“Non lasciare il calcio, Ken!”
La voce di Misugi giungeva alle mie orecchie lontana e gelatinosa.
Scorgevo i suoi occhi preoccupati e timorosi.
“Forse... tornerò sul campo, Jun”
All’improvviso, il suo sguardo s’illuminò, accompagnato da un sorriso
sincero.
Le mie mani si mossero piano in direzione di quel viso, poi lo
accarezzarono, emozionate, finché le nostre labbra non si unirono in un
bacio lento ma appassionato. Sempre più lontano, udivo il rumore
dell’acqua smossa dai nostri corpi, percepivo le bolle spumeggianti che
risalivano in superficie solleticandoci la pelle, inalavo il calore
umido della fonte termale che rendeva affannoso il respiro. Poggiai
poi le mani sulla schiena di Jun, stringendolo in un abbraccio.
Ma ciò che racchiusi fra le braccia fu solamente il vuoto.
Mi svegliai, spalancando gli occhi confuso. Nelle narici percepivo
ancora l’odore del legno bagnato, le mani fremevano per aver sfiorato
quella pelle morbida, come se non si fossero destate insieme al resto
del corpo.
“Buongiorno Wakashimazu!” Era la voce di Takeshi, a poca distanza.
Stordito, volsi lo sguardo nella sua direzione e lo vidi intento ad
indossare la divisa per gli allenamenti.
“Hyuga?” Chiesi con voce impastata, facendo un enorme sforzo per
riacquistare un minimo di lucidità, tentando di riconoscere la stanza
dell’albergo, che gli occhi ancora confondevano con la camera della
pensione.
Quella dove avevo passato le
mie notti con Jun.
“Lui è già sceso per la colazione, si è svegliato presto, sai come è
fatto!” Sorrise bonariamente Sawada sedendosi sul letto, deciso ad
aspettarmi.
“Va bene... faccio in un attimo!” Rassicurai il mio amico, sapendo bene
di essere in ritardo. Conoscendo il capitano, probabilmente, si era
lamentato della mia inerzia, negli ultimi tempi facevo una gran fatica
a svegliarmi. Avevo già disteso le braccia ai lati del letto per
costringermi a sollevarmi, stavo per alzarmi, quando, d’improvviso,
avvertii un brivido serpeggiare lungo la spina dorsale. Sentii il cuore
stringersi e i battiti mescolarsi veloci, alimentati da una sorta di
remota nostalgia. Istintivamente lanciai un’occhiata alle spalle, verso
le lenzuola bianche e il cuscino dove ancora s’intravedeva la sagoma
della mia testa. Il letto era terribilmente vuoto... e freddo.
“Ehi, Ken... tutto bene?” Chiese Takeshi, incerto.
Non risposi. Feci un profondo respiro, cercando di nascondere
l’amarezza che stavo provando e, con un colpo di reni, mi sollevai,
poggiando finalmente i piedi per terra. Fu il freddo pungente
dilatatosi dalla pianta dei piedi al corpo a svegliarmi
completamente dal torpore che ancora mi possedeva. Avanzai così verso
il bagno, portando indietro i capelli che cadevano fastidiosi sul viso.
Mi mancava. Jun Misugi mi
mancava terribilmente.
Non c’era mattina in cui non avvertivo l’assenza del suo corpo, del
piacere di risvegliarsi l’uno accanto all’altro. Avevo nostalgia della
sua voce, mi mancava la risata cristallina che spesso il principe
liberava, come quella sera alla festa tradizionale: aveva riso come un
ragazzino dopo aver vinto quel pallone che mi offrì come regalo, nella
speranza mi portasse fortuna. Ora, invece, la sua voce non era altro
che un’ eco lontana che sfumava via lentamente, lasciandosi dimenticare.
Ricordare i momenti passati con Jun mi suscitava una sorta di
malinconia dolorosa, eppure non potevo fare a meno di ripercorrerli,
osservarli da lontano. A volte ero io stesso a richiamare alla mente i
ricordi più dolci, per lenire la sofferenza e le sensazioni di vuoto e
mancanza che mi attanagliavano. Li inseguivo con fatica, ma loro
scorrevano via veloci, inafferrabili ed impalpabili, sfuggenti come un
treno ormai partito, che più insegui e più sei incapace di raggiungere.
Come uno di quei palloni finiti in rete prima ancora di esserti
lanciato per pararlo. Altre volte, invece, i ricordi emergevano
all’improvviso, rievocando le sensazioni provate in quei momenti, come
quando sul palato ti torna il sapore dolceamaro di qualcosa masticata
troppo velocemente, che non hai saputo assaporare davvero.
Qualsiasi cosa facessi o pensassi mi ricordava Jun. Lui era ormai parte
di me, lo avevo realizzato la sera prima, durante il discorso con
Misaki, ma, in fondo, lo avevo capito da tempo. Non aveva più senso
negare o fuggire, come lo avevo perso, dovevo cercare di ritrovarlo.
Mi sciacquai il viso velocemente con acqua ghiacciata, preparandomi a
scendere in campo. Quel giorno gli avrei parlato, assolutamente.
“Ehi, bell’addormentato, ti sei svegliato?” Fu la prima cosa che mi
disse Hyuga non appena scesi nella sala per la colazione. Il capitano
aveva già finito il suo pasto.
“Che fretta c’è?” Gli risposi canzonatorio, sedendomi al suo fianco.
“Tanto gli allenamenti cominciano fra un’ora...” Continuai, appoggiando
con calma il vassoio sul tavolo, rallentando appositamente i movimenti
per dimostrare di non avere alcuna fretta.
“Scansafatiche!” Borbottò Hyuga. “Wakabayashi sarebbe stato già in
piedi!” Aggiunse, nascondendo un risolino. Si divertiva a punzecchiarmi
e sapeva anche dove pungere, oltretutto!
“Sì, sì, lo so...” Feci spallucce, non dando importanza alle sue
affermazioni. “Tu, Tsubasa e Wakabayashi... i tre kamikaze giapponesi!
Io, oltre che al calcio, tengo anche alla mia vita!” Dicevo le prime
cose che mi venivano in mente per stare al gioco, ma, intanto, scrutavo
attentamente l’intera sala: non vedevo Misugi da nessuna parte, strano,
e notai inoltre l’assenza di Misaki. Colto da un improvviso moto di
inquietudine cominciai a mangiare velocemente per poter raggiungere il
campo il prima possibile. C’era qualcosa che non andava, me lo sentivo.
Quello che vidi poco dopo, sul campo, fu uno spettacolo che mi fece
raggelare il sangue: Misugi stava in piedi, al limite dell’area di
rigore, il sole che batteva prepotente sulle sue spalle, il corpo in
posizione di tiro. Il principe si preparava a calciare una cannonata in
direzione della porta, l’ennesima, a giudicare dai numerosi palloni
sparsi per il campo e dal sudore che colava lungo la sua fronte.
Da quanto tempo si allenava?
Il principe del calcio aveva uno sguardo serio e concentrato, sembrava
non curarsi minimamente dei compagni che arrivavano, scambiandosi
sguardi interrogativi per quella inaspettata presenza in campo. Ebbi
come l’impressione che tutti i ragazzi percepissero un alone di
tensione intorno al principe, come se l’ultima corda rimasta, l’unica
ancora di salvezza, si stesse per spezzare. Jun scattò sul pallone
scagliandolo violentemente verso la rete e, prima ancora che la sfera
smettesse di rotolare sul campo, si avventò su un’altra. Misugi
continuava a calciare in porta e in ogni cannonata sembrava concentrare
tutta la sua rabbia, tutta la frustrazione per aver sbagliato quel tiro
il giorno prima, quando c’ero io a difendere la porta. Era come se
avesse perso contro di me. E questo non poteva sopportarlo.
“Basta, Jun, smettila!” Gridò qualcuno, con voce strozzata.
Mi voltai verso la fonte di quel grido e, nel vederla, mi mancò in
respiro: che cosa ci faceva lei, lì? Sì, lei, Yayoi Aoba, la manager
della Musashi, la migliore amica di Jun... la ragazza per tanto tempo
innamorata del suo capitano.
“... io e Yayoi siamo sempre stati
amici, da quando eravamo bambini”
Stava in piedi a bordo campo, indossava un abito leggero e colorato, i
capelli raccolti in una coda che ne mettevano in risalto l’espressione
turbata, le mani giunte all’altezza della bocca. “Sta frequentando un
corso nelle vicinanze...” Avrebbe detto poco più tardi qualcuno dei
miei compagni.
“Eh, è proprio vero che quei due non riescono a stare separati...” Il
commento che qualcun altro avrebbe aggiunto, mentre io avrei voluto
poter gridare che le cose non stavano affatto come loro credevano.
Ma l’unica cosa che potei fare fu rimanermene in disparte e mandar giù
in silenzio.
“... fra noi c’è sempre stato un
profondo legame. Sapevo bene che per lei ero qualcosa di più...”
Misugi respirava piano, ormai i palloni stavano immobili e disseminati
in vari punti dell’area, chissà quante volte li aveva calciati. Il
principe rilassò all’improvviso le spalle, probabilmente il suo gioco
privato era terminato. Abbandonò così il campo, avanzando nella
direzione di Yayoi.
“... e io volevo illudermi che lo
fosse anche per me...”
“Tranquilla, Yayoi, ho finito...” Il sorriso dolce che Jun le rivolse
mi turbò non poco ed ebbi come l’impressione di ricevere un ulteriore
pugno allo stomaco da parte sua.
“Ma non puoi allenarti in questo modo, rischi di farti del male...” Le
parole dell’Aoba giungevano alle mie orecchie supplichevoli e quasi
dolci e, mio malgrado, mi trovai a ringraziarla, intimamente, per quel
suo gesto. Forse, almeno lei, sarebbe riuscita a placare l’ira di
Misugi.
Ma mi sbagliavo.
“Ho detto che sto bene, tranquilla...” Un sorriso forzato quello di
Jun, l’espressione che lentamente cambiava, alterandosi.
“Ma, Jun, perchè ti ostini...”
Non la fece finire di parlare. “Non preoccuparti, ho detto!” Esclamò
con tono grave, facendo intendere che non voleva più sentire alcuna
lamentela. “So quello che faccio... e adesso scusami, comincia
l’allenamento...” Il timbro della sua voce divenne nuovamente gentile,
ma, stavolta, anche Yayoi sembrò accorgersi dello sforzo enorme che il
principe aveva fatto per assumerlo. Misugi si allontanò, raggiungendo
alcuni compagni di squadra che cominciavano a riscaldarsi, scambiò poi
qualche parola formale con Matsuyama e infine cominciò alcuni esercizi
di stretching.
La ragazza lo seguì con lo sguardo, seriamente preoccupata, ed io feci
lo stesso. Eravamo entrambi senza parole.
“Ha detto al mister che d’ora in poi vuole allenarsi con tutta la
squadra...” Esordì Misaki alle mie spalle.
“Che cosa?” Domandai, sconvolto, continuando a tenere fisso lo sguardo
sul principe.
“... e l’ha detto anche a me, stamattina.
Non sopporto di diventare ogni giorno più
debole, di perdere in potenza e tecnica... queste le sue
parole...”
“Ma non è possibile...” Replicai, una sensazione di sudore freddo mi
scivolò lungo la spina dorsale. “E Mikami gliel’ha permesso?”
“... con la condizione di fermarsi non appena avrebbe accusato
stanchezza...” Taro mi superò, avanzando verso Misugi, senza guardarmi,
in modo che il principe non si accorgesse di quello scambio di battute.
Intanto, ancora una volta, il cuore si strinse in una morsa dolorosa.
“Fermarsi per la stanchezza”, ripetei fra me, disorientato e confuso,
mentre mi avvicinavo a Kojiro e Takeshi, unendomi al resto della
squadra per cominciare gli allenamenti. Se conoscevo bene Misugi non
avrebbe mai mantenuto quella promessa, a fermarlo sarebbe stato
solamente il suo cuore.
Perchè Misugi voleva farsi male fino
a quel punto?
Ben presto le mie previsioni si tramutarono nella realtà. Erano ormai
passati più di quaranta minuti dall’inizio dell’allenamento e stavamo
provando degli schemi d’attacco. I miei occhi non perdevano quasi mai
di vista quel numero ventiquattro e ad ogni minuto che passava
percepivo sempre più intensa la stanchezza che lo stava divorando.
Anche se si sforzava di nasconderla, leggevo nei più piccoli movimenti
l’indebolimento delle sue gambe, il respiro che si faceva mano a mano
più pesante. Ma lui resisteva, nonostante tutto, nonostante il sole
scottasse. Più quel corpo si affaticava, più sentivo il cuore farmi
male, come se il mio e quello di Misugi fossero entrati in risonanza.
Possibile che non ti rendi conto di
quello che mi stai facendo, principe del calcio?
Poi, d’improvviso, la confusione a centro campo, quando quel
ventiquattro blu oscillò sotto gli occhi di tutti. La corsa che si
arrestava, gli occhi appannati, il ginocchio in terra, la mano che
stringeva il petto all’altezza del cuore.
“Jun!” Il grido disperato di Yayoi, mentre correva verso di lui.
“Misugi!” Il mio, unito a quello dei compagni di squadra.
Scattai velocemente verso il centro campo, abbandonando la porta.
L’Aoba si stava chinando verso Jun, ma le afferrai il braccio con
forza, allontanandola. “Spostati” Sibilai, incurante di averle fatto
male e non guardandola neppure in viso. Intanto, sia il mister sia gli
altri compagni si avvicinarono preoccupati.
“Misugi, stai bene?” Domandai, sorreggendolo. Il suo corpo tremava,
aveva ancora la mano stretta sulla maglietta e teneva gli occhi
serrati, doveva provare un forte dolore al petto.
“Ken...” Un sussurro fra i denti, flebile e basso, quasi
impercettibile. Eppure riuscii a coglierlo, era simile a una
richiesta...
d’aiuto?
Provai un tuffo al cuore nell’udire il mio nome fra le sue labbra
“Jun...” Lo chiamai “Stai bene?” Chiesi ancora. Allentai la presa sulle
sue spalle, aprendo i palmi e muovendoli in un’impercettibile carezza.
Il suo corpo smise di tremare, irrigidendosi un istante dopo.
“... ami...” un suono flebile fuoriuscì dalle sue labbra, mentre il
principe spalancava gli occhi. “Mollami, Wakashimazu!” Esclamò brusco,
alzando lo sguardo, chiedendo di essere lasciato il pace. “Devo
riprendere gli allenamenti!”
E in quel momento qualcosa dentro di me scoppiò improvvisamente, come
se una fornace avesse cominciato ad infiammarsi nel petto, fomentando
tutte le sensazioni che lì albergavano. “Adesso basta!” Esclamai con
rabbia. “Vuoi finire per ammazzarti o ti decidi a smettere?” Lo
afferrai al collo della maglia, facendogli probabilmente male, ma non
m’ importava più. Non m’importava più neppure dei compagni che ci
guardavano.
Misugi era stupito e per un istante lessi confusione nei suoi occhi
“Wakashimazu ha ragione, Misugi. Non puoi continuare! Non avrai il mio
permesso...” Mikami si era avvicinato e guardava serio il numero
ventiquattro. Credo che il mister avesse compreso le ragioni puramente
calcistiche e d’orgoglio che avevano spinto Misugi a rivolgergli la
richiesta di potersi allenare come gli altri. E, forse, proprio per
quello glielo aveva permesso, per fargli sperimentare sul campo i
propri limiti.
E Jun, finalmente, parve capire.
“Ha ragione, mister. Mi scusi...” Rispose, abbassando lo sguardo e
cercando di sollevarsi da terra. Sembrava stare meglio, ma, nell’animo,
probabilmente non era così. “Sono stato un incosciente...”
Nell’udire quelle parole liberai un sospiro di sollievo e la rabbia
provata fino ad un attimo prima sfumò completamente. Ma Misugi non
resse oltre la mia presenza al suo fianco e, appoggiandomi le mani sui
polsi, mi costrinse a mollare la presa sulla sua maglia. “Grazie,
Wakashimazu...” Disse atono. “Non devi preoccuparti per me...” Alzò gli
occhi ed ebbe ancora una volta la forza di sorridermi in quel modo
dannatamente falso ed artificioso. Non so se Jun si accorse del fremito
che per un brevissimo istante scosse il mio corpo, ma, la cosa certa, è
che rimasi senza parole. Lo guardai e per la prima volta sentì
l’amarezza di quella sconfitta. Più bruciante di qualsiasi partita
persa.
“Misaki...” Dissi, senza distogliere lo sguardo da Misugi.
“Accompagnalo in infermeria...”
Al mio posto.
Diedi le spalle al principe, andando ad incontrare il volto di Misaki
che annuì in silenzio. Poi, mi rivolsi a Yayoi, poco distante. “Scusami
per prima... vai anche tu” Glielo dissi sinceramente e lei annuì,
facendomi cenno di non preoccuparmi. Ormai la cosa più importante era
che Jun si riprendesse. Del resto non mi importava. In quel momento non
avevo più forze, era come se fossi stato inghiottito dall’angoscia di
quella lotta disperata, travolto dall’astio di Misugi.
Dopo che Jun si era allontanato sorretto da Taro e Yayoi, Kojiro si
avvicinò. “Ehi, Wakashimazu...” Il capitano mi poggiò una mano sulla
spalla. “Che cosa ti è preso, prima?”
Gli scostai la mano bruscamente, superandolo. “Nulla, Hyuga”
“Eri molto arrabbiato...” Continuò, fingendo di non aver colto il
tentativo di evitarlo.
“Sì...” Solo a quelle parole arrestai il passo per voltarmi e guardarlo
negli occhi. “Ero arrabbiato, arrabbiato perchè non sopporto la
testardaggine di alcune persone che hanno voglia di morire sul campo!”
Ringhiai, sperando a quel punto che il capitano fosse soddisfatto della
risposta.
Non sopporto che si sia ridotto così
per colpa mia.
E, anche se soddisfatto non lo fosse stato, la cosa non mi toccava. Gli
voltai nuovamente le spalle, tornando al mio posto in porta, solamente
lì mi sentivo al sicuro. Protetto da tutto il resto.
Non se n’era ancora accorto Misugi, ne ero certo. Non era cosciente di
ciò che si era venuto a creare fra noi in quei giorni. All’inizio lui
era stato la
vittima del mio
contestabile comportamento, colui che ci aveva rimesso, soffrendone
visibilmente. Io, invece, ai suoi occhi ero il persecutore. Poi, col
tempo, durante i giorni di ritiro, a forza di sopprimere le sue
emozioni, aveva finito per trasformarsi lui stesso in
persecutore. Sembrava nutrirsi del
mio senso di colpa e, inconsciamente, deciso a torturarmi...
fino a quando?
Gli allenamenti ripresero in uno strano clima di incertezza e stupore.
I ragazzi sembravano essere meno energici e più distratti, sicuramente
ognuno di loro si stava chiedendo cosa fosse successo a Jun Misugi. Lo
avevano sempre conosciuto come una persona equilibrata, responsabile,
un giocatore conscio delle proprie capacità così come dei propri
limiti. Allora cos’era quel comportamento testardo e avventato di poco
prima?
Se lo stavano domandando tutti. E, nessuna risposta, ai loro occhi,
sembrava plausibile. Solo io e Misaki conoscevamo la verità.
Fino a quel momento Jun era riuscito a mantenere una certa padronanza
di sé, senza esporsi, mantenendo agli occhi dei compagni una parvenza
di normalità, sforzandosi di essere sereno. La sua personale battaglia
la stava combattendo contro di me, gli altri non c’ entravano
assolutamente nulla. Ma, a poco a poco, stava perdendo la capacità di
controllo, anche al di fuori della sfera privata e sembrava ormai non
rendersene più conto. Che stesse arrivando al limite?
Nell’ora successiva continuai ad allenarmi, lasciando al corpo il
compito di rispondere agli impulsi del gioco, mentre la mente si
perdeva in un turbinio di riflessioni a volte sconnesse, altre così
vivide da dimostrarsi particolarmente dolorose. Già, mi ero ripromesso
di riportarlo indietro, l’avevo promesso anche a Misaki la sera prima.
Non avrei rinunciato né al calcio né a Jun, perchè entrambi, per me,
erano di vitale importanza, così avevo detto.
Eppure il dubbio, mascherato da angoscia, cominciava a far vacillare
quelle mie certezze.
******
“Non è più lui, Misaki!” La voce singhiozzante di Yayoi permeava
l’intero andito. Aveva amato tanto Misugi e sicuramente fra lei e il
capitano della Musashi era rimasto un solido legame, per questo senza
vedere il suo viso, udendo solo la disperazione di quel suono, la
ragazza fu in grado di trasmettermi tutta la disperazione che lei
stessa provava.
Io me ne stavo poco distante, nascosto dalla parete del corridoio che
portava all’infermeria, appoggiato mollemente al muro. Finiti gli
allenamenti mi ero subito recato lì per accertarmi delle condizioni di
Misugi, ma, prima di svoltare l’angolo, nell’udire la voce di Misaki
sussurrare “Lasciamolo riposare”, non avevo più avuto il coraggio di
avanzare, fermandomi a pochi passi, nascondendomi come il peggiore dei
criminali.
“... è cambiato, è cambiato in questi ultimi tempi, perchè?” Continuava
Yayoi, affranta.
“Dai, cerca di calmarti... vedrai che si riprenderà...” Le rispose
Misaki e udii il fruscio di un abbraccio, probabilmente cercava di
tranquillizzarla. La voce gentile e confortante del numero undici mi
trasmise la sensazione che potesse anche essere possibile. Ma
l’amarezza non scivolava via neppure a quel pensiero.
“Perchè stava giocando fino a sentirsi male, perchè? Non si era mai
comportato così, non si sarebbe mai fatto del male con il calcio...
aveva degli occhi che non gli avevo mai visto, non gioca più con
passione...”
Sussultai nell’udire le ultime parole dell’Aoba:
passione...
“ ... il mio cuore è fragile ed è
debole. Ma io non sono come lui. Io non posso lasciarmi vincere dalla
malattia. Io voglio continuare a giocare a calcio, non ci rinuncerò
così facilmente, anche se ogni minuto che passo sul campo è una bomba
ad orologeria per il mio cuore...”
Le parole di Jun rimbombarono nella mia testa con una violenza
inaudita.
“Misugi, Mi vuoi dire perché ti
ostini a giocare a calcio, nonostante rischi di morire?”
“Semplice Wakashimazu... è la
passione...”
Il ricordo del sorriso che mi rivolse quel giorno divenne
improvvisamente doloroso come un’ ustione indelebile.
“... stavolta, c’è qualcosa che lo
sta facendo soffrire più del suo cuore... e quello sei tu”
Così anche le parole di Misaki. Jun non era più lui... per colpa mia.
Serrai pugni e denti. Forse, l’unica vera soluzione a tutto
quello era un’altra. E io avevo già preso la mia difficile decisione.
*****
“La prima fase del piano”: così l’aveva definita Misaki la sera prima,
mentre mi dava un in bocca al lupo. La faceva facile, lui. Sospirai
distrattamente, disteso a pancia in su sopra il letto, le mani dietro
la nuca e poggiate sul cuscino, aspettando il momento propizio.
La luce elettrica permeava l’intera stanza, rendendola artificiosamente
pallida, eppure più i minuti passavano più avevo l’impressione che
lottasse contro la foschia che s’infiltrava dall’esterno, cercando di
sopravvivere. Il sole era calato da tempo. “Credo che fra poco si
metterà a piovere, ci sono certe nubi fitte...” Disse Takeshi, aprendo
leggermente la finestra e guardando fuori. In quel momento una
silenziosa folata di vento mi raggiunse, increspandomi la pelle.
Sembrava volesse inghiottirmi, facendomi lentamente scomparire insieme
all’oscurità che portava dietro di sé. Intanto suoni sconnessi
arrivavano alle mie orecchie e io facevo l’impossibile per non
prestargli attenzione.
Lo stridere di una sedia trascinata nervosamente sul pavimento mi
riportò alla realtà. “E diamine, Ken, mi ascolti?” Il tono brusco della
voce di Kojiro risuonò per tutta la stanza. Il capitano stava seduto su
una sedia poco distante.
Il momento atteso era arrivato.
Feci un profondo respiro, cercando di concentrare tutti i pensieri in
un unico obiettivo. Dovevo riuscirci, senza ombra di dubbio. Facendomi
coraggio, assunsi l’espressione più irritata e rabbiosa che potessi
ostentare. “E lasciami in pace! Voglio un po' di silenzio!” Replicai ad
alta voce, fulminando il capitano con lo sguardo.
Trascorse un brevissimo lasso di tempo in cui l’aria si congelò.
Takeshi si volse di scatto nella nostra direzione, in allerta.
Vidi lo sguardo di Hyuga accendersi, furioso. “Cosa? Silenzio? Senti,
tu non impedisci a nessuno di parlare, chiaro? Solo perchè sei
nervosetto ultimamente non dobbiamo essere sempre sull'attenti per te!”
“Ehi, ehi, ragazzi, non litigate...” Sawada cercò come sempre di
mediare. Ma ormai la miccia si era accesa e io non aspettavo altro.
Quindi rincarai la dose, cercando di essere sempre più astioso.
“Ma veramente qui chi deve stare sull'attenti siamo noi! Vuoi sempre
avere ragione e se una volta tanto qualcuno non è d'accordo con te, ti
scaldi come una iena! Mi sono rotto!” Alzai bruscamente la voce,
reggendo lo sguardo di Hyuga, mentre, con un balzo nervoso, scendevo
dal letto.
“Cosa stai dicendo? Sei impazzito?” Il capitano scattò su dalla sedia,
stringendo i pugni. I suoi bicipiti si gonfiarono nervosi. “ Vedi di
darti una calmata, Ken. Solo perchè hai passato un periodo sottotono
non credere di farmi compassione!”
Inarcai un sopracciglio, guardandolo dall’alto in basso. “Mah...
forse quello sottotono sei tu, Hyuga. Non sei ancora riuscito a
segnarmi un goal o mi sbaglio?” E accompagnai il tutto con un sorriso
ironico e pungente.
Ci avrei scommesso. Avevo toccato il tasto dolente, facendogli perdere
la pazienza.
Il suo pugno arrivò dritto e preciso sul mio viso, ma il dolore che mi
provocò si mescolò al sapore del trionfo. “Maledetto!” Ringhiò Kojiro
in preda alla collera.
“No, capitano, fermati! Ken, non...” Takeshi provò ad intervenire,
frapponendosi fra di noi, ma io lo scansai con la mano, facendogli
capire di starne fuori.
Il mio sinistro raggiunse il mento di Hyuga restituendogli il favore.
Il capitano mi afferrò per la collottola sbattendomi al muro,
avventandosi come una tigre impazzita sul mio corpo. Purtroppo per lui
io non ero abituato a dare cazzotti alla rinfusa, lasciandomi
travolgere dalla rabbia. Sapevo bene come difendermi da un pugno o da
un calcio e avrei potuto atterrarlo in breve tempo. Ma il suo orgoglio
non me l’avrebbe davvero perdonato, inoltre, i colpi di Hyuga e i
lividi annessi, sarebbero stati la giusta punizione per quel
comportamento, un modo per espiare le mie colpe nei suoi confronti.
Non so quanti minuti passarono da quando ci eravamo accaniti l’uno
sull’altro, dandocele di santa ragione, finendo per ruzzolare in terra.
Solo la voce di Takeshi ci fece tornare in noi.
“Basta, smettetela!” Gridò Sawada.“Ragazzi, se arriva qualcuno
passerete dei guai, lo sapete o no?” Urlò il nostro amico, anche lui al
limite della pazienza.
Nell’udire quelle parole mi fermai, stremato. E anche Hyuga. Ci
fissammo negli occhi per alcuni secondi, leggendoci dentro qualcosa di
indecifrabile, respirando affannosamente. Probabilmente il capitano si
aspettava un mio sorriso, una risata post- scazzottata capace di
quietare le acque e fare tornare tutto alla normalità, com’era sempre
stato fra noi fino a quel momento. Ma, quella volta, non sarebbe stato
così.
“Mi sono stufato. Basta!” Esclamai, scansando Hyuga per alzarmi da
terra. “Sawada ha ragione! Non voglio certo essere messo fuori squadra
per colpa tua.” Sputai con astio e rabbia, cercando lo sguardo del
capitano per fargli capire che non stavo affatto scherzando. “E stando
qui mi verrebbe solo voglia di prenderti a pugni!” Conclusi con forzata
arroganza.
Vidi negli occhi di Kojiro balenare un lampo di incertezza. “Ma che
cazzo stai dicendo, eh Ken?” Il capitano, tuttavia, fu abile a
ricacciarlo indietro.
“Che ho bisogno di stare tranquillo” risposi stancamente “e qui non lo
sono!” Mi avvicinai alla porta senza guardare i miei due compagni, poi
l’aprii.
“Che fai, Ken?” Fu la voce supplicante di Takeshi.
Sorrisi fra me evitando di voltarmi.
“Vedo di cambiare stanza” E mi chiusi la porta alle spalle.
Solo quando fui a pochi passi dalla camera mi guardai indietro,
portandomi una mano sul mento, nel punto che più mi doleva. “Mi
dispiace, capitano, scusami...” Sussurrai fra me. “Ma non potevo fare
altrimenti...” In qualche modo, sapevo, gli sarebbe passata, lo
conoscevo bene Hyuga. Ora, invece, la cosa più importante per me era
soltanto Jun.
La resa dei conti stava infine per arrivare.
Misaki mi stava aspettando sulle scale, fra il secondo e il terzo
piano, come da programma. “Scusa il ritardo!” Gli dissi, non appena lo
vidi poggiato al muro, borsone fra le mani.
“... è stata più dura del previsto, eh?” Domandò Taro comprensivo,
facendo cenno con la testa ai lividi che sfoggiavo in pieno volto.
“Eh, eh... Hyuga ci è andato pesante...” risposi sdrammatizzando “ma va
bene così!” Poi feci un profondo respiro, infine alzai lo sguardo,
serio. “Jun? Come sta?”
Misaki sorrise “Stai tranquillo, sta bene... si è ripreso da
stamattina!” Le sue parole mi rincuorarono. “E sei anche fortunato! È
andato ad una riunione insieme a Mikami e allo staff, così avremo modo
di muoverci più facilmente!” Taro era davvero fiducioso e il suo fare
complice ed ottimista riusciva a mitigare l’inquietudine che
s’ingrossava nel mio cuore, come un mare in piena.
“Dai, andrà tutto bene!” Mi diede un’amichevole pacca sulla spalla,
quasi leggesse i miei pensieri.
Aspettammo ancora diversi minuti prima di salire nella mia camera, poi,
trascorso il giusto lasso di tempo, ci avviammo. Misaki era di sicuro
la persona che avrebbe destato minori sospetti alla mia scelta, dato
che lui conosceva da anni Sawada e il capitano. Inoltre, ero certo che
mi avrebbe coperto su tutti i fronti, anche nel caso di domande poche
opportune dei due nuovi compagni di stanza. Qualsiasi cosa avesse
detto, sarebbe stato impossibile non credergli. Come previsto, Takeshi
fu felice di vedere Taro e lo accolse amichevolmente, i due erano
sempre andati d’accordo; Hyuga, invece, non ci degnò di uno sguardo.
Seduto sul letto, continuava a sfogliare la rivista che teneva sulle
gambe. Io, intanto, raccoglievo silenziosamente le mie cose e le
mettevo nel borsone, ignorando bellamente il capitano, nonostante, nel
mio animo, gli chiedessi scusa più e più volte. Lo sentivo ogni tanto
sbuffare, evidentemente la mia presenza lo infastidiva e cercava, con
quei modi, di sollecitare la mia uscita di scena.
“A domani!” Dissi un po’ brusco, mentre uscivo dalla porta. La
sceneggiata doveva sopravvivere fino alla fine. Naturalmente solo
Takeshi e Taro mi salutarono e quest’ultimo mi lanciò anche un’occhiata
d’incoraggiamento. Ne avevo davvero bisogno. Mi avviai, sacca sulle
spalle e passo lento, verso il lungo corridoio, andando incontro a
quello che sarebbe stato l’inizio.
O
la fine.
*******************
La porta si aprì con un
clack
secco e subito fui investito da una folata di vento spirato dalla
finestra aperta, mentre le tende azzurre si agitavano verso la porta.
Percorso da un brivido gelido non riuscii ad avanzare oltre, quasi
fossi stato bloccato sul posto. Mi guardai intorno, lentamente,
scrutando ogni piccolo particolare della camera, dai letti separati dal
comodino bianco, al piccolo frigorifero sulla parete opposta. Avevo
bisogno di prendere confidenza con quell’ambiente per non sentirmi
disorientato. Poi, improvvisamente, come se oltre alla vista
cominciassi a concentrare le energie anche sull’udito, avvertii un
rumore provenire da qualche punto della stanza: lo scrosciare
dell’acqua permeava l’intera camera. D’un tratto spalancai gli occhi,
trattenendo il respiro, quasi avessi il timore di mostrare la mia
presenza. Qualcuno stava facendo la doccia nel bagno interno alla
camera.
“Misaaaaki! Faccio in un attimo!” La voce di Misugi arrivò come una
pugnalata al cuore. Barcollai, colto da un senso di vertigine,
chiudendomi la porta alle spalle, appoggiandomi ad essa in cerca di un
appiglio. Le gambe non smettevano di tremare. Poi socchiusi gli occhi,
cercando di mantenere la calma, soffermandomi sui battiti del cuore che
ticchettavano veloci ed intensi Avevo riflettuto a lungo sul da farsi e
non potevo più tirarmi indietro, anzi, non lo volevo. Mi avvicinai così
ad uno dei letti, sedendomi sul bordo, mani alla testa e gomiti sulle
ginocchia. Respirai profondamente, ancora e ancora.
Dovevo riportare indietro Jun a tutti i costi.
A qualsiasi prezzo.
“Tu… cosa ci fai?” Tremò la voce di Jun.
Alzai lo sguardo e lo vidi in piedi sulla porta, i capelli bagnati che
gli solleticavano il viso, l’ asciugamano legato intorno alla vita, il
torace nudo e gocciolante, le labbra leggermente socchiuse come se
volessero aggiungere ancora qualcosa. Gli occhi mi esaminavano non
convinti ed io mi persi nella profondità di quelle iridi nocciola.
Jun era davvero la creatura più bella
che avessi mai incontrato.
Misugi aveva un’espressione indecifrabile. Era stupito, questo è certo,
ma ebbi l’impressione che si aspettasse una mossa simile, poiché, prima
di rivolgermi nuovamente la parola, scrollò le spalle infastidito.
“Cosa significa questo? Dov’è Misaki?” Domandò, imperturbabile, come se
dovesse giudicare una persona già condannata a morte.
“Ci siamo scambiati la stanza. Lui sta con Kojiro e Takeshi.” Risposi,
mantenendo la calma più assoluta. E anche un’ostentata freddezza.
“Che cosa?” Questo, invece, non se lo aspettava. “Che diavolo
stai dicendo? Cos'è questa storia? Cosa hai detto a Misaki?” Jun
strinse i pugni e alzò la voce, visibilmente alterato.
Ma stranamente non avanzava di un solo centimetro, continuava a
rimanere sulla porta del bagno, quasi evitasse di uscire dalla trincea
nel timore di rimanere ferito nello scontro. Aveva paura di fare un
passo falso, perchè sarebbe stato come camminare su uno specchio
d’acqua carico di elettricità.
Mortale.
“Gli ho solo detto che volevo cambiare stanza perché avevo litigato con
Hyuga...”
“Lo vedo...” Sibilò Jun, lanciando un’occhiata ai lividi sul mio viso e
cominciando a mettere insieme i pezzi del puzzle.
“E Misaki ha accettato. Non è una persona stupida.” Aggiunsi,
abbassando leggermente la testa per sfuggire al suo sguardo indagatore.
Jun parve pensare qualcosa, poi sospirò nuovamente.“È vero.”
Il silenzio calò sulle nostre spalle come un pesante macigno,
alimentando la tensione che aleggiava nell’aria. Credo che quei brevi
attimi servirono a Jun per capire che non doveva, non poteva, più
fuggire. Avrebbe dovuto ascoltarmi una volta per tutte.
Così, alla fine, fu costretto a cedere. “Cosa vuoi, Wakashimazu?”
Chiese nervoso, voce bassa e roca. Senz’altro sperava che quel momento
terminasse il prima possibile.
Non ero mai riuscito a rispondere a quella domanda fino ad allora. Mi
alzai, lentamente, fermandomi a pochi passi da lui. Lo guardai negli
occhi, volevo essere sincero fino all’ultimo istante. Allungai le mani
per potergli toccare le spalle, desideroso di abbracciarlo. Il mio non
fu un tocco impulsivo ed aggressivo come la sera nel giardino
dell’albergo, bensì delicato, come se avessi paura di mandare in
frantumi il suo corpo di cristallo. Ma non appena lo sfiorai, Jun si
ritrasse, stringendosi nel proprio corpo, indietreggiando di pochi
passi. “Stammi lontano!” Intimò.
Mi aspettavo una reazione del genere, quindi arrestai il passo,
fermandomi sul posto, lasciando a Misugi la sensazione di sentirsi
protetto dalla distanza che ci separava. Assecondando i suoi voleri.
“Io... voglio stare con te, Jun.”
Glielo dissi, finalmente, e lo feci guardandolo negli occhi, senza
mostrare la minima esitazione.
Rigido. Vidi il corpo di Jun
irrigidirsi di colpo, quasi fosse diventato una statua di piombo.
“Che... che cosa stai dicendo?” Tremava, la sua voce. “Che cosa...
significa?”
“Jun, io...” Provai ad esprimere tutto ciò che avevo nell’animo,
sperando di raggiungere il suo cuore. “Sono stato uno sciocco a
lasciarti andare via così. Non sono stato sincero neppure con me
stesso. Io... ero pieno di dubbi sul calcio e su
me stesso prima di incontrarti. Tu
mi hai dato molto in quei giorni che siamo stati insieme. È grazie a te
se sono rientrato sul campo e ho capito che non posso rinunciare al
calcio...”
“Bene...” M’interruppe Jun. “Almeno a qualcosa sono servito.”
Quel tono astioso e sarcastico fu capace di ferirmi. Probabilmente era
quella l’intenzione.
“Smettila, non sto scherzando!” Alzai la voce, stringendo i pugni,
rendendomi conto che quel muro che Misugi aveva eretto fra di noi non
era affatto facile da abbattere. “Tu sei molto importante per me...
solo che l’ho capito troppo tardi!” La mia voce s’incrinò. Di fronte a
me lo sguardo sfuggente di Misugi e il suo corpo che continuava ad
indietreggiare ad ogni passo che, inconsapevolmente, facevo verso di
lui. Mi sembrava di barcollare nel vuoto, il terreno sotto i piedi
instabile, instabile il mio animo irrequieto.
“Lasciami in pace, Wakashimazu, ti prego.” Una crepa nel tono deciso
del principe. “Io... non voglio più sottostare ai tuoi sbalzi d’umore!”
“Non è uno sbalzo d’umore, Jun...” Mormorai supplichevole. “È ciò che
realmente penso.” Ma il principe sembrava sempre più restio ad
ascoltarmi. Non poteva finire così, non doveva. Con un movimento veloce
gli fui davanti e lo afferrai per le spalle, la sua pelle era ancora
tiepida e umida.
L’odore del suo corpo pericolosamente
vicino.
“Lasciami, Wakashimazu!” Gridò, cercando di divincolarsi, ma stavolta
non gli permisi di fuggire.
“Ti amo, Jun!” Gli dissi, stringendogli i polsi e costringendolo a
guardarmi negli occhi. Jun interruppe il tentativo di liberarsi,
trattenendo il respiro. “Ti amo, cazzo!” Continuai col cuore in gola.
“Ti amo da impazzire...”
Ognuno di noi scandagliò lo sguardo dell’altro per infiniti secondi,
mentre la brezza fresca proveniente dalla finestra aperta faceva
rabbrividire i rispettivi corpi e nell’aria si diffondeva l’odore umido
della pioggia.
“.... vero” Un respiro instabile fra le sue labbra, le vertigini che
percorrevano il corpo. “... non è vero...” Un singhiozzo strozzato.
“NON È VERO!”
Jun gridò, afferrandomi i polsi e strattonandomi via con forza La
rabbia accumulata e soffocata per tutto quel tempo, il rancore, la
tristezza, la frustrazione e l’angoscia: ognuno di questi sentimenti
implose nel suo cuore per poi esplodere violentemente in quell’attimo
in cui la sua mente si offuscò, così come lo sguardo, che divenne
annebbiato e confuso, come se non riconoscesse più alcuna cosa intorno.
Misugi cominciò a tremare agitato, aveva il respiro affannato e teneva
stretta la testa fra le mani, premendo i palmi sopra le orecchie, per
non sentire più nulla, per non essere più costretto a farlo. I denti
battevano isterici.
“Jun, ti prego, calmati, Jun!” Lo chiamai con voce sommessa, spaventato
da quella reazione. Incerto, provai ad afferrargli un braccio nel
tentativo di calmarlo, ma Misugi mi respinse violentemente, con una
forza che non avrei mai immaginato.
“Nooo! Lasciami!” Aveva cominciato a gridare, muovendosi convulsamente,
lo sguardo perso nel vuoto.
“Jun!” Cercai di trattenerlo, ma mi conficcò le unghie nelle braccia,
strappandomi un gemito di dolore, allontanandomi ancora.
Ero sconvolto da quella sua reazione, vederlo in quello stato mi
terrorizzava. “Calmati, Jun ti prego!” Lo supplicai. Ma lui sembrava
non vedermi, non sentirmi, come se avesse precluso ai sensi la facoltà
di funzionare, rinchiudendosi in qualche anfratto irraggiungibile della
sua mente. Mi faceva troppo male osservare impotente la sua crisi. Era
affannato e avevo paura per il suo cuore, sottoposto a uno sforzo
enorme. Gli avevo provocato così tanto dolore? Aveva sofferto così
tanto per il mio comportamento?
Era così. L’evidenza del suo dolore si presentò cruda davanti ai mie
occhi.
Non lo potevo più sopportare. Mi avventai ancora una volta su di lui,
afferrandogli le spalle con prepotenza, resistendo alla sua forza,
incurante dei graffi che mi laceravano la pelle o dei gomiti
incontrollati che cercavano di colpirmi. Durante quei movimenti nervosi
l’asciugamano che gli avvolgeva la vita scivolò via dal suo corpo, ma
Misugi non se ne curò.“E lasciami! Non voglio più saperne di te,
lasciami!” Continuava a gridare. “Sei tu quello che ha detto di fare
finta che non fosse successo nulla, di dimenticare! E ora cosa vuoi da
me? COSA VUOI DA ME!!”
“VOGLIO TE!” Gridai, più forte di lui, la presa ancora salda sulle sue
spalle, le dita del principe conficcate nella carne delle mie braccia.
Il movimento frenetico del suo corpo si arrestò di colpo, mentre
spalancava gli occhi.
Misugi boccheggiò, respirando a fatica. Sentii gli spasmi del suo
corpo diminuire pian piano fin quasi a scomparire. Le lacrime di Jun
presero a scendere lentamente, scivolando sulle sue guance, mentre i
piccoli singhiozzi soffocati si unirono a quel suono lontano che
giungeva dalla notte: al di là della finestra la pioggia aveva
cominciato a cadere. Una pioggia sottile e silenziosa, senza lampi né
tuoni, di quella che non ti spaventa, ma che ti fa sentire irrequieto,
perchè non sai mai quanto possa durare. La stessa che ti rende
malinconico quando osservi il fitto cielo grigio che l’accompagna.
La stessa pioggia che ci aveva
avvolto quella volta, la mattina del nostro primo bacio.
Jun aveva gli occhi colmi di lacrime e i nervi a pezzi. Sembrava
smarrito. Quell’immagine travolse la mia testa fino ad assestarsi in
essa con tutta la sua durezza, privandomi delle ultime forze rimaste.
Non ero più in grado di lottare. Rilassai le mani che ancora stavano
ancorate sulle sue spalle, facendole scorrere sulla pelle morbida e,
come se non sentissi più la forza nella gambe, mi accasciai in terra,
rimanendo aggrappato alle sue braccia, in ginocchio ai suoi piedi.
Tenevo la testa abbassata, i capelli che mi scivolavano giù dalle
spalle, gli occhi fissi ossessivamente sul pavimento.
“Perdonami...” cominciai con un sussurro “perdonami per non aver avuto
la forza di accettare la verità, Jun! Perdonami!” La voce veniva fuori
con fatica, strozzata dal nodo che mi si era stretto in gola. “Tu
e il calcio siete tutto per me.
Tu
sei tutto per me. E ora che non sei più il Jun che ho conosciuto, ora
che sei cambiato a tal punto per colpa mia... neanche il calcio ha più
senso...”
Il mio corpo tremava come una piccola foglia al vento, diventata ormai
troppo vulnerabile.
“Io... sono disposto a tutto. Ti lascerò in pace, te lo giuro.
Lascerò il calcio per poter sparire
dalla tua vita...”
Le mie mani si strinsero ancora di più alle sue braccia, mentre gli
occhi avevano cominciato a bruciare. A quelle parole un sussulto scosse
il suo corpo.
“Ma tu... torna ad essere il Jun Misugi di cui mi sono innamorato...”
La voce spezzata dalla disperazione.
“... ti prego...”
E il senso di colpa che mi divorava.
“... non lo sopporto... non sopporto vederti così...”
Le gambe di Misugi tremarono per alcuni istanti, finché il principe non
si lasciò cadere mollemente in terra, anche lui allo stremo delle
forze. Per secondi eterni regnarono solo i nostri respiri, la pioggia
battente sul davanzale e le lacrime di Jun che s’infrangevano sul
pavimento.
Poi, all’improvviso, un suono...
“Il calcio...” la sua flebile voce, affaticata “non devi lasciarlo...
non farlo, Ken...”
Sollevai il viso, andando ad incontrare il suo sguardo, timoroso di
leggervi dentro. Eppure, non appena incrociai i suoi occhi, mi resi
conto che non vi albergava più l’astio di poco prima. Ora vi era solo
uno sguardo che lottava per recuperare la propria lucidità.
“... ti avevo detto che il calcio va amato indipendentemente dai
motivi...” Scorsi un’espressione diversa sul volto del principe “che la
passione è passione e basta...” quella gentile, che non vedevo da tempo
dipingersi su quel viso.
“...è... è vero...” risposi, temendo di star sognando “ ma mi avevi
anche detto di trovare un buon motivo per giocare a calcio... e
l’ho trovato: sei tu!” Esclamai infine, timidamente, nel timore di dire
qualcosa di sbagliato ma tremendamente vero. “Quando tu sei vicino a me
negli allenamenti, nelle partite, io mi sento felice e do il meglio.
Questa è la verità. E che sia un motivo valido oppure no la cosa non mi
interessa. Perché è così e basta. Io voglio giocare con te e contro di
te, condividere il calcio con te...”
Di tutte le cose che avevo detto fino a quel momento, quelle,
probabilmente, furono le parole che lo colpirono di più.
Jun scosse la testa. “Non c’è proprio speranza, eh?” Il principe
sorrise, finalmente.
Quel sorriso che mi era tanto mancato.
“Pare proprio di no...” Risposi, portando timidamente la mano sotto i
suoi occhi per asciugargli le ultime lacrime. “Non piangere più...”
Sussurrai, appoggiando il palmo sulla sua guancia, accarezzandola
piano. Jun portò la sua mano sulla mia, intrecciando le dita,
spingendola ancora di più sul viso. Poi chiuse gli occhi e respirò
profondamente.
“Ken...” Disse piano “ti amo... tantissimo...”
L’emozione che provai nell’udire quelle parole fu talmente intensa che
sentii il cuore scaldarsi, alimentato da una nuova energia: i
sentimenti per Jun che ora potevo manifestare in tutta la loro
intensità. “Anch’io, Jun.... anch’io...” Risposi, portando anche
l’altra mano sulla sua guancia, accarezzando ogni parte del suo viso,
seguendone il contorno degli occhi, del naso, delle labbra.. Era
come se avessi paura di perderlo di nuovo, come se da un momento
all’altro sparisse sotto le mie dita.
Dovevo sentirlo lì, con me.
Non so, forse trattenei le lacrime. Jun mi accarezzò i capelli
volgendoli dietro le spalle, scostandoli dagli occhi. Poi mi guardò e
sorrise, ancora. Ricambiai lo sguardo, prima di avvicinare le labbra
alle sue e cominciare a baciarlo, con una dolcezza mai usata fino a
quel momento. Volevo che sentisse, sentisse tutto quello che provavo
per lui.
Jun non si oppose, anzi, schiuse le labbra accogliendo con delicatezza
le mie, in un bacio che fu il più lungo e sincero che ci fossimo mai
scambiati. Contemporaneamente portò le mani sulla mia schiena,
cingendomi in un abbraccio forte e delicato allo stesso tempo. Era
nudo, sotto di me. Potevo sentire ogni forma del suo corpo accarezzare
le mie, il calore eccessivo della pelle trasmettersi ad ogni
terminazione nervosa del mio corpo.
Mi era mancato, da morire.
E fu come il sereno che emerge dopo una burrascosa tempesta, anche se,
al di là della finestra, la pioggia continuava a cadere fitta, ma avevo
l’impressione che lavasse via gli ultimi sprazzi di dolore, quelli che
fino a quel momento avevano albergato nei nostri cuori.
“Mmmh…” mugolai all’improvviso, dolorante, cercando comunque di non
distrarmi da quel bacio. Tuttavia, Misugi si staccò delicatamente dalle
mie labbra, guardandomi interrogativo. “Tutto bene?” Domandò.
“Sì, sì…” Risposi, ma fui tradito dal movimento della mia mano che
inavvertitamente andava a toccare la parte dolente del mento.
“Hai dei bei lividi…” Constatò il principe, pungolandoci sopra con il
dito.
“Ahia! Fa male!” Mi lamentai contrariato, tirando indietro la testa.
Jun si fece scappare un risolino. “Non dovevi fare a botte per me…”
Aggiunse poi, con il tono furbo, ma allo stesso tempo dolce, di chi
aveva già capito ogni cosa.
“Beh, ecco…” Non sapevo proprio cosa dire, ero imbarazzato e sentivo le
guance avvampare. Poi i nostri sguardi si incrociarono e le rispettive
espressioni buffe ci fecero scoppiare a ridere di cuore.
Ero felice. Infinitamente.
*****************************
La mattina dopo il sole splendeva nuovamente alto nel cielo, mentre le
gocce d’acqua residue imperlavano il campo rendendo difficoltosi i
movimenti. Ma, comunque fosse, gli allenamenti per me e Misugi furono
un vero disastro. I compagni pensarono che il calo di forze del
principe fosse dovuto al malore del giorno prima, mentre collegarono la
causa delle mie pessime prestazioni alla litigata con Kojiro e alle
botte che ci eravamo dati. Il capitano si arrabbiò anche per quell’
inutile colpa che gli era stata addossata.
Ci sarebbe stato il tempo per recuperare anche con lui, ne ero sicuro.
L’unico ad avere intuito qualcosa era Misaki che ci regalò un bel
sorriso soddisfatto. “Alla grande, Wakashimazu!” Esclamò, dandomi una
pacca sulla spalla. Io gli lanciai uno sguardo colmo di gratitudine,
mentre Jun ridacchiava divertito.
Finalmente era tornato il Jun Misugi che conoscevo.
Una settimana dopo battemmo la Nazionale Francese con il punteggio di 4
a 2. Non fu di certo una partita facile, ma l’entusiasmo e la nuova
forza con cui l’avevo affrontata, unito al quarto d’ora d’oro giocato
dal principe, seppero fare la differenza.
Io e Jun insieme sul campo, questo era ciò che avevo tanto desiderato.
Consapevolmente complici, amici ed amanti.
“Bravissimo, Jun!” Fu il grido entusiasta di Yayoi alla fine della
partita. Ma, prima che potessi lamentarmi col principe dell’eccessiva
presenza di quella ragazza nella sua vita, la vidi andare incontro
prima di tutti a Misaki. Taro le sorrise dolcemente, sembrava davvero
felice di vederla.
“Ma... quei due... vanno parecchio d’accordo!” Mi voltai verso Jun,
cercando conferma.
“Sembra di sì...” Sorrise Jun. Mentre osservava la scena aveva uno
sguardo molto dolce, era davvero felice per l’Aoba.
“Ma non era fidanzata?” Domandai d’un tratto, ricordandomi del discorso
fatto con Jun tempo prima proprio riguardo Yayoi.
“Mah, sembra sia finita...” Jun scrollò le spalle.
“Ah, capito!”
“ Eh, eh... chi vivrà vedrà!” Esclamò, strizzandomi un occhio.
“Mmmm...” mi soffermai a pensare “Come per noi due?”
“Come per noi due!” Concluse il principe, regalandomi un bellissimo
sorriso.
FINE
ç_____________ç Oddio mi commuovo da
sola!!
Questa storia è finita davvero!! E pure beneXDD Massì io sono buona,
non potrei mai scrivere finali tragici:) Già la vita di per sè è
faticosa, almeno a loro voglio dare un bel finale... fino al seguito,
naturalmenteXDD Nella mia testa frulla da tempo!!
GRAZIE infinitamente a tutte voi _O_
----> inchino di Releuse
Alla prossima!