico fra le loro fila, facciamo urlare di
terrore i loro figli e le loro mogli. Radiamo al suolo la
città,
appicchiamo fuoco ai loro monumenti, appendiamo i loro cadaveri agli
archi di trionfo, rendiamo schiavi i loro più illustri
cittadini. >>
Qualcosa nel volto impassibile della donna si era svegliato, una luce
feroce negli occhi che contrastava con la sua bellezza eterea.
L'istinto del cacciatore deciso a portare a casa la sua preda.
Il silenzio era divenuto insopportabile. I sette guerrieri potevano
sentire chiaramente i battiti del cuore farsi flebili, le orecchie
ronzare. L'acqua che scorreva sul tavolo rombava come la più
violenta delle cascate,
<< Non ci
è stato forse comandato dal nostro
signore Ares? Non è stato lui stesso a chiedere questo
tributo di sangue? >>
rimbeccò lei. Due occhi rossi, talmente fulgidi da
risplendere anche nella penombra della stanza, fulminarono da parte a
parte i presenti, che a fatica non distolsero lo sguardo, mantenendo la
loro fiera postura.
<< Se Egli
vi comandasse di buttarvi dalla Rupe Sacra,
voi lo fareste? >> Chiese alzando la voce,
il tono
incrinato. <<
Se Egli vi chiedesse di sacrificare vostra
madre sull'altare, voi lo fareste? >>
Esclamò
la donna, già conoscendo la risposta.
Un cosmo nero, sporco,
talmente bruciante da costringere i presenti a fare un passo indietro,
si sprigionò dalla donna. La sua capigliatura canuta
risplendeva sugli
abiti neri che indossava, ma mai quanto quelle terribili fontane di
sangue che aveva al posto degli occhi.
<< Che il
sommo Ares mi uccida con la sua lancia, che
l’ultima cosa che i
miei occhi vedranno sia il suo cimiero spaventoso se egli non mi
assiste in questa impresa. >> Con
passi lenti,
esasperati, la Profetessa
prese a fare il giro del tavolo, avviandosi verso la porta. I sette
uomini si scambiarono uno sguardo d'intesa, prima di dirigersi verso di
lei, inginocchiarsi a terra formando una V, il mento sul petto. Lei si
fermò, girandosi verso i suoi guerrieri. Essi potevano
sentire il suo cosmo strisciare sulla loro pelle come un serpente,
insinuandosi nelle loro menti e piegando i loro muscoli come se fossero
vittime di una presa ferrea.
<< Non
avremmo paura di scendere negli Inferi e gettarci
fra le fauci di Cerbero se ci venisse comandato. >>
esclamò il guerriero che poco prima stava scrivendo sulla
pergamena, la cui posizione lo rendeva il vertice della formazione. La
donna sembrò compiaciuta a sentire quelle parole, lasciando
vagare il suo sguardo in alto, verso il soffitto immerso nelle tenebre.
<< Il Dio
della Guerra ha già calato la sua
ascia sulla nefanda città di
Atene. Essa diventerà un cumulo di cenere dopo che il nostro
esercito
vi sarà passato sopra. Nemmeno il più misero filo
d’erba riuscirà a
crescere in mezzo a tale desolazione. Uccideremo gli uomini e le donne,
i vecchi e i bambini. Chi si frapporrà fra noi e la vittoria
sarà gettato dalla Rupe come tributo alla vittoria. Questo
è quello che Ares mi
ordina di fare. E questo è quello che farete, miei
cavalieri. >>
Takis aveva stretto i
denti in una smorfia irata, trattenendo con enorme sforzo ogni singola
parola che avrebbe voluto urlarle in faccia, mentre il gigante biondo
aveva un’espressione più rassegnata.
Non usciremo mai di qui.
Non potremo far altro che lasciare che il sangue ci sommerga.
<<
Combatterete al mio fianco, cavalieri? Mi dimostrerete
la vostra fedeltà in questa impresa?! >>
esclamò lei, i capelli che seguivano il movimento concitato
del braccio puntato verso i sette, con la stessa energia con la quale
li avrebbe condotti in battaglia.
<< Come
abbiamo giurato sulle tombe dei nostri padri, noi
ti saremo fedeli
fino alla morte, o Elektre, Profetessa del sommo Ares, Regina di Sparta.
>>
Angolo Autrice:
Ebbene.
Ci sono ricascata.
Alcuni di voi forse
hanno riconosciuto questo prologo. Appartiene alla mia vecchia fic
"Cronache della Seconda Guerra del Peloponneso". Dire che sono
letteralmente innamorata di questa storia è un eufemismo, ma
mi sono ritrovata a doverla cancellare per alcune, evidenti ragioni.
Innanzitutto, era
scritta con i piedi. Credo che il mio stile sia di gran lunga
migliorato rispetto a quando l'ho pubblicata, e rileggendo i capitoli
mi è venuta la pelle d'oca per la poca cura che ho messo
nella scrittura di quei quattro capitoli. Tralascio inoltre il modo
grossolano con cui avevo strutturato la narrazione.
Ho deciso quindi di
riscrivere i capitoli già pubblicati, e di impegnarmi nella
riformulazione della linea narrativa per poter finalmente scrivere la
lunga fiction che ho sempre sognato.
Come
da copione, ogni recensione è una piccola gioia per me, sia
pure per lasciare un commento da dieci parole.
Spero
sinceramente che questa storia possa esservi di gradimento.
Alla
prossima,
Black
Ink Velvet
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