Sky
Burial
-
Vola. -
È
poco più di un sussurro, ma ha la potenza di un comando; la
voce che pronuncia quella singola parola è calda e roca, il
tono è privo di gentilezza, eppure Kirishima la trova quasi
confortante – ha compreso da qualche tempo, ormai, che lui e il
ragazzo sono connessi da un legame unico e indissolubile: sono una
singola entità, divisa e poi riunita dal caso. Forse lo aveva
già capito nel preciso momento in cui lo ha visto affacciarsi
al crepaccio in cui è crollato, ferito e privo di forze, con
le frecce e le lance ancora in corpo – certo di essere giunto
alla fine dei propri giorni.
La
figura del ragazzo entra nel suo campo visivo: è alla sua
sinistra e cammina lentamente per potergli stare di fronte, la mano
che carezza le scaglie del suo muso. In genere non c’è
gentilezza o grazia nei suoi movimenti, ma quando lo tocca le sue
mani si fanno caute, curiose di scoprirlo in modi che trascendono la
semplice esperienza visiva. Si ferma di fronte a lui e si guardano,
il giovane drago e il ragazzo della foresta, cresciuto dai lupi,
diffidente nei confronti di qualunque altro essere umano.
-
Ho bisogno che tu possa volare. - Mormora, e le ombre sul suo volto
si fanno più scure più la sua espressione si fa
intensa. Kirishima non può rispondergli, ma può
dimostrare ciò che pensa: apre le ali e guarda mortificato la
sinistra, l’osso piegato in una posizione innaturale. Ha smesso
di fargli male, ormai, ma il solo guardare quella ferita lo
innervosisce – stringe i denti ed emette un ringhio basso,
scoprendo appena le zanne. Il ragazzo lo sfiora nuovamente, posando
con forza entrambe le mani sul suo muso e voltandolo verso sé.
- Devi volare se vuoi vendicarti per ciò che ti hanno fatto.
Se vuoi dimostrare loro che non bastano frecce e trappole ad
abbattere un drago. -
Una
luce brilla in fondo ai suoi occhi rossi: c’è una velata
follia nelle sue parole, ma Kirishima è sicuro che non sia
diretta a lui. Ci sono dei piani ben precisi, in quella testa –
piani la cui origine e motivazione risale forse alle cicatrici sul
suo petto nudo, alla ragione per cui ha vissuto per tutti quegli anni
nascosto in una foresta inospitale, abitata solo da lupi e spiriti
ultraterreni antichi quanto il tempo stesso: Kirishima sa che non ha
alcuna ragione di domandarsi la natura di quei piani. Il ragazzo lo
ha salvato da morte certa: è abbastanza perché si senta
in dovere di ricambiare il favore. Se dovrà restituire la
precisione con cui ha estratto ogni freccia e lancia dal suo corpo
uccidendo e distruggendo in suo nome, lo farà; se il ragazzo
gli domanderà di bruciare chiunque si pari sul suo cammino in
nome di un disegno che solo lui conosce, Kirishima darà sfogo
alla potenza del suo fuoco senza mai sottrarsi dal compiere il
proprio dovere – nella stessa maniera in cui il ragazzo non lo
ha abbandonato, nonostante nei primi momenti del loro approccio abbia
ripetutamente cercato di ucciderlo.
Si
sottrae al suo tocco sollevandosi sulle zampe posteriori e ruggendo
in aria, verso il cielo: quando guarda in basso il ragazzo sorride,
eccitato come mai prima di allora. È il suo primo atto non
passivo da quando si sono conosciuti; il secondo è abbassarsi,
facendo tremare il terreno colpito dalle sue zampe anteriori. Quando
i loro sguardi si incrociano Kirishima comprende che conosce e
possiede la forza necessaria a fare ciò che lui gli ha
chiesto, ma non da solo: china il muso, quindi, e abbassa le palpebre
in attesa che lui comprenda.
Ci
vuole qualche istante prima che il ragazzo si decida a salire sul suo
muso per raggiungere il suo dorso, come Kirishima desidera – ma
quando finalmente prende ad arrampicarsi su di lui i suoi passi sono
leggeri ed agili, quasi senza peso, e le sue mani che si aggrappano
alle scaglie sul suo dorso trasmettono la stessa sensazione fiera e
bruciante del fuoco che è la fonte della sua stessa esistenza.
Kirishima si solleva e ruggisce di nuovo, emettendo sbuffi di fumo
dalle narici: dubita il ragazzo sia a conoscenza anche di quel
dettaglio, ma per un drago è l’equivalente umano di un
sorriso.
In
tutta la sua giovane vita non ha mai neppure considerato l’ipotesi
di poter trovare un cavaliere. Quel genere di figura appartiene a un
passato antico tanto per gli uomini quanto per i draghi – un
tempo in cui le due razze convivevano, un tempo in cui le battaglie
di uno erano le battaglie dell’altro. Eppure eccolo lì,
appena dietro il suo capo: così eccitato e forte, schietto ed
abile. È un libro aperto, e nonostante Kirishima non possa
tradurre i suoi pensieri può sentire ogni singola emozione che
lo attraversa come la provasse lui stesso.
-
Andiamo. - Mormora – e di nuovo, nonostante la sua voce sia
bassa e stranamente pacata, la natura di quel comando non lo è
affatto. Kirishima lo percepisce, mentre distende le ali gettando
ombra su tutta la valle, mentre sgranchisce i muscoli delle enormi
spalle per spiccare il balzo che li porterà entrambi fuori da
lì Sono passate settimane da quando è atterrato in quel
luogo, giorni di dolore ed agonia trascorsi con la voce e le cure del
ragazzo come unica compagnia; eppure è come se stesse per
spiccare il primo vero salto della sua vita, come non avesse mai
volato in trecento anni.
È
un singolo momento di tensione, lungo quanto un’esistenza e
seguito dalla liberazione più assoluta e infinita che esista:
un istante è per terra, e quello successivo si libra in aria –
distende le ali e ignora il dolore, il vento che agita le membrane
delle stesse e vi trova rifugio. L’euforia del ragazzo diventa
la sua, due cuori con un singolo pensiero ed obiettivo: fuggire da
quel luogo di morte. Non può deluderlo e non vuole farlo –
motivo per cui, quando perdono metri e metri di quota e da amico il
vento diventa un fastidioso rivale che sferza la sua pelle, Kirishima
scopre nuovamente le zanne e ruggisce contro la forza che lo vuole a
terra: chiude le ali per acquisire velocità nella caduta e poi
le riapre, a non più di cinquanta metri dalla superficie,
sbattendole svariate volte prima di ritrovare l’equilibrio. Il
ragazzo urla e strepita, felice come un folle – Kirishima si
domanda se sia solo lui a sentire le emozioni che prova, oppure sia
un collegamento reciproco: in tal caso spera e prega che comprenda
quanto averlo con sé lo riempia di gioia.
Volta
appena il capo indietro; non può vederlo, ma può
ruggire un avvertimento e sperare che lui capisca cosa è in
procinto di fare. Dev’essere riuscito a trasmettere il
messaggio, perché quando sale improvvisamente verso l’alto
e attraversa le nuvole in un unico, aggraziato movimento la presa del
ragazzo si fa più stretta, e la sua gioia più intensa.
Anche Kirishima è felice: volare è come rinascere, e
volare con un cavaliere è come rinascere in una leggenda.
Chiude gli occhi per godere la sensazione del calore del sole, il
familiare abbraccio del vento che lo trasporta lassù, dove
solo la sua razza può arrivare; e all’improvviso lo
coglie un pensiero che non ha precedenti: non si è mai
interrogato sulla ragione della sua esistenza, ma forse può
trovarla in quel giovane umano che – Kirishima
lo sente come se i movimenti fossero i suoi, come se fosse nella sua
testa
– osserva
meravigliato il cielo rosato dell’alba e sogna sogni di gloria,
di conquista e di battaglie.
“Sogna
più grande”,
pensa, e all’improvviso il legame tra lui e il ragazzo è
perduto: Kirishima fa in tempo ad avvertire un’ultima ondata di
panico e terrore prima che tutto si faccia buio, prima che la sua
presa si faccia flebile. Il ragazzo crolla dal suo dorso – urla
e cade, il viso ancora rivolto al cielo. Kirishima ruggisce e si
tuffa in basso: non può perderlo, non deve. L’umano è
così piccolo, ma la caduta è rapida – il terreno
non gli è mai sembrato così vicino, così
mortale. Ma può ancora raggiungerlo, può ancora
salvarlo: digrigna le zanne quando l’osso della sua ala si
rompe definitivamente, quando il sangue prende a sgorgare dalle sue
ferite, ma non ferma la propria corsa suicida. E quando finalmente lo
afferra, tutto è diverso – come avesse attraversato una
nuvola particolarmente densa, gettandosi in un nuovo mondo: le zampe
che aveva allungato sperando di afferrarlo al volo sono mani, braccia
umane che prendono il ragazzo e lo stringono, lo premono contro il
suo corpo: un corpo umano.
Kirishima
piange e sente lacrime scivolare su un viso troppo liscio, troppo
piccolo e insignificante. Il suo.
“Ho
creduto che ti avrei perso”,
pensa; il suo cuore batte contro quello del ragazzo e produce il suo
stesso suono. “Ti
ho appena trovato, e ho creduto che ti avrei perso.”
E
poi, finalmente, la sua voce – così roca, così
autoritaria e gentile al tempo stesso – è nella sua
mente, e le sue parole sono chiare: “Sei
entrato nella mia testa”,
gli risponde; seguono attimi di silenzio, che Kirishima spende
conficcando le unghie nella sua schiena e stringendo quanto può.
Non stanno più cadendo, ora – a dire il vero non è
sicuro che si trovino da qualche parte, o in qualche momento. “Non
farlo mai più.”
Kirishima
ride. Non ha mai riso con la sua voce umana, ma scopre che il suono
che produce gli piace: è più dolce del suo ruggito, ma
possiede lo stesso calore. Lo lascia andare a fatica per poterlo
finalmente guardare in volto: non l’ha mai visto da così
vicino. Non ha mai visto i dettagli delle sue labbra, le ciglia folte
e bionde che coprono i suoi occhi rossi.
“Non
conosco il tuo nome.”
Silenzio;
e poi: “Bakugou.”
Bakugou.
Ha un bel suono: è un nome degno di un re. Bakugou sente il
suo pensiero e sorride soddisfatto.
“Io
sono Kirishima.”
“Sei
il mio drago.”
“Sono
il tuo drago.”
Per
un lungo momento si guardano negli occhi, le mani strette tanto da
fare male; Kirishima tenta di sorridergli, imitandolo. Non è
certo che sia la cosa giusta da fare, ma vederlo sorridere è
piacevole: forse può confortarlo. Non può emettere fumo
dalle narici, quindi dovrà accontentarsi.
L’ultimo
pensiero di Bakugou scalda il suo cuore: ha il tono del desiderio di
un bambino meravigliato. “Abbiamo
volato”,
sussurra, trionfante. E all’improvviso stanno volando di nuovo
– stanno cadendo, per la precisione, e Bakugou è al
sicuro tra le sue zampe: Kirishima apre nuovamente le ali per
ripetere la manovra di poco prima e rallentare la caduta, ma è
troppo tardi. Crolla sulla foresta contro di sé, l’impatto
attutito appena dalle chiome degli alberi che si piegano e spezzano
al suo passaggio. È riuscito a voltarsi per evitare che
Bakugou si trovasse tra il suo corpo e la foresta, se non altro: un
atto di coraggio di cui va fiero per un lungo istante, mentre tenta
di ricordare l’indescrivibile sensazione delle sue labbra
sollevarsi in un sorriso sincero e umano, mentre perde i sensi.
La
prima cosa che vede quando riapre gli occhi è il fuoco: una
torcia nel buio della notte, che crepita e offre al suo corpo un
calore familiare e confortante. Il mondo sembra più piccolo ai
suoi occhi, e Kirishima spende qualche istante confuso nel guardarsi
attorno, cercando di comprendere dove si trovi o cosa sia successo;
diventa tutto improvvisamente più chiaro quando guarda in
basso, verso le sue mani.
-
Oh… - Mormora, e la sua voce è esattamente come la
ricordava nella visione avuta durante la caduta: flebile e sottile,
specialmente se confrontata coi suoni che è abituato a sentire
prodotti dalle sue corde vocali. Da supino che è si mette
seduto – una strana sensazione, quella della sua colonna
vertebrale che schiocca, mai utilizzata prima d’ora – e
il mantello con cui il suo corpo nudo è stato coperto scivola
in basso, sul suo bacino. Aiutato dalla luce del fuoco lì
accanto osserva quanto può del suo corpo, sollevando le
braccia e fissandole meravigliato: sono lunghe e sottili, per quanto
muscolose – quasi insignificanti, rispetto a quelle reali. Non
fosse per la potenza di fuoco che sente ancora ben chiaramente dentro
sé, lo farebbero quasi sentire debole.
-
Sapevi di poter diventare umano? -
La
voce lo fa sobbalzare. Proviene da poco avanti a sé, e
Kirishima socchiude gli occhi prima di intravedere il profilo immerso
nel buio del ragazzo, seduto su una roccia, lontano dal fuoco; balza
giù in quel momento, avvicinandosi. La luce del fuoco getta
ombre pesanti e scure sul suo corpo: all’improvviso lo guarda
dall’alto in basso, stranamente minaccioso. È una
posizione a cui Kirishima non è abituato, e quando scuote
piano la testa lo fa con le labbra dischiuse in un’espressione
meravigliata. Sembra ancora più forte, da lì: più
grande, furioso, il viso privo della gentilezza che Kirishima ha
imparato ad associare ai suoi gesti. Vorrebbe parlargli – gli
sembra così meraviglioso, poter parlare e comunicare con lui –
ma le parole gli vengono meno; quando Bakugou si china, poggiando le
braccia sulle proprie ginocchia e studiando il suo viso, quasi
sussulta di nuovo. Le dita della mano destra di Bakugou si allungano
verso di lui e sfiorano la palpebra del suo occhio destro.
La
pelle umana è così liscia e delicata; non aveva fatto
caso a come un singolo tocco sia abbastanza per farlo tremare,
durante la caduta. Chiude l’occhio che Bakugou sta sfiorando e
si impone di rimanere fermo, spaventato dall’inespressività
sul suo viso.
-
Hai la cicatrice sull’occhio e la tua spalla è ferita. -
Sussurra; le sue labbra si sollevano appena. - E hai un aspetto
terribile. I tuoi denti sono appuntiti. Immagino tu sia veramente il
mio drago. -
Il
mio drago.
Che suono stupendo ha quella frase – tanto stupendo da
spingerlo ad afferrare i polsi di Bakugou e ad annuire con veemenza.
- Sono io, Bakugou! - Conferma, e Bakugou cessa completamente di
tentare di allontanarsi e rimane fermo, per quanto nervoso, per
ascoltarlo. - Sono così per merito tuo! Perché tu mi
hai trovato! -
Le
sue frasi hanno una strana inflessione, che Kirishima non riesce a
contenere – l’entusiasmo e la gioia annebbiano ogni
ragionamento, spingendolo a toccare Bakugou con la propria fronte;
lui non protesta, nonostante il suo corpo sia rigido e teso. È
come se stessero incontrandosi nuovamente per la prima volta. -
Quando sei sceso nella valle ero io quello spaventato da te. -
Mormora, inclinando il capo. Gli occhi rossi di Bakugou sono i più
belli che abbia mai visto, e da quella distanza sembrano piccoli
rubini. - Ma ora sembri tu quello spaventato. Hai paura di me? -
Bakugou
attende, poi scuote la testa. È abbastanza perché
Kirishima senta di dover sorridere; gli piace parlare, e anche
sorridere. È molto più semplice esprimere ciò
che sente, in quella forma.
-
Le mie ali. - Sussurra, all’improvviso. Muove le spalle come se
potesse distenderle, ma ottiene solo un dolore che per qualche
istante gli annebbia la vista; quando si riprende Bakugou è al
suo fianco, e sta controllando una fasciatura che tiene ben stretta
la sua spalla destra.
-
Ti ho detto che eri ferito, idiota. - Borbotta, digrignando i denti.
Kirishima inclina nuovamente il capo, incuriosito da quello che crede
sia un insulto. Non l’ha mai insultato, prima: forse il suo
atteggiamento ha a che fare col suo attuale aspetto. Lo guarda
sciogliere le bende e liberare la carne ferita, che tocca con mani
caute; un tocco a cui Kirishima è abituato, confortevole
abbastanza da indurlo a chiudere gli occhi.
In
silenzio, Bakugou applica alla sua ferita un unguento che Kirishima
non vede – freddo e umido, una sensazione curiosa contro la sua
nuova pelle; lo rifascia con cura, senza emettere un suono. - Ci
vorrà del tempo prima che tu possa volare di nuovo. - Mormora
infine, alle sue spalle. Kirishima sorride.
-
Ce la farò. - Risponde. - Me lo hai chiesto tu. Ce la farò
sicuramente. -
Di
nuovo, Bakugou non risponde; di nuovo, scivola al suo fianco sinistro
e lo fissa affascinato. Questa volta non tocca la sua pelle, ma ciò
non impedisce a Kirishima di sentirsi estremamente esposto, sotto il
suo sguardo intenso.
-
Sei un tipo veramente strano. - Borbotta dopo qualche momento,
alzandosi e allontanandosi. Kirishima lo osserva sedersi dall’altra
parte del fuoco con una strana sensazione che gli formicola nel
petto, una mai provata prima; gli viene da ridere. È tutto
così nuovo, così fragile e delicato – e quando
ride e Bakugou sorride di rimando il cuore gli trema nel petto, e
Kirishima pensa che sia valsa la pena crollare in quella valle,
ferito e in punto di morte, per andare incontro al proprio destino.
-
- - - - - - - - - - - - - - - - - - - - -
Terza
commissione andata! ;u; anche questa storia mi è stata
commissionata da Rota e...grazie! Volevo scrivere da tempo una
KiriBaku fantasy!AU, ma non avevo idee. Il prompt mi ha aiutata
moltissimo :'D
Il
titolo della fic è un riferimento ad una composizione della
OST di Shadow of the Colossus (che in generale è, nel 99% dei
casi, l'OST migliore da ascoltare quando scrivo fantasy), Sky Burial
appunto. Credo il suo ritmo possa “ricordare” un po' la
fic, quindi ve la lascio qui nel caso voleste sentirla:
https://www.youtube.com/watch?v=-OEkG1dKmYw
Spero
la fic vi sia piaciuta! Nel caso voleste commissionarmi un lavoro, il
link per farlo è a fine pagina. Alla prossima e grazie per
aver letto!
-Joice
|