FIGLIO
DELL’INVERNO
Prologo
Nel silenzio della notte si udiva
un sussurro: “Santa Maria Vergine, Sant’Anna e Santa Elisabetta,
accogliete la mia unica preghiera...”
Al chiarore dorato di una
candela, una donna pregava inginocchiata dinnanzi a un altare. Aveva
i capelli biondi raccolti in una semplice treccia e i piedi scalzi, e
indossava una pesante veste da camera scura.
“Santa Maria Vergine,”
ripeté. Si guardò intorno per accertarsi di essere sola, poi prese
un involto di stoffa dal quale trasse un uovo, un mazzetto di erbe e
un po’ di terra, allineò tutte quelle cose sull’altare, poi
accese una seconda candela e pose anch’essa sulla superficie di
pietra.
Fatto questo, intrecciò le dita
così strettamente da far sbiancare le nocche. “Santa Maria,”
invocò per la terza volta, “Maria, madre di Dio, ascolta la mia
preghiera: fa che anch’io diventi madre.”
Chinò la testa fino a toccare
con la fronte le dita intrecciate.
In quel momento echeggiò una
voce maschile: “Hildegard? Sei tu?”
La donna scattò in piedi e si
affrettò a raccogliere tutto ciò che aveva disposto sull’altare.
Nascose l’involto nelle pieghe della veste giusto un attimo prima
che un uomo biondo e imponente entrasse nella piccola cappella. “Che
fai, Hildegard?” chiese il nuovo arrivato.
“Stavo pregando la Vergine,”
rispose la donna.
“E non puoi farlo di giorno?”
Si avvicinò, le circondò le spalle con un braccio.
Ella si limitò a scuotere la
testa.
“Fa freddo qui,” insisté
l’uomo sospingendola dolcemente verso la porta, “torna a letto.”
“Vorrei pregare ancora,
marito.”
“Per cosa preghi?”
La donna chinò la testa. “Lo
sai. Per la grazia di un figlio.”
“Arriverà.”
“Sono tre anni che siamo
sposati, e ancora non arriva.”
L’uomo la strinse a sé e nel
movimento si accorse dell’involto di stoffa. “Cos’è?”
chiese.
“Niente.”
“Fammi vedere,” disse lui
allungando la mano.
La donna cercò di sottrarsi, ma
nel movimento l’uovo cadde a terra. Al rumore del guscio che andava
in frantumi, i due si immobilizzarono per un istante, poi l’uomo
emise un sospiro e disse: “Quante volte ti avrò ripetuto che
queste stupidaggini da vecchie comari non servono a niente?”
Hildegard si limitò a chinare la
testa.
“Torniamo a letto, su,” la
esortò il marito, sospingendola verso la porta.
La donna non oppose resistenza.
“Domenica, dopo la messa,
chiederemo a padre Aloisius di pregare per noi.”
§
“Ite, missa est,”
proclamò padre Aloisius rivolto ai fedeli.
Tra i banchi della chiesa passò
un mormorio, poi la gente cominciò a muoversi per uscire. Il conte
Kuno von Hohenberg e sua moglie Hildegard si alzarono dai loro
scanni, ma invece di percorrere la navata per dirigersi alla porta,
si avvicinarono al prete.
Mentre la gente del paese
sciamava lentamente verso l’uscita, il conte esordì: “Padre,
dobbiamo parlarvi.”
Il religioso si voltò verso di
lui, ma prima che potesse aprire bocca si udì il cigolio dei
battenti che venivano spalancati. Subito dopo ci fu un attimo di
trasecolato silenzio, poi una voce di donna esclamò: “Santa madre
di Dio!”
Il tono era a metà fra la
meraviglia e lo spavento.
“Un bambino!” gridò qualcun
altro, questa volta un uomo. “Un bambino in fasce!”
A quelle parole la contessa, che
mesta accanto al marito sembrava indifferente a qualsiasi cosa,
rialzò la testa con un movimento repentino e prese a scrutare
intensamente il capannello che nel frattempo si andava formando.
Si udì un vagito.
“Così lo fate piangere!”
protestò una donna.
Hildegard svincolò il braccio da
quello del marito e percorse rapida la navata. “Fate largo, fate
passare!” diceva agitata a chiunque non fosse rapido a cederle il
passo.
Il bambino cominciò a piangere
forte.
“Fate passare!” ripeté la
contessa.
Il capannello si aprì al suo
arrivo, ed ella si trovò di fronte una donna che teneva fra le
braccia un fagotto di pellicce da cui proveniva un pianto disperato.
“Che succede?” chiese
agitata.
La donna si inchinò goffamente.
“Un bambino, mia signora.”
“Un bambino? Di chi?”
“Non lo so, mia signora. Era
sui gradini, quasi quasi Britta lo pestava quando è uscita.”
“Da dove viene?”
La donna fece un altro inchino.
“Iddio lo sa, mia signora. Qualcuno lo ha abbandonato.”
Hildegard aggrottò le
sopracciglia senza preoccuparsi di nascondere lo sdegno. Tese le
braccia. “Dammelo!” ordinò brusca. “Dammi subito quella povera
creatura!”
Afferrò il viluppo di pellicce e
se lo strinse al petto, poi cominciò a cullarlo dolcemente. Si sentì
invadere da una sensazione di calore che quasi le fece dimenticare il
gelo della neve appena caduta. “No, no… piccolino...” prese a
mormorare.
Pochi attimi dopo, il conte la
raggiunse, e anche lui chiese: “Di chi è quel bambino?”
La moglie sollevò lo sguardo e
lo fissò nel suo. “È mio,” rispose tranquilla, “è un dono di
Dio in risposta alle mie preghiere.” Sollevò un lembo della
pelliccia per osservarlo meglio.
Quando il visetto del neonato fu
messo a nudo, tutti, compreso il conte, si fecero indietro con un
moto di orrore: per quanto apparisse vivace e robusto, il bambino era
di un pallore cadaverico e aveva le ciglia, le sopracciglia e i
capelli completamente bianchi. Gli occhi, di una strana fissità
indagatrice, erano di un grigio bluastro che ricordava il metallo.
“È il figlio di Satana!”
esclamò qualcuno, segnandosi rapido. “O è frutto di stregoneria.
Ecco perché lo hanno abbandonato qui.”
La folla fu attraversata da un
mormorio spaventato, altri si fecero il segno della croce.
La contessa fece girare
tutt’intorno uno sguardo di fuoco. “È figlio mio,” ripeté
dura. “È il figlio che Dio ha voluto donarmi, e farò frustare
chiunque oserà affermare il contrario.” Si voltò verso il marito.
Questi le restituì lo sguardo,
quindi abbassò gli occhi sul misterioso bambino, che nel frattempo
aveva smesso di piangere e stava fissando Hildegarde con l'intensità
piena di meraviglia dei neonati.
Si limitò ad annuire. Stava per
dire qualcosa, quando sopraggiunse padre Aloisius con fare
sospettoso, la croce stretta in pugno come un’arma. Occhieggiò
l’involto tra le braccia della contessa.
“È tutto a posto, padre,” lo
prevenne il conte. “Desidero crescere questo bambino come mio
figlio.”
“State attento a chi vi
prendete in casa, mio signore,” lo ammonì il prete, “Il Maligno
si annida nei luoghi più impensabili.”
“È solo un povero innocente.”
Sotto lo sguardo dei conti von
Hohenberg, padre Aloisius non ebbe il coraggio di replicare. Si
limitò a inchinarsi farfugliando qualcosa in latino.
“Battezzatelo, padre,” ordinò
allora il conte, “così vedremo subito se è una creatura del
demonio o se è un normale bambino.”
“Ma...”
“Se è figlio di Satana, non
sopporterà i Sacramenti. In caso contrario, desidero che gli venga
messo lo stesso nome di mio padre, ovvero Adalrich.”
§
Kuno von Hohenberg stava
camminando lungo i bastioni. Al suo fianco si trovava Martin, il più
vecchio e autorevole dei suoi sergenti, che in virtù della sua
esperienza e del suo valore in battaglia, era spesso l'unico con cui
il conte si confidasse su certi argomenti.
L'aria era gelida, e il respiro
dei due uomini si condensava in nuvole bianche. Il cielo grigio
prometteva altra neve.
“E così ora avete un figlio,
mio signore,” buttò lì il sergente quasi con noncuranza.
Il conte si aggiustò il mantello
di pelliccia intorno al collo. Fece qualche altro passo, poi
semplicemente rispose: “Così pare.”
“Perché quel tono, mio
signore? Il bambino è forse malato?”
L'altro crollò il capo. “È il
bambino più sano che abbia mai visto: forte e vigoroso come un
piccolo cinghiale. Certo che...” si interruppe pensoso e volse lo
sguardo verso le campagne innevate.
Il sergente lo fissò stringendo
appena gli occhi nella luce forte. “Che cosa, mio signore?”
“È strano,” si decise a dire
il conte dopo una lunga pausa.
L'altro assentì. “È vero
quello che dicono, mio signore? Che è bianco come un morto e ha i
capelli di un vecchio?” Poi, forse temendo di aver esagerato,
soggiunse: “Scusate, mio signore.”
“Non scusarti, Martin, è la
verità.” Fece un gesto verso i campi innevati e disse: “Se lo
buttassi là in mezzo, non si vedrebbe nemmeno.”
Martin non rispose, i due
continuarono a camminare in silenzio per un po'. Da lontano, nitidi
nell'aria tersa, giungevano i richiami di un istruttore che stava
addestrando le nuove reclute. Dalle case del borgo si levavano esili
fili di fumo.
Come parlando a se stesso, il
conte proseguì: “Era avvolto in una pelliccia pregiata, ma non
aveva alcun segno di riconoscimento, né stoffe, né ricami, né
altro. Sa Dio chi può averlo abbandonato sui gradini della chiesa.”
“La signora contessa è felice,
mio signore?” chiese il sergente.
Kuno von Hohenberg sorrise. “Se
è felice? È al settimo cielo. Non lo lascia un attimo. Non sembra
nemmeno più la stessa donna.”
“Prima era sempre triste, in
effetti,” considerò Martin.
“E adesso invece non fa altro
che ridere. Forse quel bambino è davvero un dono di Dio.”
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