Il marchio della strega

di Herondale7
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Capitolo 10

Alla fine il mio sorriso sarcastico convinse Bellamy a tenere impegnato il suo equipaggio per qualcosa di più di una semplice ora. A malincuore uscì le sue più buone scorte di bevande alcoliche e per cena fece ubriacare tutti, Kasim e Demien compresi, che sembravano esser diventati amiconi. Era matematicamente certa che nessuno dei due avrebbe mai ammesso che quella serata fosse mai esistita l’indomani, al costo di invertire il calendario di un giorno.
Con una scusa uscii dalla stanza, che oramai puzzava quanto una taverna scadente, e dopo di me uscii anche Bellamy. Iniziammo con le cabine più in basso nella nave ma non sentii niente di particolare oltre alla puzza, così quando Kal e Kasim entrarono in quella di Kal, non ci fu nulla in contrario nel lasciarli passare.
“Siamo tutti fradici, come il mare!” esclamò Kal passando.
Avevo sempre visto quel ragazzo come uno che non riusciva a far altro che seguire il proprio capitano alla lettera. Non si era mai lasciato andare da quando ero a bordo, non una battuta allegra. Vederlo per una sera con atteggiamenti meno rigidi e più spensierati fu bello e inaspettato.
“Sì beh, andare a dormire, domani non avrò pietà per voi.”
Quando si allontanarono mi venne istintivo riprenderlo con un tono più leggero di quello che avevamo usato fino alla mattina.
“Fai il duro quando sono ubriachi, per altro per colpa tua, e ti fai battere da me  semplicemente quando sono sobri… C’è qualcosa di sbagliato in questo ragionamento.”
“Mia la ciurma, mie le regole. Adesso non vorrai perdere il prezioso tempo che ho guadagnato per te, ho perso molto buon vino e liquore. Ci conviene muoverci, presuntuosa.”
“Incoerente.” Soffiai. Giurai di scorgere un sorriso.
Girammo le altre cabine, anche quelle sottocoperta, ma ancora niente. Arrivati all’ultima cabina scoprii che esisteva un livello di disordine superiore a quello che si creava dopo un’incursione con cannoni delle Truppe Occidentali. Le brande erano piene di vestiti, in una c’era pure una scarpa che era legata alla sua compagna penzolante per i lacci. Un pettine e delle spugne erano gettate in un angolo impolverato. Probabilmente quello che avrebbero dovuto usare per darsi una sistemata. Il lume era rovesciato per terra, l’olio usato per accenderlo si era riversato nel pavimento, il che era pericoloso nel caso in cui avesse preso fuoco.
Vidi un pezzo di vetro su una delle due brande, uno di quelli acuminati, come se fosse parte di una finestra rotta. Quello era ciò che cercavo, anche se era cosparso da una qualche polvere strana che non conoscevo. Profumava. Sembrava quasi l’odore di salvia mista a menta, eppure c’era qualcos’altro. Forse, iniziai a sospettare, la magia non era solo un qualcosa di fisico. Forse la magia si poteva anche avvertire attorno a noi.
“Questo.” Dissi porgendogli il vetro. “Chi ci dorme qui?”
“Dersh e Farbow” solo dopo aver esaminato meglio la stanza mi resi conto che Bellamy aveva iniziato a stringere il pugno attorno al frammento di vetro, stava sanguinando.
“Capitano, sanguini.” Lui sembrò non averi sentito. “Dovrei fasciarti la mano, vieni con me, avanti Silver.” Feci un piccolo cenno con la testa e lui mi seguì con il capo chinato.
Durante tutto il tragitto dalle cabine alla stiva non smise di stringere quel vetro, sembrava quasi che non riuscisse a parlare. Il suo volto era stravolto in una smorfia di dolore, ma non per la mano, più che altro per il poter constatare da sé che non avevo mentito, che qualcuno lo stava tradendo.
Le bende erano troppo ben conservate, tanto che per quanto cercassi anche consultando l’inventario, non ci fu verso di trovarle; dovetti usare delle vecchie pezze viola; di certo non erano né pulite né disinfettate. Non mi sentivo di provare a curarlo da me con la magia, lo spostare gli oggetti era un conto, ma agire su esseri umani? Non ero certa di voler rischiare, potevo fargli ancora più male, ero troppo inesperta.
Ad un certo punto il silenzio si spezzò. “Dovrei essere un buon Capitano, ma presto metà della mia ciurma sarà troppo vecchia per prendere il mare o per respingere quei maledetti uomini della Corona. L’altra metà troppo inesperta. A quel punto dovrò sostituirli o chiudere bottega. La nave mi farebbe guadagnare abbastanza per vivere bene alle Gusidi. Tra gli stregoni nessuno cercherà i pirati.”
“Questa è la fine della grande dinastia Silver? Rimarrà solo il ricordo di un ragazzino ventenne e inesperto che non ha imparato nulla dalla vita o dal padre?” Mi guardò male. “Non puoi permetterlo, non posso lasciartelo fare. Tuo padre si era creato un nome nella pirateria e quando aveva iniziato era più piccolo di te. Se c’è riuscito lui ce la puoi fare anche tu, ed anche meglio.”
“Sei una strega, non una che fa miracoli. I miei uomini temono più un estraneo che il loro comandante, preferiscono fidarsi di altri anziché di me. Dovrei essere temuto, dovrei essere rispettato, non ridicolizzato.” I suoi occhi mi trasmisero una grande tristezza, ma anche una grande rabbia e frustrazione.
“Devi essere amato, solo così ti rispetteranno. Sei un buono, non uno schiavista, per quanto tu possa aver inavvertitamente fatto sembrare il contrario. Soprattutto nelle ultime ore.” Feci spallucce.
“Sono un pirata, non un buono.” Mi arresi. “Vorrei che mio padre fosse qui, mi manca terribilmente.” Il discorso si era fatto troppo pesante, anche perché non avrei risposto con qualcosa di positivo a quella affermazione, dato il mio passato. In mancanza di altro da dire decretai che la discussione fosse finita lì.
Salii per andare a dormire e vidi Kasim addormentato nella branda accanto alla mia, mi chiesi come avesse fatto a risalire le scale da solo; mi fece un po’ di tenerezza. Mi coricai e iniziai a girarmi e rigirarmi, in cerca di una posizione comoda che non prevedesse un gomito nel fianco o un piede penzolante.
Alla fine diedi le spalle al centro della camera e iniziai quasi a prendere sonno quando qualcuno da dietro mi coprì la bocca e il naso con una delle famose bende che cercavo. Iniziai a dimenarmi come non mai, provando pure a mettere mano alla cinta con lo stiletto o alla spada, ma chiunque fosse aveva una presa ferrea. Non riuscivo a urlare né a respirare.
La benda puzzava di qualcosa di forte e nauseante, alla fine dovetti respirare quell’intruglio, se non lo avessi fatto sarei svenuta in ogni caso; sentii che i miei sensi cedevano come atrofizzati. Ripensandoci, c’era una persona che aveva usato delle bende recentemente. Ecco perché quella sera le bende non erano affatto al loro posto nella stiva.
La presa si fece meno rigida e qualcuno mi prese per le spalle mentre cadevo per terra senza emettere troppo rumore. Una testa corvina era illuminata dal lume appeso al tetto, con orrore mi resi conto che era Kasim quello che mi aveva assalita. Non era poi così ubriaco come io e Bellamy credevamo, probabilmente aveva solo finto di bere a tavola.
“Ci tengo a dirtelo, mi avete servito quest’occasione su un piatto d’argento. E un’altra cosa: non voglio farti del male, ma questa è una di quelle scelte difficili per un bene maggiore.”
“Per chi lavori?” Sussurrai con le ultime energie.
“Il migliore offerente.” Sorrise trionfante.
Ebbi la forza necessaria per lanciare una specie di incantesimo che mi avrebbe aiutata a essere ritrovata prima. Poi mi addormentai velocemente, le armi ancora nel fodero, con la disperazione come sola compagna mentre venivo trascinata fuori. Ingannata dalla mia stessa bontà.
Mi risvegliai su un’imbarcazione. Non la Savior di Bellamy né la Baltharen di Barrow. Era una delle scialuppe di ricognizione di Bellamy. Evidentemente il genio di Kasim Bartèz non aveva nulla in contrario nel viaggiare in economica, nonostante lavorasse per la corona.
Pensai bene di vedere quanto riuscissi a muovermi, solo per poi scoprire che ero legata come un salame e che le cinghie dei foderi non erano a portata di mano. Ovviamente aveva lasciato tutte le mie cose sulla nave. Il rapimento è una pratica faticosa e turbolenta, e non comprende l’armare il nemico.
Nella mia mente risuonavano le peggiori ipotesi per la quale la corona mi volesse parlare, sempre se fosse stata una cosa che si limitava al parlarmi. Potevano esiliarmi, reclutarmi, uccidermi, torturami, farmi lavorare per loro per scovare altri maghi, uccidermi, fare esiliare me e la mia famiglia, uccidermi.
In fondo non avevo rispettato l’esilio dopo i diciassette anni, ma mi ero addirittura arruolata tra i pirati. Il pensiero ricorrente della mia possibile morte mi mandò nel panico come non mai quando riuscii nuovamente a formulare un pensiero di senso compiuto.
Nella migliore delle ipotesi ero riuscita comunque a far capire a Bellamy dove mi trovavo, prima di svenire completamente. Kasim, vedendomi smuovere sulla barca, smise di remare e mi tolse la benda dalla bocca.
“Tu non hai idea di come finirà adesso.” Feci per concentrarmi sul polsino in pelle, ma mi resi conto che, per quanto sforzo facessi, era solo un dispendio di energie tentare di evocare anche una sola fiammella di magia. Spalancai gli occhi. “Cosa mi hai fatto? Che c’era nella benda?”
“Non nella benda, nelle corde.” Disse sorridente. “Ti sorprenderebbe sapere come le stesse erbe che usi per cucinare possano essere temporaneamente usate come barriera contro la magia.”
“Fantastico.” Ringhiai.
“Inoltre ho visto come usi la spada e lo stiletto, sei abbastanza capace, perciò li ho lasciati a bordo. Diciamo che per la fine di questa traversata non sarai in grado di muovere un fiammifero, figurati accenderlo.”
“Mi prendi in giro? Non lascerò che tu mi riporti da Barrow, non esiste.”
“E chi ha detto che ti porterò da lui?”
“Lo farai.”
“No, che non lo farò!”
“Ne sono certa, che altre opzioni avresti?”
“Non ti cerca solo Barrow, e non lo farò.”
“Io ti ho dato la mia fiducia! Ti ho salvato da quel maledetto!”
“Mai dare fiducia a un pirata, perché nessuno lo capisce?” Disse sbuffando. Fui colta da una rivelazione. Come trattenni le imprecazioni non lo seppi nemmeno io.
“Tu mi stai portando alla corte, o sbaglio!? Di sicuro eri un contatto di qualche guardia arruolata, cercavi di sapere qualcosa o trovare qualcuno, ma non so se ne sei al corrente: la pirateria è ripagata con l’impiccagione e tu finirai impiccato come me quando ci vedranno.” Sorrisi beffarda, almeno impaurirlo avrebbe funzionato.
“So quello che succede ai pirati e agli stregoni che non rispettano l’esilio, ma quel marchio che hai sul braccio mi darà salva la vita. Sei stata troppe settimane imbarcata per saperlo, ma chiunque porti un mago o una strega con quel preciso simbolo a corte otterrà una ricompensa cospicua, tanti diamanti da farci il bagno dentro, a prescindere da chi è.” Stavolta fu lui a sorridere, mentre io sbiancavo. Poi continuò.
“Barrow era deciso a risalire alle Gusidi, certo che fosse lì il posto giusto dove cercare. Io ho fatto finta di non saperlo, ma le sette famiglie sono sparse per i regni e il prossimo consiglio è fra due mesi, a Qraco.” Ero abbastanza certa che quella fosse la capitale prima della Ripartizione.
“Perché il regnante cerca i maghi Jacklyn? Hanno avuto quasi trecento anni per trovare i più alti esponenti della magia, che cosa vogliono ora che prima non volevano?”
“Se tu fossi un regnante e iniziassi a scorgere una guerra in un futuro prossimo, che cosa proporresti di fare?” Non avevo idea di dove volesse andare a parare ma risposi lo stesso.
“Le migliori armi vorrei possederle io a tutti i costi. E i migliori uomini, senza quelli non si va lontano, ma per quelli c’è già la pergamena sull’età.”
“Vedila così, tu sei una maga che diventerà potente, te l’ho sempre detto dall’inizio, ma se non metti a frutto le tue capacità non andrai avanti e l’esercito è la migliore via per la tua formazione. Tu ci guadagni in denaro, più sicuro della pirateria, e loro guadagnano armi.” Incrociò le braccia al petto mentre io mi dimenai ancora. Avrei fatto l’impossibile per togliergli quel sorrisetto dalla faccia.
“Hai omesso una cosa, alla fine della guerra certe armi non servono se non vengono duplicate per la successiva e messe in magazzino. Io non voglio avere figli al momento e non voglio finire ammazzata quando sarò del tutto inutile.” Mi distesi sul fondo della scialuppa.
“Non mi importa di quello che ti accadrà. Io penso per me.”
“Fingevi anche quando mi hai raccontato la tua storia?” Si voltò dall’altro lato. Per i due giorni seguenti l’unico motivo per cui aprii bocca fu per mangiare imboccata da quel maledetto, dato che non voleva nemmeno sciogliermi le mani.
Al terzo giorno mi vennero in mente le frasi che aveva detto diverse sere prima. “Non sempre è facile fare una cosa sbagliata seppur a fin di bene. Dovevo scegliere la cosa più importante per la sopravvivenza. Chissà se un giorno ti renderai conto che c’è una parte che è ben più radicata in noi di ciò che crediamo.”
Mi chiesi come diamine non me ne fossi resa conto. In ogni cosa che aveva detto c’era più di quello che aveva dato a vedere. Non mi aveva mai mentito, non ne aveva avuto bisogno, ma era stato perfetto nel nascondere ogni cosa che non voleva che io sapessi.
Era stato, ed era così subdolo da pensare solo a se stesso. Nel salvarmi uccidendo quell’uomo non aveva altro secondo fine se non quello di valutare tra quale delle due opzioni avrebbe ricavato più guadagno. E la notte precedente! Gliela avevamo servita veramente su un piatto d’argento l’occasione perfetta per rapirmi. Non aveva dovuto nemmeno fare congetture o sporcarsi le mani.
Notai che Kasim aveva fatto rotta verso Est, e se non erravo eravamo abbastanza vicini alla costa a Sud di Neblos. Eravamo ancora nelle acque del regno e questa per me non era una buona cosa. Continuavo a sperare che Bellamy notasse l’assenza della mia, a suo dire, irritante voce e facesse inversione per cercarmi, ma anche se ciò fosse accaduto non era detto che mi trovasse, o mi salvasse. Forse voleva solo i diamanti, questo avrebbe spiegato come mai quell’atteggiamento tanto ovvio nel non volermi far andare via dalla nave, proprio come Kasim. E allora perché allontanarsi da Shaka?
La rotta prestabilita non era granché precisa, saremmo potuti giungere in una landa desolata come nel centro di una cittadella abitata. Il terzo giorno esaurimmo le scorte d’acqua e stavamo per terminare quelle di cibo. Io ero sempre più debole e legata, mentre le corde iniziavano a essere l’unica cosa che separava me e quel maledetto dalla salvezza. E si stavano allentando. Avrei potuto portare avanti la barca per varie leghe senza problemi.
Se solo mi avesse slegata.
Se solo avessi mangiato.




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