NOTE
La
storia è ambientata in una scena particolare del film
'Labyrinth', ovvero nella scena del Ballo in Maschera in cui Jareth
(David Bowie) canta 'As the world falls down' ad una giovane Sarah
vestita da Principessa o, secondo altre visioni, da Sposa.
Il film narra di come
Sarah, in un momento di rabbia e disperazione poiché voleva
vivere la sua giovane età senza pensieri e preoccupazioni, all'inizio delle vicende
spera che il suo fratellastro Toby venga
rapito dal Re dei Goblin. In tal modo lei avrebbe potuto essere libera da ogni incombenza e non dover più essere costretta a badare a lui. Precisamente Sarah racconta una favola e specifica che il Re l’avrebbe
salvata dal 'bambino cattivo e piagnucolone' proprio perché era
innamorato di lei e quindi avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di renderla felice.
Doveva essere uno
scherzo, una storia raccontata soltanto per sfogarsi, ma poco dopo Toby scompare
davvero. Jareth, il Re, ha realizzato il suo
desiderio.
Sarah si pente subito
di quello che ha desiderato e chiede più volte di poter riabbracciare il
bambino, ma Jareth si rifiuta di accontentarla. Solo dopo tante insistenze il Re le propone di
attraversare tutto il Labirinto che conduce fino al Castello dei Goblin, se
davvero vuole salvare suo fratello.
Ancora, dopo tantissime
peripezie Sarah riesce a salvare Toby e a ritornare sana e salva nel suo mondo.
Questa storia dunque
vuole essere un 'Dopo l'Epilogo'. Nel film si fa spesso riferimento ai sentimenti dei due protagonisti, soprattutto a quelli di lui, ma la situazione non viene realmente affrontata ed è lasciata in sospeso.
Cosa accadrà in futuro tra di loro?
La storia inizia con un loro incontro in questa ambientazione che ricalca il film, un incontro a metà tra sogno e
realtà, avvenuto grazie ai poteri di Jareth e soltanto alla completa conclusione di tutte le vicende.
Grazie a
chiunque vorrà leggere questo testo. Ho vissuto dei bei momenti
mentre lo scrivevo e mi auguro susciti le stesse belle emozioni a chi lo leggerà.
HOPELESS
"Che cosa è,
Jareth? Che cosa è tutto questo?"
Il brusio e le mani
che la toccavano, impedendole di muoversi e di fuggire, erano un gioco
di poco conto.
Non erano quelle cose
stupide a soffocarle il petto, stretto nel suo corpetto bianco da
principessa.
Delle dita scheletriche, affusolate, le afferrarono l'abito sfarzoso e delle risate sguaiate, attutite dalle maschere informi, la schernirono insolenti.
E il suo cuore si strinse
su se stesso non appena lui le rivolse un sorriso, arrivando a distruggere il piccolo mondo di vetro che aveva costruito nella sua testa.
"È un
sogno, Sarah. Tutto può succedere in un sogno."
No, non nei suoi
sogni.
Non aveva mai sognato
nulla del genere, non ne aveva la capacità.
Era troppo bello.
Provò ad
avvicinarsi a lui, tentò con tutte le sue forze, ma la gonna troppo ingombrante e lo strascico troppo lungo, erano calpestati dai tacchi delle altre dame invidiose. Ad ogni passo lei rischiava di cadere tra le braccia di quella gente che voleva soltanto deriderla e che voleva fermarla, voleva bloccarla in quel punto, in uno scherzo crudele.
Sarah era talmente tanto vicina a lui da riuscire a vedere i suoi occhi dietro la maschera, e allo stesso tempo era talmente tanto lontana da non poterlo neppure sfiorare. Era sempre stato così tra di loro.
Lui era il Re: irraggiungibile, anche solo a due passi di distanza.
"Non ti piace il
sogno?"
Lui abbassò
la maschera e forse la lasciò cadere per terra oppure la perse tra le pieghe del suo mantello.
Lei tentò nuovamente di muoversi e il mondo girò intorno ai suoi piedi, mentre delle dita rugose ricominciarono a strattonarla e a strapparle il velo. La sua testa era tormentata dal mormorio di crudeli pettegolezzi e di indicibili cattiverie, di bugie sussurrate in punta di piedi e di parole volgari sputate da bocche di porcellana.
Si liberò
dalla presa ferrea di quelle mani viscide e rischiò di ritrovarsi in ginocchio, inciampando nei suoi stessi piedi. Desiderava soltanto non ascoltare più altre favole distorte dalla falsità, raccontate da tante maschere colorate che si beffavano di lei e della sua goffaggine.
Ma non si può essere
più forti della volontà di un Re.
"Non ti piace il
sogno?"
Soprattutto perché lei non era davvero una Principessa.
"Questo sogno è per te. Ogni cosa qui è solo per te."
E
se il Re voleva il tuo male non c’era davvero salvezza.
Non c'era
davvero speranza.
Sarah si spogliò degli
orecchini che indossava e glieli gettò
contro il petto, quei pendenti pesanti di cui si privò insieme alla
collana e alle decorazioni tra i suoi capelli.
Si riprendesse ogni
cosa, bruciasse tutto all'Inferno, anche quella sala sfarzosa con quelle perle che pendevano dal soffitto, i tavoli ricchi di cibo, gli specchi sulle pareti, bruciasse ogni cosa.
Anche lei e la sua
incoerenza, la sua stupidità.
Le cortigiane tentarono ancora di fermarla e lei si sfilò le scarpe, voltandosi verso la folla che ballava e si divertiva.
"Non sono
più quella Sarah", gli disse, senza abbassare lo sguardo.
"Sarai sempre quella
Sarah. La mia Sarah."
Lei afferrò tra le dita la sua immensa gonna e gli diede le spalle, intrufolandosi nella calca a fatica e senza riuscire a scostarsi dai tocchi molesto. Lottò contro gli uomini che le tirarono le braccia o le urtarono le spalle.
"La mia Sarah che
fugge..."
Si dissolvesse il
sogno come era accaduto la prima volta.
Si disintegrasse la
bolla di realtà dentro cui loro erano, crollassero i muri, si aprissero anche i pavimenti, al pari di bocche affamate di lei e dei suoi nascosti segreti, e inghiottissero ogni cosa, anche
l'ultimo ventaglio bianco.
Tutto,
purché finisse.
Tutto, purché
fosse libera.
"... e che poi si
ritrova sempre qui. Tra le mie braccia."
Era riuscita a compiere soltanto pochi passi prima di ritrovarsi davvero tra le sue braccia, con le maniche dell’abito che le accarezzavano la pelle nuda, scoperta dai nastri poco annodati del corsetto.
Tra tutte le dame che
volteggiavano intorno a loro lei non riusciva a vedere altro, nessuna via di fuga, nessuna uscita secondaria posta all'angolo della sala, no,
non c'era nulla.
Perché con
lui non c'era mai stata speranza di salvezza.
"Tu... tu non hai alcun
potere su di me."
Glielo aveva
già detto, lo aveva già sfidato come una tra le
più caparbie ragazzine ingenue, cadendo sempre nella stessa trappola che lui aveva ogni giorno preparato appositamente per lei.
La sua pelle parve bruciare da dentro, come se in un punto imprecisato del suo petto un dolore infinito si stesse sgretolando insieme ad ogni sua certezza.
"Un cuore innamorato.
È il potere più grande che tu potessi darmi."
Scosse la testa e sollevò il mento. Voleva osservare il suo viso e parlare senza
tentennare, urlare la sua verità, ma dimenticò - davvero? davvero l’aveva dimenticato? - una cosa importante.
Non
negli occhi. Non doveva mai guardarlo negli occhi, non così.
"Non è
vero."
Lui sorrise lentamente
e inclinò il capo in basso, verso il suo visino paonazzo, costringendola a schiudere le labbra, a balbettare impacciata. Lei provò ad allontanarlo, a dirgli qualcosa che lo facesse adirare talmente tanto da distruggere il gioco, da farlo cadere giù negli abissi più profondi del regno dei Goblin, confondendosi con uno tra i milioni dei pezzi di cristallo distrutti dalla sua vanità.
Ma tutte le parole
rimasero bloccate sulla sua bocca, incastrate tra i denti o in gola.
Jareth sollevò la mano e la pose sul suo sterno, poco al di sotto della scollatura, e continuò a sorriderle in un modo
che avrebbe dovuto farle temere il peggio, perché era lo stesso sorriso della prima volta in cui si erano incontrati.
"Oh, sì.
È un cuore davvero innamorato."
Gli afferrò
la mano e l'allontanò con rabbia mentre serrava le labbra
in una smorfia tanto stretta che neppure lei sapeva quanto stesse realmente dicendo di se stessa.
Eppure dovette essere
uno schiaffo per lui, perché le strinse il mento e la
costrinse a smettere di tormentarsi l'interno della guancia con i denti.
Sarah chiuse gli occhi
e fece un altro passo indietro, lasciando la sua mano a mezz'aria, un guanto blu che accarezzava il vuoto. Il suo sorriso non si incrinò neppure quando lei si voltò e fuggì di nuovo.
Si scontrò
con una coppia danzante che rise dinanzi al suo volto arrossato e venne spinta lontana da loro, cadendo addosso ad un'altra dama che sorseggiava del vino da un calice trasparente.
In tutto quello scontro di falsità il pavimento freddo
sotto i suoi piedi fu l'unica cosa a sembrarle reale.
Non c'era speranza,
non dentro una trappola costruita con tutti i suoi sogni più
nascosti, quelli che neppure lei conosceva e ricordava una volta
sveglia.
Lui era diventato
ancora più crudele nella sua terribile decisione di tormentarla in quel modo, deciso a dimostrarle un potere che lei già conosceva e che aveva provato a celare ogniqualvolta chiudeva gli occhi oppure quando camminava da sola in una strada
polverosa.
Non
aveva pietà.
"Ho messo un mondo ai
tuoi piedi, Sarah."
Jareth si era nascosto dietro ad un ventaglio nel momento stesso in cui lei aveva superato un'altra coppia che le aveva stropicciato l'abito.
Non si era accorta di essere in un nuovo angolo di quella sala, un’altra volta dinanzi a lui che sorrideva nello stesso identico modo di poco prima.
Non
aveva misericordia.
Jareth le
sfiorò la guancia con le nocche, in una carezza talmente
distratta che le sembrò quasi sincera.
Come se non fosse
premeditata in lui ogni azione, ogni tocco, ogni parola.
"Sii almeno gentile."
Gentile?
Lo guardò
negli occhi e fu uno dei suoi errori più grandi, quello che non avrebbe mai dovuto concedersi.
Quegli occhi.
Udiva in sottofondo i
bisbigli delle altre donne e le risate dei giullari, una musica dolcissima tra i passi e le pose delle coppie danzanti, il rumore di alcune posate cadute a terra, il fruscio delle perle appese al soffitto e il soffice staccarsi di magnifiche piume bianche in grado di attutire lo stridio dei tacchi contro il pavimento.
Eppure appariva tutto
talmente distante in quel momento, come se fosse ovattato, poco importante.
Talmente tanto
insignificante da poter essere dimenticato.
Lei era una Principessa scalza al cospetto
di un Re.
"Perché sei
tornato nella mia vita?"
Un Re che aveva degli occhi capaci di far inginocchiare un intero esercito ai suoi piedi.
Dal colore indefinito, con le pupille che si prendevano beffe dei poveri mortali.
"Non me ne sono mai
andato. Non mi sono allontanato di un passo."
Sarah si
portò una mano ai capelli e distolse lo sguardo, non
riuscendo più a respirare - il petto in affanno, il cuore
sotto ai piedi.
Il corsetto era troppo stretto, gli sbuffi dell'abito troppo pesanti, la
gonna un tormento senza fine.
Voleva soltanto abbassare le ciglia, reggersi il capo stanco tra le mani, apparire meno debole di quanto non fosse in realtà, essere quella Sarah di cui tanto andava orgogliosa. Non voleva essere quella strana caricatura di Principessa Trovatella che confida in un
sorriso fugace da parte del suo Re.
Gli diede le spalle e due uomini si scontrarono contro di lei, impedendole di muoversi
velocemente.
E poi a fermarla fu
una mano che le carezzò con infinita dolcezza i suoi capelli.
"Ti pettinerei i
capelli per ore, Sarah. Per ore."
"Bugie, tutte bugie."
Era ritornata una
bambina?
Davvero aveva risposto in quel modo, senza pensare di poter apparire più infantile e
più stupida di quanto già non fosse?
Una ragazza incapace
di fuggire da un ballo in maschera, ecco quello che era.
"Davvero non ti piace
il sogno? Cosa vuoi che cambi, cosa ti piacerebbe di più?"
Si
allontanò dalla sua mano e si voltò rialzando il
mento, perché Jareth era troppo vicino e molto più alto di lei.
La
Principessa Trovatella scalza.
"Sei crudele."
"Sono generoso.
Pensavo avessimo chiarito questo punto."
È generosa
qualsiasi attenzione di un Re.
Non importa se
comporta dolore, se mette sotto sopra il mondo intero, se cambia la disposizione delle stelle, se provoca più male che bene
- una distruzione nata per distrazione.
È comunque
il gesto di un Re.
E dovrebbe essere
apprezzato per il fatto di aver pensato, anche solo per un secondo, a qualcuno che non fosse se stesso.
Che ingrata Principessa.
"Allora restituiscimi
la mia realtà. Fammi tornare a casa."
Jareth le avvolse la
vita con le braccia e lei avvertì il suo cuore palpitare in gola e traboccare pericolosamente sulla sua bocca schiusa.
Batteva troppo forte,
sgretolava il suo controllo, le impediva di parlare e le faceva
temere di star perdendo un pezzo di se stessa.
Che ragazzina poco
intelligente.
Abbassò le
palpebre e poco dopo i capelli del Re le solleticarono la fronte.
Quella era una
trappola, un inganno creato con tutti i cocci rotti dei suoi desideri più negati.
"Ordinamelo
guardandomi negli occhi", le sussurrò all'orecchio, prima di
allontanarsi da lei e di lasciarla da sola.
Sola come era sempre
stata, sola nelle sue fantasie.
Non c'era speranza di
trattenere un sogno, si dissolveva ogni mattina rendendoti soltanto più vulnerabile.
È
un cristallo. Nulla di più. Ma se tu...
Si ridestò dai suoi ricordi
e lo intravide in un altro angolo della stanza, fermo ad osservarla mentre una
dama con l'abito grigio gli mormorava qualcosa all'orecchio, qualcosa a cui lui
non prestava attenzione se non il tempo di un assenso veloce e di un cenno di circostanza.
Una clemente cortesia l'interesse di un Re.
Il ventaglio di una
ballerina gli coprì una parte del volto, un gioco di luci e ombre ad ogni nuovo volteggio e inchino, eppure lui continuava ad osservarla e a sorriderle nell’attesa del momento in cui l’avrebbe vista rovinarsi con le sue stesse parole, con i suoi stessi sogni.
Era sempre stata la peggior nemica di se stessa.
Ti
mostrerà i tuoi sogni.
Corse verso
l'orchestra e, quando altre mani si aggrapparono alle sue maniche, lei lasciò che le strappassero l'abito - e sporcassero pure il bianco - e che le guastassero l'acconciatura già disfatta.
Aveva creduto che Jareth fosse appoggiato ad una parete opposta alla sua, ma non era così. Lui era al centro della sala e all’improvviso era al suo fianco, con una smorfia di superiorità sulle labbra e le mani già protese verso il suo
corpo. Si confusero in mezzo alle altre coppie, iniziarono a ballare.
E allora lei comprese che non era davvero
cambiata, perché ogni volta che tentava di fuggire in realtà si ritrovava ancora più stretta tra le sue braccia - glielo
aveva già detto, l'aveva già derisa.
La beffava, si
divertiva con il suo stupido giocattolino a cui avrebbe concesso la poca attenzione riservata a tutti i suoi svaghi meno importanti, la stessa poca cura e scarsa preoccupazione.
"Quale sarà
la tua vittoria? Quale sarà il tuo tornaconto da tutto
questo?"
Jareth la
avvicinò di più a sé, le mani aperte e morbide
sulla sua schiena, e le sorrise mostrandole i denti con una risata bassa.
Ma lei si
aggrappò alle sue spalle e nascose il volto vicino al
suo collo, continuando a parlargli sottovoce.
"Questo tormentarmi
cosa ti porterà? Quale vantaggio? Perché sprecare
tanto tempo soltanto per prenderti gioco di me?"
Lui immerse il naso
tra i suoi capelli e non smise di condurre la loro danza, senza mai sbagliare un passo e muovendosi leggero tra gli altri ballerini.
"Non so chi stia
tormentando di più tra noi due", le disse, piano.
Che il soffitto
cadesse sopra le loro teste e gli specchi riflettessero il vuoto in
quella sala, il vuoto nei loro cuori, e l'orologio la liberasse con lo
scoccare di ogni ora, anche di ogni minuto.
Tutto pur di avere una
vita senza quel sentimento.
Tutto pur di non
credere alle sue parole.
"Te l'ho
già detto,Sarah. Ho fatto tutto per te."
"Cosa? Cosa avresti
fatto per me?"
Che il cuore si
fermasse in quell'istante e il suo corpo crollasse a terra, come se fosse una bambola vecchia e scucita dalle tarme.
Si sollevò
sulle punte dei suoi piedi e vide che lui aveva gli occhi persi nel vuoto, immobili ad osservare un punto al di sopra della sua testa.
Quegli occhi. Le
pupille diverse.
Strinse le mani sulla sua giacca e gliela stropicciò, forse
gli arrossò la pelle, non seppe neanche lei come potesse riuscire a non volare via, come potesse riuscire a non cadere nel vuoto nella forma di un cencio di stoffe.
"Ogni cosa. Ogni
singola cosa è stata fatta solo per te."
Passò una
guancia sulla sua tempia e Sarah si aggrappò al suo collo, sentendosi sul punto di affogare - aveva già provato una volta a respirare sott'acqua,
facendosi del male.
"Mia piccola cosa
preziosa."
Il Re innamorato della
Principessa Trovatella.
Come
nelle favole.
Il Re misericordioso
che non ha occhi, non ha pensieri, non ha vita, se non per la
Principessa di un regno talmente tanto lontano e sperduto da non essere
più segnato su nessuna cartina, in nessun documento sbiadito, in nessuna scartoffia trascurata e dimenticata sul fondo di un baule.
Ama lei, ama lei, ama
solo lei.
Come nella sua favola.
E non c'era nulla che
potesse fare, in nessun modo avrebbe potuto salvarsi da una prigione perfetta, costruita con delle grate di cristallo.
Lui era troppo abile a mentire, a prendersi gioco dell'altro e poi a
ostentare indifferenza, lui che piegava la mente di ogni suo avversario nei futili secondi di noia.
Lei non doveva credere
a nessuna parole. Confondersi era qualcosa di semplice e sarebbe stato facile abbandonarsi tra le sue braccia
e non pensare più, non riflettere su quanto tutto fosse una
menzogna.
Quando mai lui aveva
compiuto un atto di generosità?
"Non... non
può essere", mormorò a se stessa, per
ricordarselo, per smettere di sognare ad occhi aperti.
Jareth
appoggiò il volto sulla sua spalla e la
sollevò da terra, continuando a farla volteggiare. Non percepì più freddo ai suoi piedi, solo ciuffi di aria e strati di vestiti che calpestava malamente, poi di nuovo il
pavimento e poi ancora il vuoto.
Danzava sospesa, proprio come il suo carillon.
"Cosa non
può essere?"
"Non è
reale, Jareth. Nulla di tutto questo lo è."
Non
sei davvero innamorato di me.
Era una favola, era
una lusinga alla vanità di una ragazzina sempre sola che desiderava diventare un’eroina.
La sala era brillante
e cupa al tempo stesso, una pioggia di stelle luminose mangiate dall'oscurità della notte, dagli occhi del Re.
Tutte le persone in
quella sala si muovevano in base ai suoi movimenti, gravitavano al ritmo dei battiti delle sue ciglia, e mai si avvicinavano a lui, mai si permettevano di sfiorarlo.
Immutabile,
irraggiungibile.
"Se fa male allora
è reale, Sarah."
Faceva male ballare insieme lui, essergli vicina sempre ad un soffio di troppo
distante, continuare quel gioco crudele interminabile.
"Principessa, devo
insegnarti tutto."
Le stringeva il cuore, le stringeva il cuore
troppo forte.
Si sarebbe spaccato in
due e di lei non sarebbe rimasto più nulla.
Jareth la condusse ad una colonna di marmo dove lei appoggiò la schiena,
nuda e accaldata.
Cercò di
nascondersi dai giullari che passeggiando le mostrarono scrigni falsi e tentò invano di non guardare i Bacchi che piluccavano chicchi d'uva viola e altre fanciulle ingioiellate che servivano calici d'oro ad alcuni uomini seduti scomposti lungo l'immensa tavolata ricoperta da grandi drappi bianchi.
Ridevano tutti, lo
facevano sempre, si schernivano a vicenda e non prendevano mai nulla sul serio, neppure loro stessi.
Era un rumore costante
che penetrava tra i suoi pensieri e la infastidiva, le rendeva ancora
più pesanti le palpebre.
"Sarah."
Era la corte di un Re,
era l'Inferno travestito da paese dei balocchi.
"La mia Sarah. Sempre
con gli occhi crudeli."
I suoi occhi erano un
labirinto di cui non avrebbe mai trovato la vera via di fuga.
Non c'era speranza.
E quando lui le
baciò la fronte e lei si aggrappò di riflesso al
suo viso, fu certa di essersi persa per sempre.
Era tra le sue braccia
e i suoi piedi erano sopra le sue scarpe, l'aveva posata lì sopra per fare in modo di non farla più camminare scalza su quel pavimento troppo freddo.
Generoso?
Con le sue spalle la
nascose al resto di quel mondo, la coprì con un
atteggiamento protettivo e le sistemò alcune ciocche dietro
l'orecchio sinistro.
Che
cosa hai fatto di generoso?
Gli
allacciò le mani dietro la nuca e iniziò a contare i suoi
respiri, a sentire un nodo in gola che l'avrebbe fatta sciogliere e
crollare in ginocchio fino a essere lei stessa la parvenza di un cencio vecchio senza alcun valore.
"Ti libero. Ti libero
da ogni legame imposto, dalle mie parole, da ogni cosa...”
"Pensi sia questo?
Credi di essere stata tu?"
Era stata lei, con tutte quelle
troppe storie in testa e nessuno con cui parlarne. Aveva narrato una favola come se fosse una maledizione, si era inventata l’affascinante personaggio di un Re capace di rapire un
bambino pur di liberare la sua Principessa da ogni fastidioso dovere.
Lo aveva voluto lei,
lo aveva desiderato e il suo sogno si era avverato in ogni minimo dettaglio.
"Certo che sei stata
tu, Sarah. Non nel modo in cui credi, ma sei stata tu."
Ma
quello che nessuno sapeva...
"Sei libero, ti rendo
libero da ogni mio capriccio”, ripeté contro il suo petto, il
naso che sfiorava la sua camicia decorata da strani merletti.
Non era reale, non
doveva dimenticarselo, una bugia, era solo una terribile menzogna.
Un’invenzione di una
adolescente disperata.
...
era che il Re si era innamorato della ragazza!
"Sono il tuo schiavo.
Ti regalo cento dei miei anni e mille altri e cento altri ancora. Ti
aspetterò per tutto il tempo che vorrai."
Si ritrovò
il cuore fuori dal petto, lungo la gola e di nuovo in bocca, tra i
palmi delle mani, nel rombare delle orecchie, ai loro piedi, nella
pancia, per le gambe molli e poi nello stomaco.
"Hai me stesso ai tuoi
piedi."
Guardò giù verso il pavimento e dovette reggersi alle maniche scure del suo abito pur di riuscire a non crollare a terra.
Perduta per sempre nel
labirinto delle sue pupille, legata ai suoi piedi da una catenina d'oro, con un sentimento oscuro annidato sotto le sue costole.
I suoi piedi nudi
sopra le sue scarpe nere.
Fu così che
la sua realtà si infranse, senza fare troppo rumore.
"Poni fine alla tua
crudeltà, Principessa. Amami."
Per
l'eternità.
"La mia
volontà... la mia volontà è forte
quanto la tua. La mia volontà..."
Poteva ricordare, era in grado di porre fine a tutto, così come lo aveva fatto la prima volta.
"Allora desideralo.
Con tutta te stessa, con tutta la tua forza di volontà."
Solo lei avrebbe
potuto distruggere quel sogno.
Dunque l'inganno era
quello, che ragazza ridicola e piena di contraddizioni.
Non lo desiderava
abbastanza, non lo voleva davvero.
La
Principessa era innamorata.
I suoi capelli biondi
le solleticarono le guance e le ginocchia cedettero di riflesso mentre
spiegazzava la sua camicia e il suo completo blu brillante.
Non esisteva la sala,
non c'erano davvero mormorii o risate, nessun ballo e nessuna musica
dolce.
Solo gigli bianchi che
cominciarono a rotolare giù dal soffitto, a fiorire dalle
perle, a scivolare lungo le colonne e poi a confondersi tra le piume.
E lui, così
bello.
Un demonio soddisfatto
di ogni sua malefatta, capace di far piangere gli angeli, i quali
avrebbero rinnegato la loro fede solo per un suo sorriso.
Piovevano gigli che
non lo sfioravano, volavano petali che lui raccolse in una mano e che donò a lei come se fosse un’offerta di pace.
Petali più
pericolosi di lame di spade, proprio adatti ad una ragazzina che aveva sempre vissuto di aspettative disilluse.
Dei gigli non potevano
pulire quanto di sbagliato ci fosse tra di loro, tutto il bianco del
mondo non avrebbe fatto differenza e non era disperata a tal punto da
non ricordarsene, almeno in un angolo buio della sua mente.
Ma non c'era
più modo di contenere quel sentimento, cresciuto insieme a
un dolore dolcissimo che avrebbe accettato fino alla fine dei suoi
giorni.
Vivere di amore e di
bellezza come le eroine dei suoi romanzi.
Vivere solo di lui.
"Credo di aver perso
questa volta”, gli rivelò, mentre accettava petali dalla sua mano e li
lasciava scivolare sulla sua gonna e poi a terra insieme agli altri
steli.
Lui sollevò
un angolo della bocca e lei sentì chiaramente un pianto
disperato da qualche parte oltre loro stessi.
Esisteva davvero
qualcosa oltre Jareth?
"Hai deposto le armi,
Principessa?"
"Ho solo capito che
non c'è speranza."
Senza speranza, un
amore del genere era senza speranza, era da folli incoscienti.
I
tuoi sogni, Sarah. Ti mostrerà i tuoi sogni.
Si era incastrata da
sola, con la sua stessa volontà aveva perso e si era ritrovata
incapace di compiere un altro passo, di allontanarsi per sempre da
quello che erano, dalle sue parole appassionate.
Un ultimo desiderio?
Lo
abbracciò, si strinse forte a lui e fu come perdere il cuore
ai loro piedi.
Fu come morire con la
certezza di aver amato e di essere stata amata.
La stessa fragile
intensità.
I suoi occhi, i suoi
occhi, i suoi occhi.
"Non c'è
speranza, Jareth. Non quando...”
Non
quando sei sempre stato tu il mio sogno.
Gli baciò
le palpebre e si sporcò le labbra con il suo trucco. Lo sentì sussurrare poco parole, mormorarle con passione.
- Mia
Sarah, mia Principessa, mia piccola cosa preziosa -
Non si accorse che
entrambi avevano chiuso gli occhi fino a quando non sollevarono le ciglia e il tempo si fermò.
Non sapeva se il mondo
stesse davvero crollando, se fosse un abbaglio oppure la
realtà.
Perse il fiato come
quando aveva corso, scalino dopo scalino, lungo tutte le scale del suo
Castello.
Era in una bolla di
sapone.
I
tuoi sogni.
Non c'era...
"Sarah."
Non c'era...
"Sono qui, Sarah. Sono
qui."
Perché le
sue guance erano bagnate?
Nelle sue orecchie
c'era il tintinnio della musica del suo carillon che la stava
commuovendo e che la stava imprigionando in una sfera di cristallo. Non poteva rompersi, oppure si sarebbe sciolta in mille lacrime, in atroci lamenti di principesse rinchiuse in uno sgabuzzino con il corpo malamente coperto da degli stracci.
Le lancette degli
orologi spezzate ai piedi di un baule logoro, i numeri scrostati e
illeggibili, i libri ingialliti con le pagine strappate e consumate.
Gli specchi che ridevano al
ricordo delle immagini di una lei bambina che indossava una corona finta, di carta
e pastelli.
"Sarah, torna da me."
Erano i suoi occhi a
farle perdere la strada per ritornare a casa.
Il suo respiro
sulle labbra le dava la sensazione che fosse tutto reale.
Se
fa male allora è reale.
Quanto male doveva
ancora farsi prima di convincersi che fosse tutto reale?
Avvicinò
ancora di più i loro volti e si specchiò nelle
sue pupille diverse, percepì gli occhi bruciare e le lacrime
scorrere, infrangersi sul mento di lui, sul suo stesso collo, sui gigli.
"Poni fine alla tua
stessa sofferenza, Principessa."
Non voleva che
scomparisse mai più.
Temeva molto di più una
esistenza vissuta senza di lui piuttosto che l’oscurità del suo
sguardo o il misero destino che avrebbe potuto attenderla ad
un soffio di secondi.
La Principessa scalza,
seduta sul trono, ad aspettare invano il ritorno del suo Re.
Il rintocco di una
campana si riverberò nel suo petto, in un punto imprecisato
di se stessa che lei credeva fosse morto alla fine della sua infanzia.
"Desideralo.
Desideralo e basta."
I suoi sospiri sulla
pelle, le braccia ancora avvinghiate intorno alla sua vita.
E c'era una porta
sulla parete opposta a loro.
Era una porta
già aperta, con una chiave dorata dentro la serratura
antica, il legno scuro e grattato, come se qualcuno avesse picchiato quella porta, con i pugni chiusi e la fronte appoggiata sopra di essa.
Generoso?
Come se qualcuno
avesse colpito quella porta talmente tanto forte da lasciare dei segni eterni che lei scorse da lontano. C'erano ancora delle macchie di sangue rappreso.
Che
cosa hai fatto di generoso?
Una promessa d'amore.
"Jareth, i tuoi occhi...”
"Sono i tuoi ad essere
crudeli. Sei tu che mi stai strappando il cuore."
Le sfiorò
la fronte in un altro bacio che le seccò la gola e le rese
impossibile il tentativo di rispondergli e di fermarlo.
"Sei sempre tu, Sarah,
sempre tu che mi hai già strappato il cuore. Momento dopo
momento."
Bastava solo
desiderarlo. Ogni suo desiderio sarebbe stato realizzato, si sarebbe
avverato soltanto il suo volere.
Ogni
singola cosa che io ho fatto...
"Anche adesso.
Soprattutto adesso."
Fu sul punto di
soffocare per tutte le parole che avrebbe voluto dire, ma che non riuscì a pronunciare.
Posò la
fronte contro il suo petto, di nuovo, e respirò male sul tessuto
liscio della sua camicia, sempre sul punto costante di star per affogare e di provare a cercare aria con la bocca aperta che si riempiva d’acqua.
"Avida Principessa.
Vuoi sentirti dire tutto, vuoi che io confessi ogni cosa."
No, non voleva, no,
no, davvero, no.
Che senso aveva ormai,
quale motivo?
Non riuscì a vedere
il suo volto perché le lacrime le offuscarono la vista, le
stritolarono la gola costringendola a singhiozzare.
La sua assenza sarebbe
stata una punizione terribile, un debito che non sarebbe mai riuscita a pagare se non trascorrendo una vita di assoluta infelicità.
Sarebbe stata una
esistenza a metà, non sarebbe stata vita, solo una mera
finzione insoddisfacente, proprio come quando da bambina preferiva dormire e nuotare nell'oblio piuttosto che aprire gli occhi e rendersi conto
dell'orribile realtà in cui viveva.
Un sopravvivere a
stento, con le ferite aperte dai soffi di aria sporca.
Non c'era...
"Sarah..."
"Io desidero con tutto
il mio cuore, io..."
Desidero rimanere qui
con te e non mi importa quali saranno le conseguenze, non mi importa quanto
faccia male.
Jareth pose una mano
tra i loro petti, proprio come all'inizio, proprio sul suo cuore mentre
altri fiori ricominciarono a crollare sul pavimento insieme a delle bolle di
sapone impalpabili.
Tutti i suoi sogni,
anche quelli dimenticati e anche quelli non ancora immaginati.
"Il tuo cuore,
così innamorato."
Il suono di un'altra
campana le strappò l'ultimo brandello di
razionalità rimasta, le portò via il suo passato
e ogni cosa che aveva creduto importante.
Ma il dolore poteva
sopportarlo, perché le avrebbe soltanto ricordato quale era la sua realtà.
Sua, di lui, di lei,
loro.
Si erano cancellati i
confini di queste differenze, semplicemente strofinando una gomma sulle linee tracciate da una matita mangiucchiata.
Era sua la
volontà di vivere in lui fino a confondere i battiti
cardiaci, di percepire la luce del Sole solo sotto la sua pelle, di
privare di importanza ogni secondo non vissuto attraverso i suoi occhi.
Per
sempre.
Respirare solo dalle
sue labbra, per sempre.
"Abbracciami."
Di
più, di più, ancora di più.
Jareth la
sollevò, continuando a stringerla, continuando a mormorarle
promesse che lei era certa avrebbe mantenuto. Le avrebbe mantenute
tutte, fino al suo ultimo respiro, e non perché era gentile.
Solo perché
non c'era alcuna speranza.
- Mia
piccola cosa preziosa, mia piccola cosa preziosa, mia piccola cosa
preziosa -
Solo perché
il Re era innamorato.
Il Re era innamorato
della Principessa Trovatella scalza.
Ed era abbastanza.
Per entrambi.
Note.
1. L'appellativo
Principessa Trovatella non è mio. Il modo in cui l'ho voluto
utilizzare e i diversi riferimenti li ho ripresi da Virginia De Winter,
specificatamente dalla sua splendida saga Black Friars. Infatti Gabriel
Stuart per riferirsi a Sophie Blackmore, all'inizio più in
modo di scherno, la chiamava Principessa Trovatella. Ho molto ricalcato
la mia Sarah sul personaggio di Sophie Blackmore, che io amo alla
follia. Infinitamente grazie a Lady De Winter per tutti i personaggi
che ha creato, tutti magnifici.
2. Naturalmente la
storia è mia ma i personaggi assolutamente no. Sono ripresi
dal Film 'Labyrinth'.
3. 'Mia piccola cosa
preziosa' lo dice lo stesso Jareth nel film, quando canta 'Within You'
in una delle scene finali. Così come anche il riferimento
agli occhi crudeli.
4. Le frasi 'La mia
volontà è forte quanto la tua', 'Tu non hai alcun
potere su di me', 'E' un cristallo. Nulla di più. Ma se tu..
ti mostrerà i tuoi sogni', 'Generoso? Che cosa hai fatto di
generoso?', 'Ma quello che nessuno sapeva.. era che il Re si era
innamorato della ragazza!', 'Ogni singola cosa che io ho fatto..' sono
riprese dal Film.
5. 'cento dei miei
anni e mille altri e cento altri ancora' è una ripresa,
anche se diversa e con modifiche di contesto e significato, del carme V
di Catullo. Per onestà sempre meglio specificare.
6. Il riferimento a
Jareth che pettina i capelli di Sarah è una ripresa di una
intervista agli attori del film, in cui Jennifer Connelly pare abbia
dichiarato che avesse molto legato con David Bowie e che appunto una
volte le avrebbe pettinato i capelli. Non so se sia realmente
così ma mi piaceva molto l'immagine.
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