Cap. 20 Bad moon rising
E'
passato tanto, tanto tempo. Lo so. Ma ho dovuto porre la redazione
della tesi davanti a tutto il resto, anche alla mia passione per la
scrittura.
Ora sto riprendendo in mano le fila del discorso, rientrando lentamente dentro questa New York mannara.
Vi auguro buona lettura!
A presto, Lelaiah :)
Cap. 20 Bad moon rising
Evan abbassò
lentamente la mano ed estrasse il cellulare dalla tasca dei jeans.
Guardò lo schermo e serrò la mascella con forza.
“Non ora.”,
pensò, infastidito. Con la coda dell’occhio vide David
fissare alternativamente lui e la porta di casa. –Apri… ma
stai attento alla folla.- gli disse sbrigativo.
Al cenno d’assenso
dell’amico accettò la chiamata e si portò il
telefono all’orecchio, cercando di mantenersi calmo.
-MacGregor.- disse la voce dall’altro capo.
-Aleksandr.- rispose lo scozzese,
senza aggiungere null’altro. La tensione nella voce del suo
interlocutore era evidente e nemmeno la distanza fisica tra i due
poteva mascherarla.
-Ho saputo degli ultimi avvenimenti da alcuni informatori.- riprese l’Alfa di Hamilton Heights.
Evan accentuò leggermente la
presa sull’apparecchio. –Ho ritenuto necessario intervenire
prima che facessero del male al cucciolo.- spiegò. Sapeva che,
essendo ospite nel territorio di un altro lupo, doveva evitare di
creare casini, ma non vedeva la necessità di sottoporsi ad un
terzo grado.
Dall’altro lato ci fu
una lunga pausa. –Sono lieto che l’operazione sia riuscita
nel migliore dei modi.- fu la risposta. Apparentemente innocua e molto
simile ad un complimento.
Evan scambiò
un’occhiata con Emily, rimasta in ascolto. Le fece cenno di
allontanarsi e lei si posizionò accanto alla finestra. La sua
ansia lo stava distraendo e non voleva rischiare di commettere passi
falsi durante la conversazione con Aleksandr. Inoltre aveva bisogno di
essere curata: la ferita al fianco continuava a perdere sangue,
imbrattandole la maglietta.
Spostò lo sguardo e si
concentrò sulla parete che aveva di fronte. -Per quale motivo
hai chiamato?- domandò, cercando di suonare il meno ostile
possibile.
Il russo rise sinistramente. –Me lo stai seriamente chiedendo?
Van strinse il pugno libero,
sentendo la bestia dentro di sé irritarsi: non gli piacevano le
persone che parlavano per indovinelli o che giocavano con gli altri
come il gatto fa col topo.
-Non era previsto che Eric venisse
ferito.- iniziò. –Doveva semplicemente distrarre le
Sentinelle lungo il perimetro.- concluse.
Ci fu una lunga pausa
dall’altro lato, di nuovo. –A quanto pare il compito che
gli hai affidato non era così semplice come sembrava.- fu il
commento caustico.
Il giovane si
trattenne a stento dal digrignare i denti ed inveire. –Ha gestito
la situazione egregiamente.- replicò. Avvertì una vampata
di calore salirgli al viso ed ebbe l’impressione di esser sul
punto di perdere la calma. Da quando in qua doveva preoccuparsi di non
perdere la calma? Non era lui quello che aveva represso le emozioni?
Aleksandr si lasciò sfuggire uno sbuffo ironico. –Egregiamente?
Evan spostò il peso da un
piede all’altro, infastidito da una delle ferite che si era
procurato e dal tono del suo interlocutore. L’impellente bisogno
di prender a pugni qualcosa si stava facendo sempre più forte.
–Non vedo la necessità di giustificarmi con te. Tuo nipote
è fuori pericolo.- tagliò corto.
-Per questa volta. Ma se dovesse
succedere ancora qualcosa del genere, avrò la tua testa,
MacGregor. Non mi interessa quanti lupi dovrò far fuori per
averla.- rispose l’Alfa russo. -Do svidánia.
Solo uno stupido non avrebbe colto
la minaccia insita nella voce del capobranco di Hamilton Heights ed
Evan non era sicuramente uno stupido. Ma non era nemmeno un cucciolotto
alle prime armi e sentirsi rivolgere quelle parole risvegliò
definitivamente la bestia che aveva dentro.
Non l’animale, no.
La sua bestia personale, quella alimentata dai suoi sentimenti, repressi e non.
Digrignò con forza i denti e
strinse l’insignificante apparecchio che aveva in mano con forza.
Si sentì distintamente il vetro scheggiarsi e poi andare in
frantumi, sbriciolato. Evan non lo degnò nemmeno di uno sguardo
e lo lasciò cadere a terra, prima di raggiungere Emily.
La ragazza gli lanciò
un’occhiata interrogativa, ma si astenne dal fare commenti.
-Là fuori ci sono un bel po’ di piantagrane.- disse invece.
-Lo posso percepire.- fu la risposta dello scozzese.
L’idea di dover affrontare
un’orda di microfoni pronti a registrare ogni sua parola lo
rendeva oltremodo nervoso. Non perché temesse di poter dire
qualcosa di sbagliato, ma per il semplice fatto che era una persona
estremamente riservata e quello del giornalista era il mestiere
più invasivo con cui avesse mai avuto a che fare.
-Vuoi che vada ad aiutare David?- domandò Emily.
Van le dedicò una rapida
occhiata. -No. La situazione è abbastanza spinosa così
com’è: mostrarti con tutto quel sangue addosso
peggiorerebbe solamente la situazione.- spiegò. -Vai da Blake e
cerca di non dissanguarti fino a che non sarà arrivato
Alastair.- con quelle parole mise la parola fine alla loro
conversazione.
Fece per dirigersi verso la porta,
ma la voce dell’americana lo bloccò. -Nemmeno tu sei molto
rassicurante, sai?- gli fece notare.
-Vero… ma sono sicuramente
più minaccioso.- rispose, tagliente. Sapeva che il commento
voleva essere ironico, ma non aveva tempo per l’ironia in quel
momento. Allungò il braccio ed abbassò la maniglia.
Quello che trovò oltre la
soglia era peggio di quanto si fosse aspettato. Dave se ne stava
bloccato tra due giornalisti piuttosto insistenti, incapace di lasciare
il pianerottolo senza un atto di forza. Scelta sconsigliabile data la
numerosa presenza di umani.
Il Beta notò
subito la sua presenza e gli lanciò un’occhiata disperata
da sopra la spalla, in cerca d’aiuto. “Distraili, per
favore!”, aggiunse mentalmente l’inglese.
Evan sollevò un
sopracciglio, pronto a replicare, quando si ritrovò investito da
una serie di domande strillate a pochi centimetri dalle sue orecchie.
Fece una smorfia e digrignò i denti, emettendo un basso ringhio.
-Arretrate. Subito.- non era una richiesta.
La folla s’azzittì,
colta di sorpresa. Ma lo sgomento durò solo un attimo e subito
dopo i registratori tornarono ad allungarsi verso di lui. Le domande si
sprecavano, così come i flash delle macchine fotografiche.
Il giovane MacGregor chiuse
brevemente gli occhi, infastidito. La bestia dentro di lui non sembrava
apprezzare tutte quelle attenzioni e non poteva assolutamente
biasimarla.
Prese un respiro profondo, cercando
di mantenere il controllo della propria voce. -Vi ho chiesto di
lasciarci un po’ di spazio.- riformulò la propria
richiesta.
David sentì
l’aria sfrigolare e lanciò un’occhiata allarmata
verso l’amico, temendo potesse dare in escandescenza. Invece lo
vide sollevare lentamente le palpebre e fissare l’assiepamento di
persone davanti a sé con una calma innaturale. I suoi occhi
erano cangianti e poteva percepire lo sguardo della bestia nelle loro
profondità.
Quel piccolo trucchetto
sortì il suo effetto, perché i giornalisti arretrarono
immediatamente, spaventati. Il licantropo ne approfittò per
fendere la folla, allungare un braccio e trascinare Alst sul
pianerottolo, tra lo stupore di tutti.
-Grazie per la vostra
collaborazione.- Evan spinse i due all’interno e si chiuse la
porta alle spalle. Il tempo di un respiro e le persone dall’altra
parte insorsero, arrabbiate. Qualche temerario batté un pugno
contro l’anta.
Evan si massaggiò il ponte
del naso, provato da quell’ennesima seccatura e si concesse un
momento per fare il punto della situazione.
-Non capirò mai come fanno
ad essere sul luogo di un evento cinque minuti dopo il suo
accadimento.- commentò Alastair, sconvolto.
-Fiutano la notizia.- fu la risposta di David. -Come gli sciacalli con una carogna.
Il secondo del branco MacGregor storse la bocca. -Paragone calzante, ma assolutamente non necessario.
Il ragazzo alzò brevemente le spalle. -Scusate. È quella l’impressione che danno.- mormorò.
Evan liquidò la questione
incuneandosi tra i due. -Che notizie dall’ospedale?-
domandò, rivolto al cugino di suo padre.
Alastair lo guardò ed
accennò un sorriso. -Ho richiesto una notte
d’osservazione, come ti ho detto, ma quando l’ho lasciato
era vigile.- comunicò.
-Nulla di permanente, vero?
L’altro scosse la testa.
-Solo ferite da artiglio, niente che riguardi l’argento.-
assicurò. -Parlando di ferite… dov’è il
piccolo?- si voltò a perlustrare l’ambiente.
-Nella camera di Emily. Si è
addormentato nonostante le bruciature.- disse David, accennando col
capo al corridoio che portava nella zona notte.
Alst annuì e puntò lo
sguardo sulla giovane, concentrando la propria attenzione sulla ferita
che aveva al fianco. -Fammi vedere, ragazza.- le si avvicinò.
Lei arrossì. -Non
c’è bisogno…- mormorò, tentando di sottrarsi
all’ispezione. Ma quando percepì le mani dell’uomo
sulla propria pelle venne scossa da un fremito e si arrese, grata che
ci fosse qualcuno disposto ad aiutarla. -Grazie.- sussurrò.
-Non è grave.- la rassicurò. -Ma bisogna comunque pulirla.
Mentre Alst si occupava di Emily,
Evan prese da parte David. -Dobbiamo liberarci di tutti quei
giornalisti. La loro presenza non è di nessun aiuto.- disse,
accennando alla porta col capo.
-Lo so, ma non so come…-
iniziò il moro, per poi bloccarsi. Si accigliò, confuso
ed annusò attentamente l’aria per qualche istante.
-Evan…- sollevò lo sguardo sull’amico, ma quello si
stava già voltando verso la porta.
-Pessimo tempismo.- lo sentì commentare.
***
-Scegliere i Blacks è stato un errore.- sentenziò.
L’aria attorno a lui
sembrò crepitare ma, a parte quel piccolo tremolio, nulla
lasciava presagire la presenza del suo interlocutore. “Sono
pienamente d’accordo.”, fu la risposta.
Rodrick si concesse la
pallida imitazione di un sorriso, in segno d’approvazione. La
mente di quel cacciatore gli piaceva: arguta e tagliente come una lama
di ghiaccio.
Allacciò le mani dietro la
schiena e si mise a misurare a grandi passi l’ambiente in cui si
trovava. Alcuni piccioni emersero spaventati dalla penombra, puntando
verso le nuvole in una pioggia di piume.
Seguì brevemente il loro
volo, lanciando un’occhiata al cielo plumbeo che si intravedeva
oltre i resti del soffitto. -Stupidi animali…- sussurrò,
disgustato. I piccioni che c’erano nella sua terra natia, la
Scozia, avevano un aspetto diverso ed erano di gran lunga meno ottusi.
“Come dovremmo muoverci, ora…?”, la domanda si formò nella sua mente, del tutto simile ad un fiore che sboccia.
Il licantropo si
grattò il mento, cercando di mettere in ordine i pensieri. Aveva
bisogno di risultati concreti e ne aveva bisogno in breve tempo, per di
più: quello che gli rimaneva da vivere poteva non bastare per
mettere in atto la sua vendetta e non poteva lasciare la sua esistenza
terrena senza aver soddisfatto la propria sete di sangue.
-Non posso più permettermi
il lusso di sbagliare.- ragionò, lasciando vagare lo sguardo sul
vecchio pavimento di pietra. La grande sala in cui si trovava
riecheggiò lugubre al ritmo dei suoi passi, trascinata nei suoi
propositi violenti. -Rendere i Blacks ed il branco del giovane
MacGregor nemici è stato l’unico risultato utile.-
aggiunse, appoggiandosi al davanzale di una delle numerose aperture che
scandivano le pareti longitudinali.
Lasciò spaziare lo
sguardo, attento a non intercettare quello dei turisti che si
muovevano attorno alla struttura in cui si trovava. Il mondo
oltre l’Est River ignorava i suoi propositi eppure, in quel
momento, gli sembrava assolutamente ostile.
Non perché fosse un
pivellino impaurito, ma perché il Nuovo Mondo non aveva nulla a
che fare col suo. La natura era stata soffocata dal cemento, non si
percepivano che pochi luoghi dotati di spiritualità… per
non parlare delle creature ultraterrene.
Rivelarsi al mondo
degli umani gli era sempre parsa un’assurdità e vedere
licantropi e vampiri collaborare con quelle fragili e volubili creature
lo nauseava. Il loro mondo era troppo complesso per poter essere
condiviso: aveva regole che andavano rispettate, sempre. Non si
potevano trovare scappatoie.
E chi si macchiava di atti ignobili doveva essere punito.
“Lasciare che mia figlia morisse è stato un atto ignominioso. Un’offesa all’intero clan Cameron.”, strinse un pugno con rabbia, segnando in modo permanente il davanzale di pietra grigia.
“E quell’offesa va punita.”, concordò la voce remota con cui stava avendo una conversazione. “Mi chiedo solo quale sia il modo migliore.”
Rodrick digrignò i denti. -Troverò un modo. Devo solo capire a cosa o a chi mirare.
Fece scivolare lentamente una mano
dentro il collo della camicia e ne estrasse una pesante collana
dall’aspetto antico. Vi passò sopra il pollice, quasi a
volerne ricavare una sorta di energia. Inspirò lentamente e poi
aprì gli occhi, fissando l’edera arrampicarsi sulle pareti
del vecchio ospedale abbandonato. -E’ ora di conoscere meglio il
nemico. Solo così potrò prevalere.- disse, deciso.
Il monile divenne più caldo nella sua mano e l’aria tornò nuovamente a crepitare.
Era finalmente ora di andare a caccia.
***
Non appena ebbe
svoltato l’angolo si ritrovò davanti quello che, a tutti
gli effetti, si poteva considerare un muro umano.
Si bloccò di colpo,
osservando sgomenta la moltitudine di giornalisti che se ne stava
assiepata davanti alla porta d’ingresso del suo condominio. I
passanti lanciavano loro occhiate curiose, ma senza fermarsi: sapevano
di non doversi immischiare.
Si guardò attorno, cercando di capire il motivo di tanta eccitazione.
“E adesso come faccio a
rientrare?”, si chiese. Poi, subito dopo, il pensiero del
salvataggio le attraverso la mente con prepotenza. “Oddio,
fa’ che non sia successo nulla di grave!”, pregò. Si
morse il labbro, indecisa sul da farsi, ma poi mosse un passo in
direzione della massa di persone, decisa ad entrare in casa.
Aveva atteso notizie per tutto il giorno e voleva sapere.
Era ormai pronta a sgusciare tra i
presenti quando il suo cellulare prese a vibrare. Immerse la mano nella
borsa e lo afferrò, portandolo subito all’orecchio.
-Pronto?
-Amanda, sono David.- si
sentì dire. Allontanò il cellulare e fissò lo
schermo, perplessa. -Ti sto chiamando dal telefono di Drew.-
spiegò l’inglese.
-Perché ci sono tutti questi giornalisti davanti al palazzo?- chiese, senza perdere tempo.
-A quanto pare hanno saputo dello
scontro al porto e vogliono avere qualche… scoop succulento.-
disse, cercando di suonare divertito. In verità la ragazza
poteva percepire senza problemi l’ansia che attanagliava la sua
voce.
-Cosa posso…? Come…?- Mandy non sapeva che pesci pigliare.
-Allontanati il più
velocemente possibile, per favore. E resta nascosta fino a quando non
se ne saranno andati.- le consigliò. A quelle parole lei
alzò lo sguardo verso l’alto, cercando il suo
interlocutore. Lo trovò seminascosto dietro l’imbotte di
una finestra, gli occhi fissi sulla strada sottostante.
Si passò una mano sui capelli, indecisa sul da farsi. -Voi come state..?- riuscì a chiedere.
Dave scosse brevemente il capo.
-Dopo, Amanda. Ora trova un posto sicuro, per favore.- disse,
interrompendo sul nascere le sue domande.
Anche se con una certa
riluttanza, lei finì per annuire e riporre il telefono
nuovamente nella borsetta. Assunse l’aria più disinvolta
possibile e girò su se stessa, puntando il piccolo bar subito
dietro l’angolo.
Con la coda dell’occhio
notò un paio di testa voltarsi, forse disturbate dal suo
movimento, ma nessuno sembrò seguirla. Le ci mancava solo
un’intervista con inseguimento per concludere in bellezza la
giornata.
Sentiva un gran baccano provenire da un punto indistinto sopra la sua testa.
Non avrebbe saputo dire da che
direzione provenisse, ma non aveva importanza in quel momento: aveva
ben altri problemi a cui pensare.
Lo spazio in cui si trovava gli
sembrava ostile, asettico eppure sapeva che era l’unica cosa che
poteva aiutarlo, in quel momento.
Sentiva la luna salire nel
cielo, lenta e silenziosa. Non poteva essere fermata, lo sapeva, e
nonostante tutto quello che gli avevano detto sui nuovi ceppi genetici,
sapeva anche che non poteva combatterla.
Quella notte si sarebbe
trasformato, era praticamente inevitabile. E, se avesse avuto ancora
qualche dubbio, quella cella e lo sguardo di David quando l’aveva
rinchiuso ne erano la conferma.
Si appoggiò
pesantemente alla parete di fondo, alzando lo sguardo alla bocca di
lupo da cui entravano gli ultimi spiragli di luce. Gli doleva ogni
parte del corpo, con un’intensità tale da far impallidire
i pugni sferratigli da Stryker. Era come se il lupo stesse cercando di
dilaniare la sua carne dall’interno per potersi liberare e
sbranare la prima persona incontrata sul proprio cammino. Ogni suo
muscolo era impegnato nell’inutile tentativo di trattenerlo.
O almeno di ritardare quanto più possibile la trasformazione.
Con un gemito si accartocciò
su se stesso, stringendo le braccia al petto e pregando che finisse in
fretta. “Non finirà in fretta…”, gli
ricordò quella maligna della sua coscienza. Non era per niente
rassicurante sapere che anche la sua parte razionale era conscia
dell’inevitabile.
Provò a prendere qualche
boccata d’aria, ma fu come inghiottire degli aghi e quindi
rinunciò, trattenendo il respiro il più a lungo possibile.
Si guardò attorno,
analizzando ancora una volta quello che aveva intorno. Non molto, a
dire la verità: quattro pareti di acciaio ed una brandina. Sopra
il giaciglio era stata incisa una frase che, a prima vista, gli parve
celtico.
Riuscendo ad ignorare per un attimo
l’inferno che aveva dentro, caracollò fino al lettino e vi
si lasciò cadere, passando le dita sulle lettere incise.
“No… non è celtico…”, realizzò.
Riconobbe la parola usata per
indicare Dio, ma poco altro. Se fosse riemerso da sottoterra ne avrebbe
chiesto il significato ad Evan. Ma, fino ad allora, doveva
accontentarsi di pensare che fosse qualcosa scritto per dar forza a
qualunque lupo fosse stato rinchiuso lì dentro.
Lentamente si distese
sulla branda e si chiuse a riccio, sperando di poter alleviare un
po’ l’acuto pulsare che lo pervadeva. Ogni volta che
credeva di aver imbrigliato la bestia, ecco che quella si liberava ed
attaccava un’altra parte del suo corpo: ora stava dilaniando il
suo stomaco, vorace.
In più stava
perdendo anche il controllo della propria mente, sempre più
proiettata verso sanguinolenti sventramenti e corse in una foresta che
non assomigliava a nulla che avesse mai visto in America. Le persone
sopra la sua testa -perché di persone si trattava, lo sapeva-
continuavano a far baccano, ma ora non sentiva più le loro voci,
percepiva il rapido pompare dei loro cuori. L’odore della carne
fresca e la promessa delle loro urla quando avesse affondato i denti
nelle loro giugulari.
Scosse violentemente la testa, spaventato da quelle visioni.
-Oddio…- piagnucolò,
incassando il capo tra le spalle. Gliel’avevano descritto e
sapeva cos’aspettarsi, in teoria. Ma era come essere il
protagonista di un film horror di terza categoria, in cui la parola
d’ordine era eccesso. Era certo di non possedere nemmeno la
fantasia necessaria per dar vita a quello che gli stava attraversando
la mente.
E, come se non bastasse, il suo
collegamento col branco sembrava essersi fatto all’improvviso
molto più forte e riusciva a percepire come proprie tutte le
loro emozioni. Gli sembrava di esser diviso in tanti pezzi, attaccato
su più fronti da avversari che non poteva sconfiggere.
Cerca di rimanere saldo nella mente, gli aveva detto Alastair.
Da principio non aveva realmente
colto il significato di quelle parole, credendo che fosse solo un
problema di natura fisica, ma ora doveva ricredersi.
Controllare la bestia era uno
sforzo mentale e fisico ed in quel momento sia la sua mente che il suo
corpo gli si stavano ribellando.
-Devo mantenere il controllo.- si disse, cercando di darsi forza.
In risposta venne colpito da una
fitta fortissima al plesso solare e fu costretto a rotolare sulla
schiena, contorcendosi. Credette d’urlare, ma quello che
uscì dalla sua bocca era un ululato.
Mantenere il controllo sembrava sempre meno possibile.
Evan distolse per un
momento la propria attenzione dalla folla di giornalisti ancora
assiepati all’esterno. -L’hai fatta allontanare?- chiese,
lanciando un’occhiata al proprio Beta.
Quello annuì un paio di volte.
-D’accordo… ora devo
solo trovare un modo per fare lo stesso coi giornalisti.-
ragionò, chiudendo gli occhi per qualche istante. Percepiva il
rumore dei loro cuori, i sussurri e le piccole interferenze elettriche
delle loro apparecchiature. Perché non andavano ad importunare
qualcuno desideroso di finire sulle pagine patinate delle riviste e li
lasciavano in pace?
-Per loro è tutto nuovo.-
Alastair si materializzò alle sue spalle. -Vogliono essere i
primi a metter le mani sullo scoop e poterlo sbandierare ai quattro
venti. Come un bambino ansioso di mostrare il suo nuovo giocattolo ai
fratelli.- aggiunse.
Van gli dedicò una rapida
occhiata da sopra la spalla. -Emily?- chiese, ignorando il commento,
seppur assolutamente veritiero.
L’altro si strinse nelle
spalle ed accennò col capo verso il corridoio dietro di
sé. -Si è addormentata col piccolo. Erano entrambi allo
stremo delle forze.- mormorò. -Gli ci vorrà un po’
per riprendersi… emotivamente parlando.
-Ci sarà tempo per quello.
Ma ora…- il giovane MacGregor s’interruppe a metà
della frase, reprimendo una smorfia.
-Evan!- David gli si affiancò subito, preoccupato. -Cosa ti avevo detto a proposito…
-Sì, lo so. Non
rinfacciarmelo.- lo zittì l’altro, brusco. -Non
c’è traccia d’argento nelle ferite né di
sorbo degli uccellatori o aconito.- aggiunse subito dopo, a beneficio
di Alastair.
Quello sollevò un
sopracciglio fulvo e lo guardò storto. -Ti devo ricordare che il
tuo fisico ha un suo limite, nonostante tu sia un licantropo?
Scosse rapidamente la testa,
appoggiandosi pesantemente al tavolo della cucina. -Non ho tempo per
questo. Ora devo capire come comportarmi.- liquidò la questione
con un rapido gesto della mano e si raddrizzò.
Alst gli si avvicinò e lo
afferrò saldamente per le spalle. -Siediti e prendi fiato.
Adesso.- ordinò, perentorio. Evan oppose resistenza,
all’inizio, ma poi si lasciò condurre sul divano.
Da quella nuova
posizione guardò i due uomini di cui si fidava di più al
mondo, traendo forza dalla loro semplice presenza. Non lo avrebbe mai
ammesso pubblicamente, ma saperli dalla sua parte lo rendeva forte e
più sicuro di sé.
E lo aiutava a rimanere concentrato
mentre il suo cervello tentava di mettere in ordine i pensieri. Impresa
ardua in quel momento, dato che gli rimbombava a causa delle proteste
dei giornalisti.
-Non riesco a pensare con questo
baccano…- dovette ammettere. “Sono sempre stato un uomo
d’azione, poco pratico di diplomazia.”, si disse.
-Non riesci a pensare perché
sei al limite.- lo corresse Alst, incrociando le braccia al petto. Evan
lo guardò da sotto in su e si lasciò andare ad uno sbuffo
di protesta. -Per come la vedo io, ora dovete soltanto occuparvi del
lupo che avete in cantina.- aggiunse.
Al che, i due giovani si
scambiarono un’occhiata e poi abbassarono lo sguardo, quasi
potessero vedere attraverso il pavimento.
-Che idiota.- Dave si passò
una mano sul viso, dandosi dello stupido. Aveva veramente creduto che
sarebbe bastato dire due paroline d’incoraggiamento ad Andrew,
chiuderlo in cantina e dimenticarsene fino alla successiva alba?
-Il ragazzo sta soffrendo e si sta
agitando notevolmente.- Alastair rincarò la dose,
l’orecchio teso per captare i suoni provenienti
dall’interrato.
Ora che gli era stato fatto notare,
Evan poteva percepire Andrew senza nessun problema. Le sue emozioni lo
stavano investendo come le onde della risacca, costanti e via via
più potenti: ignorarle non era possibile. Eppure l’aveva
fatto. E con lui David.
“Pessimo inizio, Evan.”, si rimproverò.
Che avesse ignorato quella
richiesta d’aiuto telepatica semplicemente perché a lui
era stato riservato lo stesso tentativo? No, anche in quel caso non
avrebbe dovuto sottovalutare le necessità di un giovane lupo al
primo confronto con la luna piena.
-Se promettessimo
un’intervista ad una delle testate pensate che se ne andrebbero?-
meditò David. -Così da poterci occupare di Andrew senza
scocciatori…
Evan valutò la proposta,
trovandovi moltissimi risvolti negativi. -Non credo che sia la nostra
migliore opzione.- ammise. -Ma, ora come ora, mi sembra anche
l’unica decente.- aggiunse, alzandosi.
Si avviò con
passo fermo verso la porta e la aprì, fronteggiando nuovamente i
presenti. -Abbiamo deciso di concedere un’intervista ad una sola
testata. Considerato che siamo lupi vecchio stampo, daremo la
precedenza alle signore.- annunciò. -Per esser più
precisi, a quella che ha fatto più strada per raggiungerci.-
aggiunse subito dopo.
Le parole dello scozzese
scatenarono un terribile parapiglia da cui, alla fine, uscì
vincitrice una giornalista del Times. -Grazie a tutti.- Van li
congedò e fece un cenno di conferma alla donna.
-Posso intervistarla subito..?- domandò quella, speranzosa, registratore alla mano.
Scosse la testa. -No. Ora abbiamo
un problema più pressante che richiede la nostra attenzione. Ci
lasci il suo biglietto da visita e la ricontatteremo noi.- disse,
deciso. Ora che aveva risolto la questione in maniera più che
civile, voleva occuparsi di Andrew.
L’inviata fece per
protestare, ma David comparve alle spalle di Evan con un sorriso
amabile dipinto in volto ed allungò una mano verso di lei. Presa
in contropiede, la donna allungò il proprio biglietto con
sguardo un po’ inebetito.
I due fecero per
congedarla, quando un nuovo odore attirò la loro attenzione.
Anzi, no, non era un odore nuovo: l’avevano già sentito
quando avevano incontrato Andrew per la prima volta.
Dave sgranò gli occhi, di colpo spaventato. -Oddio…- si lasciò sfuggire.
Van scostò rudemente la
giornalista e si precipitò giù dalle scale, subito
seguito a ruota da David e Alastair.
Non sapeva da quanto tempo stesse andando alla deriva: avrebbero potuto essere minuti oppure ore.
Era diventato così reattivo
che ogni singolo respiro gli causava dolore ed agitava ulteriormente la
bestia. Il lupo era ormai in procinto di liberarsi, gli artigli
conficcati saldamente qualche centimetro sotto la sua pelle e pronti a
farla a pezzi senza nessun ritegno.
Andrew aveva provato di tutto:
rannicchiarsi su se stesso, farsi del male conficcandosi le unghie nei
palmi della mano, respirare lentamente… nulla aveva funzionato.
“Ci siamo…”,
pensò, con un misto di sollievo e terrore. Una volta trasformato
gli sarebbe stato quasi impossibile controllarsi e sapeva che quella
prima trasformazione sarebbe stata la peggiore di tutte. Ma, una volta
mutato, avrebbe smesso di provare dolore, almeno.
Controllala, non combatterla.
Con quelle parole Alastair aveva
cercato di dargli il miglior consiglio che potesse offrirgli, ma lui
aveva iniziato a lottare sin da subito e non si era più fermato,
alimentando la rabbia e la sete della bestia.
Ed ora stava finalmente deponendo le armi, pronto a lasciarsi sopraffare.
Prese un lento e doloroso respiro,
lasciando uscire un rantolo molto simile ad un guaito. Distese
lentamente braccia e gambe ed aprì gli occhi, puntando lo
sguardo sul soffitto.
Ci fu qualche istante
d’immobilità, in cui ebbe un momento di tregua, prima che
il mondo attorno a lui esplodesse in mille pezzi.
Fu come essere
investiti da una bomba: tutti i suoi sensi vennero annullati e ogni
singola fibra del suo corpo fu sopraffatta dal dolore. Ebbe il tempo di
pensare che la fase di shifting non era stata nulla, se paragonata a quello, prima di rotolare sul pavimento e lasciarsi andare ad un feroce ululato.
Le ossa del suo corpo presero a
muoversi, scricchiolanti e la sua pelle si fece tesa, come un elastico
eccessivamente allungato. Osservò con terrore le falangi delle
mani cambiare aspetto e tentò inutilmente di artigliare il
pavimento di cemento, riuscendo solo a sfondarlo.
Sputò un grumo di saliva
prima di avvertire la mascella allungarsi e la gola farsi serrata.
Annaspò, in preda al terrore, ormai molto più lupo che
Andrew. Si lasciò cadere su un fianco, agitando tutti e quattro
gli arti in un’inutile corsa verso la salvezza.
E mentre le ultime ossa si
rinsaldavano e trovavano la loro nuova collocazione, peli castano
chiaro presero a ricoprire tutto il suo corpo. Ci volle poco e si
ritrovò completamente protetto da una spessa pelliccia.
E, come se qualcuno
avesse premuto un interruttore, il dolore cessò: Andrew venne
inghiottito ed il lupo fece la sua comparsa.
Lentamente, il licantropo fece
perno sulle zampe e si mise in piedi, scrollandosi di dosso gli ultimi
residui dell’umano che era stato. Ruotò le orecchie,
captando i suoni attorno a sé e scrutò l’ambiente
con gli occhi chiari.
C’erano molti odori
accattivanti nell’aria, ma la brama di sangue lo spinse a
focalizzarsi su quelli umani. Carne fresca e succulenti cuori che
battevano, pronti ad esser dilaniati.
Aveva solo
l’imbarazzo della scelta: tutto quello che doveva fare era
guadagnare la via d’uscita da quella gabbia di cemento in cui era
stato rinchiuso.
Sbatté le palpebre un paio di volte, confusa.
Eppure, quella che aveva davanti era proprio sua sorella Frances, non c’era dubbio.
-Fran…- riuscì a mormorare Amanda, stupita.
L’altra, che si era fermata
di colpo per non andarle addosso, si riavviò i capelli e poi
annuì. -Ciao Mandy.- sorrise timidamente.
Amanda si passò un mano
sugli occhi, cercando di capire se non stesse avendo
un’allucinazione. -Ma come…? Voglio dire tu…-
biascicò, faticando a mettere insieme una frase di senso
compiuto.
Sua sorella ridacchiò,
nervosa. -Tranquilla. Sono veramente io.- la rassicurò.
Finalmente convinta, Mandy si sporse avanti e l’abbracciò,
contenta che fosse tornata. -Anche tu mi sei mancata.- Frances la
strinse a sé, anche se con un po’ d’imbarazzo.
Rimasero così per qualche
istante, poi la più grande delle Miller sciolse
l’abbraccio, schiarendosi la gola. L’imbarazzo era
palpabile e l’avvolgeva come un guanto.
Amanda decise di tentare con una domanda innocente, giusto per rompere il ghiaccio. -Come stanno a casa?
Fran colse l’imbeccata e si
rilassò leggermente. -Oh, bene. Greg si è lamentato tutto
il tempo dicendo che me ne stavo in casa sua come una sanguisuga,
mangiandogli tutte le cose buone che c’erano in casa.- disse,
ridacchiando al ricordo del continuo borbottare del fratello.
-Lo sai che non devi toccargli i
suoi cibi preferiti.- anche Amanda si unì alla risata,
sforzandosi di sembrare il più naturale possibile. In
verità avrebbe voluto scuoterla e chiederle perché
diavolo ci aveva messo tanto.
-Quello non è cibo: sono schifezze.- precisò l’altra.
-Già… quindi tu hai
vissuto di schifezze, in questo periodo.- la canzonò sua
sorella. Frances si passò una mano sullo stomaco e poi fu
costretta ad annuire: in effetti aveva messo su un paio di chiletti.
Mandy si accorse del suo sguardo e
si affrettò a rassicurarla, dicendole che nessuno avrebbe notato
gli effetti delle sue abbuffate. Dopo un breve sorriso tirato da parte
della sorella, tra le due cadde il silenzio.
“Oddio… avrei tante
cose da dire.”, si rese conto Amanda. Ma sapeva anche che nessuna
di quelle frasi sarebbe stata adatta alla situazione. Mentre era persa
nei propri pensieri, non notò la giornalista uscire dal
condominio, contenta di aver ottenuto l’esclusiva.
-Ehm… perché ci sono dei giornalisti?- volle sapere Fran.
La morettina sollevò di scatto la testa. -Come?
Sua sorella indicò la donna
che si allontanava ed un paio di furgoni di alcune emittenti cittadine
parcheggiate non molto lontano. Mandy spostò lo sguardo sulle
vetture, prendendosi del tempo per ragionare. -Abbiamo…
cioè, il branco ha avuto qualche grattacapo.- rispose, evasiva.
Frances sembrò
accontentarsi, perché non chiese altro, anche se rimase voltata
verso l’edificio dove fino a poco tempo fa risiedeva con Andrew.
Lentamente lasciò scorrere
lo sguardo lungo la facciata di mattoni, fino a fermarsi alla finestra
della sua camera da letto. Si morse il labbro, indecisa, ma alla fine
chiese:-Dov’è Andrew?
Amanda quasi sobbalzò
all’udire quella domanda. -Lui… ecco…- non sapeva
come dirgli che molto probabilmente Drew era più lupo che umano,
in quel momento.
-Cosa mi stai nascondendo?- Frances si rabbuiò leggermente e prese ad incamminarsi verso il piccolo palazzo.
La sorella le si affrettò
alle spalle. -No. Aspetta… lui non può vederti
ora… lui…- farfugliò. Perché non riusciva a
dirle semplicemente che era nel bel mezzo di una trasformazione causata
dalla luna piena?
Forse perché la volta precedente non era andata molto bene, tra Frances e le questioni mannare.
Erano ormai nell’androne
d’ingresso quando Amanda si decise ad afferrare con forza il
polso di Frances. -Ferma!- le ingiunse. Lei si girò e la
guardò con tanto d’occhi, in attesa di una spiegazione.
Mandy aprì la
bocca un paio di volte, torturandosi, quando l’arrivo improvviso
dei ragazzi la tolse da qualsiasi impaccio. Fece per chiamare i loro
nomi, ma venne anticipata da Evan, che si piazzò loro davanti e
disse, perentorio:-Uscite subito.
-Cosa? E si può sapere perché?- Frances si fece tesa, pronta allo scontro.
Amanda invece notò una
preoccupazione mal celata negli occhi dello scozzese e si chiese per
quale motivo fosse agitato. Cercò lo sguardo di David per avere
una spiegazione, ma il giovane aveva occhi solo per la porta che
portava in cantina.
“Cantina…?”,
Mandy si rese conto che le stava sfuggendo qualcosa. “Oddio, la
cantina! Andrew!”, finalmente realizzò.
Fece per dire qualcosa quando la
porta in questione venne colpita in modo violento, vibrando sui cardini
con ferocia. Le ragazze sobbalzarono, colte di sorpresa, mentre i tre
licantropi si posero a loro protezione, pronti al peggio.
Frances la guardò, spaventata e confusa. -Cosa succede?
La sorella scosse la testa, cercando di decidere quale fosse la cosa più saggia da fare. O da dire. O da tacere.
Mentre ragionava
febbrilmente sul da farsi, ci fu un altro colpo che fece accartocciare
l’infisso su se stesso. Dal corridoio del piano interrato
giungevano ringhi sommessi e un continuo ansito.
-Avete un licantropo lì dentro?!- Frances alzò la voce.
-Non un licantropo…-
iniziò Amanda. In quel preciso istante la porta cedette e
rovinò a terra con un rumore agghiacciante. Dalla penombra
emerse un enorme lupo dagli occhi chiari e le zampe insanguinate.
-Quello è Andrew.
|