Jacob Frye - Le due metà di una mela [Syndicate/Jack lo squartatore]

di Stella Dark Star
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Jacob Frye
Le due metà di una mela
 
Prologo
 
Jacob si svegliò di soprassalto, il cuore che gli batteva dolorosamente nel petto. Gli parve incredibile di essersi addormentato, anche se evidentemente si era trattato solo di pochi minuti. Era ancora notte fonda, nella stanza silenziosa il buio era trafitto dalla luce della luna piena, il cui raggio argenteo rimbalzava contro il grande specchio all’angolo e finiva sul letto dove era disteso lui. Si sollevò dal materasso, puntellando un gomito, e si stropicciò il viso con la mano. Gli mancava il respiro, non sarebbe riuscito a restare a letto un minuto di più. Con uno slancio, saltò giù e atterrò coi piedi nudi sulla morbida moquette marrone. Nella stanza c’era ancora odore di legna bruciata, anche se di fatto il fuoco si era spento ore prima. Gettò uno sguardo al caminetto, all’interno ormai non brillavano nemmeno più i tizzoni, tutto ciò che vedeva era un cumulo nero di cenere e frammenti bruciati. Fece due passi accanto al letto, la sua attenzione venne catturata da un movimento sospetto. Voltò il capo di scatto e vide di cosa si trattava. Nient’altro era che la sua figura riflessa nello specchio, risaltata dalla camicia bianca che grazie alla luce della luna sembrava brillare in modo sinistro, come fosse un fantasma dell’immaginario collettivo, ovvero un lenzuolo bianco in movimento. Forse ciò che vedeva riflesso era la pura verità, uno spettro tormentato che non avrebbe mai trovato pace. Pur non vedendo i dettagli con chiarezza, sapeva di avere un aspetto orribile. Scosse il capo e andò verso la finestra, incorniciata da pesanti tende blu che lui non chiudeva mai. Sbirciò la strada, a quell’ora gli unici esseri umani che potevano trovarsi all’esterno, in pieno inverno, non potevano essere che degli ubriachi. I vagabondi, saggiamente, dovevano essersi rintanati per proteggersi dal freddo. Aprì la finestra e fu investito dal gelo della notte che gli pizzicò la pelle del viso e del petto scoperto come mille lame affilate. Fossero state veramente delle lame, sarebbe tutto finito, il suo tormento sarebbe cessato. Ancora una volta provò senso di soffocamento, non gli bastava stare di fronte alla finestra aperta, aveva bisogno di uscire. Saltò sopra il davanzale, i piedi nudi a contatto con la pietra gelida. Si sporse e roteò il busto per ricercare un appiglio a cui aggrapparsi, quindi si diede la spinta e, facendo forza sulle braccia, riuscì a raggiungere il bordo del tetto. Ancora uno sforzo e si issò sulle tegole rosso nerastre, dove qua e là giacevano foglie marce, escrementi d’uccello e piume. Risalì il tetto fino a raggiungere il picco, dove poi si sedette incurante del freddo. L’aria era umida e la leggera brezza notturna gli penetrò la camicia, facendolo rabbrividire. Non gliene importava niente. Era distrutto, il cuore gli doleva come se si fosse spezzato a metà e la sua mente vacillava tra dolore e follia. Una parte di lui sperava che il gelo gli risucchiasse la vita, un po' come aveva tentato di fare Crawford Starrick quando era entrato in possesso della Sindone. Erano passati mesi, eppure poteva ancora sentire la sua mano ferrea stringergli la gola e qualcosa assorbire le sue forze vitali senza lasciargli speranza di poter sopravvivere. Sarebbe morto con Onore, svolgendo il suo dovere di Assassino, invece adesso, se fosse morto assiderato sopra quel tetto, si sarebbe tramutato in marciume come meritava e presto tutti lo avrebbero dimenticato, compresa sua sorella. Eppure… La luna quella notte brillava d’incanto, la sua luce si posava su di lui come una benedizione. Per un istante gli parve di percepire un piccolo punto di calore dentro si sé, per quanto fosse impossibile. Chiuse gli occhi ed ecco che nella mente comparve un volto amato, parole nitide di un piacevole ricordo, un fatto avvenuto su un altro tetto di Whitechapel. In quel ricordo trovò l’illusione della pace che poi venne brutalmente infranta dal dolore acuto di quanto era accaduto solo il giorno prima. Riaprì gli occhi, lo sguardo vitreo e nervoso vagò nella notte, alla ricerca di un motivo per vivere oppure il coraggio di morire. No. La morte sarebbe stata una liberazione che non meritava. Incastrato in quel limbo senza trovare una via di fuga, Jacob si lasciò sopraffare dal pianto. Le lacrime presero a scendere calde e copiose dai suoi occhi, riversandosi sulle guance arrossate dal freddo. Chinò il capo, la fronte si posò sul braccio che teneva appoggiato al ginocchio. E finalmente arrivarono anche i singhiozzi che fino a quel momento aveva tenuto stretti nella gola. Era dalla morte di suo padre Ethan che non piangeva.




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