A meaningless story: by Levi Ackerman.

di Sebbyno
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Fa freddo. È dicembre, e questo mese è sempre stato molto freddo.
Per assurdo, é anche il mese più caldo. Da quando l'elettricità è un bene pubblico, il Natale è tangibile sulle strade non più coi soli canti e fiati nelle pance caprine delle cornamuse; il Natale si fa ora nelle vetrine, con le luci delle insegne e l'odore delle castagne.
Dicono che New York sia uno spettacolo a dicembre, una caleidoscopica, luminosa America, dai palazzi alti, immensi, la prova che l'uomo rubi ora anche al cielo e non più la sola terra.
Un giorno mio padre me lo disse, mostrandomi uno di quei giornali che quanto sai mentano.
"Vedrai, Erwin. L'uomo è dotato di arte e di scienza; ha sfidato, poi sottomesso, la natura e i suoi animali, le piante, i frutti e le risorse.
Non è raro che possieda anche altri uomini, e questo gli dà, in un qual senso, il potere di Dio.
Egli crea e disfa proprio come il Signore fa coi suoi figli: "Egli creò gli uomini a sua immagine e somiglianza", e perciò ci somiglia, nella buona e nella cattiva sorte.
Ma cosa accadrà allora, se l'essere capace di arte e di scienza, caritatevole ma anche maligno, angelo ma anche demone, arido e sensibile, geloso e altruista, uomo e animale, dovesse un giorno superare il suo noto Padre?
Vedrai, Erwin, come a giocare ad essere Dio, tornerà terra. E tutto diverrà niente, il troppo creerà il nulla.
Vedrai."
E dimmi Levi, non è forse questo il giorno?
Per me il mondo si è distrutto quando hai lasciato la cattedra in manette.
La matita che tenevi in mano cadde prima che tu potessi finire l'appello; la mina si ruppe sul pavimento quando il colonnello Shülder chiamò il tuo di nome, con un accento tedesco che lo sporcò del tutto, dal tono sprezzante che useresti per un cane rognoso e non un insegnante, un bravo insegnante.
Le ricordo le tue lettere, tutte quante. Dal primo biglietto con cui mi ringraziasti per il mio aiuto con gli altri colleghi, e aver giudicato male un volto ariano, all'ultimo, con cui dichiarasti il tuo amore insieme ad un libro, che tanto amavi leggere nei tempi vuoti.
Tante mine si spezzarono quel giorno alla marcia pesante dei soldati dentro la scuola, ma più di tutti fu il mio cuore a rompersi quando te ne andasti.
Il gelo che provo è più lungo dell'inverno, un freddo che non posso estirpare, che nessun deserto potrà guarire.
Qui fuori la caserma nevica sulle nostre teste, le nostre bocche alitano fumi bianchi, e i piedi, le braccia, le gambe, le spalle, si stringono ad imitar le foglie secche.
Siamo in tanti, troppi, e il solo pensiero che molti si arruolino come volontari a favore di questa folle guerra, mi fa domandare che cosa sia l'uomo, e che cosa sia capitato alla nostra specie per rendere possibile questo genocidio.
I loro occhi lampeggiano in questo freddo di una pura esaltazione che credo rasenta la pazzia.
Se è davvero questo il presente che viviamo, non so quale futuro presagire, forse perché un futuro in tua assenza non lo avevo neppure considerato.
In questi tempi la Wehrmacht arruola giovani e vecchi, decisa a vincere sul mondo intero una causa che non comprendo; per un corpo in forma come il mio ho un posto assicurato nelle forze armate, ciò che non posso assicurarti, è che io sopravviva a questo perenne inverno.
Nel tempo che trascorro aspettando di essere ricevuto, interrogato e visitato, tengo mentalmente acceso un ricordo, questo personale focolare è l'immagine di un ebreo dai capelli color pece che accende 20 lumi su un davanzale, in memoria di una dolce madre il giorno di Natale. 
Dopo averli accesi tutti, mi guarda e siede accanto a me sul divano; mi abbraccia, non dice nulla, e io, nel suo silenzio lo bacio sulla fronte, tenendoci stretti, nella rara pace di due individui che si amano tacendo.
Nel caso perissi, e non mantenessi la mia promessa, spero che questo unico buon piccolo e caldo pensiero ti raggiunga, tenendoti in vita fino al mio ritorno.
Sempre tuo,
Erwin.




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