Il
corpo di Kazuya Mishima, con un tonfo sinistro, cade al suolo in una
posizione scomposta, come quella di una bambola rotta.
Un
ampio squarcio si apre sul suo petto e il sangue si spande attorno al
corpo in una pozza sempre più grande.
Shaheen,
estenuato dalla fatica, piega le ginocchia. Finalmente, è
riuscito a fermare quel terribile mostro.
Stringe
i pugni e ferma le lacrime, che minacciano di tracimare dai suoi
occhi neri.
– A
cosa è servito? – sussurra, la voce tremante. La
scomparsa di quell’uomo crudele e sanguinario ha liberato il
mondo da una minaccia crudele, ma il suo cuore non è felice.
Anzi,
sanguina di dolore e amarezza.
Alza
la testa verso il cielo, grigio di nuvole, e stringe la mano sul
petto. La realtà della morte del suo amico più caro
resta, dura, inesorabile, crudele.
Niente
ridarà al freddo corpo di Najir Abl el Krim.
I
suoi grandi occhi castani resteranno chiusi in un sonno assai lungo.
La
sua giovinezza, che tanto avrebbe potuto dare al mondo intero, è
stata spezzata e lui non avrebbe mai potuto esaudire i suoi sogni di
pace e di giustizia.
Come
oppresso da un peso gravoso, il giovane china la testa sul petto.
Vorrebbe controllare il dolore, che opprime il suo animo, ma non ci
riesce.
Il
ricordo del funerale di Najir si spiega davanti ai suoi occhi, come
un film crudele.
Il
sole di maggio illumina il cielo di Casablanca, d’una
trasparenza quasi assoluta, come quella d’una acquamarina.
Si
è svegliato e, per alcuni istanti, ha scrutato le strade della
cittadina marocchina, palpitanti di vita. Tutto, in quel momento, gli
è parso privo di senso.
Di
solito, è interessato a quelle manifestazioni di energia e
vitalità, ma, in quella lugubre giornata, gli sembrano dei
fantasmi privi di consistenza.
Ha
trattenuto a stento un singhiozzo. Presto, ci sarà la
cerimonia di sepoltura del suo amico Najir.
Allah,
nella sua infinita misericordia, lo avrebbe accolto tra le sue
braccia.
Ha
stretto il pugno, il corpo percorso da un fremito d’ira.
L’autopsia ha classificato la morte di Najir come accidentale,
ma lui non ha mai creduto ad una simile affermazione.
Quando
ha visto il corpo del suo caro amico, si è ben accorto
dell’errore grossolano dei medici.
Hanno
attribuito la sua morte ad una caduta, ma non si sono accorti
dell’inconsueto pallore del suo volto.
Come
hanno fatto a non rendersene conto?
Sono
stupidi? Oppure sono stati corrotti dall’assassino di Najir?
Ha
avvertito la morsa del dolore stringergli il cuore e la sua mano,
d’istinto, ha sfiorato quel viso ormai gelido in una timida
carezza.
– Ti
vendicherò… Troverò il tuo assassino, amico mio…
– ha promesso, triste, calmo, risoluto. Nessuno ha tentato di
dare una spiegazione a quella morte così crudele.
E
questo non era giusto.
Najir
non meritava una sorte tanto ingiusta.
La
sua morte atroce chiedeva giustizia.
E
lui gliela avrebbe data.
Si
è recato alla moschea della Kutubiyya. Lì, in quel
luogo carico di storia, avrebbe dato l’estremo saluto al suo
fraterno amico.
Nel
corso del funerale, per poco, non si è sciolto in lacrime,
malgrado il suo addestramento militare. Il padre di Najir, Karim, di
solito deciso e fermo, è crollato a terra sul corpo inerte del
figlio, lanciando lunghe urla di disperazione.
Ha
evocato il nome del suo amato figlio, quasi sperasse di ridare al suo
corpo bendato il calore della vita.
In
quel momento, il suo cuore si è infranto, come un vaso di
cristallo colpito da una forte martellata.
Il
dolore di Karim ha travolto la sua anima, come una forte ondata, e ha
faticato a mantenere il suo contegno dignitoso.
Lo
strazio dei genitori e della sorella di Najir, Noor, ha sopravanzato
la sua pena.
Ha
stretto i pugni, cercando di calmare il tremito delle sue spalle. Si
è sentito quasi in colpa per la sua presenza.
Gli
è parso di profanare quel momento, che doveva essere dedicato
al gruppo familiare di Najir.
Perché
era lì?
Doveva
andarsene.
Ad
un tratto, una mano leggera si è posata sulla sua spalla e
lui, colto di sorpresa, ha sussultato e si è voltato.
La
giovane sorella di Najir, avvolta in un ampio velo bianco, lo ha
fissato con i suoi grandi occhi neri, rassomiglianti a diamanti.
– Che
cosa c’è? – ha chiesto lui, meravigliato. Noor è
sempre stata riservata e timida, eppure ha osato avvicinarsi ad un
uomo.
Perché?
La
ragazza, avvedutasi del suo stupore, ha accennato ad un triste
sorriso.
– Grazie.
–
Quella
semplice parola lo ha turbato e non è riuscito a dire nulla.
Qualsiasi frase, per quanto bella e struggente, gli è apparsa
inopportuna e retorica.
Non
avrebbero dato sollievo a quella famiglia distrutta, che pure gradiva
la sua presenza.
E,
per questo, si è limitato a seguirli nella cerimonia funebre.
Una
pioggia furiosa si abbatte sulla città e il rombo cupo del
tuono interrompe il silenzio.
La
luce livida del lampo illumina le case e il vento spazza le strade,
sollevando cartacce e polvere in turbini di forma sempre diversa.
Con
un gesto deciso, Shaheen sguaina la scimitarra e fissa il suo volto
nel metallo, lucido di pioggia.
Sono
io?, si domanda, esterefatto. Come uno specchio, l’acciaio
gli restituisce l’immagine di un viso scavato, bianco di
sofferenza, gli occhi neri circondati dall’alone cupo delle
occhiaie.
Che
cosa gli è accaduto?
Non
si riconosce più.
Quel
volto, così duro e triste, non gli sembra il suo.
Cosa
ne è stato del ragazzo vivace di un tempo, capace di gustare
le voluttà della vita e di combattere con ardore, pur di
proteggere qualcuno?
Accenna
ad un sorriso amaro. La ricerca della vendetta si è presa
l’intera sua essenza.
Non
può negarlo.
Ha
dedicato a tale scopo un lungo segmento della sua esistenza.
Si
è negato qualsiasi possibilità di gioia, quasi
vergognandosi della sua possibilità di vivere.
In
quegli anni, la serenità gli è parsa un’offesa
alla triste sorte di Najir, che non ha potuto godere di nessun
piacere, a causa della sua morte prematura.
Ha
consacrato la sua vita al dolore e alla vendetta contro l’impero
malefico di Kazuya Mishima.
Ma,
in quell’istante, tutto si è compiuto.
Kazuya
Mishima giace sul duro asfalto, immerso in una pozza di sangue.
Ha
pagato per i crimini commessi contro l’umanità.
Le
sue vittime hanno trovato il giusto riposo, da troppo
tempo cercato.
La
sua vita è libera da quell’imperativo ferreo, ma giusto.
Con
uno scatto deciso, Shaheen solleva la testa e ride, il corpo
agitato da singulti dolorosi. Finalmente, è libero.
La
sua forza ha affrancato il mondo dalla minaccia di un uomo crudele,
dedito a sogni di dominio e indegno di qualsiasi speranza di
redenzione.
Il
suo cuore, da tempo inaridito, può aprirsi ai sentimenti,
senza alcuna vergogna.
Con
fatica, si rialza e, barcollante per la stanchezza, si allontana, il
cuore libero da ogni angoscia.
1)
moschea di Kutubiyya: ho immaginato l’amico di Shaheen come
marocchino. E questa è una moschea presente in Marocco.
Gli
ho creato un minino background intorno e, per quanto possibile, gli
ho dato un nome.
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