Questo
lavoro è la prima originale che pubblico.
Non so
quanto potrà essere venuto bene, o quanto il cambiamento di stile e genere ne abbia risentito… ma spero comunque che sarà apprezzata,
magari come lettura semplice e senza obblighi.
Anche
perché è una storia che ho creato per un’occasione particolare.
Sì, questa
short story ha una dedica.
E’
dedicata tutta, integralmente, ad una persona molto importante. Ha fatto sì che
io diventassi quella che sono oggi; una persona libera al di
là del carattere intrattabile e delle abitudini dure a morire.
Una
persona che sa scegliere con chi stare invece di amalgamarsi alla massa.
E di
questo, di avermi dato la “libertà”, io non smetterò mai di ringraziarla.
Dedicato a Shichan;
perché non c’è mai due senza tre.
Don’t Forget.
Antefatto
Abrahel
The day I became Joshua Archer
Lei non
era nulla di speciale.
I capelli
biondi non avevano riflessi dorati, gli occhi non possedevano una particolare
sfumatura di blu, la pelle non era né più chiara né più scura di tante altre.
Era
semplicemente una ragazza.
Bella sì, delicata quanto un giglio lasciato in balia della tempesta;
ma pur sempre essere umano.
E
questo anche Enma lo sapeva.
Nonostante
tutto gliela aveva assegnata. Proprio a lui, che delle
politiche di buona condotta per l’accompagnamento nell’aldilà se ne infischiava
altamente.
Cercava di
ammorbidirlo? Quello della ragazza era un caso anormale, fuori
dall’ordinario?
Non
sembrava.
Eppure
doveva esserci un motivo, se uno dei maggiori esponenti dell’aldilà si era deciso
a scomodarlo dalla sua eterna nullafacenza. Sapendo com’era fatto lui, tra
l’altro.
« Chi sei? » chiese lei, mettendosi a sedere
fra le lenzuola bianche bagnate di luna.
Classica
domanda. Non era speciale nemmeno in questo.
Cosa
cavolo ci faceva lì, allora?
« Uno Shinigami
» fu la risposta breve.
Non
rispose, inizialmente. Lo guardò solamente, con gli occhi azzurri fin troppo
puri puntati sui suoi, nascosti nell’ombra dell’angolo più buio della stanza.
Non poteva
vederlo, ne era sicuro. Non più della sua sagoma
scura.
« Sei… venuto a prendermi? » chiese poi, acuta.
« Sì » altra risposta breve.
Un leggero
sorriso, le labbra curvate verso l’alto, lievemente.
« Ti aspettavo, lo
avevo visto » disse.
Ah, eccolo
il motivo.
« Sei una veggente? »
Annuì. « Vedo il futuro nei sogni. Ti ho
visto arrivare… e so già che non mi darai una settimana di tempo, come fanno
tutti gli altri » preannunciò.
« Notevole » fu la semplice risposta, neanche
troppo sentita.
Cosa
ci trovava Enma di pericoloso in una ragazzina
simile? Cosa aveva paura che facesse, con quel potere
particolare che si ritrovava?
Glielo
aveva detto più volte di non interpellarlo se non si trattava di esseri umani rischiosi, che necessitavano di un trapasso
veloce a causa della loro pericolosità.
Quella
ragazza era pericolosa quanto lo stelo di una margherita.
« Potresti farlo… subito? » chiese lei, indecisa nonostante la
richiesta fosse frutto di una forse morale forte.
Non
ribatté. Semplicemente si distaccò dal muro, uscendo dall’ombra.
Si
avvicinò a lei, lievemente e con solo un inudibile fruscio a determinare la sua
reale presenza in quella camera, a provare che non era solo una delle ombre di
un incubo fanciullesco.
Si chinò
su di lei, immobile, posando le labbra sottili e rosa pallido su quelle di lei.
Condannando
la sua anima alla luce eterna, o alle tenebre perenni. Non stava a lui
deciderlo.
Nel
momento in cui si distaccò, il suo corpo ormai esanime ricadde scomposto sul
materasso.
Quella,
era stata l’ultima volta in cui era uscito dall’aldilà.
Francia,
anno domini 1785.
Le regole
ufficiali degli Shinigami sono poche, ma
fondamentali.
Primo: gli
Shinigami si mostrano solo a coloro il cui tempo sta
giungendo al termine. Ogni uomo nasce con un tempo predefinito da poter
utilizzare in vita, oltre il quale è necessario che
l’anima ritorni al cospetto dei signori dell’aldilà.
Gli Shinigami accompagnano queste persone nei loro ultimi
giorni, come figure gentili ma inevitabilmente fatali.
Secondo: viene dato un tetto massimo di sette giorni in cui il dio
della morte starà al fianco dell’essere umano, per quanto gli è possibile. Sono
loro a dover rubare la scintilla, l’ultimo fiato vitale, così che l’anima sia condotta sana e salva nel mondo dei morti.
Il bacio
della Morte, così viene chiamato.
Terzo: il
dio della morte non dovrà mai essere coinvolto sentimentalmente. Sono essenze
antiche, quasi arcaiche, e vengono selezionati
appositamente per questo motivo; per loro i sentimenti sono qualcosa di così
vecchio da essersi perso nei meandri nel tempo, e non ricordano cosa sia
l’amore, o l’affetto.
Tuttavia
sono pervasi da una gentilezza infinita, atta a cercare di far accettare l’idea
della morte all’essere umano che dovrà affrontarla.
O
almeno, lo erano tutti… tranne uno.
Abrahel.
Lui aveva
una sorta di intolleranza verso gli esseri umani,
sviluppatasi in tempi così antichi da essere ormai parte di memorie consunte. Eppure ancora reali, vivide, per lui.
Un
episodio. Un esperimento da parte sua, conclusosi però
in tragedia.
Un uomo,
corrotto dalla bellezza, si innamora della Morte. Un
uomo che, corroso da tale infatuazione, decide di creare ad essa
un altare, per amarla completamente con corpo, mente e spirito.
La Morte
sperimenta questa dedizione inconcludente in modo malevolo, demoniaco: chiede
all’uomo di sacrificargli il figlio, di ucciderlo in suo nome.
Quando
l’uomo lo fece, per poi supplicarlo di restituirgli il sangue del suo sangue,
lui ebbe la sua prova:
gli
esseri umani erano una razza corrotta, inutile e nociva.
In quel
momento, mentre restituiva al padre il figlio così superficialmente
sacrificato, decise.
Decise che
non avrebbe mai più avuto a che fare con gli esseri umani, di qualsiasi cosa si
fosse trattata.
Per lo
stesso motivo, per lui le regole degli Shinigami non avevano
significato. Anzi, le considerava ipocrite.
Gli dei
della morte sono esseri astratti e falsi, che tolgono la vita agli umani solo perché un’entità altrettanto astratta
chiamata Fato ha deciso che la loro ora è giunta.
Rubano
loro quel tempo a cui disperatamente si aggrappano, e poco conta che debbano seguire un santo o un assassino seriale. Tutti,
ognuno di loro, di fronte alla prospettiva della morte piagnucolano, e piangono,
e pregano di non far giungere il giudizio finale.
All’ultimo,
anche se nella loro esistenza si sono dimostrati retti e coraggiosi, la paura
li rivela per quello che sono: codardi.
Per tale
motivo Abrahel non era uno Shinigami
come gli altri.
E come gli
altri non veniva nemmeno considerato.
Lui non
dava possibilità, né prolungamenti di tempo. Non c’erano i sette giorni nel suo
iter comportamentale e non dispensava gentilezza o dolcezza.
Quando veniva chiamato, e fortunatamente non succedeva così tanto
spesso, era solamente per compiti che richiedevano una soluzione veloce.
Assassini,
persone con poteri speciali, psicopatici. Portava lui la morte a quelli di loro
che non se la davano da soli, o che non
finivano sotto al fuoco incrociato della polizia per
una rapina o un tentato omicidio.
Sempre
quelli da inferno, in poche parole.
Tranne
quella ragazzina. L’unica volta in cui aveva visto un’anima finire in paradiso.
L’ultima anima che aveva visto.
« Abrahel?
»
Voltò il
capo, aprendo gli occhi chiari sotto i sottili ciuffi corvini.
Chi aveva
il coraggio di venirlo a cercare, in quell’universo di tenebra e profondo
silenzio?
« Zerachiel
» salutò monotono, una volta
riconosciutolo: « cosa ti serve? »
« Enma. Ti
vuole per un incarico » disse quello.
Abrahel
lo guardò con cipiglio confuso.
Da quanto
era che non veniva convocato per un’assegnazione? Da
quanto tempo, da quanti… anni?
Nel
rimanere a fluttuare nell’oscurità di quel mare buio si perdeva il senso del
trascorrere del tempo.
Zerachiel
sorrise appena, gli occhi ridenti di benevolenza. « Una buona occasione
per vedere un po’ di luce, non credi? » azzardò.
Abrahel
sospirò rassegnato, cominciando a muovere le mani per cercare nella sua
incoscienza una qualche percezione del suo corpo, ormai perduta nell’immobilità
a cui si era completamente abbandonato.
Le dita di
piedi e mani formicolavano, ma c’erano. Ora anche le braccia, le gambe, i
muscoli del collo, tesi… poteva sentirli. I capelli
gli solleticavano le gote, la veste di seta scarlatta
accarezzava leggiadra la sua pelle.
Trovare le
sensazioni del suo corpo era come ritrovare se stesso un’altra volta.
Sperava
l’ultima.
« In che anno siamo? » chiese allora, guardando Zerachiel con una maschera di apatia.
Doveva
essere un incarico di routine. Probabilmente Enma
voleva mandarlo sul Mediano solo perché stava scadendo il tempo, e lui doveva
portare un’anima nell’aldilà per prolungare la sua presenza in quel mondo di
nulla.
Gli Shinigami non muoiono, no, non possono.
La Morte non può morire.
Però
possono scomparire.
Quando
non entrano in contatto per troppo tempo con l’anima di un essere umano, quando
non si nutrono della loro ultima scintilla vitale… semplicemente spariscono, si
dissolvono.
L’oblio
della sparizione era l’unica cosa rimasta capace di spingere Abrahel a mantenere una coscienza. Altrimenti
avrebbe volentieri cancellato anche quella.
Zerachiel
non si scompose, aspettando con pazienza che l’essere ritrovasse la mobilità
persa. Rispose alla sua domanda, cortesemente: « duemilanove dopo Cristo ».
« Duecento anni… » sussurrò Abrahel,
riguadagnando la posizione eretta nonostante fluttuasse ancora.
Era da
duecento anni che non vedeva nessuna luce.
« Un po’ di più » ribatté l’altro, sempre
sorridente.
Per la
prima volta dopo più di due secoli, l’espressione dello shinigami
mutò; lineamenti di un’ira seccata comparvero a curvargli le labbra sottili
verso il basso, così come le iridi spente brillarono di qualcosa simile al
risentimento. « Non trattarmi come una delle anime
che scarrozziamo avanti e indietro Zerachiel, non c’è
bisogno di quella ostentata gentilezza con me » sputò rabbioso.
« Perché
pensi sempre che le persone non possano essere veramente gentili con te, Abrahel? Solo
una volta ogni tanto? » ribatté l’altro.
Un lampo,
un ghigno su quegli occhi color neve.
« Perché sono la morte, Zerachiel »
rispose solamente, prima di passargli accanto per dirigersi fuori
dal mare oscuro.
L’angelo
sospirò con rassegnazione.
Shinigami…
non imparavano mai.
I palazzo
di Enma non era diverso da quello degli altri sovrani
dell’aldilà.
Enorme,
maestoso e inopportunamente facoltoso. All’interno, un’enorme stanza circolare
piena di porte faceva da luogo di transizione per anime sole e fluttuanti,
sfere di luce che attendevano il giudizio per essere indirizzate nel posto in
cui avrebbero dovuto passare l’eternità.
Si poteva
riconoscere il tipo di anima dal colore della luce che
emanava. In definitiva, erano molte sfumature di grigio.
Poche
erano le anime nere, quelle così malvagie da aver perso completamente la loro
luce.
E, nonostante in passato ne vedesse alcune, quelle
completamente bianche erano ormai scomparse. Nessun lucore puro brillava in
quella stanza ormai, probabilmente a causa dei tempi che cambiavano, e la
possibilità di non vedere bontà nel mondo gli lasciava uno strano senso di
nostalgia.
A lui non
interessava se la bontà spariva, nel mondo degli esseri umani.
Semplicemente,
era dispiaciuto dal fatto che i suoi pensieri sulla razza umana fossero così
veritieri, confermati dall’assenza progressiva di quelle luci pure.
Gli esseri umani erano inutili.
Quando
mise piede all’interno della grande sala, fasciato
dalla formale divisa nera e scarlatta che si era deciso di rifilare agli Shinigami, i beati addetti all’ enumerazione delle anime si
ammutolirono.
Non era
frequente vedere Abrahel camminare in quella sala…
anzi, in quel mondo.
Solitamente
si rinchiudeva nelle regioni oscure dell’aldilà, dove non vi era altro che buio
e silenzio, e la sua presenza in quel luogo poteva
significare solamente che c’era un’anima malvagia in arrivo.
Abrahel,
il “Cacciatore delle Luci Nere”.
Enma
lo scomodava solo per prelevare anime nere o grigie scure. Per
questo nessuna buona sensazione scorreva nello spirito di quello Shinigami, che si cibava solo di scintille oscure, prive di
luce.
Prive di
sentimenti positivi.
Le iridi
albine vagarono per la sala, fulminando gli addetti alla selezione con insensibilità.
Quegli occhi, di quel colore bianco che a lui poco si addiceva, avevano il
potere di gelare chiunque li guardasse troppo a lungo,
e dunque portavano gli altri a distogliere lo sguardo.
Che
lui, puntualmente, distoglieva a sua volta.
Anche
in quel momento.
Proseguì
per il suo cammino, velocemente ma non così tanto da sembrare di fretta. Voleva
togliersi di dosso quegli sguardi e tornare ad affogare se stesso nell’universo
buio che si era scelto come casa, nel silenzio del nulla.
Appena
notato il suo obiettivo, i suoi occhi non videro nient’altro.
« Pietro » chiamò, la voce modulata e vuota.
L’anziano
santo, avvolto nella sua tunica bianca ed oro, voltò
lo sguardo limpido in sua direzione. « Oh, Abrahel! » disse con gentilezza: « strano vederti qui, davvero. Abbiamo in arrivo un’altra anima oscura?
» chiese, sorridendo dolcemente
nonostante il ragazzo davanti a lui non avesse la minima intenzione di
rispondere a quel gesto.
« Non lo so » rispose l’altro: « sto per l’appunto cercando Enma ».
Davanti
alla sua apaticità, Pietro non fece una piega. Era abituato a non vedere
emozione alcuna su quel viso delicato e fin troppo bello, in quegli occhi
chiari e trasparenti come il ghiaccio.
« Ti consiglio di
controllare l’esterno, solitamente si reca lì » gli consigliò.
Abrahel
annuì appena prima di andarsene, salutando Pietro con un breve cenno del capo e
una parola sussurrata velocemente.
Non c’era
mai bisogno di prodigarsi in ringraziamenti prolissi con il santo del giudizio,
e anche se ce ne fosse stato bisogno lui sarebbe stato
l’ultimo a farlo.
Ignorando
gli sfuggevoli sguardi che il suo passaggio attirava inevitabilmente su di lui,
il dio della morte proseguì in direzione di una porta laterale alla stanza, semi nascosta fra una colonna e un arazzo con
ritratta chissà quale figura celeste. Attraversò un corto corridoio in penombra
e, assottigliando gli occhi all’improvvisa luce esterna, si ritrovò nel
giardino di rose dietro il palazzo.
L’angolo
di pace di Enma.
Ed infatti il capo degli shinigami
spiccava elegante in mezzo ai fiori multicolore, rigogliosi.
Sembrava
un uomo, ma non lo era. Era semplicemente un’esistenza dalla forma antropomorfa
creata per controllare coloro che amministravano la
morte. Poteva scegliere da solo che forma assumere, e non era infrequente che
modificasse i suoi lineamenti con artigli e becco da rapace. I capelli corvini
e lunghi sforavano tutta la schiena fino alla zona lombare, delicatamente adagiati
sulla seta nera di un abito a strascico dagli intarsi d’oro.
Lui non
aveva bisogno di voltarsi, per “vedere”. Percepiva la presenza di chiunque, Shinigami, angelo o santo che fosse.
Di fatti,
non lo osservò per sincerarsi della sua presenza, quando prese a parlare.
« Grazie per essere venuto così in
fretta, Abrahel » disse, la voce colma di quella gentilezza che tutti a avevano nei confronti di tutti; ma che sulle sue labbra
risuonava di un tono diverso, regale.
« Mi piacerebbe sapere quale
pericoloso criminale è a piede libero sul Mediano da necessitare
il mio intervento » arrivò diritto al punto, quasi
frettoloso di andarsene. Non apprezzava particolarmente stare al cospetto di Enma… di nessuno che avesse il
potere di obbligarlo a fare quello che non voleva.
Non lo
vide in volto, ma poté percepire la risatina sincera che vibrò nell’aria.
Anche
questo suo comportamento perennemente sconclusionato lo irritava.
« Nessuno, a dire il vero. O almeno, nessuno che debba morire entro breve » rispose l’essere, sfiorando con le
dita affusolate e pallide un bocciolo rosso sangue.
Lui arricciò
il naso, seccato.
« E allora
per cosa ti servo, di grazia? »
chiese sgarbato, dandogli del tu.
Enma
ridacchiò ancora, divertito da quel comportamento scostante. Era sinceramente
ilare vedere quanto lo Shinigami cercasse
di mascherare quel disgusto di fondo che provava per qualunque cosa, che
parlasse o semplicemente esistesse; come le rose.
Era quasi
convinto che non gli sarebbero piaciute nemmeno quelle.
« Per un incarico, ovviamente » gli rispose di nuovo Enma, togliendo qualche foglia gialla dai cespugli profumati
e punteggiati di fiori rossi.
Abrahel
non ribatté nulla, attendendo probabilmente che l’altro continuasse
da sé. Era inutile chiedere, se Enma aveva deciso di giocare con lui per una sorta di diletto
personale.
Quando il
silenzio si fece pressante, fu infatti l’altro a
continuare il discorso.
« Non è un criminale, né un’anima
oscura. Anzi, ritengo che sarà un’anima candida, questa volta » precisò.
Se
avesse avuto un cuore, probabilmente avrebbe perso un battito.
« Mi rifiuto » disse subito.
« No, non puoi » gongolò Enma.
« E perché?
»
« Perché non te lo permetto » disse ancora, quasi in estasi: « non solo perché devi nutrirti dato che rischi di scomparire entro qualche anno, ma anche
perché un’anima bianca di cui
nutrirti ti serve. Guarda in faccia la realtà, non puoi
vivere rubando spiriti oscuri una volta ogni duecento anni » aggiunse.
Abrahel
arricciò il naso, disturbato da quel discorso quanto come lo sarebbe stato da
una mosca ostinata.
Enma,
dall’alto della sua ostentata leggerezza, continuò: « hai avuto a che fare con un’anima
pura in passato, no? Non dovrebbe essere una cosa totalmente nuova per te ».
Lo Shinigami assottigliò gli occhi, serrando le labbra.
Ricordava
fin troppo bene la sua prima e ultima, nonché unica,
anima bianca. Una ragazzina malata di leucemia nel sedicesimo
secolo, con capelli biondi e occhi azzurri, e con la particolare capacità di
vedere il futuro nei sogni.
L’unica
che non abbia avuto paura o che non si fosse sottratta al bacio con cui l’aveva
privata dell’ultima briciola di forza vitale che la teneva in vita.
Erano
passati più di due secoli eppure, ogni tanto nel suo interminabile sonno privo
di coscienza, ancora ci pensava.
Al perché
non fosse scappata, al perché non lo avesse rifiutato come tutti gli altri.
« Non voglio più avere niente a che
fare con esseri umani dall’anima pura » disse, voce lineare, deciso a non accettare un incarico simile
nemmeno sotto tortura.
Non
sopportava gli esseri umani di principio; la loro razza, la loro abitudine al
masochismo, il loro materialismo e l’attitudine che avevano nel rovinare
qualsiasi cosa su cui mettessero le mani.
E
aveva a che fare con criminali, per lo più. Figuriamoci se si fosse messo a prendere anime candide.
Se li figurava tutti con gli occhi blu di quella ragazza…
Enma
rise al suo tentativo di cavarsene fuori, di cuore.
« Tu farai quello che ti dico,
invece » ridacchiò: « e lo farai bene, questa volta. Non in due minuti come sei abituato a fare di solito. Voglio
che applichi le regole standard degli Shinigami, che
passi con la persona che ti indicherò il tempo
necessario per farle affrontare l’idea della morte nel modo più sereno
possibile. Non tollererò altre anime spaventate e in preda al panico davanti a
Pietro, come non ti concederò persone che hanno visto la tua venuta in sogno e
che possono quindi evitarti l’impiccio » spiegò, con una leggiadria quasi fuori luogo per un discorso simile.
Tagliò un
bocciolo, lasciandolo cadere a terra. Quello si adagiò sull’erba senza rumore
e, in un certo senso, anche quell’azione tanto abituale nella cura delle rose
parve un avviso rivolto a lui.
Abrahel
non rispose, ribattendo con il silenzio per non esprimere la costrizione con
cui si ritrovava a dover provvedere ad un incarico simile.
Perché
era ovvio che fosse obbligato.
« Chi è? » chiese dunque, rassegnato all’idea
di dover passare sette interminabili giorni fingendosi umano fra gli umani.
Se avesse
potuto vederne il volto, era sicuro che sulle labbra di Enma ci fosse stampato un sorriso da vincitore.
Vincitore
in ogni caso, tra l’altro. Chi ha potere decisionale vince sempre.
Era in
questo che l’essere era simile agli esseri umani.
« Sono felice che tu ti sia convinto
» osservò con voce calma, la falsità
dell’obbligo che gli aveva messo sulle spalle nascosta
da quei toni quasi infantili. « I
documenti per il tuo incarico ti verranno consegnati
in poco tempo, non appena saranno completati. Quando li avrai,
ti consiglierei di crearti un’identità che combaci con la maggior parte degli
impegni che il tuo obiettivo ha nella giornata ».
« So fare il mio lavoro » lo interruppe lui, seccato da quei
consigli superflui che Enma sembrava tanto in vena di dispensare.
« Oh, ne sono convinto… » rispose malizioso l’altro. « Bene, puoi andare » aggiunse poi.
Abrahel,
senza nemmeno salutare, girò i tacchi e si allontanò a passo svelto, quasi
violento, puntando i piedi con rabbia contro l’erba verde chiaro del giardino.
Enma,
rimasto accanto alle rose di cui si prendeva cura ma che non poteva amare, si
voltò appena per guardare la sua schiena scomparire oltre la porta da cui era venuto.
Alzò
l’angolo della bocca e ghignò, compiaciuto di se stesso.
Chissà…
forse avrebbe imparato qualcosa, questa volta.
Sospirò,
sorridendo. « Tu sei sicura che fosse lui quello della tua visione, Selene? » chiese, apparentemente al nulla.
« Sì » rispose però la voce cristallina di qualcuno; di una
ragazza dai capelli in lunghi boccoli biondi e dagli occhi blu indaco, fasciata
in un vestito bianco dal taglio tardo-settecentesco.
Raccoglieva
le rose con un paio di forbici in argento cesellato, posandole al suo fianco in
un mazzo che pian piano si ingigantiva. Una nuvola
rosso sangue che sfigurava quasi, accanto alla bellezza pura e all’innocenza di
quell’anima.
Il ghigno
del re si trasformò in un sorriso compiaciuto. Osservando ancora il punto in
cui lo Shinigami era sparito, gli occhi carmini di Enma brillarono di una
scintilla divertita.
« Buona fortuna, Joshua
».
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Qualche
precisione:
Abrahel è il nome di un demone
mitologicamente esistente. All’interno del capitolo è nascosta anche la storia
che lo riguarda, facilmente rintracciabile su Wikipedia.
Teoricamente con gli Shinigami centra poco e niente;
il più adatto sarebbe stato Azazel, che fungeva da
“Caronte” per le anime dei morti… ma Azazel era stato
usato in talmente tante altre opere (per esempio il film “Dogma”) che mi
sembrava ripetitivo utilizzare lui.
Passatemelo
come libertà artistica ^^’’’
Selene è il nome di una beata (Selene Alleine) primogenita di una nobile famiglia di Reiterstarker, fondatrice e badessa dell’abazia di Sant’Anderswo. Non è detto che sia stata beata nel
settecento, come ho messo nel capitolo, ma per bieca convenienza la userò con
questa tempistica. Mi piaceva il nome, dato che era la
parola greca che designava la Luna.
Enma è il nome giapponese per il dio
buddista dell’oltretomba. E’ usato anche in manga come “Yami no
Matsuei” (in italiano “La Stirpe delle Tenebre”) dove
ha lo stesso ruolo di questa fanfic.
Zrachiel è un angelo mitologicamente
esistente. Non pensate che gli Shinigami siano
demoni; semplicemente loro sono neutrali fra bene e male, perché aiutano la
Morte, che è neutrale a sua volta.
Ok, il
prologo è andato. Ed è noioso, lo so, ma utile.
I capitoli
dovrebbero essere sette in tutto, e cercherò di frenare il mio impulso ad
allungare sempre tutto, altrimenti non finisco più.
Per chi ha letto fin qui, grazie XD
Alla
prossima!