Martedì,
27 dicembre 2011
Ho
mal di gola.
Anzi,
per essere più preciso, diciamo che è come se nella
notte qualcuno avesse sostituito le mie tonsille con due palline da
golf.
Perfino
deglutire mi fa male.
“Ciao”
dico entrando in cucina, sforzandomi di parlare nel modo più
normale possibile.
Asia
sta facendo colazione e risponde al mio saluto con un sorriso, mamma
invece è intenta a riguardare sul suo pc portatile le foto che
ha fatto a Natale; “Buongiorno!” esclama scompigliandomi
i capelli quando mi chino a darle un bacio, per poi seguirmi con lo
sguardo mentre apro il frigo per prendere il caffellatte. “Tutto
bene?”
“Sì
sì” rispondo sfregandomi un occhio e sedendomi al
tavolo, di fronte ad Asia.
“Vuoi
il pane con la marmellata?” mi domanda ancora mamma.
“No,
mangio i biscotti” dico allungando una mano verso il
contenitore vicino ad Asia e prendendo un paio di biscotti al
cioccolato; li ha preparati Asia ieri e sono davvero buonissimi, però
adesso non riesco a mandarli giù e mi si piantano in gola;
bevo un lungo sorso di caffellatte, che mi dà un po' di
sollievo e decido che forse sia meglio non mangiare.
“Uff!
Non so decidermi!” sbuffa mamma. “Sono tutte belle! Come
faccio a scegliere quali stampare?!”.
Tutte
le volte questa storia e, come risultato, abbiamo la casa talmente
invasa da foto che non sappiamo più dove metterle; quando le
ritira dal fotografo, le mette provvisoriamente in una
scatola, ripromettendosi poi di attaccarle sulla miriade di album che
ha già comprato; ma, puntualmente, passa troppo tempo e poi
non le va più di farlo; finisce con lo scegliere le sue
preferite e le incornicia, spargendole in tutta casa, e tutte le
altre finiscono in una scatola; il ripostiglio è ormai pieno
di scatole zeppe di foto: ogni tanto le tira fuori, le riguarda, ci
aggiunge qualche data, ma le lascia lì.
Quando
finisco di bere il caffellatte, mi alzo e vado dietro di lei;
appoggio il mento sulla sua testa, abbassandomi un po', e mi soffermo
per qualche minuto a guardare le foto insieme lei.
“Ma
guarda Gianni!” esclamo ridendo. “Si sta mangiando Grazia
con gli occhi!”
“Perché,
tu qui che stai facendo con Ele?!” ribatte lei mostrandomi una
foto dove ci sono io che sto vistosamente squadrando le gambe ad
Eleonora.
“Beccato!”
ride Asia alzandosi, appoggiando la tazza nel lavello e venendo anche
lei a guardare le foto. “Te la stai proprio divorando!”
“Eddai
basta!” dico tentando di alzare la voce che però mi esce
rauca. “Mamma, vai un po' avanti, su!”.
Lei
si volta verso di me e socchiude leggermente gli occhi, scrutandomi:
“Stai bene?”
“Sì,
perché?! Che ho detto?!”
“Hai
una voce che non mi piace.”
“È
la mia voce.”
“Mi
sembra più bassa.”
“Sarà
la pubertà!” ridacchio io sollevando le spalle.
“Ah!
Cambi voce un'altra volta?!”
“Può
essere!”.
Lei
non resiste e scoppia a ridere. “Sei sicuro di stare bene?”
“Sì!”
“Ti
fa male la gola?”
“E
che palle! No!”
“Però
hai mangiato
solo due biscotti” si intromette Asia, guadagnandosi una mia
occhiata fulminante.
“Ma
cos'è una congiura?!” sbotto io alzando la voce e
fregandomi da solo perché, oltre a farmi malissimo alla gola,
ancora una volta la mia voce esce rauca.
Mamma
sposta indietro la sedia e si alza in piedi. “Sei di nuovo
uscito senza sciarpa.”
“Ma
sì che ce l'avevo, la sciarpa!” ribatto io sfregandomi
un occhio.
“No,
non ce l'avevi. Fammi vedere la gola.”
“Non
ti fidi di me?!”
“Devo
dire a papà che ieri te ne sei andato in giro in motorino? E
che sei pure rientrato in ritardo?”
“Questo
si chiama ricatto!”
“Va
bene, dopo puoi chiamare il Telefono Azzurro, ma adesso fammi vedere
la gola” insiste lei mentre Asia se la ridacchia, intanto che
lava le stoviglie della colazione.
Mi
arrendo.
Alzo
gli occhi al cielo e apro la bocca.
“Ecco!
Lo sapevo! Siamo alle solite! Ma tu continua pure ad andartene in
giro per casa scalzo, eh?! Continua a non metterti mai la sciarpa, a
non prendere mai l'ombrello...!”
“Cosa
c'entra l'ombrello, adesso?! Sono giorni che non piove!”
“Vatti
a mettere i calzini” mi dice toccandomi la fronte. “Io
prendo il termometro”.
“Forse
stavolta te la cavi con poco!” sospira mamma guardando il
termometro. “37,7. L'ultima volta a quest'ora ce l'avevi già
a 39! E poi non mi è sembrato di vedere placche. Certo che...
pur di non fare i compiti... te le inventi tutte, eh?!”
“Io?!
E che colpa ne ho?! Sarà il mio inconscio!”
“Aaah!
E il tuo inconscio lo sa che così rischi di saltare il
Capodanno?!”
“Cazzarola,
no!”.
Non
voglio rinunciare al veglione di Capodanno! È la prima volta
che i miei mi concedono di festeggiarlo con i miei amici: Riccardo
organizza una festa a casa sua e ho pure il permesso di fermarmi a
dormire lì; sì, i suoi saranno al piano di sopra, ma
abbiamo la taverna tutta per noi e ci saranno anche delle ragazze.
Non posso assolutamente mancare!
“Ti
conviene dire al tuo inconscio di farti guarire alla svelta!”
esclama lei alzandosi dal mio letto e rimboccandomi la trapunta.
“Vediamo di dargli una mano, va'! Vado a prepararti la mia
tisana magica!”
“Mi
prendi il Dylan Dog sulla scrivania?”
“Ecco
qua” mi dice porgendomelo, per poi chinarsi a darmi un bacio
sulla fronte; tanto per cambiare pare essersi già dimenticata
di avercela con me per il fatto che, a detta sua, non mi copro
abbastanza e prima di uscire dalla mia stanza mi sorride persino.
Mamma
ritorna circa dieci minuti dopo con una tazza fumante della sua
tisana magica, che altri non è che acqua calda con
zenzero, limone e miele, ma che, devo ammetterlo, ha davvero la sua
efficacia e, per fortuna mia, è pure buona.
“Aspetta
un po' prima di berla” mi dice appoggiando la tazza sul
comodino. “Adesso è troppo calda.”
“Sì,
va bene...”
“Io
tra poco esco. Vado dal fotografo e già che ci sono passo in
farmacia a prendere l'antipiretico che non ne abbiamo più. Non
si sa mai che stasera la febbre si alzi troppo.”
“Mi
prendi le caramelle balsamiche?”
“Certo”
sorride lei. “Quelle extra-forti. Ti serve qualcos'altro?”
“Mh...
no.”
“Per
pranzo cosa vuoi? Così se devo comprare qualcosa...”
“Il
purè!”
“Ok,
allora metto a bollire le patate e dico ad Asia di darci un
occhio...”.
E,
proprio in quel momento, si sente Asia chiamare dalla cucina: “Mamma!
Ti squilla il telefono!”
“Arrivo!”.
Io
riprendo a leggere Dylan Dog finché non sento le voci
di mamma e Asia avvicinarsi.
“Lasciami
venire con te!” sta dicendo Asia.
“No,
è meglio che tu resti a casa” ribatte mamma. “Leo
potrebbe aver bisogno. Vado da sola.”
“Tu
potresti aver bisogno! Leo ha solo un po' di febbre, non è
una tragedia se resta da solo per un po'!”
“Cosa
non ti è chiaro nelle parole: vado da sola?!”
“Chiama
almeno papà!”
“Non
mi sembra il caso di disturbarlo sul lavoro. Non ce n'è
bisogno. Davvero. Per favore, metti a bollire un po' di patate che
quando torno preparo il purè”.
Questa
conversazione non mi convince.
I
loro toni di voce non mi convincono.
Appoggio
il Dylan Dog sul letto e mi alzo, irrompendo nel soggiorno e
cogliendole di sorpresa.
“Dov'è
che devi andare?!” chiedo a mamma in tono brusco, guardandola
dritto negli occhi.
“Dal
fotografo, no?” risponde lei con un sorriso imbarazzato. “E
in farmacia.”
“Ed
io vorrei andare con lei, invece che restare qua a farti da baby
sitter!” aggiunge Asia.
Io
le guardo per un attimo tutte e due, poi non riesco a trattenermi
dall'alzare la voce, che ovviamente esce meno forte di come vorrei:
“Mi state prendendo per il culo?! Dove devi andare?!”
ripeto avvicinandomi di più a mamma.
“Te
l'abbiamo già detto!” esclama Asia spostandosi i capelli
dietro l'orecchio.
“Tu
me l'hai promesso!” dico con rabbia continuando a guardare
mamma negli occhi. “Te lo ricordi?! Mi hai promesso che mi
avresti sempre detto la verità!”.
Me
l'ha promesso più di un anno fa, in quel maledetto giorno in
cui ho sentito nominare per la prima volta quella parola:
condrosarcoma.
Rimango
a fissarla in attesa di una risposta.
Lei
si volta verso Asia, le fa un cenno di assenso con la testa e a
questo punto lei se ne va in camera sua, lasciandoci da soli.
“Devo
andare in ospedale” mi dice con voce pacata, sostenendo il mio
sguardo.
“Come
sarebbe?! Perché?” le chiedo deglutendo.
“Mi
hanno telefonato per dirmi che sono pronti i risultati dell'ultima
tac.”
“Quale
tac, scusa? Non dovevi farla a gennaio?”
“La
Lisandri ha preferito anticiparla.”
“Perché?!
E quand'è che l'hai fatta?!”
“Venerdì.”
“Quando
sei svenuta?”
“Sì.”
“Ma
mi avevate detto che era stato solo un calo di pressione!”
protesto io agitando in aria una mano, mentre mi trema la voce.
“No”
sospira lei scuotendo la testa. “Ho avuto una crisi
respiratoria”.
E
adesso mi sembra di avercela io, la crisi respiratoria.
“Ma...
credono... che...”
“Non
lo so” mi sorride lei accarezzandomi il viso. “Quando
torno te lo dico. Adesso però devo andare. E tu devi tornare a
letto. Va bene?”.
No,
non va bene.
“Non
posso venire con te?” le domando pur conoscendo già
benissimo la risposta.
Lei
mi sorride con gli occhi e mi dà un bacio: “Fila a
letto!”.
Io
sospiro e me ne torno a letto, provando a riprendere la lettura, ma è
inutile dire che non riesco a capirci più niente.
“La
mamma mi ha scritto che ritarda” mi dice Asia entrando nella
mia stanza, qualche ora più tardi. “Tu hai fame? Ti
preparo il purè?”
“No,
aspetto che torni la mamma.”
“Come
vuoi” sospira lei prendendo dal comodino la tazza ormai vuota.
“Ti serve qualcosa?”
Mi
serve sapere perché mamma ritarda.
Mi
serve sapere che cosa le ha detto quella strega della Lisandri.
Mi
serve sapere che tornerà a casa e che non la tratterranno in
quel maledetto ospedale com'è già successo troppe
volte.
Mi
serve sapere che starà bene, che la malattia sta regredendo,
che tutto va come deve andare.
“No
no, sono a posto.”
“Va
bene. Io torno in camera a studiare. Lascio la porta aperta. Chiamami
se cambi idea e vuoi mangiare.”
“Sì,
ok, grazie”.
Dovrebbe
saperlo che io non cambio idea tanto facilmente: finché non
torna mamma io non voglio mangiare.
Mamma
torna a casa verso le 14:30 e quando scopre che non ho ancora
pranzato non la prende molto bene: “Come sarebbe a dire che non
hai ancora mangiato?!”
“Non
avevo fame. E volevo prima sapere come stai.”
“Sto
come una che torna a casa dopo una pessima mattinata e scopre che suo
figlio che ha la febbre è ancora digiuno!” sbotta
lei appoggiando le caramelle sul mio comodino.
“Volevo
aspettarti. E poi volevo il tuo, di purè, non quello di Asia”.
Lo
so che a dirla così sembro un bambino capriccioso, ma il fatto
che lei riesca a ancora a cucinare per me rende tutto più
normale, tutto come prima, ed ha un valore
inestimabile; e so benissimo che lo stesso vale per lei.
“Vado
a preparartelo” mi dice nascondendo un sorriso.
“Aspetta”
la fermo, afferrandole una mano. “Dimmi prima che ti hanno
detto.”
“Dopo.
Penso che tu stia morendo di fame. E a dire la verità
anch'io!”.
Lei
se ne va e dopo un po' io non resisto e mi alzo dal letto,
raggiungendola in cucina, dove lei sta aggiungendo il latte alle
patate che Asia probabilmente aveva già provveduto a sbucciare
e schiacciare.
“Cosa
fai in piedi?” mi domanda senza bisogno di girarsi a guardare
che sono io: è impossibile che lei confonda il rumore dei miei
passi con quelli di Asia.
“Dai,
non sto così male. Mangiamo insieme qua” dico sedendomi
al tavolo.
Davvero,
non sto così male: ho solo mal di gola e un senso diffuso di
stanchezza.
E
di sicuro sto meglio di lei, anche se non lo dà a vedere.
E
poi, dopo tutta la mattina trascorsa a letto, ne sono già
stufo.
“Ti
sei coperto almeno?” mi chiede voltandosi verso di me.
“Sì!”
sorrido io. “Felpa e... calzini!” esclamo sollevando in
alto una gamba per farle vedere che stavolta li ho indossati senza
bisogno che me lo dicesse.
Lei
ride e finisce di preparare il purè.
Asia
ha già pranzato prima e papà arriverà più
tardi, perciò siamo solo io e lei. Aspetto che da un momento
all'altro mi dica cosa le ha detto la Strega ma lei divaga,
raccontandomi di una strana tizia che c'era dal fotografo che aveva
portato a stampare le foto della sua collezione di bambole davvero,
ma davvero, inquietanti; della fila assurda che c'era in farmacia;
della cena di Capodanno che quest'anno faranno a casa di Beppe e
Simona e di come i bambini sentiranno la mia mancanza.
Quando
abbiamo finito di mangiare, mamma sparecchia, carica la
lavastoviglie, mette sul fuoco la moka col suo decaffeinato ed io le
chiedo se mi prende il succo di mela.
“Meglio
la mia tisana magica” risponde lei riempiendo il pentolino
d'acqua ed io non obietto; mi domanda chi ci sarà a Capodanno
da Riccardo, parliamo di quello e poi, finalmente, mi porge la tazza
e si siede, poggiando davanti a sé la tazzina col caffè.
Credo
che adesso ci siamo.
Ho
paura e devo appoggiare la tazza sul tavolo per non farle vedere che
mi tremano le mani.
Mamma
prende fiato e poi lo dice: “Pare che la radioterapia non abbia
funzionato”; fa una pausa e mi scruta, come per valutare se io
possa o meno reggere il seguito. “La metastasi ai polmoni non
solo non è diminuita, ma se ne sono formate anche delle
altre”.
Io
sto ostentando tutta la sicurezza possibile ma, nascoste sotto il
tavolo, le mie mani tremano da matti; sono sul punto di piangere e
questo non posso nasconderlo, tantomeno a lei, che smette di parlare
e viene a sedersi accanto a me.
“Non
mi piace dirti queste cose...” sussurra accarezzandomi i
capelli. “Secondo papà non dovrei parlarne così
apertamente con te e Asia, ma come hai detto tu... te l'ho promesso.
Però se vuoi che non...”
“No”
la interrompo io. “Io voglio sapere tutto. Sempre.”
“Il
mio Leone coraggioso...” mi dice dolcemente prendendomi una
mano e mettendola tra le sue. “Va bene. Le cose stanno così:
la radio non funziona e un'operazione non è fattibile perché
le metastasi sono sparse in tutto il polmone, quindi l'unica
alternativa è tentare con la chemio”.
Questa
è una delle ultime cose che avrei voluto sentirle dire. Non
ricordo più quanti cicli di chemio abbia fatto per il tumore
alle costole, ma ricordo benissimo lo schifo che ne derivava: i
giorni in cui non riusciva ad alzarsi dal letto, i vestiti sempre più
larghi, i capelli sempre più radi, le volte che tornavo a casa
da scuola e lei non c'era perché l'avevano trattenuta in
ospedale dopo una seduta troppo pesante.
“Peccato!”
esclama lei mentre io rimango in silenzio perché non so cosa
dire. “Adesso che i capelli avevano raggiunto una lunghezza
decente!”; lei mi sorride ma io non riesco a ricambiare.
“Non
sei incazzata?!” le domando sbattendo il pugno sul tavolo.
“Perché io lo sono da morire!”
“Certo
che sono incazzata! Perché credi che abbia ritardato?! Sono
dovuta rientrare in me, prima di tornare a casa. Sono andata via
dallo studio della Lisandri dicendole che non potevo dirle, così
su due piedi, se ero pronta a ricominciare con la chemio, e che mi
serviva tempo. Siamo rimaste che le telefono domani. In realtà
però ho già deciso”.
Ha
già deciso.
Come
sempre da sola, senza chiedere il parere di nessuno.
Ma
non riesco a prendermela con lei per questo.
È
il suo corpo.
Ed
è la sua vita.
Anche
se la sua vita è legata alla mia in un modo che non riesco
nemmeno a spiegare.
“La
faccio” mi dice con voce ferma e sicura. “Mi faccio
avvelenare un'altra volta. L'idea non mi piace per niente, ma non
sono ancora pronta a mollare”; mi sorride di nuovo e stavolta
ricambio, anche se la voglia di piangere non mi è ancora
passata.
“Papà
lo sa?”
“No,
gliene parlo quando torna.”
“Ok,
torno a letto adesso. Mi sa che dormo un po'” le dico prima di
alzarmi.
“Va
bene” sorride mamma lasciando andare la mia mano. “Io mi
sa che vado a parlare con Asia”; si alza anche lei e mi
abbraccia: mi sembra così piccola; la tengo tra le mie
braccia, ma senza stringere troppo, per paura di farle male. “E
stringi un po', su!” ride lei dandomi una pacca sulla schiena.
“Con le ragazze non ci credo che sei così delicato!”.
No,
con le ragazze non sono così delicato.
Ma
le ragazze non sono delicate come te.
Torno
in camera, chiudo bene la porta, mi butto nel letto e finalmente
piango.
“Leo...”;
la porta della mia stanza che si apre e la voce sussurrata di papà
mi svegliano: a quanto pare, alla fine mi sono addormentato veramente
e ormai è buio.
“Ciao”
gli dico accendendo la lampada sul comodino e mettendomi seduto.
“Come
ti senti?” mi chiede sedendosi sul letto.
“Bene.
Ho solo mal di gola.”
“La
mamma ha detto di provarti la febbre.”
“Non
credo di avercela più alta di oggi.”
“Vuoi
discuterci tu con tua madre?”.
Io
sbuffo, prendo il termometro e me lo metto sotto l'ascella; vorrei
parlare con lui della mamma, capire che effetto abbiano avuto su di
lui le notizie che per me sono state devastanti, ma lui evita
l'argomento ed io non ho il coraggio di domandargli niente.
Poco
dopo arriva mamma, a chiedermi cosa voglio per cena.
“Ma
è già ora di cena?” le domando io stupito. Ho
davvero dormito così tanto?!
“Sì,
sono quasi le otto.”
“Non
ho molta fame adesso.”
“Le
stelline in brodo col formaggino?”
“Mamma
ti prego, non ho cinque anni!” rido io passandomi una mano tra
i capelli.
“Guarda
che non è passato così tanto tempo dall'ultima volta
che le hai mangiate!” esclama lei.
“Perché
tu sei fissata! E poi non ce li abbiamo nemmeno, i formaggini!”
“Sì
che ce li abbiamo! Li ho comprati apposta oggi. E poi qualcosa devi
pur mangiare! Noi abbiamo la bistecca e l'insalata, ma dubito che
riusciresti a mandarle giù.”
“E
va bene, vada per le stelline!” esclamo togliendomi il
termometro.
“Quant'è?”
mi chiede mamma. “Anzi no, fa' vedere a me che tu imbrogli!”
“38,3”
le rispondo senza imbrogliare, passandole il termometro.
“Forse
è meglio se prendi l'antipiretico” mi dice papà.
“Ma
no, aspettiamo. Non è così alta” ribatte mamma.
“Ricontrolliamo più tardi. Comunque, hai visto...?”
dice poi rivolta a papà. “Non puoi lasciarci da soli per
mezza giornata che combiniamo casini!”; papà non prende
molto bene questa battuta ma mamma comincia a ridere e, nonostante mi
sia chiaro che la sua sia la risata di chi sfoga tutta la tensione
accumulata, anch'io non posso fare a meno di ridere; e ridiamo,
ridiamo, mentre papà ci guarda allibito scuotendo la testa; ma
noi continuiamo a ridere, fino ad avere le lacrime agli occhi.
Non
riusciamo a smettere.
E
ridiamo, ridiamo ancora, finché mamma non comincia a tossire e a
tossire; e allora smetto immediatamente di ridere e torno bruscamente
alla realtà.
Lei
continua a tossire e afferra la bottiglietta sul mio comodino; la
apre in fretta e beve, fino a quando la tosse non si placa.
“Oh
accidenti!” esclama dopo. “Ho bevuto dalla tua bottiglia.
Mi manca solo la tonsillite e poi sì che sono davvero a
posto!”; ricomincia a ridere ed io le vado dietro e, stavolta,
anche papà non riesce a trattenersi.
“Ma
cos'avete da ridere tanto?!” domanda Asia, appena rientrata da
non so dove, affacciandosi sulla porta con ancora indosso il cappotto
e la borsa; ma nessuno di noi le risponde, perché siamo troppo
presi dal ridere.
In
questo momento, ridere è la nostra priorità.
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