Kami no takara - Il tesoro degli dei.

di shirupandasarunekotenshi
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Una danza di petali volteggiava intorno alla ragazza che camminava, il volto puntato verso il cielo, lungo il viale costellato dai ciliegi in fiore; si era tolta le scarpe e i suoi piedi nudi avanzavano nel prato emettendo un lieve fruscio che accompagnava il posarsi leggero dei fiocchi rosati.

Il paesaggio tinto di rosa era lì per donare dolcezza a chi poteva assistervi, eppure il cuore della giovane donna era greve; lo percepiva chiaramente, lei che era in contatto eterno con le vicende del cosmo, quel giorno i ciliegi erano tristi, piangevano per rendere omaggio a qualcuno che per loro era molto importante, qualcuno che si era spento in un estremo dolore, qualcuno che un tempo aveva eroicamente lottato per proteggere il mondo, proprio come i suoi sacri guerrieri.

Sollevò una mano e alcuni di quei petali, come a volerla corteggiare, si adagiarono sul palmo; ne contò cinque, tutti vicini gli uni agli altri, uniti, inseparabili. Quel numero aveva per lei un grande valore.

Chinò il capo e li osservò attentamente, portandoli vicino alle labbra:

“Anche voi siete in cinque, anche voi nobili cuori... ma chi siete? Da dove venite e dove siete andati adesso?”.

Sgranò gli occhi quando il delicato rosa dei petali si mutò in tante chiazze scarlatte che si allargavano sulla sua mano, rivoli di sangue vivo che cominciò a scorrerle tra le dita per poi gocciare al suolo, tingendo gli steli d'erba che si chinavano inorriditi a quella pioggia cruenta.

La ragazza sgranò gli occhi e rimase a fissare, livida, il macabro spettacolo, mentre un gemito d'angoscia le rimaneva soffocato in gola.

“Saori-san!”.

L’ansioso richiamo spezzò l'ovattato silenzio, ma dovette essere ripetuto più volte perché lei riuscisse a riscuotersi, sollevando così i propri occhi su quelli grandi e preoccupati del ragazzo che la stava osservando.

“Va tutto bene?”.

“Seiya...” mormorò lei, fissandolo intensamente per qualche istante; riabbassò poi lo sguardo sulla propria mano. I cinque petali erano ancora lì, ma il sangue era scomparso.

“E' successo qualcosa?”.

Lei scosse il capo; non aveva alcuna intenzione di far preoccupare i suoi guerrieri se non si fosse rivelato assolutamente necessario: dopotutto, poteva essersi trattato di pura e semplice suggestione, anche se era pressoché certa che ci fosse sotto qualcosa di più.

“Questi petali che abbandonano i rami e vanno a morire, mi hanno messo un po' di malinconia, forse dovuta ai ricordi, chissà...”.

Il ragazzo corrugò la fronte e strinse le palpebre in un'espressione corrucciata:

“Saori-san... tu non avresti più intenzione di nasconderci qualcosa, vero?”.

Sussultò e i suoi occhi azzurri si fecero immensi nell'incontrare quelli del giovane, il sacro guerriero di Pegasus, al quale doveva tanto, e non solo lei, ma ogni singolo abitante della terra. Stava per rassicurarlo, per negare, ma in fondo non gli aveva appena mentito?

Si sforzò di sorridere e di cacciare, almeno per il momento, il senso di oppressione che le gravava sul petto. “Torniamo a casa, Seiya-chan, e non preoccuparti di nulla”.

Il ragazzo rimase un attimo immobile, lasciando che la giovane donna lo precedesse, senza toglierle di dosso gli occhi in cui si rifletteva una strana fusione di maturità ed innocenza; non si sentiva tranquillo, aveva imparato fin troppo bene ad interpretare gli atteggiamenti della sua dea e Athena non si comportava in modo normale. Era evidente che qualcosa la preoccupava. Non gli era inoltre possibile togliersi dalla mente il sogno, il suo come quelli dei quattro fratelli che, insieme a lui, costituivano la guardia del corpo della dea.

Fece per avviarsi dietro alla giovane, ma un brivido lungo la schiena lo spinse a lanciare un'occhiata dietro di sé.

Dapprima credette in un bizzarro gioco di luce, poi ebbe la fugace visione di cinque sfere che rotearono velocemente fino a fondersi in una luce bianca… che assunse la forma di… un’armatura simile a quella che indossavano gli antichi samurai…

Fu un attimo e tutto tornò normale.

Erano solo i petali che danzavano nel sole, si disse, e la sua immaginazione, la stanchezza dovuta alle ultime notti inquiete e quasi insonni, avevano fatto il resto.

Strinse le palpebre, riducendo gli occhi a due fessure: e se si fosse trattato di un altro messaggio da chissà dove, un altro sogno, questa volta ad occhi aperti?

“Che sta succedendo? Che altro dobbiamo aspettarci?”.

 





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