Occhi di fiume
OCCHI DI FIUME
E invece se ne andava.
Spariva, ogni tanto. Per giorni non si faceva sentire.
Damiano avvertiva un vuoto nello stomaco, un capogiro, e senza sapere
nulla intuiva che qualcosa stava succedendo, e non era qualcosa di
bello. Allora la cercava, si attaccava al telefono, e la chiamava. A
volte, per decine di volte, squillava a vuoto, per risultare infine
fissamente spento. E lui insisteva, insisteva, serrando le mascelle
fino a farsi male ai denti, gli occhi buttati su quello schermo che non
gli dava alcun conforto.
Poi Sara tornava. Gli mandava un messaggio, poche sillabe in fila che
non spiegavano nulla. "Sono a casa", "Vieni".
L'uomo inventava una scusa, usciva con una calma improbabile, il
sorriso appeso a mezz'asta. Una scusa che la moglie accettava come si
accetta qualcosa che accade e non si comprende, ma tant'è.
Con il cuore impazzito volava da lei.
Se Elisa era in casa li lasciava soli. Lo squadrava (sì, li
sentiva addosso quegli occhi che lo squadravano) e toglieva il
disturbo, lasciando poche raccomandazioni silenziose, e un bacio sulla
guancia di Sara.
Damiano si gettava sul viso della ragazza, lo raccoglieva tra i palmi,
lo accarezzava.
"Stai bene?". Scrutava in quegli occhi senza fondo, nel pallore che gli
zigomi sfilati gli rimandavano, nella magrezza malcelata da una maglia
sempre più larga.
Non vedeva. Non riusciva a vedere.
Non riusciva a sopportare la deriva lenta che trascinava Sara lontano,
in un luogo dove lui non poteva raggiungerla.
Una grotta di vento e ombre che rimandava all'infinito un'eco distratta
e spenta.
"Stai bene?".
Ma lui non capiva. Non riusciva a capire.
Non era il sesso.
All'inizio ci aveva quasi creduto che fosse quello, il punto.
La prima volta che con disperazione si era gettata tra le sue
braccia, prendendo ciò che voleva, e lasciandolo
svuotato e colmo al contempo -colmo di lei e svuotato di ogni
ragionevole certezza- aveva pensato che sarebbe finita lì.
Una voglia levata, una sbandata, un accadimento irrazionale.
Ma Sara non cercava quello da lui. Diceva di avere una specie di
fidanzato, un ragazzo che frequentava l'università, e con
cui usciva. Uno con cui farsi vedere al bar, o nei cortili della
Facoltà, nei quarti d'ora accademici. Uno con cui litigare e
fare scenare nell'androne sotto casa, e poi fare pace, altrettanto
furiosamente, contro un muro in penombra, in qualche vicolo. Uno a cui
il sesso non bastava mai.
Devi essere onesto con me.
Sono sposato, lo sai...
Non importa. Sei un uomo perbene.
C'era sempre la stessa muta domanda negli occhi della ragazza, dopo che
avevano fatto l'amore. Lei rimaneva immobile, il respiro spezzato,
sotto di lui, e lo guardava. Una domanda che Damiano sfiorava appena.
Non riusciva a collocarla, a coglierla. La sentiva, come un presagio,
ma non trovava le parole.
Non le trovò in tempo. Fu come non averle trovate mai.
La telefonata della Questura lo colse di sorpresa.
Era a lavoro, seduto su uno sgabello al piano inclinato dei progetti,
assieme a Paolo. L'amico lo vide impallidire, rispondere a monosillabi
impacciati.
Aspettò che gli spiegasse qualcosa, invece Damiano taceva,
ottusamente, cercando di mettere il telefono nella tasca della giacca,
senza riuscirci. Tremava un poco.
- Beh? -, dovette sollecitare, la voce brusca suo malgrado. - Vuoi
spiegarmi che succede? -.
Damiano provò a guardare il foglio dispiegato sotto ai suoi
occhi, le linee sottili blu e rosse si incrociarono senza
pietà, divennero spirali liberty senza senso alcuno.
- Era l'Ispettore capo della Questura -.
Silenzio.
Un ostinato, indicibile silenzio.
- E allora? -.
- E allora devo recarmi a colloquio con lui... lei... con l'Ispettore
capo... si chiama Luisa Berretti .
Silenzio.
Ancora, denso e agre come fumo.
- E che vuole da te? Non per quel cantiere, vero... -,
mormorò allarmato Paolo. - Non abbiamo
responsabilità lì, abbiamo messo tutto in mano
agli avvocati e ... -
- No no, il cantiere non c'entra nulla, stai tranquillo. E'... una
faccenda personale -.
- Personale? -. Paolo esitò. Scrutò l'amico, il
pallore che non era ancora svanito dal suo volto, né dalle
mani insolitamente nervose.
- Se hai fatto qualche cazzata voglio saperlo. Come amico: pretendo di
saperlo -.
- No, niente cazzate Paolo -. Con un gesto Damiano si era affrettato a
cancellare quella parola molesta dal breve spazio che li divideva,
quasi a scacciare un insetto.
Ma gli occhi dell'amico insistevano. Scrutavano senza sosta le linee
incerte della fronte, sembravano osservare ogni pelo della barba, ogni
sbaffo di grigio tra i capelli. Pensò che gli dicesse
qualcosa del tipo A
cinquant'anni che cazzo hai combinato, Dami?, e invece ne
uscì appena un: - Allora, me lo dici o no? -.
Se non ne avesse parlato sarebbe rimasto senza fiato, come quella sera
a casa. Strozzato dal suo stesso rimorso.
- E' per quella ragazza... Quella del fiume -.
Paolo tacque. Ascoltava.
- La conoscevo... Non sto a raccontarti come, ma la conoscevo.
Poiché le circostanze della morte sono, a quanto mi risulta,
ancora piuttosto misteriose, cercano di interrogare quanta
più gente la conoscesse... Così ho capito io... -.
Paolo si strofinò energicamente la fronte con le dita,
socchiudendo gli occhi. Gli uscì solo un mugugno poco
convinto.
- Tutto qui? -, chiese infine.
- Sì... -.
- Puoi essere in qualche modo coinvolto in quella vicenda? -.
Paolo non riuscì a trattenere quella domanda. Gli
sfuggì dalle labbra come un ringhio. Non si capì
bene se era la preoccupazione per l'amico, per il loro Studio
associato, o per entrambe le cose.
Damiano lasciò che la domanda scivolasse via, senza
ribattere alcunché.
- E quando hai l'appuntamento? -.
Stavolta rispose. Era una domanda pacifica, e lecita.
- Domattina, alle 11. Una chiacchierata informale, non
si preoccupi, mi
ha detto -.
Non gli chiedeva mai soldi. Ricordava da solo la data di scadenza
dell'affitto, e qualcosa in più gliela comprava lui. Una
felpa, un libro di testo, per non riempire la casa di fotocopie da
rilegare, ché i fogli si perdevano e poi non tornavano
più al loro posto. Era come aiutare un'amica in
difficoltà, una persona cui si vuole bene. Damiano non aveva
mai detto di no a chi in passato gli aveva chiesto aiuto. Era una sua
debolezza, non resisteva. Arrivava fin dove poteva, ma aiutava. Si dice
che l'amore può quel che non possono i soldi: cercava di
metterci entrambi, che a volte i soldi servono davvero e l'amore non
basta. Almeno, questo era quello che aveva sperimentato, nella sua vita.
Non lasciava tracce da lei. Non c'erano biglietti. A parte il primo,
che forse lei aveva buttato, dopo aver memorizzato il numero, o forse
no.
Se avevano trovato il cellulare di Sara, c'era tutta la loro storia
là dentro.
Se l'Ispettore capo Berretti aveva già ascoltato Elisa,
allora sapeva già tutto.
Non si preoccupi.
Lungo il tragitto verso la
Questura cercò invano di organizzare una linea
difensiva.
Non riusciva a staccare la mente dai figli, dalla moglie e dall'amico
-nonché socio- Paolo.
Purché non trapelasse nulla da quelle mura sarebbe stato
pure disposto a raccontare ogni cosa. Ogni cosa che potesse seppur
lontanamente servire a dare un senso alla morte di Sara, se mai la
morte ha un senso.
L'Ispettore capo Berretti lo aspettava seduta alla sua scrivania. Un
piano completamente ricolmo di carte e certelline, tanto che il legno
non si vedeva più. Un portatile era aperto in un angolo,
l'unico sgombro da incartamenti. Un portapenne in ceramica con la
scritta "Saluti da Ischia" -un isolotto verdeggiante immerso in onde
blu, dipinto a mano- resisteva sbilenco su un faldone stracolmo.
Damiano lo osservò qualche istante, prima che la donna si
alzasse in piedi per stringergli la mano. Una stretta energica quando
rapida.
- Benvenuto signor Crespi. Prego! -. Indicò una sedia in
pelle. Damiano si sedette.
In un altro punto del luminoso ufficio, un appuntato, seduto ad un
computer, ricopiava dei fogli.
La donna intuì il suo disagio: - Non facciamo verbali oggi,
non si preoccupi. E' solo una chiacchierata, come le avevo
già anticipato telefonicamente -.
Sistemò gli occhiali e ravvivò i capelli folti
con una mano, prima di prendere una cartellina dal mucchio che aveva di
fronte. La scelse con cura, riponendo nella pila una che non era quella
giusta, di colore celeste.
Damiano non vide cosa c'era scritto. C'erano diversi fogli stampati
all'interno, e una foto. Pregò che non fosse una di quelle foto. Ma
l'Ispettore non disse e non mostrò nulla.
- Dunque Lei conosceva Sara Manganelli.
Gli occhi si sollevarono fino a entrare nei suoi.
- Sì -.
La voce uscì un poco incerta, ma uscì.
- Bella ragazza dicono. La sua compagna di appartamento mi ha
portato una foto che le ritrae insieme ad un compleanno. Sembrava
felice -.
La donna sospirò, ruotando la testa assieme alla foto che,
con pollice e indice, aveva fatto ruotare a sua volta all'interno della
cartellina.
Damiano non disse nulla. Cercava di trovare un filo nella matassa dei
pensieri che gli si accalcavano nella testa, e non lo trovava. Non lo
trovava neanche tra le parole dell'ispettore, e questa
incapacità di aggrapparsi a qualcosa lo faceva sentire
alquanto spaesato.
- C'è qualche motivo particolare per cui pagasse loro la
retta dell'affitto? -.
La donna sollevò di nuovo gli occhi, e di nuovo
puntò dritto ai suoi, entrandoci con decisione.
Damiano alzò un sopracciglio. Non si aspettava una domanda
così diretta.
- C'era qualche legame di parentela fra voi, o tra lei e la signorina
Elisa Ciacci? La coinquilina di Sara, intendo? -.
- No, nessuna parentela. Nessuna, no -.
L'Ispettore lasciò la cartellina sul tavolo e
lasciò che lo sguardo vagasse per alcuni punti imprecisati
della stanza. Intanto le sue labbra si increspavano in minuscole
smorfie, quasi vagliassero e scartassero possibili risposte.
- Le avevano chiesto aiuto? Le signorine erano in difficoltà
economiche? Riceveva qualcosa in cambio per questa, regolare, dazione
di denaro? -.
La donna tornò di scatto sulla cartellina, girò
alcuni fogli, scorse alcune righe, fino al punto che le interessava,
che lesse con intonazione impeccabile: - "Il signor Damiano ci ha lasciato
i soldi dell'affitto per quasi otto mesi. Dico quasi perché
l'ottavo mese scade a giorni" (è già
scaduto in realtà, la settimana scorsa), ecc. ecc. -.
Terminò la lettura e gli lanciò la domanda
diretta:
- Ha provveduto a versare anche questo mese la quota dell'affitto alla
signorina Elisa Ciacci? -.
Damiano restò come inebetito. Se ne era completamente
dimenticato, di quella scadenza. Sara non c'era più, lui non
era più tornato in quell'appartamento. L'ultima volta che
aveva visto Elisa, alla panineria, non era stato un incontro felice e
non l'aveva più sentita da allora.
- Me ne sono dimenticato, in verità... Sa, la morte di Sara,
ha lasciato tutti talmente frastornati! Me ne sono dimenticato -.
Abbassò gli occhi. Desiderò essere altrove. Per
l'ultima volta, magari in quella stanza, o lungo l'argine, con Sara al
suo fianco, viva e bella come qualche settimana prima. Viva.
- Signor Crespi... Mi corregga se sbaglio: lei è un libero
professionista piuttosto stimato in città. Ha famiglia, due
figli, d'età con Sara o quasi -.
Agata era molto più piccola, ma non disse nulla. Non era
importante.
- Non crediamo che lei abbia una qualche responsabilità in
questa faccenda. Mi creda. Non è indagato, non è
neanche sotto Inquisizione-, sorrise. - Non sarebbe neanche il primo
uomo sposato che ha una relazione con una ragazza più
giovane, non è un reato neanche questo -. Sorrise di nuovo.
Forse lo scopo era cercare di stemperare l'atmosfera che il volto
pallido di Damiano tradiva pesantemente.
- Lei lasciava quasi il doppio dei soldi che servivano effettivamente
per l'appartamento. Lo sapeva questo? Se lo scopo era pagare l'affitto
alle ragazze, per motivi che ignoriamo e che al momento non
sono rilevanti, ma che deduco fossero in relazione
più alla signorina Sara che alla signorina Elisa,
è giusto e doveroso che lei sappia che le venivano estorti
più soldi del dovuto -.
La parola estorti
gli si conficcò nel petto come una lama.
- La signorina Manganelli la ricattava in qualche modo? Minacciava di
rivelare qualcosa a sua moglie? -.
Un movente? Damiano sbiancò ancora di
più. Non
si preoccupi.
- Volevo solo aiutarla. Una mano per gli studi... Sara era sola qui in
città, non aveva parenti cui appoggiarsi o chiedere aiuto.
Almeno così mi ha sempre detto -.
- Un aiuto disinteressato, diciamo -, chiosò l'Ispettore.
- Quindi è lecito supporre che lei tenesse a questa ragazza.
Avesse a cuore i suoi studi, se non altro, che per una ragazza che
frequenta l'Università sono un po' tutto il suo mondo -.
Damiano annuì.
- E' anche plausibile dedurrre che foste in una certa, diciamo,
confidenza? -.
L'Ispettore gettò di nuovo gli occhi sulla cartellina,
sollevando di poco gli occhiali, per leggere al di sotto di essi.
- "Il signor Crespi
frequentava talvolta il nostro appartamento, per un caffè o
due chiacchiere, in mia presenza o anche in presenza di Sara soltanto". E'
sempre la Ciacci che parla. A domanda se si fidasse del signor Crespi
tanto da lasciarlo solo nell'appartamento con Sara, la Ciacci risponde:
"Sì, mi
fidavo, si era sempre comportato bene con noi" -.
Sudore ghiacciato scivolò lungo il collo, insinuandosi al di
sotto del colletto ben inamidato della camicia.
L'Ispettore sistemò di nuovo gli occhiali sul naso, e
alzò le spalle.
- Quindi, le ripeto, signor Crespi: è plausibile dedurre che
lei e la signorina Sara foste in confidenza? Abbastanza da poter
restare soli a parlare? -.
Damiano annuì di nuovo, silenziosamente, con la testa.
- Se dunque lei era in confidenza con Sara, come attestato anche
dall'Elisa Ciacci, non è entrato in contatto con nessun
elemento che potrebbe aiutarci nelle indagini? Ci pensi su, signor
Crespi... -.
La donna incrociò le braccia, le mani ben in vista
nell'incavo dei gomiti, le dita aperte.
- Una motivazione per un suicidio? Una motivazione per un'aggressione?
Personaggi poco raccomandabili nella vita della ragazza? Lei, da
adulto, avrebbe potuto individuarli facilmente, se frequentava
quell'appartamento. Spesso le vittime non si rendono conto di avere
intorno il loro stesso carnefice -.
Damiano era rimasto silenzioso. Cercava di raccogliere frammenti, idee,
indizi, ma tutto vorticava nel buio più fitto.
- Vuole qualche giorno per pensarci? -.
L'Ispettore si piegò verso un cassetto, ne trasse un
biglietto, trascrisse un paio di righe, in una calligrafia minuta e
squadrata.
- Mi chiami, se le viene in mente qualcosa -.
Solo quando la donna si alzò in piedi Damiano
capì che poteva andarsene. Che era finita lì,
quella chiacchierata.
Non si preoccupi.
Si alzò stringendo il biglietto tra le mani,
salutò movendo il capo e le spalle.
La luce piena del mattino lo accecò. Si accorse che il fiato
gli mancava. L'aveva trattenuto per tutto il tempo che aveva impiegato
ad uscire dal lungo corridoio, prendere l'ascensore, tornare a piano
terra, salutare la guardia all'ingresso, involarsi all'uscita.
Respirò.
Sentì tutto il petto bruciare. Chissà se anche
per i neonati è così. Il primo respiro. Se
fa così male, e per quello si piange. Aveva gli occhi umidi.
Se li asciugò, affrettando i passi, verso l'auto lasciata
nel parcheggio.
Alle spalle, l'edificio maestoso di mattoni e vetro lo lasciava andare.
Non del tutto indifferente. Un piccolo riverbero balenò
velocemente dietro a una vetrata, al terzo piano. Come il riflesso che
fanno gli occhiali, se colpiti dal sole.
Damiano camminava lungo l'argine, le mani buttate in tasca.
Osservava il paesaggio che assomigliava così tanto a Sara,
quando lo percorrevano insieme.
- A cosa pensi papà? -
Agata gli si strinse al braccio. Guardò in un punto di verde
distante, poi tornò ad affiggere il musetto sul braccio del
padre.
- Che puoi dirmi tutto quello che ti passa per la testa, o che ti
succede. Tutto. Sempre. Questo penso -, rispose.
Lo disse con il sorriso, stringendole le mani che si affacciavano dalla
stoffa del cappotto.
- Va bene papà. Ma proprio tutto? -.
- Tutto -.
- E prometti che non ti arrabbierai mai? -.
- Certo, mai -.
Agata sembrò rincuorata. Sospirò, poi
balzò in avanti allungando il passo.
- Voglio arrivare a quel canneto laggiù. Dai vieni
papà! -.
Damiano si riempì il petto dell'odore del fiume.
Osservò le giunchiglie gialle occhieggiare dalle erbe
più alte. Erano belle.
Era passato quasi un anno ormai. Un anno da quella maledetta sera.
Non aveva più richiamato l'Ispettore capo Berretti. Ma
qualche tempo dopo era stata lei a ricontattarlo.
- Credo sia giusto che lei sappia come sono andate le cose -, gli aveva
detto.
Era stata quasi una cortesia, un atto non dovuto. I giornali ne
avrebbero data notizia scarna, archiviando il caso.
Quella sera Sara non era sola al fiume. C'erano altre persone con
lei.
Uno di questi era stato arrestato e aveva vuotato il sacco. Non aveva retto a lungo alla pressione
degli interrogatori. A casa
sua erano stati rinvenute delle cose appartenute a Sara, qualcuno aveva
testimoniato che i due ragazzi uscivano insieme, si frequentavano. E dopo di lui erano state arrestate
altre persone, colte in flagranza di reato, beccati con la droga
proprio vicino all'Università, dove spacciavano senza
ritegno alcuno agli studenti. Anche a Sara.
Quella sera dunque Sara non era sola. Aveva con sé i soldi,
per quella che sarebbe stata l'ultima dose. Così gli aveva
detto, a quel ragazzo che frequentava e che la riforniva. Che
sarebbe stata l'ultima volta, che ne voleva uscire. Che qualcuno
l'avrebbe aiutata, o che si sarebbe fatta aiutare. Che non ne poteva
più di quella merda che le ingoiava le viscere e il cuore.
Che lei voleva essere felice, lui crepasse pure. Le frasi non erano
ricostruibili con esattezza. Il verbale dell'interrogatorio era stato
convulso, frammentato, impreciso, ma i fatti erano stati ricostruiti,
collimavano con i tempi, con i risultati delle analisi sul corpo di
Sara. Era morta per annegamento, quando era già priva di
sensi.
Quell'ultima volta le era stata letale.
Si era spogliata, aveva avuto un rapporto sessuale con il fidanzato,
nascosti nella vegetazione lungo il fiume, poi si erano drogati
insieme. Un malore, lei era caduta nell'acqua, o scivolata, la dinamica
non era chiara. Erano troppo vicini alle sponde, troppo incoscienti per
rendersi conto del pericolo. Non era più emersa. Altri
spacciatori erano accorsi in aiuto del compagno, avevano portato via il
ragazzo e i vestiti di lei. Fuggiti in fretta, forse sperando che il
tutto sembrasse un suicidio, una povera drogata disgraziata che l'aveva
fatta finita. La
droga spappola tutto. Si mangia l'esistenza, e con essa il cervello.
Damiano aveva ascoltato in silenzio.
Non aveva capito. Non aveva voluto capire.
Lo sguardo vuoto e infinito di Sara, le sue domande inesplose, il suo
bisogno di lui.
Non aveva visto. Non aveva voluto vedere.
Quegli occhi immensi di fiume che chiedevano aiuto. Che imploravano
un'altra possibilità.
- Papà, vieni?? -.
Agata stava gridando smuovendo le braccia. Lo chiamava a sé.
Damiano si asciugò gli occhi. Forse era stato il vento, o
forse certi giochi di luce sull'increspatura del fiume. Gli parve di
vedere qualcosa, in mezzo alle onde.
Si strofinò il volto, fermò il groppo che gli
chiudeva la gola.
- Arrivo!-.
Occhi di ragazza. Occhi
di fiume.
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Grazie di cuore a chi è rimasto, a chi è arrivato
fin qui, a chi ha letto e commentato, o letto in silenzio,
seguito, preferito,
ricordato...
Ho esitato a pubblicare l'epilogo. Ho atteso. Perchè nel
frattempo è successo qualcosa di terribile che è
andato oltre il racconto e l'immaginazione, per quanto io cerchi di
essere realista nelle mie narrazioni (come se guardassi un film, e ve
lo raccontassi, sperando di trasmettervi le stesse immagini ed
emozioni).
E' morta davvero una ragazza. Si chiamava Pamela.
Mi fermo qui.
Amantea
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