Obstacles
Someday
we will foresee obstacles
Through
the blizzard, through the blizzard
Today
we will sell our uniform
Live
together, live together
Keith
non è sorpreso nel sentire Shiro sollevarsi seduto all’arrivo
delle prime luci dell’alba. Per qualche istante si limita a
osservare il suo profilo immerso in quella luce pallida e morbida, il
contrasto che crea coi lineamenti rigidi del suo viso; vorrebbe
sollevare una mano e accarezzare la sua guancia senza remore, ma ha
paura di interrompere chissà quale flusso di pensieri –
e ha paura di Shiro, del silenzio in cui sembra essersi chiuso sin da
quando Keith lo ha riportato a casa. Riesce ancora a vedere i suoi
occhi offuscati dal dolore mentre tenta di spiegargli l’accaduto
con l’aiuto dei nuovi compagni di fuga, quella parziale assenza
dettata da orrori che Keith non riesce neppure a immaginare.
Qualunque cosa gli sia successa deve averlo segnato in maniera
irreparabile: il soldato che gli ha infuso coraggio e gli ha dato
qualcosa in cui credere è il guscio di se stesso, un essere
perlopiù silenzioso e nervoso che è scivolato in un
sonno stremato non appena Keith ha dato a tutti la buonanotte,
rimandando le vere spiegazioni al giorno seguente.
Ma
ora, nella sacralità di quella nuova alba e nel silenzio,
Shiro sembra diverso dalla notte precedente. Guarda avanti a sé
con occhi sgranati, vivi e presenti – è come se si fosse
svegliato per la prima volta in quell’istante, come avesse
realizzato solo allora di essere a casa. Come stesse riabituandosi
alla gravità della terra, ancorando se stesso a quel pavimento
e a quella realtà.
Inspira
lentamente e si volta verso Keith, che trattiene il fiato come fosse
stato colto nel bel mezzo di un crimine; ma Shiro non sembra turbato
dal suo essere sveglio. Sembra non lo veda neppure, e Keith si
domanda di nuovo se sia realmente lì – in quella stanza,
con
lui
– fino
a quando, sguardo aggrottato, Shiro non gli parla.
-
Keith, sei davvero tu…? -, domanda, la voce ridotta a un
mormorio debole. Prima che Keith possa pensare ad una risposta Shiro
si volta, posando i piedi a terra e lasciando che la coperta che
Keith gli ha appoggiato addosso scivoli via dal suo corpo; si guarda
attorno meravigliato, fino a riportare il proprio sguardo sulla
finestra. - Sono davvero qui? -
Keith
cerca le parole adatte a rispondergli, ma non ne trova. Lo guarda
alzarsi in piedi, avvicinarsi a lui e chinarsi di nuovo –
rimane immobile mentre Shiro posa la mano sinistra sul suo volto e lo
tocca, e poco importa che lui stesso lo abbia sostenuto e portato
fino a lì la notte prima: è come se lo sentisse per la
prima volta in quel momento. La sua mano si solleva a trattenere
quella di Shiro sul suo viso, le lacrime pizzicano i suoi occhi –
ha pianto solo una volta da quando è scomparso, e poi ha
serrato i propri sentimenti in un baule che non sapeva se avrebbe mai
riaperto, ma in quel momento il nodo che non si era neppure reso
conto di avere in gola minaccia di farsi stretto abbastanza da
ucciderlo.
Shiro
boccheggia piano, incapace di realizzare che quello che ha davanti a
sé non è solamente un sogno – e poi, colto dal
panico, si solleva di scatto. Indietreggia, una piccola ruga tra le
sopracciglia sollevate in un’espressione di timore.
-
Non sei un altro dei loro trucchi? -, posa le mani sulla sedia alle
sue spalle e la stringe con forza, per accertarsi di non star
sognando. Keith scuote la testa, stringendo le labbra per impedire al
pianto di sopraffarlo. - Non possono essere entrati nella mia testa,
non fino a trovare te… -
-
Shiro. -, lo chiama, e di nuovo Shiro sussulta. Keith inspira a
fondo, così nervoso da non sapere nemmeno più quale
tono utilizzare per rivolgersi a lui. - Non so di cosa tu stia
parlando. Sono io. Sono Keith. -
Per
qualche lungo momento Shiro non dice nulla. La consapevolezza scivola
sulle sue spalle lentamente, un po’ più pesante e reale
ad ogni respiro esalato da entrambi. Poi, finalmente, risponde con un
sussurro: - Sono libero. -
La
mente di Keith suggerisce che annuire è la cosa giusta da fare
– e per un momento riesce quasi a dare retta a se stesso, ma
l’istante successivo sta già chiudendo lo spazio che lo
separa da Shiro, gli sta gettando le braccia al collo e lo sta
trascinando a sé per la prima volta in dodici, interminabili
mesi. - Sei libero. -, conferma, annuendo più e più
volte. Trema, e trema anche Shiro – così forte che le
gambe gli cedono ed è improvvisamente pesante tra le braccia
di Keith, ma non pesante abbastanza perché lui lo lasci
andare. Mormora il suo nome in quel tono che sa usare solo lui, quel
tono in cui il suo nome diventa sinonimo di affetto e protezione e
tutto ciò che Shiro ha portato di buono nella sua vita prima
dell’incidente. Il tono che non credeva avrebbe mai più
sentito.
-
Sono a casa. -, sorride contro la pelle del suo collo, lasciandovi
contro un bacio prima di stringerlo ancora più forte. “Sì”,
pensa Keith, ma non ha la forza di dirglielo – si limita a
dimostrarglielo, baciando le lacrime sulla sua guancia. Per la prima
volta in mesi, si sente esattamente allo stesso modo.
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Questa fic avrei dovuto postarla
per lo Sheith Month, assieme ad un'altra che posterò più
avanti ma oioi son vecchia e stanca e me n'ero completamente
dimenticata;;;;;
Mi piace descrivere piccoli
momenti delicati, anche se ho sempre l'impressione di non rendere
giustizia all'immagine che ho nella mia mente TvT e tuttavia eccola
qui. Spero vi sia piaciuta.
Alla prossima!
-Joice
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