As your sun sets (I know you in bleary-eyed 3AM)

di theprophetlemonade_
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Buongiorno gente! 
Oggi sono stra di fretta. Più si avvicina l'esame e meno ho voglia di studiare, mannaggia a me. Vi lascio il capitolo al volo: non succedono grandi cose, ma è molto carino e per Alec ci saranno novità, nonché giungerà a un'importante conclusione... 
Ringrazio tutti voi per le bellissime recensioni che mi lasciate, appena posso rispondo a tutti. E grazie a chiunque stia dedicando un po' del suo tempo a questa storia. Avviso anche che, dal momento che lunedì avrò l'esame, non so a che ora posterò, poiché per mia sfortuna sarò interrogata nel pomeriggio e dovrò restare in facoltà tutto il giorno. Probabilmente posterò dopo cena, quindi non preoccupatevi se durante il giorno non mi sentite, non sono sparita, né mi sono dimenticata di voi! 
Detto ciò, scappo. Buona giornata e buona lettura, un abbraccio. 
Starsfallinglikerain.

 
Capitolo 11
 
 
Il sole messicano è già rovente e non è nemmeno mezzogiorno. Il cielo è di un azzurro che Alec non ha mai visto, vasto, infinito e mozzafiato. Le strade odorano di  cose che deperiscono per il calore, le buche e i sampietrini luccicano. Una chiesa getta un'ombra che si fonde con quella screziata degli alberi adiacenti; l'edificio è antico e barocco e fuligginoso a causa dei gas di scarico delle automobili.  
Raphael è in piedi all'ombra della porta della chiesa — vecchia, con il legno scheggiato, il pomello di ferro pesante e mille storie da raccontare — ad assorbire la calma mattutina, tiene gli occhi chiusi. La sua camicia è sbottonata sul collo, il suo collare ecclesiastico giace allentato sulla sua gola. Alec nota l'abbassarsi della bocca di Raphael prima che Magnus possa avere almeno l'opportunità di dire qualcosa.            
Alec e Magnus visitano Raphael insieme in primo luogo solo perché l'ha suggerito Magnus, borbottando qualcosa a riguardo di voler vincere una scommessa. Non importa molto ad Alec: ha in mente di vedere il mondo oggi, tanto vale cominciare dal Messico.            
«Vattene, Magnus» dice Raphael, senza nemmeno aprire gli occhi. «Non ho intenzione di ascoltare i tuoi drammi oggi». 
«Sono solo passato a riscuotere la mia vincita» si pavoneggia Magnus ed Alec alza gli occhi al cielo, borbottando un basso Magnus nell'aria cotta dal sole e priva di ogni refolo d'aria. Raphael apre gli occhi, poggiandoli immediatamente su Alec. Fa una smorfia.   
«Sei qui».       
«Esatto» sorride Magnus. «Ora sgancia».    
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Seattle è bellissima all'alba, con la nebbia che si riversa come un'onda dalla baia. Alec non ha mai percepito così tanta umidità nell'aria, ma è pulita e fresca e corroborante. La sente purificare qualcosa in profondità nella sua anima e si sente in pace, qui, nella primitiva tranquillità del mattino.  
Clary dorme con le imposte mezze aperte e baluginii rosa e violetti  filtrano attraverso la foschia che sommerge le strade, danzando in una tenue fantasia  sul suo copriletto mentre si risveglia. Alec è in piedi davanti alla finestra, sta guardando fuori,  e Magnus guizza per la stanza, le sue dita inanellate seguono  il dorso degli album da disegno di Clary impilati in equilibrio precario sulla sedia della sua scrivania.
Le luci della città iniziano a sfarfallare nell'oscurità mentre il sole sorge, una vista che Alec ha potuto osservare molte volte dalla finestra della sua stessa stanza, ma che qui, in un qualche modo, è molto più calma, come un sogno. Sembra quasi che possa piovere oggi, proprio come ieri, e il giorno prima, e tutti quelli che Alec conosce in profondità nelle sue ossa.      
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«Martini della casa per il mio miglior cliente» sorride Maia, facendo scivolare un calice lungo e snello  sul bancone. Magnus strappa l'oliva dallo stuzzicadenti e la mangia in un sol boccone, l'ondeggiare del suo pomo d'Adamo è ipnotizzante. «Uno di questi giorni, Magnus, ti dirò che è troppo presto perché tu — o perché io — beva. Specialmente a lavoro».        
«Stiamo festeggiando, mia cara» sorride Magnus, con un cenno del capo, mentre Alec scivola sullo sgabello accanto a lui, con le pupille dilatate fin che assorbe le brillanti luci al neon e i caratteri sinuosi che d'improvviso è capace di leggere, come se avesse vissuto lì da tutta la vita. Ci sono dei gruppi di uomini d'affari con le cravatte allentate sulle loro gole che si fanno sconci e rumorosi negli angoli e un capannello di ragazze che ridacchiano al bancone. La birra è stantia e maltata nell'aria e si mescola con qualcosa di più intenso — superalcolici, forse — e ubriacante.  La musica elettronica risuona nell'aria, rendendola fastidiosa per l'elettricità statica; il sintetizzatore danza sulla pelle di Alec con passi agili.      
Maia alza un sopracciglio, il suo sorriso è sghembo.            
«Bene, ottimo» dice. «Lo stesso per te, Alec?».      
«Fagli una birra» la interrompe Magnus, a stento capace di comprimere il sorriso che gli tocca le guance.
Ad Alec non piace il sapore della birra, ma la sua espressione fa ridere Magnus, di conseguenza Alec non può fare a meno di sorridere — perché è un suono meraviglioso e riesce a sentire la spuma della birra sul suo labbro superiore così reale, così vera, così lì.   
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Sydney è buia e sfavillante, sul baratro della parte più oscura della notte, in cui il suono è smorzato e l'aria è fitta e sonnolenta. L'ufficio di Lydia è illuminato da un bagliore bluastro, gettato dal suo computer, a cui sta ancora lavorando nelle prime ore del mattino. Le vetrate sono ampie dal pavimento al soffitto di questo edificio e oltre Alec vede una serie di costellazioni che non ha mai conosciuto. 
Alla sua sinistra, riflessi blu e dorati che filtrano sul porto, il ponte che getta una luce chiara sull'acqua. Alla sua destra intravede le vele bianche del Teatro dell'Opera attraverso le aperture fra gli altri grattacieli.
Una città è una città, ma c'è un battito diverso nelle sue vene, un ritmo differente nel suo cuore, in qualche modo così lontano dalla New York che conosce ma oh, così familiare.           
Magnus raggiunge Alec alla finestra, sfiorando la spalla di Alec con la propria, esortando Alec a guardarlo.
«È una notte splendida, non trovi?» dice Magnus, calmo. Dietro di loro, le dita di Lydia schioccano sulla tastiera e il tenue ronzio dell'aria condizionata sono gli unici rumori della stanza.       
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Jace vive in un ampio bilocale, proprio a sud del Tamigi. Coglie il sole a metà pomeriggio e si riempie dello stesso sentimento impetuosamente caloroso che è intessuto nell'anima di Jace.   
Jace e Simon sono caduti a peso morto sul divano, sommersi dai cuscini, le loro gambe sono ingarbugliate, mentre si godono la sensazione di essere vicini.  La TV sta blaterando e Alec si prende un momento solo per osservarli dall'ingresso del salotto, i suoi occhi seguono il modo in cui Simon offre a Jace la ciotola dei popcorn senza distogliere lo sguardo dallo schermo.           
«Cosa guardiamo?» chiede Magnus, svolazzando per la stanza come se avesse vissuto lì da sempre, tutto disinvoltura e compostezza. Simon e Jace gli riservano uno sguardo disinteressato e poi si voltano di nuovo verso la TV — finché Simon non ha una reazione a scoppio ritardato e strilla, mandando la ciotola all'aria e spargendo popcorn ovunque.            
«Alec!» esclama, balzando in piedi e facendo scricchiolare i semi sul tappeto.     
Alec fa del suo meglio per imprimersi un'espressione di nonchalance in volto, scrollando le spalle, ma dentro di lui arde la brillante fiamma dell'orgoglio.          
«Amico!».      
Simon si getta contro Alec, avvolgendo le sue braccia muscolose come meglio può, e Alec gli concede due secondi di indulgenza prima di spingerlo via per la faccia.   
«Okay, basta così».   
«Amico» dice poi Jace, sorridendo. «È grandioso».
Alec lascia che un sorriso sghembo si formi sulle sue labbra.          
«Già» dice. «Ora posso ricambiare il favore e disturbarti quando tu stai cercando di dormire».   
Jace raggiunge la ciotola dei popcorn sul pavimento, afferrandone una manciata che in qualche modo  vi è rimasta all'interno, spingendoseli nella bocca — il che è un caos, perché il suo sorriso è ancora così largo e così bianco, anche con i chicchi incastrati fra i denti. Magnus si getta di peso sul divano accanto a lui, picchiettando via i popcorn solitari dai cuscini con un cipiglio scherzoso.           
C'è un sapore di casa qui. C'è un sapore di casa ovunque, con ognuno di loro, certo, ma c'è qualcosa riguardo a Jace che è facile, naturale e agevole e ad Alec piace. È diverso dall'agiatezza di Magnus, e forse c'è una sottile differenza nei due sentimenti che Alec ha identificato, ma a cui ancora non ha dato un nome — e tuttavia, Alec sente che va bene essere qui. Gli è concesso. È voluto, qui.         
«Cos'è cambiato?» chiede Jace, con la bocca piena di popcorn. Alec lancia un'occhiata a Magnus, che sta guardando Simon con ilarità nello sguardo mentre Simon inizia a pulire il casino che ha combinato. Alec fa spallucce, ma c'è un sorriso sghembo lì, sulle sue labbra, che sembra una rinascita.        
Diciotto mesi dopo, certo. Ma è lì.   
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«E così, sfortunatamente, è come mi hanno ufficiosamente bandito dal Perù» conclude Magnus, con una risata sprezzante e animata. «Non è stata una grande perdita ovviamente, ma mi piacevano molto la gente e la cultura, mentre mi trovavo lì».           
Alec sorride e china il capo. Non è sicuro del motivo per cui le sue guance siano rosse — magari ha qualcosa a che fare con il whiskey che Magnus sta sorseggiando, che Alec riesce a percepire come un bruciore ambrato che gli scende lungo la gola, ovviamente — o magari ha a che fare con il modo in cui Magnus lo sta guardando, intenso, assorbito dalle reazioni di Alec ai suoi racconti. Ne ha molti e sa che ad Alec piace ascoltarli.
Sono nel loft di Magnus — Alec lo sta visitando, proprio come ha fatto quasi tutti i giorni nelle ultime due settimane. Inizialmente Alec era stato timido riguardo al passare a trovarlo, apparendo una volta o due con una scusa già sulle labbra, perché stava ancora prendendo la mano con il pensare a Magnus e poi essere accanto a Magnus — ma Magnus le aveva rigettate con un gesto della mano e un sorriso affezionato. Aveva riso e aveva affermato che non dovrebbero limitarsi più alle visite alle tre del mattino; Alec aveva sorriso timidamente ma gli piaceva come suonava quella risposta.           
Alec  ne aveva approfittato, del visitare gli altri, ovviamente. Alle volte, durante un turno particolarmente trito nella macchina di pattuglia, era scivolato via nell'oscurità di una notte di Sydney, o aveva vagato in una galleria d'arte a Seattle, o era comparso durante un sermone a Città del Messico. Ha cominciato a visitare Jace alla mattina presto, quando Alec va nella palestra situata in fondo alla strada e Jace è già in sala a Londra, a lavorare con un cliente. Si allenano insieme in un silenzio amichevole, senza nemmeno salutarsi, ma condividendo un sorriso quando hanno entrambi terminato e Alec deve andare al lavoro.    
Ma la maggior parte del suo tempo la trascorre con Magnus. Alec si sente un po' in colpa, perché era abituato che fossero lui e Jace, prima di Magnus, ma ora — beh. Magnus ha una forza di gravità e Alec è incapace di sottrarvisi. Non che pensi di volersene sottrarre.    
Gli piace essere raggomitolato sul divano di Magnus, entrambi con le gambe piegate sotto i loro corpi, l'uno voltato verso l'altro, Magnus che appoggia il capo nel palmo contro il dorso del divano e guarda Alec mentre parla. È una sorta d'intimità, una sorta di vulnerabilità che Alec si è concesso di rado.
Si chiede se sarebbe la stessa cosa se lui e Magnus dovessero —.  
Se loro —.     
Se loro dovessero incontrarsi di persona. Se i tocchi di Magnus sarebbero così magnanimi se fossero reali, tangibili,  se il calore della sua pelle non fosse qualcosa  generato  dal lobo frontale del suo cervello.         
Alec ha pensato di sollevare la questione più di una volta. Risiede proprio al di sotto della sua lingua, agitata, a stento trattenuta, me è —.    
Beh, non è spaventato,  ma è nervoso riguardo al chiedere a Magnus di incontrarsi di persona. Non vuole che Magnus gli dica di no. Alec non pensa che lo farebbe, ma il pensiero oscilla come la lama di una ghigliottina sopra il suo collo e Alec non è mai stato bravo a chiedere ciò che vuole.    
Lancia un'occhiata a Magnus, i suoi occhi guizzano sul suo volto. Sembra un po' stanco — ha in corso un caso complicato che lo sta tenendo sveglio da ore — ma l'acume attenuato sta bene su di lui. Non che ad Alec non piacciano la sua acutezza, la sua destrezza  e la verve che scoppietta sulla sua pelle... Ma gli piace il lato di Magnus che non molte altre persone riescono a vedere, il lato che è nascosto dietro un'armatura composta da una valigetta ventiquattrore in pelle, giacche costose e una risata sprezzante. La mitezza, la franchezza, il modo in cui fa sentire Alec come se fosse la persona più importante nella stanza, anche quando la stanza è affollata.   
Ad Alec piace un sacco. Lo rende agitato.  
«Dimmi qualcosa di te» dice Magnus, i suoi occhi sonnolenti fissi sulla mascella di Alec. «Qualcosa che non so».
Alec lo prende in giro, i suoi occhi sfrecciano via, verso il pavimento.       
«Sono abbastanza sicuro del fatto che tu sappia tutto».      
«Sai che non è vero, Alexander. So solo quello che tu mi lasci sapere di te, proprio qui, proprio ora. Dimmi della tua infanzia, di ciò che volevi essere una volta cresciuto, del primo ragazzo che hai baciato —».
Alec è salvo per un pelo — o per il rumore di una chiave nella serratura della sua porta d'ingresso.        
«Izzy è a casa» dice rapidamente, allontanandosi da Magnus, la sua faccia dev'essere inevitabilmente rossa. Cerca di fare del suo meglio per controllare il sentimento. «Uhm — Asp... Aspetta».        
Alec sbatte le palpebre ed è di nuovo nel suo salotto, proprio mentre Izzy entra in casa. Magnus gli è seduto accanto sul divano, immobile, ma si è discostato, e tra di loro c'è più spazio di quanto Alec vorrebbe. Magnus non dice nulla, nessun commento scherzoso, lo sta solo guardando.           
«Alec!» lo chiama Izzy. «Alec, sei a casa?».
«Sono qui, Iz» risponde. «Tutto okay?».     
Ode un "sì" seguito dai caratteristici rumori di lei che si toglie i tacchi, riponendoli nella scarpiera. «Alla grande, in realtà! Ho delle novità!».      
Appare e attraversa la stanza velocemente per poi abbassarsi e salutare Alec con un abbraccio. Ma non è Alec che abbraccia, è Magnus — anche se, per lei, sono la stessa identica persona che condivide il corpo di Alec.
Magnus fa un sorrisetto, ma ricambia l'abbraccio di Izzy, e Alec scuote la testa con disperazione.
«Che novità, Izzy?» chiede apertamente. Il sorriso di Magnus è malizioso e Alec vorrebbe sgridarlo per questo. Piuttosto, gli volta le spalle, guardando deliberatamente Izzy.       
«Beh»  dice lei, le sue labbra rosse sono stese in un sorriso abbagliante. «Ascoltami, okay? Ma — ti senti bene, Alec?».        
«Eh?».
«La tua faccia è davvero arrossata». Gli appoggia il dorso della mano sulla fronte e Alec sussulta. «Hai la febbre?».
«Sto bene» borbotta Alec, allontanando la sua mano. «Non c'è niente che non vada. Che cosa stavi —».
Izzy lancia un'occhiata al cellulare di Alec, abbandonato sul tavolino da caffè, e fa due più due, nonostante Alec potrebbe obiettare che non c'è nemmeno un uno.    
«Oh» dice e il suo sorriso si fa più scaltro. «Ho interrotto qualcosa? Stavi parlando di nuovo con il tuo ragazzo segreto?».      
«Io — no — cosa?». 
«Non fare il finto tonto con me, Alec» dice Izzy, lasciandosi cadere sulla poltrona di fronte ad Alec. Si siede protesa in avanti, con un gomito sul ginocchio e il mento appoggiato sul palmo della mano, all'erta. Le luccicano gli occhi. «Non essere così sconvolto! Pensavi che non ti sentissi stare al telefono tutte le notti nella tua stanza? Le pareti sono sottili, hermano».      
«Non è — Izzy, è —».          
«Magnus, non è vero? O Jace? O entrambi — Non ti giudicherò, Alec, se è questo che —».      
«Jace è un amico» sbotta Alec a denti stretti. «Izzy».        
«Quindi è Magnus» dice Izzy, spumeggiante. «Quando me lo presenti?».
In panico, Alec lancia un'occhiata verso dov'era seduto Magnus, ma se n'è andato, e Alec non è certo se sia un sollievo oppure no. Riesce ancora a percepire qualcuno ridere attraverso il legame.          
«Lui non è — Noi non siamo —» si sforza Alec. «Non è come pensi».     
«Sorridi molto di più ultimamente. È evidente che ti rende felice».           
Lo fa, pensa Alec, prima di potersi fermare. Spera che nessuno stia ascoltando. È mortificante, decisamente.
«Izzy» la supplica disperatamente.    
«Va bene, va bene» lo asseconda. «Voglio solo sapere cosa ti sta succedendo, Alec. Sembra quasi che tu faccia fatica a raccontarmi qualsiasi cosa negli ultimi tempi».     
«Ti dirò tutto».          
«Non riguardo a questo» dice Izzy. «Non riguardo a cose personali.  Voglio sapere, Alec».       
«Beh, non c'è niente da dire su Magnus» borbotta Alec e non gli sfugge il modo in cui gli occhi di Izzy continuano a brillare mentre il nome di Magnus lascia le sue labbra. «Piuttosto, non eri tu che dovevi dire qualcosa a me?». 
«Ah! Sì».       
Izzy inizia a raccontare una lunga storia che si riduce al fatto che le è stata offerta una promozione, ma probabilmente implicherà che debba trasferirsi fuori città. Alec si congratula con lei, come sa che dovrebbe fare, e prova un'ondata di orgoglio per lei, ma è contemporanea alla deprimente constatazione che l'unica persona reale nel suo mondo non sarà più ad una camera di distanza. Hanno trascorso insieme tutta la loro vita e questo è il genere di cambiamento che Alec non è sicuro di riuscire a gestire bene.
«Ho parlato anche con mamma e papà» dice poi Izzy, e se già il sangue di Alec era freddo, ora si gela all'istante. «Lo so. Ero sorpresa anche io che abbiano risposto al telefono. Ma so quanto dura sarà continuare a pagare l'affitto di questo appartamento se ci metti un po' a trovare un nuovo coinquilino, e non voglio che tu ti debba trasferire, quindi — hanno detto che avrebbero considerato l'idea di darti una mano. Per un po'».  
«Hanno detto cosa?».           
«Già» conferma Izzy con un sorriso. «Penso stiano cambiando idea. Finalmente. È una cosa bella, Alec».
«Già» le fa eco Alec. Da qualche parte, vagamente, percepisce Jace pungolarlo e punzecchiarlo per assicurarsi che stia bene. «È solo che — Mi mancherai, Iz».           
«Mi mancherai anche tu, fratellone» dice Izzy. Balza dalla poltrona e si getta sul divano accanto ad Alec, appoggiando la sua guancia sulla sua spalla, con il braccio attorno alla sua vita, stringendolo forte. «Ci vedremo ancora. Inoltre — sembra che stiano succedendo un sacco di cose nella tua vita ora».     
Gli dà un pizzicotto e Alec le dà un colpetto sul fianco col gomito, ed ecco come trascorrono la serata, raggomitolati insieme sul divano, parlando piano dei grandi progetti di Izzy, solo loro due, soli ma insieme.
Alec è grato che nessuno lo interrompa e la sua testa, per una volta, è inviluppata in un delizioso silenzio.
Gli mancherà così tanto. Vorrebbe aver trascorso più tempo con lei, in questi ultimi mesi. È come se si fossero mancati, come navi nella notte.        
Alec le dice quasi la verità sul cluster, sulla connessione, e tutte quelle sensazioni confuse che Magnus Bane fa apparire nel suo petto. Quasi. Siede sulla sua lingua, è un peso, ma quasi non trova lo spazio fra le frasi di Izzy per infilarvela.      
Quella notte va a letto sentendosi un po' triste. Il pensiero di dover affrontare il lavoro l'indomani, di dover sopportare le chiacchiere inutili di Raj, di dover trascorrere la giornata ad archiviare scartoffie e compilare rapporti lo fa sentire fiacco. L'idea che i suoi genitori siano  dall'altro capo della prossima telefonata lo riempie di un vago senso di terrore.       
La consapevolezza che Izzy, l'unica persona che può abbracciare e di cui può percepire davvero il calore, se ne sta andando lontano lo fa pensare di nuovo a Magnus. «Tesoro» dice Magnus, appoggiato alla testiera del suo letto, abbassando lo sguardo per osservare Alec sul cuscino. Magnus allunga un braccio, scostandogli i capelli dalla fronte, come fa spesso. I suoi occhi sono delicati e comprensivi e ciò lo fa sentire miserabile.    
Alec riesce a stento a guardarlo e si sente orribile quando si volta sul letto, seppellendo la faccia nel cuscino, dando la schiena a Magnus.     
Le anime gemelle non sono rare. Alec lo sa: ne ha sette, dopotutto, e Magnus ne ha avute quattordici, il che probabilmente commuoverebbe chiunque altro. Qualcun altro, qualcuno senza la connessione che loro hanno, si prenderebbe gioco di Magnus, dicendogli che è troppo romantico, troppo sognatore per essersi innamorato realmente e profondamente di così tante persone.        
Le anime gemelle sono semplici da trovare quando puoi vivere così tante vite in una volta sola. Ci sono così tante persone là fuori, sparpagliate per il mondo, e Alec ne ha incontrate più di quante la maggior parte della gente non ne incontrerà in una vita. Le anime gemelle si presentano sotto così tante forme: ragazzi con i capelli dorati, ragazze che nascondono un ringhio dietro a denti affilati, anche sorelle carine — perché chi ha davvero bisogno di un legame psichico per trovare qualcuno che importi veramente, alla fine di tutto? Izzy è stata, e sempre sarà, parte di Alec quanto lo sono tutti loro.       
Il Nord geografico, però. Quello è diverso. Quel punto de facto su una bussola che potrebbe facilmente condurre in così tanti luoghi, ma che in qualche modo finisce per puntare solo verso una persona. La Stella Polare, che Alec sa che metà delle persone nella sua testa non riescono nemmeno a vedere, i loro cieli notturni sono differenti da quello che egli condivide volentieri con Magnus. Quel sentimento irrequieto che lo trascina più in profondità rispetto al suo riluttante affetto per Clary, o il suo rispetto professionale per Lydia, o il suo cameratismo fraterno con Jace.    
Proprio prima che il sonno lo colga, Alec schizza di nuovo nel loft di Magnus, i suoi occhi vanno immediatamente alla schiena di Magnus mentre questi gironzola per il suo salotto, con un bicchiere di whiskey già fra le mani, per un istante ignaro di Alec. Si sente in colpa per pensare a Magnus ora che è così intricato con Izzy, ma la verità è che il suo cuore è sempre stato un casino filiforme.          
Per la seconda volta nella sua vita Alec si ritrova a pensare: Oh, eccoti qui.          
Sei ciò che ho desiderato per tutto questo tempo.   




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