「
Brookline, Boston, 12th June
h. 03:24 p.m. 」
Epilogue
«Ecco, e invece questo è il piano
superiore!»
Un uomo sulla cinquantina, non particolarmente alto e dalla corporatura
robusta, prosegue con passo deciso attraverso un lungo corridoio dalle
pareti color crema. La sua voce è squillante, più
alta del normale di qualche ottava, forse la visita che ha ricevuto lo
entusiasma più di quanto si potesse immaginare.
Alle sue spalle altre due figure lo seguono, quella di un uomo di
all’incirca la sua stessa età, alto e dal fisico
asciutto, e quella di un giovane, forse più magro del
dovuto, mentre la statura è all’incirca nella
norma.
«E qui, uhm, che stanze ci sono?» domanda Ray, la
coda di cavallo castana che oscilla inquieta. Jude riesce quasi ad
intravedere alcuni capelli bianchi, fili d’argento che
sembrano scie di stelle rimaste impigliate nella sua chioma; nonostante
tutto, non può fare a meno di valutare che non gli stiano
affatto male, e che anzi gli donino ancor più fascino di
quanto già non ne abbia, ai suoi occhi.
È certo infatti di star osservandolo con sguardo ammirato,
per cui spera solo che suo padre non se ne accorga –
considerando tuttavia quanto il neo-governatore Sharp sia sempre
così concentrato sul suo lavoro anche mentre si occupa
d’altro, Jude non può fare a meno di trovare
questa possibilità piuttosto remota. Al contrario, se
c’è una cosa che ha notato, quella è
senza ombra di dubbio l’imbarazzo con cui
l’insegnante si sta approcciando alla situazione in cui ora
si trovano: in un primo momento Jude aveva creduto che fosse dovuto
all’elevato ruolo sociale di suo padre, tuttavia adesso sta
cominciando a credere che si tratti di ben altro.
«Le camere da letto – due padronali, tre per gli
ospiti – e due bagni. Ah, e lo studiolo,
ovviamente» risponde Jude, quasi in automatico. Questo gli fa
guadagnare uno sguardo pieno di sollievo da parte di Ray, a cui non
può che rispondere con un sorriso sincero.
In quel momento, il telefono del padre del ragazzo inizia a squillare.
«Oh» commenta l’uomo, controllando
rapidamente di chi sia il numero che lo sta chiamando
«vogliate scusarmi, è il mio ufficio
stampa…»
Nemmeno un secondo dopo ha già risposto, mentre comincia ad
allontanarsi lungo il corridoio.
Ray si limita ad inarcare le sopracciglia.
«Questo fondamentalmente è il motivo per cui
litigavamo di continuo, fino a qualche tempo fa» commenta
Jude, con un sospiro stanco.
«Ah, davvero? E io che credevo che fosse perché
avevi smesso di frequentare la scuola e te ne andavi in giro con una
banda di teppisti…» precisa Ray, senza nascondere
il sarcasmo.
Jude si volta a lanciargli un’occhiataccia, tuttavia il
professore alza le spalle, rivolgendogli un sorriso irresistibile.
«Allora, che ne dici di mostrarmi la tua stanza?»
propone, senza perdere quell’espressione incoraggiante.
Jude, al contrario, non sembra poi così entusiasta.
«Ah, sì. Okay» commenta, con un leggero
sbuffo, per poi voltarsi mentre afferra la mano dell’uomo e
prosegue attraverso il corridoio.
Ray lo osserva di sottecchi, con un solo sopracciglio inarcato e un
sorriso divertito stampato sul volto. Certo che il suo ragazzo
è davvero buffo, quando si arrabbia…
ciò non toglie tuttavia che resti comunque dolcissimo, per
lui.
Nel frattempo Jude continua a trascinarlo, superando in fretta diverse
porte. Suo padre è scomparso, probabilmente si è
ritirato nello studio. “Poco importa” mormora tra
sé il ragazzo.
Decide di arrestarsi solo quando ha ormai raggiunto la fine del
corridoio. Abbassa la maniglia della porta alla sua destra con un
movimento fluido e naturale, mentre si lascia scivolare
all’interno della stanza.
Ray valuta che la tranquillità con cui Jude e suo padre si
muovono all’interno di quella casa così immensa
gli pare innaturale; d’altronde però, lui
è solo alla sua prima visita lì, probabile che ci
metterà dei mesi per imparare a muoversi là
dentro con almeno un minimo della loro agilità. Anche Jude,
che per quasi un anno non ha varcato la soglia
dell’abitazione, cammina con una sicurezza disarmante, mentre
se pensa ai propri passi li trova così goffi e impacciati.
Evidentemente, è impossibile dimenticare certe cose, dopo
che le si ha imparate, anche a distanza di molto tempo.
In fin dei conti, però, deve ammettere di aver
particolarmente apprezzato la sua guida, soprattutto in
quest’ultimo tratto in cui sono rimasti da soli, al che
decide che Jude si è decisamente guadagnato un premio.
Non appena la porta si chiude alle loro spalle, infatti, Ray fa
scattare la chiave all’interno della serratura; un secondo
dopo le sue mani sono già sui fianchi del ragazzo, con
l’intento di indurlo a voltarsi nella sua direzione.
«Adesso puoi anche smetterla di tenermi il broncio, non me lo
merito» gli fa notare, giusto un secondo prima di poggiare le
labbra sulle sue.
In un attimo di smarrimento, gli occhi di Jude si dilatano a dismisura,
salvo poi chiudersi subito dopo, pronti ad abbandonarsi alle sensazioni
piacevoli scaturite da quel bacio. Come ogni altra volta, quel contatto
è così dolce e delicato, come petali di rosa
umidi di rugiada mattutina che si sfiorano, lentamente.
Si separano appena, le punte dei nasi che si sfiorano, mentre entrambi
sorridono, rilassati. Le guance di Jude sono leggermente arrossite,
davvero non si aspettava quella dimostrazione d’affetto.
«Ti amo» mormora Ray, accarezzandogli i capelli.
Jude abbassa lo sguardo, in imbarazzo.
«Si può sapere come ti è uscita questa
dichiarazione così, all’improvviso?»
domanda, le guance ormai irrimediabilmente in fiamme.
«Beh» Ray solleva il volto del ragazzo con
l’indice, riempiendogli le guance rossissime e bollenti di
baci «non saprei, forse la maglietta che ti sei messo oggi mi
ha ispirato.»
In un primo momento, Jude resta nuovamente spiazzato –
possibile che quell’uomo debba sempre lasciarlo a corto di
parole? – così è costretto ad abbassare
lo sguardo. Non ricorda nemmeno come si sia vestito, quel giorno, non
ha mai fatto particolarmente caso alla scelta dei propri abiti.
Dopotutto, chi l’apprezza lo fa indipendentemente da
ciò che ha indosso o meno, no?
Le solite scarpe basse bordeaux da skater, perché le vecchie
abitudini sono sempre dure a morire, un bermuda color cachi e una
semplicissima t-shirt blu. Continua a non avere idea del
perché Ray sia così entusiasta di quella
maglietta – forse gli mette in risalto il fisico asciutto?
– fino a quando l’uomo non lascia scivolare le dita
sul tessuto morbido dell’indumento, all’altezza del
petto del ragazzo.
E Jude capisce che è per via della stampa.
Grandi lettere maiuscole, dal carattere leggermente rovinato per
conferirvi un aspetto antico e di un bianco accecante, ruotano attorno
ad uno stemma cremisi; all’interno di quest’ultimo,
fanno bella mostra di sé tre libri, sulle pagine di ognuno
dei quali è stata riportata una sillaba della parola latina
“veritas”, verità.
«Harvard» commenta Ray, riconoscendo fin troppo
bene il simbolo. «Ti piacerebbe andarci?»
Le guance di Jude tornano a tingersi di rosso, bollenti come due
piccoli falò accesi nella note.
«A dire la verità non ci ho mai pensato»
ammette, abbassando lo sguardo. «Dopotutto, ho ancora due
anni per pensarci bene prima di decidere, no?»
Ray gli accarezza le guance ustionanti, un sorriso lieve che gli spunta
sulle labbra. Fino al mese precedente non gli sarebbe sembrato
possibile essere lì, con il ragazzo che ama, a parlare di
quale università avrebbe frequentato in futuro. Con le dita
sfiora lievemente la schiena di Jude, sospingendolo con lentezza a
distendersi sul letto alle loro spalle.
I loro corpi atterrano sul materasso; entrambi distesi, sono
così felici, le labbra di uno nuovamente a pochi centimetri
da quelle dell’altro, il che fa sorridere ancora una volta
tutti e due.
«Harvard è stata anche la mia
università» gli confessa Ray, massaggiando con
levità il volto del ragazzo, partendo dalla zona sotto
l’occhio sinistro fino ad arrivare alle labbra. Non
riuscirà mai a comprendere se lo confondano maggiormente
quelle spettacolari iridi rosse oppure le sue labbra morbide.
È più probabile che siano entrambe a sconvolgerlo
così tanto – o forse anche solo la semplice
presenza del ragazzo basta e avanza a mettere fuori gioco anche
l’ultimo briciolo della sua razionalità, chi lo sa.
«Ah, davvero?» lo provoca Jude, le labbra che si
arricciano per via del piacere che quel massaggio rilassante gli sta
infondendo. «Il college dei cervelloni, tipo Mark Zuckerberg
e Bill Gates?»
«Già» risponde Ray, ignorando il
punzecchiamento, per poi affondare il volto nel collo del ragazzo,
così che mentre continua a parlare le sue labbra possano
sfiorargli sensualmente la pelle. «Sono sicuro che
riusciresti a entrare senza troppi problemi.»
«Io invece ne dubito» ammette Jude con un sospiro,
le guance che tornano ad arrossarsi. «Vengono accettate
pochissime persone, bisogna avere una media e delle referenze
inattaccabili… e dopo tutti i giorni di assenza che ho
collezionato quest’anno non so se riuscirò davvero
a farcela…»
Ray puntella i gomiti sul materasso, tirandosi appena un po’
più su, così da poter osservare il suo ragazzo
negli occhi. Al momento Jude ha un’espressione
così affranta da spezzargli il cuore, tuttavia non riesce ad
impedire ad un sorriso di spuntare sul proprio volto.
«Jude» lo chiama, quel nome che esce dalle sue
labbra con un soffio leggero. Ama il modo in cui le lettere che lo
compongono rotolano sulla sua lingua, e poi scivolino giù
lungo il palato. «Assieme a tuo padre siamo –
faticosamente – riusciti a giustificare la tua lunga assenza
dalla scuola a forza di certificati medici. Per fortuna i tuoi voti
sono sempre stati altissimi, quindi non hai avuto troppe
difficoltà. Abbiamo trascorso praticamente tutto
l’ultimo mese sui libri, per cui voglio seriamente sperare
che gli sforzi che abbiamo fatto per recuperare in pochi giorni il
programma di un anno e per fare verifiche anche a giugno pur di non
farti rimandare siano quantomeno valsi a qualcosa.»
Jude abbassa nuovamente lo sguardo, stavolta non per imbarazzo,
bensì per riconoscenza.
Notando che il ragazzo si è fatto di colpo cupo, Ray si
affretta a sollevargli il volto, rivolgendogli il suo sorriso migliore.
«Ehi… non devi fartene una colpa» lo
rassicura, appoggiando dolcemente la fronte sulla sua. «Non
era una cosa che rientrava nel tuo controllo, e questo lo sappiamo
perfettamente entrambi. Abbiamo ancora due anni molto intensi che ci
attendono, vedrai che andrà sempre meglio. Se vuoi uno di
questi giorni posso accompagnarti lì, dista solo
un’ora di macchina da Boston, e poi credo che ci siano ancora
alcuni dei professori che hanno fatto lezione anche a me. Puoi
parlarci, se la cosa ti rassicura… vedrai, sono delle
persone gentilissime. Poi posso passarti tutti i miei vecchi libri e
depliant informativi, li ho conservati nel corso degli anni nella
speranza che mi sarebbero tornati uti—»
Ray non fa in tempo a finire la frase, perché Jude gli ha
già gettato le braccia al collo, attirandolo ancor
più verso di sé. Finisce così con
l’affondare il volto all’interno dei capelli
cespugliosi del ragazzo, il respiro accelerato che s’infrange
contro la nuca del giovane e il cuore che gli batte
all’impazzata all’interno della cassa toracica.
«Ti amo» mormora Jude, poco più sotto,
la faccia premuta contro la camicia di lino candido di Ray, le guance
leggermente arrossate.
«Oh, penso che dei modi per dirmi che stavo parlando troppo
tu abbia scelto il migliore.» Ray ridacchia, scompigliando
appena i capelli del giovane. «Ad ogni modo ti amo
anch’io, Jude. E stai pur certo che non smetterò
di farlo se non sarai ammesso ad Harvard. Se smettessi di amare il
ragazzo più bello, intelligente e dolce che io abbia mai
conosciuto per una sciocchezza del genere sarei assolutamente uno
stupido, senza ombra di dubbio.»
«E non è così, dato che sei un
secchione.» Jude ride a sua volta, stringendo forte la mano
di Ray, che trova abbandonata tra le lenzuola.
«Uh, siamo una coppia di secchioni!» Ray lo
abbraccia, facendolo rotolare sul materasso. Inverte rapidamente le
posizioni, lasciando appoggiare Jude sul proprio addome, carezzandogli
lievemente i fianchi.
Poco dopo il professore gli posa un bacio sulla fronte: nonostante sia
piuttosto riluttante ad interrompere il contatto fisico con il corpo
del ragazzo, sa bene che un appuntamento li attende.
«Che dici, andiamo?» gli domanda, lasciando
strofinare appena le punte dei loro nasi.
Jude si lascia sfuggire un mugolio contrariato, che non può
che suscitare ancor di più l’ilarità
dell’insegnante.
«Mhh… e va bene, andiamo» acconsente
infine, con un ultimo sospiro.
Si lascia tirare su pigramente, per poi avviarsi assieme a Ray verso
l’uscio. Entrambi sorridono mentre si prendono per mano, le
loro dita che si stringono come nodi indissolubili.
「 Back
Bay, Boston, 12th June
h.
05:02 p.m. 」
Piedi candidi di fata calpestano lievi l’arena.
Il vento riempie l’aria dell’odore della salsedine
e fa ondeggiare a lunga chioma violacea di Camelia con grazia, mentre
la ragazza si volta indietro, un sorriso raggiante ad illuminarle il
volto non appena gli occhi si posano sul ragazzo alle sue spalle.
Caleb la segue a qualche passo di distanza, quasi con reverenza.
Più guarda la sua fidanzata e più si convince
d’aver incontrato il suo angelo custode, con quella pelle
eterea e il sorriso scintillante.
Se solo pensa che per un motivo così banale abbia rischiato
di non vederla più per almeno vent’anni quasi si
sente soffocare.
Quando aveva visto un avvocato entrare nella cella in cui
l’avevano rinchiuso il suo primo pensiero era stato quello di
aver avuto un’allucinazione. Lui non aveva soldi per
permettersi di pagare qualcuno bravo che lo difendesse,
perciò la contea avrebbe dovuto affidargliene uno
d’ufficio, quel genere di consulenti che non
s’impegnano mai troppo per far valere i tuoi diritti,
perché d’altronde è lo stato a
retribuirli, per cui in fin dei conti mandare un delinquente in
più in carcere sarebbe stato quasi un ricambio del favore da
parte dell’avvocato. Soldi per carcerati, insomma, nonostante
il sovraffollamento degli istituti di detenzione americani.
Poi, però, l’aveva osservato meglio: completo
gessato, cartellina professionale… no, quello non era uno
dei soliti avvocati d’ufficio. Qualcuno doveva aver pagato la
parcella – e anche piuttosto alta, tra l’altro
– al posto suo, solo che proprio non era riuscito a
immaginare chi potesse essere stato. Era passato troppo poco tempo,
neanche con tutte le belle parole del mondo Jude sarebbe riuscito a
convincere suo padre, per cui l’aveva escluso a prescindere.
Solo che, arrivato a quel punto, non gli erano più venuti
alla mente nomi di persone che avrebbero potuto volerlo aiutare e in
possesso di una cifra di denaro così alta. Così
era arrivato alla conclusione che scoprire chi fosse il suo benefattore
non fosse poi così importante: era stanco, non aveva voglia
di spremere ulteriormente le sue meningi. Nel giro di poche ore quel
tizio elegante l’aveva tirato fuori di lì, per cui
il resto non era poi così importante.
Certo, gli aveva scucito il nome del suo spacciatore, tuttavia il
pensiero di deludere ancor di più Camelia lo logorava,
così aveva preferito ricorrere a tale bassezza, piuttosto
che finire in galera. Non che non ci avesse pensato parecchio, prima di
dirglielo: in fondo, gli era costato parecchio tradire la fiducia di
quel ragazzo, che ormai considerava come un fratello. Hector era nato
in una regione dimenticata dell’Africa, e si era trasferito
assieme ai suoi genitori in America quando era ancora molto piccolo.
Gli aveva sempre detto di non avere molti ricordi di quel periodo,
Caleb però sospettava che fosse per via della droga, che ad
ogni assunzione gli aveva cancellato un pezzetto di memoria. I suoi non
riuscivano a trovare lavoro, inoltre la famiglia in cui viveva era
molto povera, così a dodici anni aveva smesso di andare a
scuola, iniziando invece a spacciare stupefacenti. Ormai erano quattro
anni che andava avanti così, tra stenti e miseria. Non
apprezzava la vita che faceva, però se ne prendeva comunque
carico, pur di aiutare i suoi genitori.
Caleb aveva sempre provato una forte empatia per la storia di Hector,
forse rivedendo se stesso in più punti, come ad esempio
quello di essere cresciuto in una famiglia nient’affatto
ricca, ecco perché era andato d’accordo con quel
ragazzo dal sorriso gentile fin dal primo momento in cui
l’aveva incontrato. Proprio per questo motivo consegnarlo
alla giustizia era stato ancor più difficile; il suo
avvocato, tuttavia, gli aveva assicurato che non sarebbe finito in
carcere: vista la situazione in cui viveva e dato che non era ancora
maggiorenne, si era deciso di affidare Hector ad un centro di
rieducazione, mentre sarebbero stati inviati dei sostegni economici
alla sua famiglia, così da permettere loro di vivere in
delle condizioni di vita migliori, e certo non più nella
fatica di non riuscire ad arrivare a fine mese. L’avvocato
aveva preso a cuore la questione, infatti si era impegnato
personalmente per risolverla. Con quella promessa, e con le parole che
l’uomo gli aveva rivolto all’inizio del colloquio
– “chi mi ha assunto mi ha chiesto di dirti che
Camelia ti sta aspettando, fuori di qui” – Caleb si
era finalmente deciso a confessare. Poche ore dopo, era stato subito
rimesso in libertà.
Camelia allunga una mano nella sua direzione e lui l’afferra
prontamente, lasciandosi trascinare verso la riva del mare.
«Glielo dirai, prima o poi?»
Un’onda s’infrange contro lo scoglio su cui si sono
accomodati. Ray osserva l’orizzonte, il sole è una
sfera infuocata che lentamente scivola verso il basso, affondando nel
mare. Le parole di Jude l’hanno colpito: crede di sapere a
che cosa si riferisce, prima di rispondergli però ha bisogno
che il ragazzo gli confermi i suoi sospetti.
«A che cosa ti riferisci?» gli domanda infatti, le
mani premute contro la roccia umida.
Lo sguardo di Jude non segue quello del suo insegnante: al contrario,
è fermo sulle figure di Caleb e Camelia che, in lontananza,
camminano lievi sulla riva dell’oceano, noncuranti dei flutti
che continuano ad arrivare, per poi puntualmente tornare indietro.
Hanno dei sorrisi meravigliosi stampati sul volto, Jude spera di
poterli vedere così felici per sempre.
«Al fatto che sei stato tu a pagare il suo
avvocato» ammette infine il ragazzo, i piedi nudi che
dondolano appena giù dallo scoglio, riempiendosi di schizzi
di candida spuma marina.
Ray sorride appena: come sospettava, in quel momento i pensieri del
ragazzo sono rivolti unicamente al suo migliore
amico.
Rinunciare a tutti quegli stipendi che aveva saggiamente messo da parte
in passato, in attesa di poterli adoperare per organizzare una sorpresa
a Jude – magari una vacanza insieme, chi lo sa –
era stato un bel sacrificio, tuttavia i risultati lo avevano
sicuramente ripagato: una volta che Caleb era stato scagionato,
infatti, la sua ragazza, Camelia, gli aveva proibito di tornare a far
parte di quella banda. Il loro gruppo di teppisti si era
così sciolto – scegliere tra il continuo rischio
di finire in prigione o l’amore della sua ragazza era stata
una decisione piuttosto semplice, per Caleb – e i quattro
ragazzi erano così tornati a studiare. La loro amicizia era
comunque rimasta salda, certamente tuttavia adesso si trattava di un
legame molto più sano e sincero per tutti e quattro i
ragazzi.
«Non credo» gli confida infine, spostando lo
sguardo in direzione dei due ragazzi, che in lontananza continuano a
ridere e scherzare. «Guardali, sono così
felici… penso che vivranno benissimo anche senza
saperlo.»
«Già.» Jude sorride, stringendogli la
mano.
Lo sguardo di Ray si posa sul sorriso lucente di Jude: è
strano, non avrebbe mai immaginato di poterlo vedere ancora
così felice, dopo così tanto tempo e tutto quello
che avevano passato.
Non avrebbe potuto desiderare nulla di diverso, in fin dei conti.
Con una mano gli accarezza lievemente una guancia, attirandolo a
voltarsi verso di lui.
«Ti amo» sussurra, delicato, prima di baciarlo
lentamente.
Sotto di sé, sente le labbra del ragazzo piegarsi in un
sorriso dolcissimo, e sa che non avrebbe potuto sperare in niente di
meglio.
«Ehi, piccioncini!» dalla spiaggia, la voce
canzonatoria di Caleb li riporta alla realtà.
«Avete intenzione di restarvene lì sugli scogli
ancora per molto o ci raggiungete? E anche voi… Dio, ci
manca poco che vi mettiate a rotolarvi nella sabbia!»
Con questo, lancia uno sguardo in direzione di Joe e David, seduti con
le schiene premute contro il muretto che delimita il confine tra la
spiaggia e la strada. Alle loro spalle, centinaia di automobili
continuano a sfrecciare, noncuranti, mentre i due ragazzi continuano a
scambiarsi effusioni.
Alle parole di Caleb, Joe e David sollevano la testa, roteando lo
sguardo.
«Non ho capito, quindi tu sei l’unico che
può baciarsi in santa pace e basta?» protesta il
ragazzo dai capelli turchini, con un borbottio infastidito.
Joe, nel frattempo, ha già cominciato a rialzarsi, e una
volta in piedi aiuta David a fare altrettanto. Quest’ultimo
si aggrappa alle braccia forti del suo ragazzo come se ne andasse della
propria vita, scoppiando a ridere di gusto quando si rende conto che la
presa di Joe è davvero troppo potente e ci manca poco che
non finisca a volare a mezz’aria.
Mentre i due si affrettano ad avvicinarsi alla riva, Jude e Ray hanno
già raggiunto Caleb e Camelia. Ormai, i commenti acidi del
castano non spaventano più nessuno: hanno capito infatti
che, da quando c’è Camelia, non hanno
più nulla da temere, perché quella ragazza fatta
di luce porterà sempre il loro amico sulla retta via.
Insieme camminano lungo la spiaggia, mentre il sole tramonta e un nuovo
giorno muore.
The end.
Angolo autrice
Lo ammetto, sono io stessa la prima ad essere incredula. Se ci fate
caso, sul mio profilo ci sono prevalentemente one-shot, mentre le long
sono quasi tutte interattive che non sono mai riuscita a portare a
termine a causa della mia incostanza. Per me arrivare alla fine di una
long è davvero un grande traguardo, non immaginate quanta
gioia mi dia premere il quadratino che indica che la storia
è completa.
Se sono arrivata qui lo devo a più di una persona. Il
ringraziamento più grande va alla mia beta, Gaia aka Shizuha
aka Gagiord, che non ha corretto dei capitoli, bensì dei
panfleu. Non so come faccia a non avermi ancora azzannato il collo per
tutti i punti che mi dimentico ^^" tornando seri, non ho mai incontrato
qualcuno tanto gentile e paziente come lei, ha sempre fatto del suo
meglio per aiutarmi con la correzione di questi capitoli e
perciò le sono infinitamente grata. Per non parlare dei suoi
commenti ai capitoli, senza dubbio tra i più belli ed
accurati che io abbia mai ricevuto in vita mia. Grazie, grazie e ancora
grazie, amica mia <3
È poi d'uopo per me ringraziare le persone che hanno
lasciato una recensione alla mia storia, ossia Happy_Ely, Lila May,
White_LF e White Realm. Mi dispiace se a volte non sono riuscita a
rispondervi o a trasmettervi la gioia che ho provato nel ricevere i
vostri pareri, nel caso ve lo dico qui: pensavo che nessuno si sarebbe
filato questa storia, e invece sono felice di essere stata smentita!
Un altro grazie gigante va alle persone che hanno inserito la storia
tra le preferite e/o le seguite, in particolare C o c o
e MartyDevil, che su questo fandom sono sempre state le mie
"sostenitrici", per così dire.
Anche se non c'entra molto volevo ringraziare anche le mie
amiche/colleghe che mi seguono ormai da mesi come delle ombre su
Twitter: non potrei esservi più grata, siete le migliori
supporter che si possano desiderare! Siete tante, per cui non posso
citarvi tutte (altrimenti le note vengono più lunghe del
capitolo, sigh) perciò ho deciso di eleggere a
"rappresentanti" Ayumu, _Lady di inchiostro_ e nigatsu no yuki. Siete
anche delle autrici fantastiche, perciò continuate
così, ragazze!
Ho concluso – stavolta per davvero. Già,
perché come ho tenuto a dirvi fin dall'inizio, questa
è la mia ultima storia su questo fandom. Ormai qui non mi
sento più a casa, perciò sarà meglio
levare le tende. Penso che non pubblicherò niente di nuovo
per un po', comunque, perché ho in mente un progetto per una
nuova long, stavolta sul fandom di Boku no Hero Academia, e temo che
quest'ultimo mi porterà via un po' di tempo
– per cui insomma, non preoccupatevi se sparirò
per qualche mese, non sono morta, ahah! Starò studiando, o
al massimo lavorando a questo nuovo progetto.
Bene, è giunto il momento di partire alla volta di questa
avventura: sarete con me?
Aria
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