All’interno
del portafoglio dell’agente Geoffrey Van Marten c’era una
fotografia, scattata molti anni prima, che ogni tanto, quando
l’agente era preso da una forte nostalgia del passato, tirava
fuori e guardava in ogni minimo dettaglio con un sorriso affranto. A
giudicare da quanto era sgualcita, si poteva dedurre che questi
attacchi di nostalgia si verificavano spesso.
La fotografia lo ritraeva molto più giovane, in compagnia di un
istrice alto, dall’aria severa e con un sorriso abbozzato, e di
una lince femmina, dai lineamenti aggraziati e perfetti, con un paio di
magnetici occhi color smeraldo. Erano tutti e tre in divisa militare.
Sullo sfondo si poteva scorgere la vegetazione tipica della giungla
tropicale.
Geoffrey, quel giorno, aveva nuovamente tirato fuori quella vecchia
foto, ma questa volta non perché preda di una voglia di
rivangare ricordi perduti. Era più un modo per darsi coraggio,
per trovare la convinzione di fare ciò che stava per fare. Si
trovava di fronte alla porta d’ingresso di casa Prower e per lui,
in quel momento, era un po’ come andare al patibolo.
Non che non se lo fosse meritato, sia chiaro. Aveva volutamente
nascosto a Sonic e agli altri suoi compagni dei particolari su Morrison
che, se rivelati per tempo, avrebbero potuto risparmiare a tutti loro
molti affanni e momenti drammatici. Su di lui non c’erano stati
dubbi fin dall’inizio. Lo aveva riconosciuto sin dal momento in
cui l’aveva visto in faccia. Ma su di lei… come avrebbe
mai potuto capirlo? E ancora adesso, anche se gli indizi portavano
tutti in quella direzione, stentava a crederci. Eppure doveva
necessariamente essere così.
Si rammaricava che si fosse arrivati ad un punto così critico
perché si decidesse a vuotare il sacco. Molte vite erano state
messe a repentaglio dal virus di Necronomica e non poteva permettere
che accadesse nuovamente qualcosa del genere. Sapeva che, in fondo, era
anche colpa sua per non aver esternato i suoi sospetti fin
dall’inizio ed era pronto a pagarne le conseguenze.
Di lì a poco sarebbe entrato a parlare con Sonic e gli altri,
avrebbe affrontato i loro sguardi indagatori e i loro giudizi,
accusatori o meno che fossero. Guardò ancora una volta quella
fotografia, in un ultimo vano tentativo di aggrapparsi ad un ricordo
che non esisteva più da tempo. Dopodiché, bussò e
si preparò finalmente ad affrontare il passato.
La porta mi si
aprì di fronte e fui introdotto nel centro di reclutamento da un
responsabile immusonito dai modi bruschi. Immagino che,
all’epoca, non ci fosse molto tempo per la gentilezza e le
formalità, considerando la fase di assestamento che tutto il
pianeta stava ancora affrontando.
Nell’ampissimo spazio squadrato del centro c’erano dozzine
e dozzine di mobiani, forse più di quanti ne avessi mai visti in
un solo posto. Mi chiedevo se anche tutti loro, come me, si fossero
candidati perché convinti di poter fare la differenza, di dare
un serio contributo alla preservazione dell’ordine e della pace
in quel caotico mondo in cui eravamo capitati.
Quello che era stato battezzato Evento X aveva scosso profondamente
tutti gli abitanti di entrambi i pianeti che si erano ritrovati in
rotta di collisione l’uno con l’altro. I primi burrascosi
inizi erano ormai un ricordo lontano anni, anche se non
sufficientemente lontano da essere totalmente dimenticato. Quello che
si stava cercando di fare in quel centro era una diretta conseguenza
del periodo di tensioni e di persecuzioni che noi mobiani avevamo
subito ad opera dei terrestri quando ancora eravamo considerati una
minaccia, in quanto esseri sconosciuti.
Quando avevo sentito che si stava creando una task force di soli
mobiani per contribuire a preservare l’ordine tra mobiani e
umani, decisi quasi subito di provare a farne parte. Su Mobius ero un
agente di polizia, sebbene la relativa pace e serenità del
nostro mondo lo rendesse un lavoro tranquillo quasi quanto quello di un
fornaio, ma sulla Terra di sicuro la musica sarebbe stata diversa.
Stavamo ancora lottando per coesistere e adattarci ad un ambiente tutto
nuovo e, in più, la minaccia del dottor Robotnik, era diventata
un pesantissimo fardello che ci eravamo trascinati con noi da Mobius.
Ero ansioso di mettermi alla prova, di dare il mio contributo al meglio
che potevo. Non avevo idea di quali qualifiche servissero o di quale
ruolo ci fosse bisogno di ricoprire, ma ero pronto a fare la mia parte,
che fosse quella di agente segreto o di ausiliare del traffico.
Fu lì che conobbi lei. Quando mi fecero accomodare nella sezione
del centro che fungeva da sala d’attesa, dapprima non la notai,
preso com’ero dall’ammirare la grandissima quantità
di reclute e di volontari che avevo attorno. Eppure era proprio accanto
a me.
Era la lince più splendida che avessi mai visto in vita mia. Era
perfettamente proporzionata nelle sue forme e il suo pelo aveva una
sfumatura scarlatta più forte rispetto a quella delle altre
femmine della nostra specie. Aveva un paio di occhi color smeraldo in
cui non sarebbe stato difficile perdercisi per quanto erano intensi e
profondi. Era piena estate, per cui era comprensibilmente vestita
leggera, con una t-shirt bianca e pantaloncini jeans che le arrivavano
poco sopra le ginocchia.
Neanche mi rendevo conto di starla a fissare con la bocca spalancata
come un perfetto idiota. Quando se ne accorse e puntò gli occhi
su di me, mi affrettai a distogliere lo sguardo e mi misi a guardare un
punto morto del soffitto, tormentandomi con le dita le pieghe dei
pantaloni in preda all’imbarazzo.
Contrariamente a quanto mi sarei aspettato, non decise di ignorarmi.
Tutt’altro. Mi diede una forte pacca sulla spalla, come si
farebbe con un vecchio amico, e quando mi girai a guardarla stava
fissando anche lei il soffitto, con un sorrisetto strano in viso.
- Come ti chiami? - mi domandò.
Aveva una voce dal timbro mascolino, nonostante i suoi lineamenti
femminili ed aggraziati potessero far pensare il contrario.
- Ehm… stai dicendo a me? - le risposi, con una punta di timidezza.
- No, sto parlando con il gorilla che ti sta accanto! -
Nonostante sapessi che non c’era nessuno accanto a me, preso
dall’imbarazzo, mi voltai per una frazione di secondo. Lei si
mise a ridere. Ma non era una risata di scherno. Era allegra ed
amichevole.
- Sono Geoffrey… Van Marten - dissi, evitando di guardarla negli occhi.
- Van Marten? Non sembra uno di quei cognomi posticci che ci hanno assegnato dopo l’Evento X -
- No, infatti. Era il mio cognome anche su Mobius -
- Ah, la tua famiglia se la passava bene, vero? Solo i ricconi
sentivano l’esigenza di distinguersi dagli altri in questo modo -
Non sapevo se sentirmi offeso o meno.
- Veramente è una specie di tradizione. La mia famiglia si chiama così da generazioni -
- Generazioni di ricconi, dunque - ribatté lei, con un lieve ghigno.
Non aggiunsi altro. Quella conversazione mi metteva abbastanza a disagio.
- A me, che sono una poveraccia, hanno assegnato un qualche cosa che
inizia per ‘F’, ma continuo a dimenticarmelo. Preferisco di
gran lunga che mi si chiami solo Sheila -
- Bè, lieto di fare la tua conoscenza… “solo
Sheila” - la rimbeccai, adeguandomi quasi senza volerlo al suo
tono canzonatorio.
- Ah-ah, spiritosissimo - mi rispose lei durante un’energia stretta di mano.
Avere diverse paia d’occhi puntati addosso, la
maggior parte dei quali intrisi di sguardi accusatori, non è
un’esperienza piacevole per nessuno, ma Geoffrey era più
che disposto ad affrontare la cosa. L’addestramento militare
aveva contribuito notevolmente a forgiare il suo carattere, già
di per sé abbastanza indomito, ma in quella particolare
occasione sapeva di essersi meritato qualunque occhiata giudicatrice,
qualunque sguardo di stupore che gli veniva rivolto.
Amy e Tails erano proprio di fronte a lui, seduti sul divano, con in
viso un’espressione incredula e, specialmente nel caso della
riccia rosa, di fiducia infranta. Sonic era loro accanto, con un gomito
sullo schienale, e un’aria seria come di rado gli si sarebbe
potuto vedere addosso. Silver, Blaze e Mighty erano un po’
più in disparte, palesemente incerti su come doversi sentire.
Non conoscevano abbastanza Geoffrey per poter produrre un giudizio
istintivo, ma erano perfettamente in grado di comprendere il peso delle
rivelazioni che avevano ascoltato.
Geoffrey non aveva avuto alcuna esitazione. Esattamente come aveva
anticipato a casa di Amy, aveva qualcosa di molto importante da dire e,
senza inutili preamboli, l’aveva detta. Non doveva fare altro che
attendere ogni eventuale reazione o richiesta di spiegazioni. E anche
se di spiegazioni non ne avessero volute, avrebbe accettato qualunque
conseguenza a testa alta.
Il primo a prendere la parola fu Tails. Era visibilmente scosso, ma
probabilmente parte della responsabilità era dei recenti eventi
in cui era rimasto coinvolto per colpa del virus.
- Quando dici che conosci Morrison e Necronomica, intendi dire
che… che li hai riconosciuti oppure che… -
- No, intendo dire che conoscevo la loro identità già da
prima dell’epidemia - rispose la lince, pacatamente - O almeno
quella di Morrison. Per Necronomica ci sono arrivato per deduzione, ma
sono abbastanza sicuro di non sbagliarmi -
- E stavi aspettando che fossimo tutti morti prima di dircelo? - sbottò Sonic.
- Sonic! - lo richiamò Amy, con tono di rimprovero.
- No, niente “Sonic”! - fu la secca risposta, che colse
tutti di sorpresa - Stavolta no. Il tempo dei giochi è finito -
La maggior parte dei presenti in quella stanza non aveva mai visto
Sonic così serio e diretto e probabilmente fu per quello che per
qualche istante regnò un gelido silenzio. Solo Blaze
trovò il coraggio di intervenire, nella maniera più
diplomatica possibile. Geoffrey, nel frattempo, aveva accolto la
reazione di Sonic con granitica impassibilità.
- Forse c’è una spiegazione a tutto questo - disse la
gatta, ragionevolmente - Se diamo a Geoffrey la possibilità
di… -
- Per colpa di Necronomica ho quasi rischiato di perdervi tutti. E
neanche il resto della città se la passava tanto bene. E adesso
ci viene detto che forse avremmo potuto evitare tutto quanto. Come
dovrei reagire? -
- E’ strano, perché non sei mai stato tipo da rimuginare sul passato, vero? - intervenne Mighty.
Sonic fu punto sul vivo. Effettivamente, non era da lui sbottare in
quel modo e questo sottolineava quanto il peso di tanti pericoli
incombenti stesse intaccando il suo spirito più di quanto lui
stesso riuscisse a comprendere.
- Immagino che un po’ di cose stiano cominciando a cambiare -
ammise riluttantemente Sonic, con lo sguardo basso.
- Non c’è da biasimare Sonic per la sua reazione - disse
Geoffrey, senza neanche una nota di timore nella voce - Ha
perfettamente ragione e non ci sono scuse che tengano da parte mia. Ma
se sono qui adesso è per rimediare ai miei errori e per cercare
di salvare il salvabile, prima che sia troppo tardi -
- Allora cosa ci puoi dire che possa aiutare? - incalzò Silver.
- Non ho idea di come siano diventati quello che sono, ma posso dirvi
chi erano - spiegò Geoffrey - Morrison era il mio sergente
istruttore durante i primi tempi dell’Evento X, mentre
Necronomica, quasi sicuramente, è la mia…
cioè… il suo vero nome è Sheila Foster. Vi
racconterò tutto quello che so su di loro -
Anche
se i segreti che nasconde Necronomica stanno per essere svelati, non
vuol dire che lei e Morrison rimarranno con le mani in mano. Anzi,
questa potrebbe essere l'occasione giusta per un ultimo, disperato,
contrattacco.
Legacy of Argus: Il volto di Necronomica (Seconda parte)
Data di pubblicazione: 15 Ottobre 2017