Sono i piccoli gesti
C’erano molte cose che Orlando amava di Sophie.
Anzi, si poteva dire che le amasse tutte.
Amava la mania di Sophie di girare per casa con addosso una lunga gonna
bianca in stile gitano, i piedi nudi, una catenina sottile e
tintinnante alla caviglia e le unghie immancabilmente tinte di rosso.
Amava il modo in cui si sedeva e si alzava; amava la curva leggiadra
formata dall’accavallarsi delle sue gambe; amava il modo in cui
girava le pagine di un libro.
Orlando amava il modo in cui Sophie si perdeva ad osservare la pioggia:
durante un’acquazzone, invece di chiudere le finestre, le
spalancava e si sedeva sul davanzale portando le gambe al petto. Stava
lì, lo sguardo rivolto verso il giardino dove le gocce
d’acqua cadevano implacabili.
Sophie era una statua per tutta la durata del temporale, se rientravi
in casa ed era sera poteva anche prenderti un colpo a vederla seduta
sul davanzale, la sua figura che si stagliava
nell’oscurità grazie alla luce di un lampo.
L’unica cosa che Sophie faceva mentre pioveva era chiudere gli
occhi un secondo prima che arrivasse un tuono: Orlando sapeva che lei
aveva paura, ma era così testarda che non lo aveva mai ammesso,
né si era mai rifugiata tra le sue braccia per farsi confortare.
Ma Orlando non amava solo questo di lei.
Amava il modo in cui Sophie passava la maggior parte delle sere:
accoccolata sul divano, una tazza di thè in una mano e un libro
nell’altra.
Quando faceva così Orlando sarebbe rimasto a guardarla per ore:
l’espressione assorta, gli occhi che si spostavano riga dopo
riga, un sorrisino mesto o felice a seconda di quello che sentiva il
protagonista della storia…si, Sophie si immedesimava moltissimo
quando leggeva.
Il più delle volte, quando smetteva di leggere e intavolava una
conversazione con Orlando, quest’ultimo era convinto che la
ragazza credesse ancora di trovarsi tra le pagine del romanzo che aveva
appena chiuso e abbandonato sul tavolino accanto al divano.
Orlando amava il sorriso di Sophie quando lui rientrava a casa: la
ragazza emergeva dalla cucina, i capelli legati e arruffati, il viso e
la maglia sporchi di farina, uova o cioccolato, ed aveva sulle labbra e
negli occhi un’espressione di felicità assoluta.
Era in quei momenti che Orlando ringraziava il cielo e chi si
nascondeva lassù per averli fatti incontrare, per avergli
permesso di condividere la vita con quello scricciolo dai capelli
castani e gli occhi blu-viola.
Orlando amava la testardaggine di Sophie che le permetteva di non
arrendersi mai, nemmeno con lui: quando lo vedeva tornare a casa col
volto corrucciato lo prendeva per mano e lo trascinava sul divano, poi
prendeva un libro e iniziava a declamare le frasi più belle con
un tono di voce incredibilmente perfetto.
Il ragazzo si perdeva così ad ascoltare quelle parole e quella
voce melodiosa e si dimenticava il motivo per cui era infelice.
Amava anche il modo in cui Sophie non perdeva mai la calma: se Orlando
era seduto col copione in grembo e le mani tra i capelli perché
non ricordava nemmeno una delle sue battute Sophie si metteva accanto a
lui, sfilava delicatamente il copione dalla presa salda delle sue dita
e iniziava a recitare le battute ripetendo ognuna almeno cinque volte.
Se ancora non bastava approfittava di ogni momento che si presentava
nella loro vita quotidiana per dirle, infilandole nel momento
più opportuno e così Orlando se le ricordava sempre.
Orlando amava il vestirsi in modo strambo di Sophie perché
addosso a chiunque altro lo avrebbe ritenuto allucinante, mentre
addosso a lei lo trovava semplicemente azzeccato.
Amava il modo in cui Sophie riempiva gli attimi di silenzio cantando
una canzone, qualunque le passasse per la testa, non importava quale
fosse…voleva solo coprire il rumore del silenzio.
Ma, più di tutto, Orlando amava il modo in cui Sophie gli diceva “Ti amo”.
Lo faceva prima di addormentarsi, posando le mani fredde sul collo di
lui e costringendolo a guardarlo in quegli occhi color del mare in
tempesta, scrutandolo seria come per essere sicura di aver fatto tutto
quello che doveva fare per farlo dormire tranquillo: allora si
scioglieva nel più dolce dei sorrisi e sussurrava le due magiche
paroline al suo orecchio, strofinando subito dopo il naso sul suo collo
come un gattino intimidito.
Orlando amava ogni singolo attimo della sua vita con Sophie, ed era
certo di non voler cambiare quei ricordi con niente al mondo.
C’erano molte cose che Sophie amava di Orlando.
Anzi, si poteva dire le amasse tutte.
Amava il modo in cui Orlando si passava le mani tra i capelli appena
sveglio, sbadigliando e arricciando il naso scontento di non essere
più sotto le calde e confortevoli coperte.
Amava il modo in cui impugnava la penna, il modo in cui soffiava sulla
minestra per farla raffreddare, amava il suo coccolare Sidi in ogni
momento della giornata.
Sophie amava il modo che aveva Orlando di ricordarle la sua poca
memoria: ogni giorno, al suo risveglio, la ragazza trovava post-it
appiccicati ovunque.
Uno sullo specchio del bagno per ricordarle di mettere su il
caffè, uno sulla caffettiera per ricordarle di chiamare la
sorella, uno sul telefono per ricordarle di dar da mangiare a Sidi: era
una specie di percorso guidato e Sophie si sentiva tremendamente al
sicuro con tutti quei bigliettini per casa.
Li teneva tutti al sicuro in una scatola, anche se non l’avrebbe mai detto a Orlando perché se ne vergognava.
Sophie amava il modo in cui Orlando si vestiva abbinando i colori
sbagliati e creando sempre un’accoppiata stridente tra gli
indumenti che aveva addosso.
Amava il modo in cui Orlando si metteva a ballare, costringendola ad
alzarsi e a finire tra le sue braccia per danzare assieme sulle note di
qualche compositore austriaco o scatenarsi sulle melodie di qualche
cantante rock maledetto.
Sophie amava il modo in cui Orlando diceva “pronto” al
telefono: sempre gentile e pacato, dava l’impressione di non aver
nulla da fare se non passare ore ad ascoltare la vita del suo
interlocutore, e questo rendeva sempre le telefonate interminabili
quando era lui a rispondere.
Amava il modo in cui Orlando rapiva silenziosamente il suo ultimo
manoscritto per leggerlo tutto d’un fiato, poi tornava da lei con
gli occhi lucidi e le si sedeva accanto per raccontarle tutto quello
che lo aveva emozionato.
La riempiva di complimenti, ma talvolta faceva anche delle critiche a
certe sue frasi troppo ciniche o troppo scontate sull’amore e la
aiutava sempre a correggerle.
Sophie amava il modo in cui la aiutava a superare i momenti in cui non
riusciva a scrivere nemmeno una parola. La prendeva per mano e la
trascinava in un prato fiorito dove i colori, gli odori, i suoni erano
così vividi da restare intonsi e perfetti nella mente della
ragazza il tempo necessario per farle avere un lampo di genio che la
faceva correre alla scrivania per ricominciare lì dove si era
interrotta.
Oppure Orlando le raccontava quello che aveva visto nei suoi viaggi,
quello che era successo sul set, tutte le cose più stupide e
buffe che gli venivano in mente…così Sophie si metteva a
ridere, si distraeva a pensare a quanto è strambo il mondo e
lasciava che le rotelline del suo cervello tornassero a lavorare a
ritmi meno frenetici.
Il giorno dopo Sophie era di nuovo seduta alla scrivania, ma non senza prima aver fatto un dolce ad Orlando per ringraziarlo.
Amava il modo in cui Orlando la faceva camminare sul lato più
interno del marciapiede, il modo in cui teneva l’ombrello per
coprirla tutta anche se poi lui aveva sempre mezzo corpo fradicio, il
modo in cui le offriva elegantemente una rosa rossa.
Ma, più di tutto, Sophie amava il modo in cui Orlando le diceva “Ti amo”.
Lo faceva appena tornato a casa, quando dopo aver appeso il cappotto
sull’attaccapanni si recava silenzioso in ogni stanza della casa
per cercarla.
Una volta trovata la prendeva tra le braccia, la sollevava e la portava
sul divano;se la faceva sedere in braccio e iniziava a giocherellare
con i suoi capelli, aspettando che lei lo guardasse negli occhi:
allora, dopo essersi chiesto se aveva fatto quanto era in suo potere
per renderla la donna più felice del mondo le mormorava un
“Je t’aime” e poi si protendeva dolce e delicato in
cerca delle sue labbra.
Sophie amava ogni cosa nella vita che condivideva con Orlando, e sapeva
bene che non avrebbe mai condiviso qualcosa di così speciale con
qualcun altro.
Così quando quella mattina si trovarono sull’altare a
leggersi le promesse che li avrebbero legati per sempre nel loro
matrimonio scoprirono di aver avuto la stessa identica idea: entrambi
avevano fatto una lista di ciò che più amavano
dell’altro e avevano concluso tutti e due dicendo che la loro
vita non avrebbero mai potuto cambiarla.
Iniziò così la vita coniugale di Sophie ed Orlando e i
due erano sicuri che ci sarebbero sempre state delle nuove, piccole
cose dell’altro che avrebbero imparato ad amare.
Perché spesso l’amore nasce nella felicità data dai
gesti dell’altro, non serve nient’altro per far sbocciare
un amore profondo e unico nella sua bellezza e semplicità.
Ok, non so da dove mi è uscita.
L'ho scritta di getto ieri sera, con le finestre aperte e il temporale che impazzava al di fuori di esse.
Tutto sommato
credo siano davvero i piccoli gesti quelli che ci fanno amare di
più qualcuno, perche sono le cose più pure e semplici del
mondo...e proprio per questo sono anche le più belle!
Grazie per aver
letto, e se per caso doveste sentirvi male dopo aver letto tale
sciocchezza contattatemi: mi farò perdonare mandandovi dosi
enormi di aspirina!
Buona giornata a tutte, stelline.
Liz.
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