Little
Black Rabbit
I suoi occhi erano
due larghi specchi neri, carichi di disperazione e paura, tanto colmi
da non essere più in grado di riflettere alcuna luce. Le sue
iridi erano oscurità densa, ti si appiccicavano addosso e
non c'era modo staccarsene. Era uno sguardo capace di mettere a disagio
o irritare qualsiasi adulto, ci si sentiva sondati fin nel profondo da
quell'esserino magro e pallido, alto poco meno di un metro e uno sputo;
giudicati da quegli occhi infantili che non parevano conoscere la
spensieratezza tipica della loro età. Cercare di scrutarli a
propria volta era come sprofondare nella melassa, non la si poteva
avere vinta con quelle sabbie mobili fatte di tenebra. Inconsciamente
si aveva la consapevolezza che, una volta inglobati da quegli occhi, in
cui iride e pupilla si confondevano, non si sarebbe più
potuto uscirne. Non c'era salvezza o perdono, il primo istinto di
chiunque era rifulgere da essi, scacciarli, allontanarli da se in
qualunque modo, così da non dover essere giudicati per le
proprie colpe.
Persino Atsushi, che
di peccati ancora non ne portava nessuno sulle spalle, di fronte a
quello sguardo si sentì a disagio. Un vuoto gli si era
formato all'altezza dello stomaco mentre un groppo alla gola gli
rendeva difficile respirare. Non sapeva quando esattamente fosse caduto
a terra, forse era stato colto di sorpresa dallo shock e aveva finito
con il perdere l'equilibrio, atterrando sul fondo schiena in una
maniera piuttosto impacciata e comica. Sul momento si rendeva
semplicemente conto che quel bimbo lo scrutava dall'alto in basso. Era
di costituzione esile, molto magra, le braccia e le gambe ridotte a dei
bastoncini sottili, quasi non vi fosse della carne ma solo un sottile
strato di pelle a ricoprine le ossa; sporco, i suoi vestiti erano
ridotti a dei cenci luridi e portava una sciarpa, più simile
ad uno straccio, di un nero slavato che gli copriva la parte inferiore
del viso pallido. Pareva così fragile che Atsushi non poteva
non provare un certa pena ed apprensione per lui, comprendendo fin da
subito di aver di fronte un bimbo cresciuto per strada, abbandonato
alle intemperie del mondo senza aver prima costruito uno scudo con cui
difendersi da esse, abituato a ritenere gli adulti dei nemici e a
sospettare di qualunque gesto gentile. Era probabilmente a causa della
vita da cui era stato forgiato se aveva sviluppato un simile sguardo
avvilente e buio.
Lo shock da cui era
derivata la caduta di Atsushi non era causato però dal
bambino in sè, era pur sempre cresciuto in un orfanotrofio,
di ragazzi in quelle condizioni disperate ne aveva visti a bizzeffe e,
se non fosse stato per quello sguardo privo di luce e di
pietà, probabilmente avrebbe trovato qualche similitudine
tra il se stesso di allora con il bambino che aveva di fronte.
Il suo stupore era
dato da ben altro fattore, il quale era fortemente legato
all'identità di quel pargolo, i cui capelli corvini finivano
per scolorirsi sulle punte in un bianco abbacinante, una caratteristica
tanto particolare da tradire la sua reale natura.
- A... Akutagawa?! -
balbettò Atsushi facendosi prendere da un smania colma di
stupore e confusione, facendo uno scatto in avanti per sporgesi verso
l'altro, arrivando a pochi centimetri dal suo viso mentre lo afferrava
per le spalle.
Com'era possibile
che, in un istante, quello che riteneva il suo nemico giurato o partner
occasionale (a seconda dei imprevedibili piani di Dazai), si riducesse
da ragazzo di vent'anni, temibile membro della PortMafia, a bimbetto
indifeso che faticava a superare il metro di altezza?
Atsushi non ebbe
però tempo di rifletterci troppo, trovandosi a dover
scattare all'indietro per evitare delle fauci scure che, dal tessuto
della lunga sciarpa, si erano protese a divorarlo. Forse si era
sbagliato a definirlo "indifeso", seppur ancora privo
dell'addestramento che lo avrebbe portato a sviluppare le sue zanne, il
piccolo Akutagawa rimaneva sempre il possessore di Rashomon. Il modo in
cui si era avventato su di lui in maniera improvvisa doveva averlo
messo in allerta, dedusse Atsushi, di nuovo sedere a terra mentre,
tenendo le mani in alto, rivolgeva un sorriso tirato al bimbo.
- Ah, scusa,
scusa... mi ha sorpreso a vederti ridotto così -
biascicò, non sapendo esattamente perché si
stesse scusando, ma ormai abituato all'atteggiamento aggressivo
dell'altro e sentendosi in obbligo avendolo provocato. A Ryunosuke non
era mai piaciuto il contatto fisico, o le persone in generale. - Quindi
anche lui è un utilizzatore di capacità, e questo
sarebbe il suo potere? - la sua era una domanda retorica, avendo gli
effetti dei quel potere proprio di fronte. Ed, ad osservarlo meglio,
cominciò a trovarla una situazione molto ilare, al punto che
dovette coprirsi la bocca per non scoppiare a ridere, non riuscendo
però ad evitarsi di sghignazzare almeno un pochino.
L'uomo su cui
l'Agenzia di Detective l'aveva messo ad investigare, e che doveva
trattarsi di un semplice adultero, era in realtà un
utilizzatore di capacità, sulla quale, vista la presenza di
Akutagawa, nel quale si era imbattuto inavvertitamente durante il
pedinamento, anche la PortMafia per qualche oscura ragione aveva posato
gli occhi.
Dopo essersi messi a
litigare su chi avesse la precedenza sul misterioso individuo, Atsushi
e Akutagawa per poco non erano arrivati ad iniziare uno scontro. Era
stato il mafioso a chiudere la faccenda, partendo per primo
all'attacco, deciso a catturare l'obbiettivo in modo da sottrarlo
così all'agenzia. Atsushi si era ovviamente intromesso e si
erano così trovati ad affrontarsi per l'ennesima volta. Il
loro vivace battibecco aveva però attirato l'attenzione del
uomo che stavano pedinando, il quale, sentendosi alle strette si era
dato alla fuga. Akutagawa, incapace di demordere, aveva spinto lontano
Atsushi scagliandogli contro le teste di Rashomon e si era di nuovo
lanciato all'inseguimento. Il giovane detective (o l'apprendista tale),
una volta rialzatosi aveva cominciato a rincorrerlo a sua volta,
trovandosi però a dover colmare già una distanza
notevole, per cui dovette ricorrere alle sue capacità di
mutaforma.
A pensarci, se
Atsushi non si fosse trovato alle spalle di Akutagawa quando l'uomo
misterioso aveva deciso, in extremis, di usare il proprio potere,
probabilmente anche lui si sarebbe ora trovato nelle stesse condizioni
del corvino.
Per quanto
riguardava l'inseguito, oramai era lontano, scomparso all'interno di un
automobile partita a tutta velocità e inglobata dal buio di
una stradina laterale che tagliava per il porto. Atsushi per il momento
però non si preoccupava di rintracciarlo, distratto dalla
situazione che si trovava ad affrontare. Avvertiva qualcosa di strano
nell'atteggiamento dell'alter-ego più giovane di Akutagawa.
Come se vi fosse una nota stonata, qualcosa non quadrava, e non si
trattava del Rashomon in versione ridotta che il piccolo continuava a
tenere attivato. Nel suo sguardo scuro che, per quanto impenetrabile,
apparteneva sempre ad un bambino, oltre alla confusione, comprensibile
in quella situazione, Atsushi poteva leggervi paura.
- Akutagawa?..- lo
chiamò ancora, nella voce un tono incerto, come se gli
stesse chiedendo se fosse realmente lui e, da come alzò lo
sguardo per incrociare il suo, Atsushi sì, ebbe conferma che
quello era proprio lui, ma allo stesso tempo comprese che l'altro non
lo riconosceva e, anzi, gli stava chiedendo, in muta domanda: "come fai
a sapere il mio nome?". Il bambino parve mettersi ancora più
in allerta, i muscoli tesi mentre i movimenti di Rashomon sembravano
farsi più incerti e traballanti, doveva star esternando lo
stato d'animo del suo proprietario perché, Atsushi ebbe
appena il tempo di notarlo, Akutagawa stava lentamente spostando il suo
peso all'indietro, pronto non ad attaccarlo ma a darsi alla fuga.
"Non si ricorda di
me?" si domandava intanto Atsushi, sentendosi in certo su cosa fare,
possibile che non solo il corpo, ma anche la mente e quindi i suoi
ricordi fossero stati riportati indietro al punto di quando era
bambino? Questo avrebbe spiegato perché non gli aveva ancora
inveito contro e chiamato "Jinko" come al suo solito. Probabile che non
avesse memoria del sé adulto. "Se adesso scappa potrebbe
cacciarsi in qualche guaio, o peggio... non ho idea se questa
capacità ha un effetto permanente o meno" fu il secondo
pensiero della tigre mannara, il quale non si chiese perché
si stesse preoccupando per quello che tecnicamente era un suo nemico,
distratto com'era dall'aspetto infantile che aveva al momento.
Cercò di allungarsi una seconda volta verso di lui,
muovendosi lentamente, ma il bambino si incasso ancor di più
nelle spalle, sulla difensiva, metà del viso nascosto dalla
sciarpa. Voleva attaccarlo di nuovo, intuì,
- No, no, no... non
sono un nemico, non serve che mi attacchi - tentò di
rassicurarlo, alzando le mani in alto in segno di resa, ma agitandosi
nel parlare, risultando teso e aumentando in maniera spropositata la
velocità delle parole che pronunciava.
Alla sua
affermazione gli occhi di Akutagawa si ridussero a due fessure,
scrutandolo con ancor più sospetto. Non si fidava, si
sentiva minacciato. Non aveva idea di dove si trovasse o
perché fosse lì, faticava però a
ricordare dove fosse stato prima. Era confuso, aveva paura. Dov'era sua
sorella? Dove erano gli altri? Era forse colpa di quel ragazzo, di quel
adulto strano dai capelli bianchi se erano scomparsi? Era colpa sua?
- A-ascolta...- si
trovò ancora a balbettare Atsushi, sentendosi poi subito in
imbarazzo nell'essere tanto impacciato a parlare con un bambino. Si
schiarì la voce nel tentativo di prendere un tono
più autorevole e convincente, sedendosi in maniera
più composta, incrociando le gambe. - Senti, lo so che sei
confuso. Posso solo immaginare come tu ti senta, catapultato qui senza
come o perché - si schiarì di nuovo la gola, -...
ma c'è una spiegazione logica a tutto questo. Seguimi e
andrà tutto bene - e dicendo questo, con il miglior sorriso
tirato che riuscisse a mostrare, gli porse la mano, sperando che il
bimbo l'accogliesse.
Non ebbe
però neppure il tempo di sperarlo che il piccolo Akutagawa,
con i suoi piedi nudi, gli aveva già voltato le spalle,
correndo via con tutta la forza che quelle gambe sottili gli
permettevano.
- Atsushi... credo
che tu non abbia ben capito in cosa consistesse il tuo incarico - lo
accolse Kunikida senza salutarlo, cogliendolo per caso sulla soglia del
ufficio un momento prima che il ragazzo entrasse. Il suo tono si
manteneva calmo, seppur il riflesso che gli lampeggiò sulle
lenti degli occhiali e gli nascose per un momento lo sguardo, ne
tradisse l'irritazione crescente, così come il leggero
tremito della mano con cui stringeva il suo inseparabile taccuino.
- E'... è
che ci sono state una serie di complicazioni - biascicò in
risposta Atsushi, rivolgendogli un mesto sorriso colpevole, con il
quale, intimamente, sperava gli fosse perdonata ogni sciocchezza
compiuta quel giorno. Solo ora che si trovava sotto lo sguardo severo
ed intransigente del collega Atsushi si rendeva conto di quanti
atteggiamenti e scelte sbagliate avesse compiuto in quelle poche ore. -
Po-posso spiegare - proclamò, per quanto aggiunse
mentalmente un "credo" alla fine della frase, ben udibile dal suo tono
incerto.
- Passare dal
pedinare un sospettato a rapire un bambino... spero bene che ci sia una
spiegazione sensata dietro a tutto questo - Kunikida
incrociò le braccia al petto tenendo quel tono accusatore,
di rimprovero ed indignazione che era solito usare con Dazai. - Poi mi
dirai anche perché sei ridotto come se tu fossi precipitato
da un albero e caduto in un cespuglio - aggiunse schioccando la lingua
seccato, mentre si faceva da parte per farlo finalmente entrare. Per
quanto irritato per lo stravolgimento del incarico da parte del
ragazzo, aveva subito notato le sue condizioni pietose, tra cui i
vestiti stracciati, le varie escoriazioni più o meno gravi
in molti punti del corpo corpo e i segni di graffi e di morsi che aveva
sul viso. Pareva fosse reduce dal tentativo mancato di ammaestrare un
animale feroce, pensiero che non poteva non risultargli vagamente
comico essendo Atsushi una tigre mannara. Per di più non
poteva credere che la "bestiolina", o bambino, che si portava in
spalle, tanto piccolo e magro da sembrare più fragile di un
ramoscello, potesse mettere in difficoltà Atsushi.
- Oh, è
tornato il rapitore di bambini? - fu il turno di Ranpo a salutarlo,
sottraendosi dalla sua pennichella come intuì fosse accaduto
qualcosa di interessante. Si tolse a malapena il cappello dal viso,
rimanendo però stravaccato alla propria scrivania.
Dedicò un'occhiata non più lunga di un paio di
secondi alla strana coppia appena entrata, per poi rivolgere al giovane
collega quel suo tipico sorriso sornione e furbesco. Atsushi non
dubitava che avesse già ricostruito tutto l'accaduto,
compresi gli eventi subito successivi, e di ciò ebbe
conferma dell'espressione ilare e dalla risata che il grande detective
non si preoccupò di trattenere. - Dovresti fare qualcosa per
la tua sindrome del buon samaritano, Atsushi. Passi per Kyouka, ma
questo non è un ritrovo per orfani sfruttati dalla
PortMafia, in più Akutagawa è maggiorenne,
quindi..- alzò le spalle facendo un gesto con la mano come a
dire che la questione, dopo un momento di divertimento, già
lo annoiava. Si calò di nuovo il cappello sul viso, tornando
alla sua pausa.
Atsushi
dedicò al grande detective l'ennesimo dei suoi sorrisi
esitanti e colmi di senso di colpa, ma non ebbe tempo di riflettere
sulle sue sagge parole che toccò a Kenji, con la sua solare
ed innocente esuberanza ad avvicinarlo, l'espressione allegra di quando
gli promettevano di portarlo a mangiare un piatto di Gyudon con doppio
manzo per cena.
- Neh, ascolta,
ascolta Atsushi! - era talmente pimpante e pieno di vita che, al solo
guardarlo, il mutaforma si sentiva prosciugare delle ultime energie.
No, non ce la poteva fare ad affrontarlo. - E' appena arrivata una
segnalazione su un individuo sospetto che, al parco qui vicino, sembra
stesse rapendo un bambino. Non è ancora un'indagine
ufficiale, ma il signor Uemura (che ha da poco avuto una nipotina), mi
ha promesso un buono per tre razioni di carne scontata all'80%... -
Se ricordava bene il
signor Uemura era il proprietario di una macelleria nel distretto
commerciale lì vicino, fece memoria Atsushi mentre il
collega si afferrava con eccessivo entusiasmo al suo braccio libero,
quello con cui non stringeva il corpo del piccolo Akutagawa. - L'ultima
volta che abbiamo lavorato assieme ci siamo divertiti così
tanto! Collaboriamo ancora, eh?! - Kenji doveva aver fame,
perché venne avvertito in tutta la stanza l'inquietante
scricchiolio che fece il braccio di Atsushi, il quale
sussultò percorso da una scarica di dolore inaspettato che
gli fece salire le lacrime agli occhi. Sì, la
prospettiva di carne scontata doveva aver risvegliato l'appetito, e
quindi il potere, del suo giovane collega. - In più se
partecipa un altro detective il signor Uemura ha promesso di preparare
dei buoni anche per lui - il suo viso innocente fu solcato da un'ombra
inquietante nell'aggiungere - ... a te però non servono quei
buoni, quindi li darai a me visto che siamo grandi amici, vero? - se
non si fosse trattato di Kenji, Atsushi avrebbe pensato ad un tentativo
di estorsione dietro quel sorriso, ma essendo lui non poteva esserlo,
era un ragazzino troppo innocente e puro per arrivare a tanto, giusto?
- Mi dispiace per
te...- apparve come dal nulla il presidente Fukuzawa, appoggiando con
indifferenza, e il solito cipiglio serio, una mano sulla testa del
biondino come a volerlo calmare, - ma non riceverai alcun buono -
sentenziò, causando un'espressione di dolore estremo sul
volto di Kenji, il quale, liberato Atsushi dalla sua presa,
cominciò a fissare il proprio capo con sguardo implorante.
Come a chiedergli: "Perché no?"; quasi sull'orlo delle
lacrime. A quel viso Fukuzawa non sembrò aver reazione, si
schiarì però un momento la gola nascondendo di
nuovo le mani nelle maniche del kimono, - Certo, a meno che tu non
voglia consegnare Atsushi al signor Uemura - spiegò a Kenji,
il quale scacciò il dispiacere per prendere un espressione
confusa.
- Cosa c'entra
Atsushi? - spostò lo sguardo dal capo ad Atsushi e,
allargando appena gli occhi chiari dallo stupore, finalmente si accorse
di cosa il collega si portasse dietro.
- Ah! Eccellente,
Atsushi! Hai già trovato il rapitore e salvato il bambino! -
fece esultante, colmo di gioia per l'inaspettato successo, per poi
farsi subito pensieroso. - Uhm... però hai fatto tutto da
solo. Così non posso riceve i buoni per la carne - la
questione pareva turbarlo nel profondo, ma gli bastò un
secondo per ritrovare il buon umore. - Bhé... visto che
siamo amici e colleghi dividerai il premio con me, vero? - e di nuovo,
nel suo sorriso puro ed innocente, al pensiero di carne di manzo
scontata, apparve un'ombra inquietante.
Ad una simile
ricostruzione dei fatti Ranpo cominciò a sghignazzare da
sotto il suo cappello,
- Hai capito male,
Kenji: è Atsushi il rapitore - gli rivelò non
riuscendo a trattenersi, gli equivoci creati dal giovane biondino erano
esilaranti, ma tal volta gli urtava che, con una simile incompetenza,
riuscisse comunque a risolvere i casi che gli venivano assegnati. Non
aveva nessun metodo! Se fosse stato il protagonista di uno dei romanzi
gialli che Ranpo amava leggere, di certo avrebbe finito con l'annoiarlo.
Per quanto,
inconsciamente, non capisse perché lo infastidisse che Kenji
agisse in maniera tanto spensierata quando lui, per primo, sfruttava
unicamente la propria abilità per risolvere i misteri.
Certo, se invece avesse usato solo intelletto od ingegno per districare
le indagini, quell'irritazione sarebbe stata giustificata,
però era un fiero possessore d'abilita, quindi... Ranpo
interruppe quel flusso di pensieri che pareva voler indagare troppo a
fondo.
- PO-POSSO SPIEGARE!
- si trovava intanto a difendersi Atsushi, preso da un momento di
panico, nel timore che Kenji potesse venderlo per un po' di carne in
saldo,
- E' quello che
tutti stiamo aspettando - gli fece notare Kunikida, sistemandosi
nuovamente gli occhiali sulla radice del naso. Non aveva più
detto nulla da quando era entrato, affiancandolo, o forse volendolo
accompagnare fin dal presidente, il quale aveva invece deciso di
venirgli incontro.
- Sì...
ecco - si trovò di colpo a disagio sotto tutti quegli
sguardi, incapace di decidere quale affrontare per primo. E a quel
punto fu Akutagawa a metterlo in difficoltà, piantandogli
un'altra volta i denti nella spalla, nell'ennesimo tentativo di
liberarsi, - E tu piantala! - sbottò esasperato verso quel
bambino che, una volta scappato, gli aveva fatto subire pene infernali.
Tra le peggiori quella di farlo quasi investire da un camion, se
Atsushi non avesse usato la sua capacità non sarebbe stato
in grado di evitarlo, saltandolo con un balzo. Anche se l'atterraggio
non era poi stato molto morbido visto che, il bimbo, aveva approfittato
del fatto che non potesse muoversi in aria per attaccarlo un momento
prima che toccasse terra. E per quanto Rashomon si fosse ridotto nelle
dimensioni, l'essere finito contro il muro in mattonato di un edificio
non era stata una sensazione troppo piacevole. Per acciuffarlo Atsushi
si era dovuto nascondere in cima ad un albero ed aspettare che il
piccolo ci passasse di sotto, certo, non ci aveva fatto una bella
figura agli occhi della gente presente nel parco, ma al momento non se
ne era curato. Non credeva certo che lo avrebbero accusato di
rapimento! E pensare che lui voleva solo aiutare.
- Appoggialo a
terra, Atsushi - gli ordinò il presidente e, seppur la prima
replica del ragazzo sarebbe stata: "ma così scappa"; appena
incrociò lo sguardo di Fukuzawa fu costretto ad ingoiarla.
Non si poteva contravvenire ad una richiesta fatta direttamente dal
capo.
Come ordinato,
Atsushi appoggio a terra Akutagawa che, esausto per la lunga fuga, non
era più in grado di evocare Rashomon e, conscio o meno di
ciò, Atsushi aveva approfittato della sciarpa che portava al
collo per legargliela alla vita, bloccandogli le braccia all'altezza
dei gomiti. Avrebbe potuto sembrare una soluzione estrema e crudele, ma
viste le condizioni pietose in cui la tigre mannara era ridotta, non si
poteva dubitare che fosse arrivato allo stremo della sopportazione.
Neppure il piccolo corvino sembrava in condizioni migliori, i piedi
nudi si erano coperti di escoriazioni, così come le sue
gambe sottili, dove una ferita al ginocchio sanguinava copiosamente,
nulla più di un taglio ma il sangue, in parte seccato, gli
era arrivato fino alla caviglia pallida. Riportava poi una ferita sopra
al sopracciglio destro e una contusione al viso, queste causate, e si
sarebbe scoperto solo poi, dall'atterraggio tutt'altro che morbido che
aveva avuto con il terreno quando Atsushi si era schiantato su di lui
precipitando dall'albero. Teneva i denti stretti Akutagawa, mordendosi
l'interno della guancia avvertendo sulla lingua il sapore ferroso del
sangue, lo sguardo fisso sul pavimento mentre passava il peso da un
piede all'altro. Ci mise circa una decina di secondi prima di decidersi
ad alzare il viso per affrontare lo sguardo del capo dell'agenzia dei
detective, il cui sguardo penetrante lasciava ben poco scampo. I due si
scambiarono una lunga occhiata prima che Fukuzawa emettesse un lungo
sospiro,
- Qualcuno lo
accompagni in bagno prima che se la faccia addosso -
proclamò per dare poi le spalle ai suoi sottoposti, facendo
per tornare nel proprio ufficio, - ... e dategli una ripulita, non deve
sembrare che torturiamo bambini - aggiunse fermandosi a meta strada,
rivolgendo una fredda occhiata ad Atsushi.
- Aspetti, tutto
qui?! Nient'altro? - intervenne Kunikida con un po' troppo veemenza
nella voce, sentendosi a disagio subito dopo per aver osato riprendere
il proprio capo,
- Preferisci
ripulire o accompagnarlo al gabinetto prima che gli scoppi la vescica?
- insistette mentre un leggero tremito delle spalle di Akutagawa
tradiva l'urgenza della questione. - Appena Dazai torna basta che gli
fate usare la sua abilità per farlo tornare adulto, no? -
aggiunse, sembrava l'unico ad avere davvero prestato ascolto alle
parole di Ranpo e aver capito l'identità del bambino.
Finalmente solo nel
proprio ufficio, Fukuzawa si concesse un lungo sospiro esasperato,
appoggiandosi esausto contro la parete. Non aveva alcuna intenzione di
trovarsi a fare il baby sitter ad un altro ragazzino problematico,
sopratutto perché Dazai era uscito senza dire niente a
nessuno. Se ne era andato nella pausa pranzo e non ne era ancora
rientrato, nonostante fossero le quattro e mezza del pomeriggio.
Conoscendolo avrebbe potuto rimanere disperso per giorni, e non ci
sarebbe stato verso di mettere Ranpo sulle sue tracce. Il grande
detective si sarebbe divertito troppo nel vedere i propri colleghi in
difficoltà con un bambino per togliersi un simile
spettacolo, in più non potevano certo accettare che la sua
abilità fosse usata per una simile quisquilia.
Il tempestivo
intervento di Kunikida, che aveva preso il piccolo Akutagawa di peso
portandolo in bagno, aveva evitato un imbarazzante incidente al bimbo,
il quale si era ritrovato a ricevere poi un trattamento speciale in cui
era stato ripulito e le sue ferite disinfettate. Qualcuno era poi
riuscito a procurargli dei vestiti degni di questo nome e gli stracci
che indossava, compresa la sua sciarpa, erano stati gettati
nell'inceneritore. Ovviamente avevano fatto particolare attenzione al
tessuto da cui gli indumenti erano composti, non doveva essere
eccessivo o c'era il rischio che il piccoletto usasse nuovamente la sua
abilità nel tentativo di filarsela.
Ora il piccolo
Akutagawa poteva passare per un bambino qualunque, se non si contava la
magrezza eccessiva e gli occhi spenti. Difficilmente, se la polizia
fosse venuta a controllare, avrebbero riconosciuto in lui il bambino
rapito al parco, per quanto Atsushi invece rispecchiasse perfettamente
la descrizione fatta del rapitore. Essendo però la famosa
agenzia di detective armati avrebbero comunque potuto dare una
spiegazione plausibile alla condotta di un loro membro, come: "stava
recuperando un minore scappato di casa"; era la versione ufficiale che
avevano deciso di dare nel caso fossero state poste delle domande. E se
avessero ancora insistito sul identità del piccolo che
avevano in custodia avrebbero finto che fosse il figlio di una delle
dipendenti dell'agenzia. Con una veloce riunione d'ufficio ogni cosa
era stata sistemata, ora si doveva solo attendere il ritorno di Dazai
per poter finalmente chiudere la questione.
Peccato solo che,
arrivate ormai le diciotto, di quello spreco di bende ambulanti non si
fosse ancora vista traccia.
- Dovremmo
preoccuparci? - domandò timidamente Atsushi, avvertendo
l'aura di malumore che avvolgeva Kunikida farsi più densa e
quasi visibile ad occhio nudo,
- Quel idiota!
Sparisce sempre quando potrebbe rivelarsi utile - sbottò il
biondo occhialuto, alzandosi di scatto dalla propria scrivania
sbattendo con violenza entrambe le mani sul ripiano, facendo
così cadere una pila di carte che vi aveva depositato sopra.
- Te... te le
raccolgo io - balbettò Atsushi, notando che l'irritazione
del biondo stava per scoppiare in un attacco isterico che, senza la
presenza di Dazai su cui sfogare la sua rabbia giustificata, avrebbe
finito con lo sfociare in una serie di imprecazioni del tutto
comprensibili. - Se Dazai per oggi non si presenta, cosa dovremmo fare
con lui? - domanda sottovoce, una volta chino per terra per non farsi
vedere dal diretto interessato, indicando a Kunikida con lo sguardo.
Nonostante con
Atsushi si fosse dimostrato un demone reincarnato, una volta portato
all'agenzia Akutagawa aveva preso una atteggiamento completamente
diverso, passivo. Per tutto il pomeriggio, dopo che era stato pulito e
vestito, sino a quel punto, se ne era stato seduto in silenzio e
composto, su una sedia che gli avevano messo vicino ad una finestra.
Atsushi era quasi certo che non avesse guardato fuori neanche una
volta, immobile come una statua di sale, a fissare il vuoto davanti a
se. Eppure aveva pure la sensazione che avesse percepito ogni minimo
movimento avvenuto all'interno dell'edificio. Un paio di volte qualcuno
gli si era avvicinato per chiedergli se avesse fame o sete, ma
Akutagawa era rimasto chiuso nel proprio mutismo e in quello stato di
immobilità apparente. Evitava di incrociare lo sguardo di
chiunque gli parlasse o si avvicinasse.
- Te lo porti a casa
- fu la laconica e sbrigativa risposta di Kunikida, - Tu hai causato il
problema, tu te ne prendi cura. In più Kyouka è
partita con Yosano, Naomi (Tanizaki), e le altre ragazze dell'ufficio
per un viaggio alle terme, hai l'appartamento libero -
- Eh..? -
esclamò Atsushi, pur aspettandosi una risposta simile, - Ma
io non so badare ad un bambino! - notò di aver alzato troppo
la voce e avvertì lo sguardo scuro di Akutagawa fissarsi su
di lui, pur essendo nascosto sotto alla scrivania. - Cioè...
prima che lo portassi qui ha cercato di uccidermi varie volte mentre
tentava di scappare -
- Ai suoi tentativi
di ucciderti dovresti esserci abituato ormai - non parve per nulla
toccato dalla questione Kunikida, sistemandosi con fare secco gli
occhiali sulla radice del naso per poi incrociare le braccia al petto.
- Bhé..
si, ma... - cercava un modo di svincolarsi Atsushi, per quanto le sue
parole si facessero sempre più esitanti e meno convinte,
- E' un bambino, per
quanti problemi ti abbia causato questa mattina, di certo non sono
nulla rispetto a quelli che ti ha causato quando era adulto. Quindi,
poche storie - lo additò puntandogli l'indice dritto in
fronte. - Visto il tuo rapporto con Akutagawa sei quello più
adatto a gestire la sua versione infantile -
- Potrebbe uccidermi
nel sonno o scappare - fece un ultimo tentativo, memore del camion che,
astutamente, il piccoletto gli aveva mandato contro. Anche in
realtà era più colpa di Atsushi che si era
gettato al suo inseguimento senza prima controllare la strada.
- E tu non dormire -
chiuse il discorso Kunikida mentre Atsushi gli passava le ultime carte
da terra.
- E' andato -
annunciò Ranpo, che intanto stava preparando le sue cose per
chiudere la giornata lavorativa ed andare a cena, interrompendo il loro
discorso,
- Come? - gli
domandò il biondo occhialuto, tornato a sedersi alla propria
scrivania mentre Atsushi si volta per prestare attenzione al grande
detective,
- E' da quasi due
ore che sta lì seduto a studiare un modo per svignarsela -
alzò le spalle con un sospiro, fingendosi addolorato per
l'incompetenza dei propri colleghi e per la loro mancanza
d'osservazione, per poi indicargli la sedia vuota su cui prendeva posto
Akutagawa. - Stava aspettando il momento giusto: è andato -
si ripete vagamente divertito nel vedere l'espressione di Atsushi
passare dallo sgomento al panico.
- Perché
non l'hai fermato?! - parlò con uno stridio acuto mentre
scattava in piedi, sbattendo la testa sulla scrivania di Kunikida, per
poi lanciarsi all'inseguimento, correndo fuori dagli uffici. Sapeva
bene di aver posto una domanda sciocca, se Ranpo non era intervenuto
era perché non lo riteneva un problema sua.
E mentre Atsushi si
trovava già a due rampe di distanza da loro, Kunikida,
sistemandosi per l'ennesima volta gli occhiali, si rivolse al grande
detective, che intanto era impegnato a sghignazzare arrivando a farsi
venire le lacrime agli occhi.
- Dove l'hai
nascosto? - lo fisso con cipiglio severo, avvertendo un principio di
mal di testa martellargli contro la fronte, le sopracciglia aggrottate
dall'irritazione,
- Dovresti prenderla
con più calma, Kunikida, o finirai per diventare calvo -
rise ancora Ranpo, trovandosi poi a bussare due volte contro l'anta del
piccolo scaffale dietro alla sua postazione di lavoro. La quale si apri
rivelando Akutagawa che, raggomitolato su se stesso, era proprio della
misura giusta per nascondersi al suo interno.
- Come lo hai
convinto? - sospirò il biondo ignorandone il consiglio,
tenendosi la fronte con una mano mentre incrociava per un momento lo
sguardo di Akutagawa che, nonostante avesse accettato di partecipare
allo scherzo, non aveva l'aria divertita. Pareva vagamente assente.
- L'ho solo preso di
peso e infilato qui dentro mentre voi eravate impegnati a confabulare -
spiegò Ranpo, tutto fiero della riuscita del suo piccolo
scherzetto. Aveva immaginato sarebbe stato divertente vedere i suoi
colleghi messi in difficoltà nel trovarsi a gestire un
bambino, ma quando Akutagawa si era dimostrato tranquillo al punto da
sembrare più una bambola che qualcosa di vivo, si era detto
sarebbe stato interessante provare a scombinare un po' le cose. Il
piccolo era così leggero che non aveva faticato a sollevarlo
e, come aveva immaginato, Akutagawa non aveva reagito in alcun modo.
Era così terrorizzato da essere incapace di reagire.
- Ora mi tocca
chiamare Atsushi..- sbuffò Kunikida prendendo il cellulare
per fare il numero del più giovane, cui telefono
cominciò a squillare sotto la scrivania del biondo. Doveva
averlo perso mentre gli raccoglieva le carte.
Kunikida fu molto
vicino ad urlare un imprecazione poco elegante, ma la presenza di un
bambino, in qualche modo, gli impedì di cadere nel volgare.
Alla fine, dopo
quasi un'ora di ricerche a vuoto nel quartiere e dintorni (evitando
però il parco dove temeva altre accuse infondate), Atsushi
era tornato all'agenzia, scoprendo così di aver faticato
inutilmente. A differenza di Kunikida solitamente non si irritava per
simili scherzi, ma cominciò ad avvertire un forte prurito
dietro al collo e alla nuca e, inconsciamente, cominciò a
grattarsi, provocandosi presto una vistosa irritazione rosata. Era
stata una giornata davvero estenuante per i suoi nervi e neppure la
serata sembrava dovesse svolgersi al meglio.
Non avendo altra
scelta, Atsushi dovette portarsi Akutagawa a casa,
ringraziando per lo meno che Kyouka avesse accettato la proposta delle
altre ragazze dell'ufficio di fare un piccolo viaggio alla terme,
viaggio che era stato offerto come bonus da un loro cliente,
proprietario del ryokan dove si sarebbero fermate. Per evitarsi
ulteriori problemi, come un nuovo tentativo di fuga da parte del
più piccolo, se l'era per sicurezza caricato nuovamente in
spalla, temendo che comunque Akutagawa avrebbe potuto trovare un modo
per ferirlo con Rashomon. Per quanto, nel caso ci fosse riuscito, il
demone d'ombra sarebbe stato minuscolo visto il poco tessuto con cui
avrebbe potuto crearsi e quindi non temibile, un fastidio rimaneva
sempre un fastidio. Come quando un sassolino nella scarpa leggermente
appuntito va' a conficcarsi proprio nel tallone.
Inutili i tentativi
di Atsushi per convincerlo a mangiare qualcosa, fosse anche solo un po'
di riso, testardo Akutagawa era rimasto seduto in un angolo della
stanza, rimanendo impassibile nel suo mutismo, senza quasi reagire alle
interazioni che il mutaforma provava ad avere con lui. Avvolte gli
dedicava qualche occhiata, ma null'altro, e più tempo
trascorrevano in quella situazione di stallo, più Atsushi
temeva che se si fosse addormentato quel piccolo esserino dal aspetto
fragile avrebbe tentato di ucciderlo nel sonno. Probabile che avesse
dei pregiudizi sul piccolo Akutagawa solo perché si trattava
di Akutagawa? Ovviamente sì, ma aveva dei motivi ben
giustificati per temere per la propria incolumità di fronte
a lui. Per quanto apparisse come un bambino, si trattava dello stesso
membro della PortMafia che aveva quasi ucciso lui e i suoi compagni.
Vero che poi era stato Atsushi a mandarlo in coma, ma si trattava di
una situazione completamente diversa... giusto?
Una vocina nella sua
testa gli diceva che in realtà era la medesima situazione,
ma la soffocò, aveva già altri problemi emotivi
da affrontare prima di quelli. Come la sua insicurezza cronica e quella
sindrome da buon samaritano che nel ultimo periodo l'aveva portato a
prenderle di santa ragione. L'ultimo esempio ce l'aveva proprio
davanti, con quel suo fare testardo e vagamente ostile.
- Parla... -
arrivò al punto di supplicarlo Atsushi, carponi davanti a
lui per avere lo sguardo alla medesima altezza, - Dai, dì
qualcosa - "anche solo un insulto", aggiunse mentalmente, ma di nuovo
Akutagawa rimaneva trincerato nel suo silenzio. Il fatto che l'altro
gli fosse così vicino pareva però infastidirlo,
perché cominciò ad evitare il suo sguardo,
spostandolo da tutt'altra parte rispetto a lui. Sembrava trovare molto
più interessante fissare la parete vagamente bagnato
d'umidità.
- Va bene. Non vuoi
parlare, non vuoi mangiare - sbuffò esasperato, arrendendosi
chinando il capo, -... allora andiamo a fare il bagno -
sentenziò e, per la prima volta, vide una vera reazione
attraversare il piccolo corpo di Akutagawa, il quale
sussultò palesemente, lo sguardo che si allargava dallo
sconcerto e paura. Un sorriso si dipinse a quel punto sul volto di
Atsushi, - Non ti piace fare il bagno, Ryu? - indovinò. Gli
pareva troppo strano chiamarlo per cognome, nonostante sapesse che in
realtà era di due anni più grande di lui, quindi
aveva deciso di usare un diminutivo e il suffisso tipico per i bambini.
Ancora però Akutagawa non gli rispondeva, incassò
la testa nelle spalle, ripiegandosi un poco in avanti e per un momento
Atsushi temette che volesse attaccarlo, tentando magari di fuggire, ma
non si mosse. Rimase in quella posizione, un poco ricurvo su se stesso
quasi si fosse chiuso a riccio, in un'armatura impenetrabile nelle sue
fantasie da bambino.
Atsushi dovette
trattenere una risata, intenerito dal suo atteggiamento, per la prima
volta lo vedeva realmente come il bambino che era, scordando per il
momento chi sarebbe diventato da adulto. Sì alzò
in piedi, afferrando il bimbo per i fianchi e sollevandolo di peso, -
Bene! Andiamo al bagno pubblico! - annunciò entusiasta,
avvertendo di nuovo il piccoletto sussultare tra le proprie braccia,
l'accenno di un emozione sul viso.
Sì,
cominciava a divertirsi.
- Buongiornissimo a
tutti!! - cinguettò Dazai entrando sbattendo con violenza la
porta degli uffici dell'agenzia, presentandosi ben dopo l'orario
previsto per poter essere considerato in orario o vagamente in ritardo.
Era quasi ora di pranzo, e l'espressione allegra e gongolante che aveva
sul viso, particolarmente irritante per chiunque lo guardasse, non
faceva che aggravare la sua situazione. Già al quanto grave,
poiché non aveva ancora dato spiegazioni per la sua
sparizione del giorno prima.
- Ti sembra questa
l'ora di arrivare?! - sbottò Kunikida mentre lui e Atsushi
andavano ad accoglierlo, pronto a sfogare la rabbia accumulata in tutte
quelle ore, - E poi dov'è che saresti stato tutto questo
tempo?!? - lo additò con furia pronto a lanciargli contro
dei gessetti. In memoria di quando era un insegnante, al biondo
occhialuto era rimasta quest'abitudine, ed era sempre pronto a
rispolverarla, anche con oggetti più o meno contundente,
quando Dazai si dimostrava particolarmente discolo e capriccioso.
- Mi sono preso il
giorno libero per dare supporto ad Atsushi con il suo incarico -
alzò le spalle con nonchalance il detective bendato,
l'espressione saccente ed irritante di chi si sentiva intoccabile, - E
dovreste ringraziarmi che sia subentrato io, visto che Atsushi - e sta
volta si voltò verso lo pseudo-allievo, sottolineandone con
enfasi il nome, - Ad un certo punto da deciso di abbandonare il lavoro -
- Solo a me il
saluto di Dazai ha ricordata una casalinga quarantenne che vuole
sentirsi giovane? - fu l'improvviso ed inopportuno commento di Ranpo, a
cui nessuno però prestò peso, c'era il dubbio che
l'aspirante suicida si fosse fatto di nuovo di funghi allucinogeni,
quindi non ci si poteva stupire di nulla. - Vado a pranzo! - aggiunse
subito dopo vedendosi palesemente ignorato, alzandosi dalla scrivania e
facendo per andarsene, salutato da qualche altro membro dello staff.
- So-sono
sopraggiunte cause di forza maggiore - balbettò Atsushi
trovandosi impreparato ad affrontare lo sguardo del altro e il suo
sorriso vagamente divertito,
- Sì, lo
so - chioccio lui, afferrandosi il mento con la mano, tenendo l'indice
e il pollice distesi nell'inconfondibile posa ad L, prendendo
un'espressione falsamente pensierosa. - Hai preferito fare il baby
sitter, giusto? - sogghignò con una nota mefistofelica che
lo rese identico ad un satanasso.
- Mi stavi spiando!?
- comprese Atsushi, incredulo a quella scoperta,
- Se lo sapevi
perché non sei intervenuto a risolvere la situazione? -
tornò a farsi sentire Kunikida avvicinandosi ulteriormente a
Dazai, invadendone lo spazio vitale per metterlo alle strette.
- L'obbiettivo stava
fuggendo, ho preferito dargli la precedenza, in più Atsushi
non era certo in una situazione ingestibile - rideva sotto ai baffi
Dazai, consapevole che, il suo comportamento, non poteva essere
biasimato, se non per il fatto che non aveva contattato l'agenzia per
avvertire della propria iniziativa.
- Ma
perché non hai avvertito nessuno!? - insistette per
l'appunto Kunikida, trovando il suo atteggiamento comunque
inqualificabile,
- Bhé,
grazie ad Atsushi ho capito che anche la PortMafia aveva messo gli
occhi su quel individuo, quindi mi sono detto che era meglio agire
subito, senza perdere tempo -
- Era
così difficile fare una telefonata? -
- E se quei mafiosi
avessero messo sotto controllo le linee telefoniche? -
- Non usare scuse
assurde per giustificare la tua pigrizia! - il biondo era ben
consapevole che il partner si stava solo inventando delle scuse. Se non
aveva contattato l'agenzia era unicamente perché non voleva
che gli fosse inviato qualcuno a supporto. Nonostante fossero compagni
di lavoro da un po' di tempo, Dazai aveva ancora il difetto di agire
per la maggior parte delle volte per conto proprio.
- La mia non
è pigrizia, erano preoccupazioni giustificate -
sbuffò, insofferente ai rimproveri del altro, - E poi ho
concluso il lavoro, non basta per farmi perdonare? - tirò
fuori dalla tasca interna della giacca una sottile cartella in cartone
rigido. - Lì, ci sono i documenti che ci servono e le prove
per dimostrare che quel uomo è un adultero, in
più ho aggiunto anche qualche informazione extra sui suoi
traffici illetici che probabilmente alla polizia piacerebbe sapere -
snocciolò, prendendo alla fine un'espressione divertita, -
Credo che la moglie potrebbe ricavarne un buon profitto se le mostrasse
al proprio avvocato mentre prepara le carte per il divorzio -
Nello stesso momento
in cui Dazai proclamava di aver concluso il lavoro, Atsushi comprese di
aver ancora molta strada da fare prima di potersi considerare un vero
detective dell'agenzia. Quando si era trovato ad affrontare quel
incarico non aveva saputo che pesci pigliare e, nel momento in cui era
sopraggiunto Akutagawa ad interferire, non era riuscito a mantenere il
controllo della situazione, lasciando che gli eventi lo soprafacessero.
Se non ci fosse stato Dazai a coprirgli le spalle, probabilmente non
avrebbero mai scoperto la verità su quel individuo.
- Non puoi sempre
fare i tuoi comodi! - Kunikida si trovò preso in contropiedi
dai risultati portarti dal suo collega, nel agire in solitaria, ma
comunque non voleva dargliela vinta.
- Oh, andiamo
Kunikida - Dazai gli diede una serie di pacche amichevoli sulla spalla,
rivolgendogli un sorriso accomodante, - Devi imparare a rilassarti, o
in futuro diventerai calvo -
- Tsk...-
schioccò la lingua il biondo, incapace di ribattere, era la
seconda volta in due giorni che qualcuno gli faceva la stessa
osservazione. In un silenzio furibondo raccolse la cartella che l'altro
gli porgeva e, con fare seccato, gli voltò le spalle, per
tornare alla scrivania e al proprio lavoro.
"Sta volta si
è davvero offeso" pensò nel guardarlo Dazai,
avvertendone il livello d'irritazione raggiungere un nuovo stadio,
pareva quasi avvolto da un aura densa che deformava l'aria attorno a
lui, come satura di gas infiammabile.
- Atsushi, fagli
sistemare l'altro problema - aggiunse senza rivolgersi direttamente
all'interessato, tanto per rendere più chiaro a chi fosse
rivolta la sua rabbia.
- Uhm?.. vuol dire
che Akutagawa è ancora qui all'agenzia? - sembrò
vagamente stupito dalla scoperta Dazai, rivolgendo di nuovo la propria
attenzione su Atsushi, il quale annuì piegando le labbra in
una smorfia in un misto di nervosismo e preoccupazione. - Strano,
credevo avrebbe tentato di scappare -
- Ci ha provato...
svariate volte - ammise il ragazzo, cominciando a mostrare sempre
maggior disagio nel parlare, - Però ieri sera, ad un certo
punto - non aggiunse "dopo il bagno" perché gli sembrava una
specificazione superflua, - ... mi è sembrato avesse
qualcosa di strano. Ha iniziato a tossire, ma sul momento non ci ho
dato troppo peso, credevo fosse uno dei soliti attacchi, gli ho fatto
bere dell'acqua, anche se all'inizio si è rifiutato - prese
un'aria ancora più preoccupata, - Poi però sono
cominciati i tremiti e gli è salita la febbre. Ho cercato di
farlo riposare e di dargli qualche medicina ma ha passato tutta la
notte in bianco, rifiutando tutto - si sentiva fin troppo colpevole.
- Ah, tranquillo...
da bambino Akutagawa tendeva ad ammalarsi spesso a causa dei suoi
problemi ai polmoni - sembrò accantonarla come una
quisquilia Dazai, - O almeno così mi ha raccontato sua
sorella, di solito però gli capitava quando si trovava a
subire un forte sbalzo di temperatura - aggiunse prendo l'aria
pensierosa, - Come quando si passa da una vasca d'acqua bollente
all'esterno del bagno pubblico - e comprese di aver azzeccato
il punto nel vedere Atsushi sussultare in maniera sospetta. "Volevi
fargli un dispetto e ti si è ritorto contro, eh?" sorrise,
divertito tra se e se.
- Ora
dov'è? - domandò evitando di punzecchiarlo troppo
sull'argomento, sembrava sentirsi già abbastanza in colpa, e
non era divertente torturare qualcuno che credeva di meritarselo.
- In infermeria. Gli
ho detto di dormire un po', ma non penso che mi abbia dato retta -
ammise Atsushi prima di condurlo nella stanza in cui aveva
momentaneamente lasciato solo il bimbo.
Per Dazai non fu una
sorpresa constatare che, senza nessuno a sorvegliarlo, Akutagawa aveva
già cominciato ad attuare il proprio piano di fuga.
In quei cinque
minuti in cui Atsushi si era allontanato, il piccolo era riuscito a
spingere uno dei letti contro la parete, sotto all'alta finestra che
rischiariva la stanza; strappato le lenzuola dai materassi e le aveva
legate assieme così da crearsi una spessa fune. Con ogni
probabilità il suo piano era quello di stringere una
dell'estremità al termosifone presente sotto la finestra,
per poi calarsi con la corda sin giù in strada.
Un progetto per lui
però inattuabile, che lo avrebbe di sicuro portato a
precipitare per quattro piani. Akutagawa non aveva messo in conto la
debilitazione causata dalla febbre, la quale gli avrebbe impedito di
superare una simile prova di resistenza, le sue braccia sottili non
sarebbero state in grado di sostenere il peso del corpo. E se anche per
miracolo ce l'avesse fatta, si sarebbe comunque dovuto lasciar cadere
per almeno due metri, visto che la fune non era abbastanza lunga da
arrivare sino a terra.
- Ryu! - si prese un
coccolone Atsushi nel vederlo affacciato alla finestra, intento a
gettare un capo della corda, continuava ancora a chiamarlo con quel
diminutivo infantile per quanto sul momento non se ne accorse, troppo
impegnato a correre dal bimbo per evitare che cadesse di sotto.
- Un piano piuttosto
grezzo - commentò Dazai osservando gli inutili preparativi
del bambino, -... ma chi non ama i classici? - prese un'espressione
divertita avvicinandosi a sua volta. - Certo, più che una
corda io c'avrei fatto un cappio - aggiunse prendendo il capo che
Akutagawa aveva già legato al termosifone, strattonandolo
per saggiarne la resistenza. - Sì, potrebbe tranquillamente
reggere il peso di un uomo - fu estasiato dalla prospettiva di
progettare un bel suicidio.
- Non è
il momento, Dazai - prese un'espressione rassegnata Atsushi, trovandosi
ancora una volta a sorreggere quel corpo esile e pallido. Il piccolo
non si era ribellato quando il mutaforma l'aveva sollevato di peso e
allontanato dalla finestra, mettendo fine al suo tentativo di fuga. Il
suo sguardo nero pece pareva offuscato, come se non mettesse
perfettamente a fuoco e, dal modo in cui la sua testa pareva incapace
di rimanere dritta sul collo, ricadendogli in avanti sul petto, la
febbre doveva essergli salita. Un innaturale rossore gli accendeva le
guance mentre un leggero velo di sudore freddo gli copriva la fronte,
causandone i tremiti. Tra le proprie braccia Atsushi ne avvertiva gli
arti gelati e la fronte bollente, era la prima volta che l'altro si
aggrappava a lui a quel modo: le dita strette con forza alla camicia
mentre teneva la testa appoggiata contro la sua spalla. Doveva essere
esausto e pareva star parecchio male, si disse, ma ancora non cedeva.
Akutagawa rimaneva vigile, seppur sembrasse costargli un enorme sforzo,
eppure per quanto annebbiato, quello sguardo color inchiostro fissava
Dazai con un tale odio e disprezzo che Atsushi non dubitava che, se non
lo avesse trattenuto, gli si sarebbe scagliato contro afferrando un
qualunque oggetto contundente come arma per ucciderlo. Il piccolo non
avrebbe dovuto tenere alcun ricordo del suo sè adulto, o non
si sarebbe spiegato il comportamento che aveva tenuto sino a quel
punto, ma la presenza di Dazai sembrava comunque suscitare in lui
reazioni violente. Quasi lo scuotesse dall'interno.
- Un tocco e
sistemiamo la faccenda - cinguettò Dazai abbandonando per il
momento i suoi propositi suicidi e avvicinandosi ai due, ben avvertendo
l'istinto omicida che suscitava nel piccolo, e forse divertito da
questo. - Oh, non guardami come se ti avesse sterminato la famiglia -
si rivolse al bambino, incombendo su di lui come un'ombra maligna e
pericolosa.
Nonostante le
condizioni del suo detentore, Rashomon prese d'improvviso forma
all'interno dell'infermeria, più immenso di quanto non fosse
mai stato. Forse, sentendosi in pericolo il piccolo Akutagawa aveva
dato fondo alle sue ultime energie per evocarlo.
Le fauci d'ombra,
ben più larghe e minacciose di come lo erano solo il giorno
prima, si spalancarono in un sorriso inquetante rivolgendosi a Dazai,
pronte a divorarlo.
Atsushi ne osservava
incredulo l'apparizione, non riusciva a capacitarsi che ora Akutagawa
riuscisse a palesare un simile potere. Come poteva creare qualcosa di
tanto grande? Tardi comprese che, se il piccolo si era aggrappato a lui
in quel modo, non era per cercare una sorta di sostegno in un momento
di debolezza, si era afferrato ai suoi vestito così da
poterli usare a suo vantaggio. Abbracciato com'era ad Atsushi era quasi
come se Ryunosuke li indossasse a sua volta.
- Rimane sempre un
potere sfigato - sbuffò Dazai per nulla impressionato,
toccando lievemente il tessuto di Rashomon per farlo svanire nel nulla,
aveva un'aria annoiata ma subito questa fu sostituita da uno stupore
che gli allargò un poco lo sguardo. Non appena aveva
annullato una testa d'ombra ecco che un'altra si preparava ad
attaccarlo e non ebbe il tempo di farla scomparire che già
una terza spuntava a sostituirla, e così una quarta e un
quinta in rapida successione. Con l'inclassificato Dazai si
trovò ad annullare una serie di demoni d'ombra senza riuscir
a compiere un solo altro passo per avvicinarsi ulteriormente al suo
utilizzatore, il quale aveva tutta l'intenzione di tenerlo il
più lontano possibile da sè. Quella
capacità di rigenerare in apparenza all'infinito le teste di
Rashomon aveva dell'incredibile viste le condizioni in cui versava il
bimbo. Questo suscitò l'ilarità del suo
ex-mentore,
- Ti faccio
così paura, Akutagawa? - rise facendo svanire un'altra
ombra, cui fauci si erano spalancate per ruggirgli contro,
probabilmente con l'intento di intimorirlo, ma con scarsi risultati, a
malapena era riuscito a scompigliarli i capelli. - A quanto pare
interiormente sei sempre rimasto il piccolo coniglietto spaventato che
eri - constatò incrociandone per un momento lo sguardo scuro
prima che Rashomon tentasse di respingerlo per l'ennesima volta.
Cominciava ad essere seccante,
- Okay, mi sono
stancato - sbuffò voltando le spalle a Rashomon e ai due
ragazzi, ignorando l'ultimo attacco del piccolo,
- C-come? -
balbettò Atsushi, incapace di intervenire in qualche modo,
spiazzato dalla situazione e dall'improvviso cambio d'atteggiamento del
suo collega.
- L'hai visto, non
vuole che mi avvicini - alzò le spalle senza voltarsi,
fermandosi solo quando fu sulla porta, - E l'abilità
inclassificato può neutralizzare un solo potere per volta -
fece un gesto vago con la mano, -... quindi dovremmo sistemare la
questione in un altro momento - si voltò solo a quel punto,
rivolgendogli un ghigno mefistofelico. - Divertiti a fargli da baby
sitter ancora per un po' - lo salutò un'ultima volta con un
cenno.
- Ehh? - non fu in
grado di reagire Atsushi, trovandosi incapace di far
alcunché nel vedere il suo superiore scomparire oltre la
soglia, "se ne stava andando di nuovo?!".
Esausto Akutagawa si
abbandonò contro il mutaforma, le braccia che cadevano
lunghe distese, prive di forza, il respiro affaticato dallo sforzo. I
suoi occhi però ancora si ostinavano a rimanere aperti, a
fissare con estremo odio la porta dietro al quale Dazai era sparito,
sembrava si aspettasse che riapparisse da un momento all'altro.
- Ryu...-
sbuffò Atsushi con aria vagamente esasperata, - E' vero
quello che ha detto Dazai? Lui ti spaventa? E' per questo che prima hai
reagito così? - per quanto cercasse di tenere un tono
controllato e gentile nel parlare al piccolo, doveva sforzarsi
perché l'irritazione di cui era colmo non gli trasparisse
dal viso. Essendo però un sempliciotto non era molto abile a
nascondere le proprie reali emozioni, difatti ben leggibili dal sorriso
tirato e dalla piccola ruga formatasi tra le sopracciglia. Ruga del
tutto simile a quella che segnava, ormai quasi permanentemente, il viso di
Kunikida nel medesimo punto.
Atsushi si sentiva
allo stremo delle forze, per quanto inizialmente non l'avesse sentita,
aveva comunque passato un intera notte in bianco a badare ad Akutagawa,
e la stanchezza cominciava ad accumularsi. Gli pesava al punto sulla
schiena da farlo ripiegare su se stesso, ad ingobbirlo e a rendergli
gli arti pesanti. Gli veniva quasi da piangere al pensiero di dover
sistemare il caos che Rashomon aveva provocato. L'infermeria era
divenuta irriconoscibile dopo che il bambino si era scatenato per
scacciare Dazai. Una metà dei letti era stata divorata dalle
fauci del demone ombra, le lenzuola ridotte a brandelli e, molti degli
utensile e dei materiali presenti, erano finiti a terra a causa della
sua furia, riducendosi in pezzi.
Seppur
più di una volta avesse già avvertito su di
sè il potere di Rashomon, Atsushi faticava comunque a
credere che, un bambino all'apparenza tanto gracile, potesse causare
davvero uno sfacelo simile. In più non capiva
perché toccasse a lui solo ripulire. La mancanza di sonno
gli aveva fatto per momento dimenticare che il piccolo era stato
affidato a lui ed era quindi una sua responsabilità. Si
chiese se non sarebbe stato più equo far partecipare anche
Dazai, avendo lui provocato la furia di Akutagawa, a quella sessione di
pulizie. A rifletterci, conoscendo il tipo, non era però
tanto sicuro di voler il suo supporto, c'era il rischio che gli
causasse solo altri grattacapi.
Mentre Akutagawa si
ostinava nel rimanere chiuso nel proprio silenzio, Atsushi
cominciò con il rassettare il possibile, lasciandolo seduto
su uno sgabello che aveva recuperato. Avrebbe voluto farlo stendere
poiché, in minima parte, gli era rimasta un poco di
compassione per lui, vedendolo con il viso ancora arrossato dalla
febbre e gli occhi lucidi, ma non poteva rischiare di perderlo di vista
un'altra volta. Aveva compreso che il piccolo non aveva rinunciato
all'idea di scappare e, anzi, stava solo aspettando il momento giusto
per tentare un altro piano di fuga. Per qualche motivo Atsushi si era
sentito in parte ferito nello scoprirlo, non credeva di stargli tanto
in odio da provocargli una simile reazione. Cosa aveva sbagliato? E
perché gli importava tanto? Alla fine, quella situazione
esaurendo. Le aveva provate tutte nel tentativo di far parlare
Akutagawa, ma nulla era servito. Eppure era certo che, se solo il bimbo
avesse deciso di rivolgergli la parola, avrebbero potuto capirsi e
Atsushi sarebbe stato in grado di spiegargli per bene cosa era accaduto
e perché. Così almeno avrebbe potuto evitarsi
altri incidenti come quello appena accaduto con Dazai.
"Ma
perché ho deciso di portarmelo dietro?" cominciò
a chiedersi con un altro sbuffo, ben consapevole di essere fin troppo
in ritardo per dei ripensamenti, aveva deciso arbitrariamente di
portarlo all'agenzia, e ora se ne doveva per forza occupare. Non poteva
però far a meno di domandarsi perché non se ne
fosse solo lavato le mani. Non avrebbe dovuto essere un problema suo
infondo, no? Per una volta avrebbe anche potuto lasciare che fosse la
PortMafia ad occuparsi dei propria sottoposti. Nessuno gli aveva dato
l'incarico di far da centro d'accoglienza per piccoli mafiosi perduti,
non ancora almeno. Allora perché si era dovuto intromettere?
Tardi Atsushi si
accorse del vortice oscuro provocato da quei pensieri che, misto alla
stanchezza, lo trascinava sempre più giù il suo
umore, aumentandone l'irritazione e il nervosismo. Il peggio era che
non poteva neppure prendersela con Akutagawa, e non solo
perché non era giusto prendersela con lui perché
in quel momento era solo un bambino, ma perché ancora
cercava di scappare. Lasciarlo andare sarebbe stata l'occasione
perfetta per Atsushi per liberarsene, eppure non gli riusciva, il suo
buon cuore gli impediva di fregarsene e non riusciva a fingere di non
vedere. Quindi non poteva far altro che sopportare, ricacciare indietro
il proprio malumore e aspettare che Dazai si decidesse di usare la sua
capacità sul bambino, così che tornasse adulto e
lui non se ne dovesse più preoccupare.
- Ha lo sguardo
morto...- furono le prima parole che Atsushi sentì
pronunciare al piccolo Akutagawa e, se avesse avuto l'occasione di
sentire almeno una volta la voce di Gin, avrebbe trovato subito una
somiglianza tra la sua e quella infantile del fratello. Purtroppo gli
mancava una simile conoscenza, e poté solo pensare: "Che
voce adorabile!".
Era sera inoltrata
quando finalmente Atsushi cadde addormentato, esausto dopo una giornata
all'apparenza infinita. Aveva mangiato fino a scoppiare e, una volta a
pancia piena, era come se fosse svenuto. Non aveva neppure fatto in
tempo a sparecchiare il piccolo tavolino dove consumava i propri pasti.
Si era disteso sulla schiena e, con ancora un chicco di riso
appiccicato alla guancia, aveva cominciato a russare, un'espressione
beata sul volto.
Carponi al suo fianco, Akutagawa l'osservava incredulo, sporgendosi un poco sopra di lui
per assicurarsi stesse davvero dormendo. Faticava a credere fosse stato
tanto facile, era bastato cedere un poco e scambiare qualche parola per guadagnarsene la fiducia. Abbastanza perché
si dimenticasse dei suoi vari tentativi di fuga e abbassasse la guardia
in quel modo.
Sempre incerto, il
piccolo Ryunosuke gli sventolò un paio di volte la mano
davanti al viso, chiedendosi se non lo stesse solo prendendo in giro.
Poteva davvero
esistere qualcuno di così sempliciotto?
Il bimbo provava
quasi un poco di vergogna per averci messo tutto quel tempo ad
inquadrarlo, avendone viste le capacità da mutaforma non
aveva potuto credere che Atsushi potesse essere semplice come appariva:
un idiota ingenuo.
Per tutto il tempo
Akutagawa era stato messo in allerta da ogni sua parola cortese o gesto
gentile, convinto che lo stesse trattando con tante premure solo con
l'intento di ingannarlo o, peggio, essendo in realtà una
tigre mangia-uomini, con l'obbiettivo di divorarlo appena gli fosse
venuto un po' d'appetito.
Nessuno poteva
vivere con un mostro del genere sotto pelle e non costruirsi una
maschera per nasconderne le fauci, era stata la convinzione con cui
l'aveva studiato sino a quel mattino. Prima di trovarsi di fronte a
qualcosa di ben più mostruoso di Atsushi. Se poi si era
aperto con lui (aveva finto di farlo), era stato solo per poter carpire
qualche informazione su quel individuo spaventoso.
"Com'è
che lo aveva chiamato?.. Dazai?" gli bastò ricordarne il
nome perché una serie di brividi di paura gli percorresse la
colonna vertebrale e per poco a causa di questo non perse l'equilibrio
mentre, in punta di piedi varcava l'uscio dell'appartamento di Atsushi.
Lentamente si chiuse la porta alle spalle, i nervi a fior di pelle nel
tentativo di far il meno rumore possibile, arrivando a trattenere il
respiro nel timore di essere avvertito da qualcuno dei vicini. Per poco
non finì per squittire di sorpresa quando udì lo
scatto della serratura, il quale gli parve un suono assordante, simile
ad uno sparo.
Doveva trovare un
modo per calmarsi o avrebbe finito con il farsi scoprire.
Tentò di rincuorarsi ripetendosi che ormai era fuori, e di
essersi lasciato dietro la parte più difficile; il cuore
però continuava a palpitargli nel petto a ritmo incalzante.
Era terrorizzato e, nervoso, cercò di riprendere il
controllo di sè, passandosi con movimenti nervosi entrambe
le mani sulle braccia scoperte, avvertendo la pelle d'oca ricoprirle.
Non poteva rimanere
lì fermo sulla soglia, cominciò ad incitarsi per
procedere, per andare oltre. Doveva approfittarne in quel momento che
dormiva, un'occasione tanto ghiotta non gli si sarebbe ripresentato
davanti tanto presto. L'unica cosa di cui poteva essere certo era che,
visto come Atsushi aveva passato gli ultimi due giorni, non si sarebbe
svegliato tanto presto.
L'aria frizzante
della sera inoltrata gli punse il viso nell'allontanarsi dalla serie di
appartamenti riservata ai membri dell'agenzia e una tetra falce di luna
pendeva dal cielo nero, privo di stelle, proprio sopra di lui.
Akutagawa immaginava che quel piccolo squarcio potesse precipitare da
un momento all'altro, staccandosi da quel telo d'oscurità su
cui l'avevano cucito, per venir a reclamare la sua testa come propria.
Bastarono
però le luci elettriche della città, i fari delle
auto che passavano sulla strada accanto, i lampioni ad ogni angolo, a
scacciare quelle macabre fantasie dalla sua mente infantile, donandogli
un poco di tepore. Una sensazione che purtroppo per lui durò
poco, sferzata via da un sottile vento gelido per il quale
l'inquinamento notturno non poteva far nulla per difenderlo.
Akutagawa
rabbrividì stringendosi nelle spalle magre, i vestiti di cui
si copriva erano di gran lunga migliori degli stracci che aveva
indossato sino al giorno prima, però non lo riscaldavano
abbastanza. La febbre, per quanto fosse scesa, ancora gli invadeva il
corpo, causandogli altri tremiti e facendogli avvertire più
freddo di quanto non fosse.
"Devo trovare un
modo per tornare da Gin e... " pensava iniziando a percorrere a piccoli
passi un viale scuro, senza anima viva a riempirlo in quell'ora tarda.
C'erano solo lui e due serie di edifici silenziosi e scuri, cui
finestre sbarrate nascondevano qualunque traccia di vita vi fosse
all'interno.
Eppure, per quanto
fosse stato attento e si fosse assicurato di non essere stato seguito,
Akutagawa non poteva far a meno di sentirsi osservato. Avvertiva come
qualcosa di pungente pizzicargli il retro del collo, quasi qualcuno si
divertisse ad appoggiargli contro la punta di un coltello. Era certo vi
fosse qualcuno dietro di lui e, man mano che avanzava, quella
sensazione si faceva sempre più insistente, pressante. Gli
colmava il petto quasi a soffocarlo, torturandolo rendendogli le mani
gelide e i piedi pesante. Controllò più e
più volte la strada vuota dietro di sè, ma non fu
in grado di vedere nulla. Si era forse sbagliato?
E se Atsushi avesse
solo finto di dormire? Poteva averlo fatto per spingerlo a scappare,
magari ora lo stava così che Akutagawa lo portasse da Gin e
gli altri bambini. Infondo, quanti del suo gruppo non erano
già scomparsi perché, per quanto feccia di
strada, gli organi dei bambini rimanevano comunque un bene pregiato?
Poteva Atsushi escogitare una trovata simile dopo che, nonostante
avesse cominciato a parlare con lui, Akutagawa non si era dimostrato
abbastanza disponibile a rivelargli di sè?
Nonostante la febbre
lo rendesse poco lucido, al piccolo Ryunosuke ci volle poco per capire
di star esagerando con i voli di fantasia. "Quello è un
idiota" gli bastava ricordare, avvolte gli pareva persino
più ingenuo di lui che era pur sempre un bambino. Non era
possibile che qualcuno della pasta di Atsushi riuscisse a progettare un
piano tanto articolato, in più aveva visibilmente abbassato
la guardia da quando Akutagawa si era deciso a parlare. In quel momento
si era esaltato come un bimbo e, nei suoi occhi increduli dal colore
imprecisato, Ryunosuke aveva potuto intravvederne i pensieri "che voce
adorabile";
"Che ingenuo" aveva
invece pensato lui, avvertendo l'istinto di prenderlo a calci per un
simile commento, capace di irritarlo per quanto l'altro si fosse
limitato a pensarlo. Aveva però dovuto soffocare i suoi
intenti violenti, avendo potuto vedere quanto in realtà
Atsushi fosse forte e consapevole che, a confronto, lui non era nulla.
"Perché devo avere una capacità così
sfigata?" aveva sentito bruciare un'altra volta la rabbia nel petto
mentre l'odio gli adombrava lo sguardo. Lo detestava. Detestava la
gentilezza e le premure che quel ragazzo gli mostrava, non gli serviva
la sua pietà. Odiava la forza di cui era pervaso, lo faceva
sentire un debole e, per quanto ne fosse conscio, era comunque doloroso
vederselo spiattellare in faccia in modo tanto palese.
Doveva
però ringraziare che Atsushi fosse sempliciotto, gli era
stato fin troppo facile raggirarlo. Gli era bastato pronunciare qualche
parola perché abbassasse la guardia, quasi fosse convinto
che bastasse parlare perché tra loro si creasse un qualche
legame di fiducia, o qualcosa di simile.
No, se c'era
qualcuno a seguirlo non era di certo Atsushi, addormentato come un
ghiro con la pancia piena sul pavimento del proprio appartamento.
E di nuovo al
piccolo Akutagawa tornarono alla mente gli occhi del individuo
incontrato quella mattina. Gli erano parsi vuoti, assenti, ma in
realtà sapeva che erano colmi di una disperazione tanto
densa da non riuscire più rispecchiare nulla, neppure la
luce. Erano intrisi di una vacuità tale da segnarne in
maniera indelebile persino l'animo. Per Ryunosuke era stato facile
leggere in quello sguardo, lo aveva riconosciuto subito
perché era identico al suo.
Quelli erano gli
occhi di chi aveva conosciuto la morte, di chi l'aveva vista e portata,
nel caso di quel individuo probabilmente anche amata.
Quel Dazai lo
spaventava, per quanto avvertisse con lui una certa
affinità, e forse era quella sorte di legame o somiglianza a
spaventarlo ancora di più.
Intuiva che fosse
forte, per quanto non gli avesse visto usare a pieno la propria
abilità. Ciò che era accaduto quel mattino in
infermeria era una semplice scaramuccia e di certo, essendo il suo
avversario un bambino, non lo aveva preso sul serio.
In qualche modo ad
Akutagawa Dazai ricordava un subdolo serpente protagonista di un
racconto di cui qualcuno, non ricordava chi, gli aveva raccontato una
volta. Non aveva memoria della storia in se, solo il ruolo del rettile
gli era rimasto ben chiaro alla mente. Alla fine si scopriva che il
serpente, a cui tutti avevano prestato ascolto, era in
realtà un essere diabolico che, per quanto si riempisse la
bocca di frasi superficiali e ammalianti, non pronunciava mai una sola
parola sincera. Incapace di dire la verità esisteva
unicamente ingannare e soggiogare gli altri.
Davvero qualcuno
così poteva far parte di quell'agenzia che, anche se solo
per poche ore, Ryunosuke aveva conosciuto? Per quanto fosse zeppa di
individui particolari: dal loro capo che aveva subito capito il suo
bisogno urgente di andare in bagno, al tipo sempre isterico con gli
occhiali; quel Dazai era una nota stonata. Non sembrava c'entrarci
nulla, quasi fosse piombato lì per caso, sospinto dagli
eventi. Eppure non pareva proprio il tipo di persona capace di seguire
passivamente la corrente del destino. Anzi, dava più
l'impressione di essere qualcuno in grado di modificare, piegare il
fato a proprio piacimento.
"Che li stia
ingannando?" un gelido dubbio si instaurò nella mente
infantile di Akutagawa, talmente distratto dai propri pensieri da quasi
non accorgersi di star passando affianco ad un lampione.
Girò
appena lo sguardo seguendone la luce, sorpreso da venirne illuminato e
la sua piccola ombra si stagliò, ben definita, sull'asfalto.
Akutagawa non ebbe però il tempo di rimirarla che questa
d'improvviso scomparve, inglobata da una silhouette più
grande che, sovrapponendosi alla sua, parve cancellarla come se non ci
fosse mai stata.
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