Boom

di Kim WinterNight
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Capitolo diciassette: The Chain




Ero in bagno e finivo di prepararmi. Intanto, ripensavo alla sera precedente e a tutto ciò che era capitato. Con la mente velata di malinconia, ripercorsi gli avvenimenti delle ultime ore e mi resi conto che era andato tutto bene, tutto secondo i piani, che avevo fatto tutto ciò che dovevo e che avevo resistito, per la prima volta, alla tentazione rappresentata da Marco.

Sorrisi tra me e me, soddisfatta.


«Scambio dei regali?» chiese Marco perplesso.

«Esatto! Ieri sera, mentre tu eri via, i ragazzi sono andati in cerca di un regalo per te. Contento?» lo canzonò Giovanna, utilizzando un tono ironico che mi fece sorridere.

«Ah.»

«Ragazzi?» attirò la nostra attenzione Lucrezia, consegnandoci i pacchetti che aveva tenuto nascosti durante la cena.

Li consegnammo a Marco e lui si scartò con curiosità, contento dei suoi nuovi tesori. Li osservò con dedizione, ma ci ringraziò a malapena.

Mi pentii di avergli fatto un regalo, anche se la scelta non era partita da me; era un vero e proprio ingrato.

Dopodiché, gli istruttori annunciarono che avevano un regalo anche per ognuno di noi da parte loro e delle educatrici.

«Addirittura?» feci io.

«Certo!» confermò Lucrezia, cominciando a distribuire un pacchetto a testa.

Al suo interno trovammo una maglietta con la scritta L'essenziale è invisibile agli occhi e un biglietto con la stessa frase scritta in nero e in caratteri braille.

«Wow! È bellissima!» esclamò Tamara, esaminando l'oggetto sotto una lampada al neon che illuminava il tavolo attorno a cui avevamo cenato.

Tutti fummo contenti di aver ricevuto quel regalo davvero particolare; dopodiché Marco aprì la bottiglia di vino superstite e io continuai a selezionare musica per intrattenere i miei compagni d'avventura.

Infine io e Viola ci ritrovammo a ballare Still Loving You degli Scorpions come due sceme, oscillando a destra e sinistra senza seguire un tempo ben preciso.

Poi, verso l'una e mezza, la musica cessò e io rimasi perplessa per un istante.

«Che è successo?» domandò mia sorella.

Mi accorsi che anche le luci si erano spente, così esclamai: «Mi sa che ci hanno staccato la corrente!».

Scoppiammo a ridere e ci preparammo per tornare in camera.


«Lau! Ti dai una mossa? Giorgio deve andare via e volevamo fare una foto tutti insieme con addosso le nuove magliette!» sentii gridare da mia sorella, mentre entrava nella mia stanza.

«Okay, arrivo, aspetta! Non sono ancora pronta!» risposi.

«Sì, ho capito, ma deciditi!» mi esortò.

Feci in modo di impiegare meno tempo possibile a prepararmi, ma alla fine quasi tutti i miei compagni di campo presero a richiamarmi dal piano inferiore.

Corsi giù non appena possibile, finendo di sistemarmi la maglietta in modo da essere pronta per l'epica fotografia di fine campo.

Mi ritrovai incastrata tra Giorgio e Viola, mentre alcuni dei nostri amici si accovacciarono a terra e qualcuno, essendo più alto, si sistemò alle nostre spalle.

Un uomo ci scattò alcune foto – doveva essere il padrone del residence o il padre di Giorgio, non ne ero sicura – e tutti finimmo per ridere a crepapelle per le posizioni cretine che ognuno di noi assumeva in vista di un nuovo scatto.

Dopodiché, abbracciammo tutti Giorgio e gli augurammo buon viaggio.

«Mi mancherai!» gli disse Tamara, tenendolo stretto.

«Anche tu! Tanto ci siamo scambiati il numero, vero?»

«Ma certo!» esclamò mia sorella.

Quando fu il mio turno per salutarlo, gli regalai un affettuoso abbraccio e dissi: «Mi raccomando, sii sempre forte e non arrenderti, okay? E non farti mettere i piedi in testa da quella palla al piede di Nicolò!».

Quest'ultimo, sentendosi tirato in causa, non perse tempo e si avvicinò subito a noi, allungando le mani e poggiandole sul mio didietro.

«Nicolò, spostati!» strillai, spintonandolo all'indietro.

«Cosa stavi dicendo su di me? Amore mio, ti amo lo stesso!» disse lui, senza scomporsi troppo.

«Ho detto che sei un rompicoglioni.»

Lui rise come un idiota e tornò a mettermi le mani addosso, poi dichiarò: «Amore mio, che bella che sei!».

«Levami. Le. Mani. Di. Dosso.» Detto questo, mi spostai dalla sua traiettoria e mi diressi nuovamente verso la mia stanza per chiudere le valigie.

Non vedevo l'ora di riabbracciare Danilo, non ne potevo più di Nicolò, di Marco e della loro pedanteria. Perché tutti provavano a mettermi le mani addosso? Era frustrante!


Il viaggio in pullman fu estremamente malinconico: eravamo più morti che vivi, tutti eravamo stanchi e provati da quei dieci giorni e non avevamo molta voglia di parlare né di scherzare più di tanto.

Io avevo le cuffie alle orecchie e stavo seduta accanto a Marco, mentre lui se ne stava appeso al sedile di fronte al suo con le mani tra i capelli di mia sorella.

«Marco, mi lasci in pace?» sospirò lei.

«No.»

«Uff, perché?»

«Perché no.»

Scossi il capo. «Siete due casi persi...» mormorai, mentre rispondevo a un messaggio di Danilo.

«Gelosa?» mi stuzzicò Marco.

«Non penso proprio» borbottai.

Raggiungemmo velocemente la nostra meta, ovvero la sede da cui la maggior parte di noi era partita il primo giorno.

All'arrivo, non ebbi molta voglia di salutare tutti, ma abbracciai sia Viola che Marco. Quest'ultimo, lo sapevo e lo speravo, probabilmente non l'avrei mai più rivisto, mentre con Viola avrei fatto di tutto per mantenere i contatti, com'era sempre stato.

Dopo che io e Tamara aiutammo nostro padre a caricare i nostri bagagli in macchina, partimmo verso casa.

Lui ci chiese come fosse andata: gli raccontammo un po' di cose, senza entrare troppo nei dettagli perché in ogni caso avremmo dovuto ripetere tutto anche a nostra madre.

Della musica di sottofondo risuonava nell'abitacolo, e a un certo punto partì un pezzo che non mi era del tutto sconosciuto.

«Che canzone è?» domandai a mio padre, alzando un po' il volume.

«The Chain, Fleetwood Mac. Buona musica!» mi spiegò.

Presi ad ascoltare quel brano e mi resi conto che era davvero bello, orecchiabile ma che, soprattutto, i musicisti erano formidabili, così come le linee vocali che si intrecciavano in maniera perfetta.


And if you don't love me now
You will never love me again
I can still hear you saying
You would never break the chain (Never break the chain)


La cosa più bella arrivò quando, a un tratto, cominciò a risuonare un vibrante giro di basso che mi riempì letteralmente l'anima.

Se non mi ami adesso, non potrai amarmi ancora. Posso ancora sentirti dire: non potrai mai spezzare la catena.

Quelle parole e quel giro di basso dai tratti funesti sortirono in me uno strano effetto, come un presagio, un avvertimento.

Eppure, non volevo essere negativa: quel pomeriggio sarei uscita con i miei amici, mentre la sera avrei rivisto Danilo.

Tutto sarebbe andato bene, i miei erano stati solo stupidi e insignificanti dubbi.


Lui suonava e io lo ascoltavo attentamente, cercando di cogliere ogni nota e ogni sfumatura del suo essere attraverso quei suoni.

Da quando uscivo con lui, avevo quasi dimenticato che fosse un musicista, che suonasse in un gruppo che conoscevo e apprezzavo da parecchio tempo, molto prima che ci conoscessimo.

Ma ora, dopo quei giorni di lontananza, oltre che del suo abbraccio sentivo la necessità della sua musica e di sentire tutto ciò che lo rappresentava.

La sua chitarra era delicata, quasi impercettibile in certi momenti, eppure io riuscivo a coglierla.

Io e mia sorella eravamo stravolte dalla stanchezza, ma avevamo ancora la forza per ballare e stare sotto quel piccolo palco a sostenere Danilo e i suoi compagni di band.

Quando lo spettacolo finì, io trascinai mamma e Tamara da Danilo, volevo assolutamente salutarlo e dargli almeno un abbraccio.

Ovviamente, in pubblico non avrei mai azzardato altro, non era da me, anche perché i suoi genitori erano presenti e io ancora non li conoscevo.

Fu lui, infine, a raggiungerci: mi abbracciò, ma non fu la stretta calorosa e rassicurante che mi aspettavo e ricordavo; addussi quello strano comportamento alla presenza dei suoi genitori e non ci feci caso, limitandogli a chiedergli come stava e a scambiare due chiacchiere con lui.

Poi, lui ci condusse a conoscere i suoi genitori, i quali mi fecero subito una strana impressione: mi strinsero appena la mano e parlarono pochissimo. In particolare, sua madre parve non apprezzare particolarmente la mia presenza e si limitò a dirmi il suo nome senza alcun entusiasmo.

Quell'incontro tra noi fu fiacco, ma io non ci badai e pensai che, una volta usciti da soli nei giorni successivi, tutto sarebbe tornato al suo posto e io sarei stata nuovamente felice e tranquilla.

Mentre rientravo a casa, gli inviai un messaggio.


Dani, spero di riuscire a vederti presto e di poter stare da sola con te. Mi manchi troppo...


Tranquilla poi ci organizziamo per domenica o lunedì :)


Okay, va bene, lo spero tanto :3


Non preoccuparti anche io non vedo l'ora :)


E sapevo che potevo credergli, dovevo credergli, soprattutto dopo aver evitato il peggio, ovvero la presenza di Marco e le sue spudorate avances.

Ce l'avevo fatta e mi sentivo sfinita, sì, ma pienamente soddisfatta e in pace con me stessa.




Carissimi lettori, questo è l'ultimo capitolo di questa storia... ebbene sì!

Ma non preoccupatevi: ci sarà l'epilogo la prossima settimana, quindi non è ancora finita del tutto!

Per ora, che ne pensate?

Sappiate che le sorprese non sono finite... quindi, aspettate l'ultimo aggiornamento e poi fatemi sapere cosa ne pensate ^^

Alla prossima e grazie infinite a chi ancora mi segue anche qui ♥





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