Anno
848
I
primi raggi del sole mattutino illuminarono la stanza.
Il
riflesso della luce, che si posava sui capelli chiari della ragazza,
emanava dei piccoli bagliori, accendendo ancora di più il
viso candido della giovane.
Petra
socchiuse gli occhi, mentre uno sbadiglio tradiva la stanchezza non
ancora del tutto recuperata. Gli allenamenti del giorno precedente
erano stati molto faticosi ed impegnativi e i muscoli delle braccia le
dolevano per i ripetuti movimenti di attacco.
Mancava
poco all’inserimento in squadra delle nuove reclute, ma nel
frattempo i veterani dovevano continuare a tenersi in allenamento,
visti i scarsi risultati ottenuti nelle precedenti missioni e le
numerose perdite in termini di vite umane.
Era
riuscita ad abbattere due giganti con le sue sole forze, nel corso
dell’ultima missione nel Wall Maria, e la cosa
l’aveva enormemente gratificata.
Quel
giorno si sarebbero concentrati sull’ottimizzazione della
cavalcata.
Decise
di alzarsi, così da arrivare in anticipo e poter scambiare
qualche parola con il Caporale prima che arrivasse il resto della
squadra.
Tuttavia,
appena poggiò il piede a terra, un forte senso di nausea la
investì e dovette correre in bagno con la mano premuta sulla
bocca, per poi rigettare nel gabinetto.
Ansimò,
mentre goccioline di sudore le scivolavano dalla fronte e brividi le
scuotevano il corpo. Attribuì la colpa di quel malessere
alla cena consumata la sera precedente, abbondante e pesante, e
l’essere andata a coricarsi presto non aveva giovato.
Dopo
pochi minuti la situazione si era ripetuta, finché, con lo
stomaco completamente vuoto, il tutto si ridusse a conati e continui
tremori.
Non
riusciva ad alzarsi in piedi, l’improvviso malessere
l’aveva debilitata e tutti i buoni propositi per un
allenamento profittevole erano di colpo sfumati.
Voleva
solo tornarsene a letto e riposare.
Lo
stomaco le doleva molto a causa dei continui sforzi e sembrava che le
forze l’avessero di colpo abbandonata.
Strisciò
verso il letto, rannicchiandosi in posizione fetale sotto le coperte e
cadendo subito in un sonno agitato, fatto di giganti e combattimenti; e
la voce del Caporale che la richiamava, sempre più forte,
sempre più vicina.
Una
mano la scosse piano.
Si
svegliò di soprassalto, due occhi grigi e infossati la
scrutavano.
“Non
hai sentito la sveglia per caso?”
Rivaille
la osservava sospettoso; Petra non aveva mai ritardato in tutti quegli
anni passati insieme, anzi, era la prima che la mattina si presentava a
suo cospetto, in modo da passare del tempo a parlare da soli, senza
essere disturbati.
Così,
quando quella mattina non l’aveva vista arrivare e si era
dovuto sorbire il primo “buongiorno” da Gunther, un
campanello d’allarme aveva preso a suonare insistentemente
nella sua testa. Dapprima l’aveva ignorato, attribuendolo ad
un’eccessiva preoccupazione dovuta ai traumi passati, ma
quando anche gli altri due membri della squadra erano scesi e della
ragazza non v’era ancora traccia, Levi aveva capito che
qualcosa non andava e si era precipitato nella sua camera.
L’aveva
trovata avvolta nelle coperte, caduta in un sonno profondo che neanche
i suoi richiami erano serviti a rompere.
Perciò
l’aveva scossa per un braccio, riuscendo così nel
suo intento, ma gli occhi cerchiati della giovane non lasciavano
presagire nulla di buono.
“Mi
scusi Caporale...mi sono alzata, ma non mi sentivo molto
bene…”
Non
ci fu bisogno di ulteriori spiegazioni, Rivaille le credeva.
“Puoi
rimanere a riposo per oggi.”, un cenno col capo come saluto e
si dileguò, lasciandola sola. Non era il ritratto
dell’amabilità, Petra lo sapeva e conosceva bene
il carattere dell’uomo, ma in cuor suo aveva quasi sperato
che quella mattina rimanesse con lei, a farle compagnia. Utopica
illusione generata dai sentimenti che aveva iniziato a provare per il
moro e che con gran maestria riusciva a nascondere agli occhi della
squadra, per non causare conflitti di interesse.
Le
uniche occasioni in cui si ritagliava del tempo per stare da sola con
lui erano la mattina presto, prima degli allenamenti, e la tarda notte,
quando tutti dormivano.
Non
facevano grandi cose durante quelle ore, parlavano, o meglio, Petra
parlava, raccontando della sua vita prima dell’arruolamento,
del padre protettivo e geloso, del suo villaggio natale e della sua
casetta in mezzo alla natura. Levi si limitava ad ascoltare e,
raramente, intervenire con qualche domanda o breve accenno alla sua
vita sotterranea.
Si
fidava di lei, una fiducia nata nel corso di molto tempo e di molte
situazioni delicate superate insieme. Ma soprattutto cresciuta durante
quei brevi incontri, molti dei quali passati in silenzio, ad osservare
la notte.
La
contemplazione del cielo notturno era sempre stato un rituale per
Rivaille e la condivisione di quei momenti con la ragazza, avevano reso
quelle occasioni intime.
Per
Petra erano piccoli sprazzi di felicità, in quella vita
così miserabile e violenta, a cui quel giorno,
però, avrebbe dovuto rinunciare. Sperava di rifarsi alla
sera, al suo rientro alla base, ma stava già dormendo quando
la squadra tornò dall’addestramento.
Quel
che non sapeva è che quella notte Levi era entrato nella sua
stanza, e vi era rimasto a lungo per controllarla e monitorarla.
L’istinto
di protezione era ormai insito in lui, le esperienze passate lo avevano
forgiato e, anche se odiava ammetterlo, la sicurezza della sua squadra
era tutto per lui, specialmente la protezione di Petra. Sarà
perchè sua madre era morta davanti ai suoi occhi quando era
ancora un bambino impotente, sarà perché gli
ricordava Isabel, ma a Petra era riservato un posto speciale
nell’animo dell’uomo.
Non
sapeva se ne era innamorato, non credeva che uno come lui potesse
provare sentimenti diversi dall’odio e dalla vendetta, ma
sapeva che da quando aveva conosciuto Petra il suo animo si era
calmato, gli incubi erano diminuiti e la motivazione a fare quel che
era giusto era aumentata. E sapeva che l’avrebbe protetta, da
tutto e da tutti, forse anche da sé stesso.
Solo
in un’occasione si era lasciato andare con lei, ricordava
molto bene quella notte nonostante tutto l’alcol ingerito.
Ubriaco
fradicio, ma sempre controllato, qualche settimana prima aveva lasciato
che la ragazza lo accompagnasse alla sua stanza.
Preoccupata
dal barcollare dell’uomo, lo aveva seguito per evitare che,
cadendo o scivolando, si ferisse in qualche modo; inizialmente Levi si
era opposto, era un uomo in grado di badare a sé stesso, ma
le continue lamentele della bionda lo avevano fatto desistere e si era
arreso, chiudendosi nel suo solito mutismo.
Una
volta arrivati in camera, però, qualcosa di strano era
successo.
Lui
non era poi così ubriaco, ma lei era così
dannatamente bella che l’uomo non poté fare a meno
di avvicinarglisi e, con una mano tremante, afferrargli una ciocca di
capelli chiara e portarsela al naso, inspirando il suo profumo.
Poi
le aveva sorriso.
Petra
aveva indietreggiato di colpo, spaventata, quasi l’avesse
schiaffeggiata e lui, tornando quasi nel pieno delle sue
facoltà, si era risentito, allontanandosi da lei e dandole
le spalle.
“Vattene.”,
una frase secca, piena di risentimento per quel rifiuto, il rifiuto per
aver provato a lasciarsi quasi andare e tornare per un momento ad
essere umano.
Petra
però non si era mossa, indecisa sul da farsi, ben
consapevole di ciò che stava avvenendo dentro al suo
capitano. Non voleva che si rinchiudesse nuovamente nel suo guscio di
dolore, non dopo aver visto quello spiraglio di speranza che
l’accenno di un sorriso dell’uomo aveva aperto.
Non
seppe mai da dove era arrivato quell’improvviso coraggio,
forse era ubriaca anche lei, pur non avendo toccato un goccio di alcol,
o forse era semplicemente tanto innamorata.
Si
avvicinò all’uomo e quando lui si
voltò, lei gli prese il viso tra le mani e, senza perdere
tempo, poggiò le labbra sulla bocca di lui.
Lo
sentì irrigidirsi e non sapeva cosa aspettarsi, forse
l’avrebbe spinta via, o colpita per allontanarla. Ma contro
ogni sua previsione, Rivaille approfondì il bacio,
stringendola forte contro il suo corpo.
Di
quel che successe in seguito, ricordavano solo dei flash: i vestiti che
cadevano, ormai troppo ingombranti sui loro corpi, il profumo della
pelle che li inebriava, il calore dei loro respiri, i sussurri, i
gemiti...il paradiso.
Non
avevano più parlato di quella notte, viveva solo nei loro
ricordi, così come le parole e le promesse che si erano
scambiati, rimaste incastrate nei loro corpi intrecciati.
Ma
quella notte li aveva segnati.
Le
loro occhiate si era fatte più sfacciate, il cuore di Petra
accelerava ogni volta che lo vedeva e in alcune occasioni si erano
ritrovati a darsi baci passionali, nascosti nel segreto della notte.
Il
loro rapporto si era evoluto dal punto di vista fisico, ma da quello
emotivo e sentimentale...era impossibile da definirsi, non ne avevano
mai parlato, né avevano intenzione di farlo, quasi per paura
di rompere quel sottile legame che si era creato, così
fragile che sarebbe bastato un soffio, una parola in più,
per distruggerlo.
E
ora, la presenza di Rivaille nella stanza della ragazza, era un segnale
inequivocabile del cambiamento irreversibile che stava avvenendo, ma
che lui si sforzava di ignorare.
Rimase
ad osservarla per un paio d’ore, seduto accanto al suo letto,
guardando il suo petto che si alzava e si abbassava, tranquillizzandolo.
Poi,
silenzioso com’era arrivato, se n’era andato.
Non
una carezza, né un misero bacio, quelle non erano cose da
Rivaille.
La
sua preoccupazione aumentò quando anche la mattina dopo
Petra non si presentò, e nemmeno le due successive.
Ma
quando, dietro la porta della sua camera, l’aveva sentita
rigettare, aveva capito che si trattava di un virus e si era tenuto ben
lontano, vedendola aggirarsi di tanto in tanto per la cucina per
smangiucchiare qualcosa.
“Non
sarebbe ora che tu ti rivolgessi ad un dottore?”, le aveva
chiesto un mattino, sempre protetto dietro la pesante porta in legno,
“Non ammetto elementi deboli nella mia squadra!”.
Detto
ciò aveva fatto chiamare un medico, senza aspettare la
risposta della ragazza; se si trattava davvero di un virus non voleva
rischiare un contagio.
Il
dottore arrivò solo il giorno dopo e fu accompagnato
personalmente dal Caporale nella stanza della giovane, che li
lasciò soli.
Lo
specialista bussò piano alla porta,
“Signorina
Ral, sono il dottor Frinkelbann, posso entrare?”,un sussurro
affermativo appena accennato bastò al dottore per fare il
suo ingresso nella stanza.
Petra
era pallida, mangiava poco e la maggior parte delle cose che ingeriva
poi le vomitava. La stanchezza era diventata una consuetudine e passava
la maggior parte della giornata a letto a riposare.
Elencò
tutti i sintomi al medico, mentre lui le controllava il battito e la
invitava a fare dei respiri profondi.
“Mi
dica signorina, sente anche dolori alla pancia, oltre le nausee e il
disturbo allo stomaco?”
“Ho
un leggero gonfiore nel basso ventre...” , furono quelle
parole che resero chiara la situazione al dottore, che sorrise molto
cordialmente alla ragazza.
Quel
gesto calmò Petra, evidentemente non era nulla di grave, si
trattava solo di un semplice virus passeggero. Ma l’uomo era
di tutt’altro avviso.
“Le
faccio le mie congratulazioni, lei non è malata, ma aspetta
un bambino.”
Fu
un fulmine al ciel sereno, il fiato le si mozzò in gola e
spalancò gli occhi incredula.
“Non
è possibile, io non…”, la notte passata
con il Caporale le piombò all’improvviso alla
memoria e un senso di panico la investì.
Non
voleva diventare madre, era ancora troppo giovane, amava il suo
“lavoro” ed era sicura che Rivaille era dello
stesso avviso. Ma non se la sentiva neanche di uccidere quella vita
innocente che si stava formando dentro di lei. Erano già
troppe le vite a cui aveva dovuto dire addio.
L’unica
cosa di cui era certa era che Levi non avrebbe mai dovuto saperlo, e
che nessuno doveva scoprirlo.
“Quando...quando
sarà evidente?” indicò la pancia che di
lì a pochi mesi sarebbe esplosa,
“All’incirca
al quinto mese...ma se non lo vuole ci sono delle tecniche
per…”
“No.
Lo tengo. Mi prometta solo che non ne farà parola con
nessuno.”, avrebbe trovato una soluzione, si sarebbe rivolta
a suo padre, anche se temeva la sua reazione.
In
fondo aveva solo vent’anni ed era nel bel mezzo di una guerra
sanguinaria, come avrebbe potuto crescere un figlio da sola?
Il
medico le assicurò che il segreto professionale gli impediva
qualsiasi soffiata e le diede consigli sul controllo della nausea, in
modo da riprendere al più presto la sua routine e non dare
troppo nell’occhio.
“Il
padre del bambino...almeno lui dovrebbe saperlo, la potrebbe
aiutare.”, fu l’ultimo suggerimento che le diede,
Petra lo ringraziò, mentre dentro di sé
giurò che mai avrebbe rivelato il suo segreto a Rivaille.
Anche
a costo di portarselo nella tomba.
°°°
E’
da parecchio tempo che avevo in mente questa storia, la paura di un
fallimento mi aveva fatto desistere dall’iniziarla, ma alla
fine ho deciso di buttarmi, senza troppe pretese.
La
vicenda si colloca intorno al 848, nell’intermezzo di tempo
dopo la distruzione del Wall Maria, avvenuta nel 845, e
l’arruolamento del 104° Corpo di addestramento
reclute nel 850.
La
domanda “cosa avranno fatto nel frattempo quelli della
Squadra Operazioni Speciali?” mi perseguitava e
perciò ho ideato questa vicenda utopistica che vede Rivaille
e Petra protagonisti. E’ una delle coppie che preferisco
dell’opera, e il loro rapporto ambiguo lascia ampio margine
allo scatenarsi dell’immaginazione.
La
mia mente malata sta producendo attualmente questa storia e vi
ringrazio per aver letto fino a qui, spero anche vi vada di dirmi cosa
ne pensate, sarebbe molto stimolante e mi aiutereste laddove
c’è bisogno di miglioramenti.
Che
dire?
Grazie
ancora per la vostra attenzione e alla prossima!
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