After
Crisis: Selfless
Note iniziali
Salve! Vorrei darvi qualche precisazione sulla long fic che sto per
cominciare.
Questa, in realtà, è una storia un po’
vecchiotta pubblicata da me su questo sito all’incirca un
anno fa. Era una storia assai strana, a dir la verità, piena
di luoghi comuni, oltremodo scontata e prevedibile, ma al tempo stesso
singolare (o almeno, io la consideravo così); e per quanto
all’epoca mi piacesse, devo ammettere che rileggendola oggi
difficilmente potrei non mettermi le mani sui capelli e scappare
terrorizzato al pensiero di cosa scrivessi appena un anno fa.
Ma comunque, tralasciando il discutibile stile, devo ammettere che con
questa storia ho seguito un processo di formazione davvero
straordinario, che mi ha portato in breve tempo a migliorare di molto
il mio modo di scrivere (non che adesso io sia arrivato a livelli
eccelsi, ma credo sicuramente di cavarmela meglio rispetto ad un anno
fa).
Ed è per questo che ho deciso di creare un
“remake” per la prima fan fiction che sono riuscito
a concludere su questo sito, e che tanto mi ha aiutato a crescere e ad
abbandonare il pluri-abusato finale “E vissero tutti felici e
contenti”.
Chi ha già letto la versione originale di After
Crisis spero che ritrovi un senso piacevole di
Déjà vu, nonostante molti avvenimenti siano stati
cambiati: a cominciare dal titolo della storia (in cui adesso figura
anche il sottotitolo Selfless,
perché in effetti la storia narra appunto della ricerca di
sé stessi), per passare dal cambiamento di molti avvenimenti
della trama, dall’aggiunta di qualche flashback e dalla
modifica del finale (quello di prima era troppo aperto, vorrei dare un
preciso punto di vista che aiuti a collegare tutta la vicenda tramite
una sorta di cerchio che si chiude).
Al contrario, per chi non ha letto la versione originale, qualche
precisazione: Questa fan fiction descrive, seppur in modo piuttosto
fantasioso, la catena di eventi che da Crisis Core portò a
Final Fantasy VII. Quindi darò una mia interpretazione su
cosa successe a Cloud e su come lui arrivò a Midgar dopo la
morte di Zack, sul ruolo di Cissnei in tutto questo e su molte altre
domande ancora avvolte nell’ombra sugli altri protagonisti
della storia.
Se vi ho anche minimamente interessato, vi auguro una buona lettura,
altrimenti potrete chiudere la storia e chi si è visto si
è visto! XD
Divertitevi! (e scusate le colossali note d’autore!)
Capitolo 1: The place
I’ll return someday
C’era qualcosa di ammaliante
nell’eterea bellezza di Midgar, la notte. Se ammirata dalle
colline adiacenti la città, Midgar appariva come una
tentazione, la città utopica, il centro del mondo. Beh, in
un certo senso lo era. Ma da quelle colline, si riusciva ad avvertire
la poesia di quella città, così unica e
inimitabile, ma al tempo stesso banale e scontata. Così
amata, ma al tempo stesso anche odiata, dai suoi abitanti.
Una distesa infinita di luci e ombre; i lampioni apparivano simili a
lucciole da quella distanza, immobili mentre tutto, attorno a loro,
cambiava; i fanali delle automobili, appena visibili, si muovevano per
le oscure strade di Midgar, rischiarandole.
Dalle colline, poi, non si avvertivano nemmeno rumori. Non il rombo dei
motori delle automobili, né la musica troppo alta di una
sporca discoteca del quartiere malfamato della città,
né le urla degli ubriachi che venivano cacciati dai locali
all’ora di chiusura.
Da quella distanza, Midgar era la città ideale. Le sue luci
rischiaravano a giorno il cielo che le stava sopra; i rumori si
perdevano nell’aria, sostituiti dal canto dei grilli in
estate. All’orizzonte, poteva già scorgersi la
rosea aurora, che illuminava Midgar del suo tipico bagliore rosato.
Era la città teatro di drammi, felicità nascoste
e di grosse risate; le vite che vi si intrecciavano la rendevano unica,
straordinaria, diversa da qualunque altro centro abitato del pianeta.
Era una città straordinaria.
Cissnei aveva sempre pensato questo, della sua Midgar. Non era nata
lì, ma tuttavia, sentiva di appartenere a quella
città dal primo momento in cui vi aveva messo piede, appena
bambina, quando aveva oltrepassato le grandi porte della
città con la meraviglia dipinta nei suoi grandi occhi
nocciola. Ormai non ricordava nemmeno con sicurezza il posto dove era
nata; quelle memorie erano state semplicemente sostituite dallo
splendore celeste della Midgar silenziosa di quella collina.
Midgar. La sua casa.
La ShinRa. La sua famiglia.
Fino a quel momento era stato tutto
così semplice. In effetti, non si era mai resa conto del
perché obbedisse alla ShinRa, o del perché si
stesse così bene nei Turk. Solo ora capiva che era per
riconoscenza, per sdebitarsi con coloro che erano stati tanto generosi
con lei. Era stato facile lavorare alle missioni che, in quanto Agente
dei Turk, le venivano assegnate; si era fatta parecchi amici, come
Reno, Rude, o Tseng; aveva riso insieme a loro, e aveva sempre superato
brillantemente le difficoltà che i suoi nemici le avevano
piazzato davanti. Aveva ormai perso il conto dei malviventi che erano
caduti sotto il suo scarlatto Shuriken. Non aveva mai messo in
discussione di fare del bene, che, in effetti, tutta la ShinRa
lavorasse solo per fare del bene al prossimo. No, non l’aveva
mai messo in discussione.
Almeno, fino a quel momento. Tutto era crollato da quando era successo.
Nulla era più lo stesso da quando Zack era morto.
Perfino in quel momento, su quella collina, mentre guardava la
città che amava e che l’aveva accolta, non
riusciva più a sentire la magia e la serenità che
la vista della Midgar notturna di solito le donava. Tutto appariva
così vuoto…
L’aria fresca della notte le solleticava il volto. Alcune
libellule volteggiavano libere vicino ad un piccolo stagno,
lì vicino, attirate dalla specchio d’acqua che le
rifletteva. Nell’aria, un forte odore di fiori, forse di
rose. La linea dell’orizzonte si tingeva del pallido colore
dell’aurora, e il blu della notte cominciava a lasciare il
passo ad un più leggero azzurro, che avrebbe preceduto il
giorno vero e proprio. Era quasi l’alba.
Era stata tutta la notte ad osservare Midgar, a sentire i grilli
cantare, ad ascoltare la silenziosa melodia delle libellule che
danzavano sulla superficie dello stagno. Era stata tutta la notte
immersa nei suoi pensieri.
Fu quando le luci di Midgar si spensero, restituendo un po’
di stelle al cielo, che Cissnei sentì alcuni passi alle sue
spalle. Passi lenti, controllati, calmi. Passi di un visitatore
capitato lì per caso, magari per osservare la splendente
bellezza dell’alba infuocata.
Fu solo quando il misterioso visitatore si mise accanto a lei, e quando
la luce rosea dell’aurora lo illuminò, che Cissnei
lo riconobbe. Avrebbe riconosciuto ovunque la bruna figura che le stava
accanto.
“Salve, Tseng” sussurrò, continuando ad
osservare il sorgere del sole.
Il Turk chiamato Tseng guardò il profilo della ragazza
illuminato dai primi raggi solari, e si scostò una ciocca di
capelli dal volto.
“Sapevo che ti avrei trovata qui” disse poi lui,
osservandola con attenzione.
“Sono così prevedibile?”
domandò Cissnei, con un mezzo sorriso ironico.
“La ShinRa riesce sempre a rintracciare i propri
dipendenti” rispose il Turk, senza smettere di osservare il
suo pallido viso.
Un sorriso increspò le labbra della fanciulla, che non smise
di osservare l’orizzonte incandescente.
Tseng si stupì ad osservare l’alba riflessa nei
suoi occhi. Avrebbe solo desiderato che Cissnei lo guardasse. Che lo
perdonasse, che non lo giudicasse colpevole per la morte di Zack.
A dir la verità, lui non aveva quasi avuto ruolo nella serie
di eventi che avevano portato alla rovina Zack Fair e
quell’altro fante della ShinRa che viaggiava con lui. Aveva
solo eseguito gli ordini che gli erano stati imposti dai suoi
superiori. Ma non era una colpa quella.
D’altra parte, però, era difficile dare la colpa
ad una singola persona per ciò che era accaduto. La colpa
era forse di Zack e della sua insubordinazione? O dei mille soldati
della ShinRa che lo avevano colpito? No. Sarebbe stato troppo facile.
“Ti avevo già visto molte volte andare su questo
promontorio. Hai proprio ragione a voler venire qui: la vista su Midgar
è splendida” esclamò lentamente Tseng,
senza sapere cosa dirle con esattezza. Stava evitando di toccare
l’argomento per cui era venuto in realtà,
perché sapeva che non sarebbe riuscito a restare calmo in
risposta alle accuse che la ragazza gli avrebbe rivolto contro.
“Lo so. Vengo qui da quando avevo 9 anni” rispose
Cissnei, ancora con lo sguardo perso tra i primi raggi solari che
cominciavano a far risplendere di luce Midgar.
Un silenzio imbarazzante si insinuò tra loro due. Tseng non
trovava le parole giuste per cominciare un amaro discorso che, ne era
sicuro, non avrebbe avuto nemmeno la forza di portare avanti. Ma fu
Cissnei che infine parlò, e dalla sua voce
trasparì tutto il disprezzo che in quel momento aveva in
corpo.
“Perché sei venuto?” aveva chiesto,
guardandolo per la prima volta nei profondi occhi scuri.
Tseng non aveva risposto subito, chiedendosi quali parole fossero
più adatta per introdurre quel delicato discorso.
“Vedi” annunciò poi, con voce ferma
“Sono stato mandato qui… per portarti via con
me” enunciò, cercando di reprimere
l’inquietudine che provava attraverso il suo naturale tono
calmo e pacato.
“Comincio ad essere un problema per la ShinRa?”
chiese Cissnei, incrociando le braccia.
“La cosa è seria! Non ti presenti da tre giorni al
quartier generale dei Turk, sai che potresti essere cacciata per
insubordinazione?” chiese Tseng, alterandosi più
di quanto avrebbe voluto.
Passò un lungo secondo prima che Cissnei rispondesse,
chinando lo sguardo verso l’erba verde che ricopriva la
scoscesa collina. I suoi occhi individuarono la rugiada del mattino
sull’erba, simile a lacrime splendenti alla luce del primo
sole.
“Ormai non me ne importa nulla da molto tempo”
rispose tristemente, senza avere il coraggio di guardarlo negli occhi.
“Ma…” esclamò Tseng. Come
poteva Cissnei stare voltando le spalle a tutto ciò che era
stato suo per una vita? “Cosa diavolo stai
dicendo?” sbottò infuriato. “Ho ricevuto
il preciso ordine di portarti con me da parte di Scarlet, e sono stato
autorizzato anche ad usare la forza se necess…”
Cissnei, lo interruppe, guardandolo fisso negli occhi.
“Scarlet? Cosa c’entra Scarlet con i
Turk?” chiese, con l’espressione seria,
dimenticandosi per un momento del rancore e dell’odio che
provava verso l’uomo che le stava davanti e per la
corporazione di cui stavano parlando.
Tseng non rispose subito. Sembrava che stesse cercando le parole giuste
per spiegare un concetto lungo e complesso senza dilungarsi troppo,
come si fa con un bambino. Nascose il suo nervosismo dandosi dei
leggeri colpetti sulla giacca, per far scivolare la polvere che durante
il viaggio verso il promontorio vi si era depositata. Alla fine fece un
lungo sospiro, e si preparò a rispondere.
“Sono tempi duri per la ShinRa. In effetti, possiamo ben dire
che navighiamo nel caos. Hollander, Lazard... tutti quanti, sono andati
perduti. In seguito alla loro fine, Scarlet e Hojo si sono scontrati
per il controllo del Reparto Soldier, del Reparto Turk e di quello
Scientifico. Alla fine, Scarlet è riuscita a strappare al
Presidente ShinRa un permesso temporaneo per comandare le truppe dei
Soldier e dei Turk, mentre Hojo ha ottenuto il controllo del reparto
Scientifico. Diciamo che è stata una spartizione
equa” concluse Tseng, con una nota di amarezza nella grave
voce.
“Scarlet? Ma che diamine crede di fare?”
esclamò Cissnei, in preda all’indignazione.
“Credevo che il posto di direttore dei Turk sarebbe andato a
te!”
Tseng abbassò lo sguardo, senza rispondere alla sua
esclamazione. Era chiaro che lo pensava anche lui.
Adesso, il sole illuminava ormai il cielo limpido vicino Midgar. Il
bagliore rosato dell’alba era quasi del tutto sparito. Il
silenzio della notte, su quella collina, era stato sostituito dal canto
degli uccelli, che acclamavano il giorno appena iniziato.
“Vieni con me” sussurrò poi Tseng, dopo
qualche minuto passato ad osservare lo spettacolo della Midgar ormai
sveglia. “Non mandare tutto all’aria…
per Zack. Immagino di sapere quello che provi, ma…”
“No” lo interruppe Cissnei. “Non sai
niente di cosa provo. E diciamoci la verità, nemmeno ti
interessa. Sei soltanto annebbiato dalla tua posizione, ammettilo!
Persino adesso, quando hai visto sfumare davanti a te il sogno di una
vita, non hai fatto altro che eseguire gli ordini che gli altri ti
hanno dato, coinvolgendo anche me in questa tua follia! No, non
verrò con te, mi dispiace” disse la ragazza, con
un espressione determinata in volto. Non voleva, non poteva, non doveva
più sottostare agli ordini della ShinRa. O almeno, non dopo
quello che quest’ultima aveva fatto a Zack. Non avrebbe mai
finito di ripeterselo. Lei e la ShinRa avevano chiuso per sempre.
“Non fare la stupida!” le urlò Tseng,
contrariato, così forte che alcuni uccelli spiccarono il
volo dagli alberi vicini, verso il cielo. “Adesso vieni con
me e chiuderemo una volta per tutte questa storia. Anche se provassi a
scappare, nel giro di un giorno o due saresti ripresa dalla truppe
della ShinRa, e in tal caso, sono sicuro che saresti mandata a marcire
nelle prigioni! Fai la cosa giusta. Sii ragionevole”.
Cissnei adesso riusciva a sentire una sottile brezza attraversala, da
parte a parte. Non disse nulla, ancora impegnata a rimuginare.
“Forza, andiamo” disse Tseng, in un tono piatto che
non ammetteva repliche di alcun genere. Si voltò e
cominciò ad incamminarsi alle sue spalle. “Devo
ancora andare a sorvegliare l’Antica, e non voglio arrivare
in ritardo”.
“Io…” cominciò Cissnei, senza
sapere esattamente cosa dire. I suoi occhi andarono involontariamente
verso il suo Shuriken, piantato lì vicino, nella brulla ed
incolta terra della collina. Un solitario raggio di sole fece splendere
la superficie di metallo scarlatto.
Il vento, ancora una volta, le solleticò il volto.
L’aria trasudava del primo tiepido calore del giorno.
E all’improvviso, in preda ad un impeto di follia, o forse di
genialità, seppe che cosa doveva fare. Perché
quel vento, il sole che splendeva, la bellissima giornata che stava
sorgendo, tutto rimandava a quel pomeriggio colorato d’ambra,
di parecchi anni fa, che aveva trascorso insieme a lui.
La sua mano si strinse forte all’arma. Il metallo non era
freddo come si era aspettata, ma, al contrario, ardeva della stessa
fiamma che sentiva dentro di sé. Con precisa determinazione,
lanciò lo Shuriken all’altezza della nuca
dell’uomo che aveva di fronte.
Tseng, voltandosi nuovamente verso di lei, non si rese nemmeno conto di
quello che esattamente successe in seguito: il tempo di avvertire un
sibilo fendere l’aria, e già subito dopo si
ritrovò lungo disteso, con il viso a contatto con
l’umida terra della collina. Non era mai stato un tipo
vendicativo, ma mentre perdeva i sensi, non sapendo nemmeno se sarebbe
sopravvissuto, decise che gliela avrebbe fatta pagare. Per tutto quello
che, in quell’alba macchiata del suo sangue, lei gli aveva
fatto passare.
Adesso gli uccellini non cantavano più. Cissnei si
avvicinò al corpo esanime di Tseng, e lo osservò
da vicino. Le profonde occhiaie, la pelle tirata… tutti
sintomi della sua preoccupazione. Probabilmente, neanche lui se la
passava bene, in quel periodo.
“Scusami” sussurrò Cissnei.
Avvicinò le sue labbra alla guancia dell’uomo,
incurante del sangue che la attraversava, e ve le poggiò
sopra, appena, sfiorando la sua pelle. Anche se non glielo aveva mai
detto, sentiva di volere molto bene a Tseng. Quasi come ad un fratello
maggiore. “Perdonami, ti prego” sussurrò
ancora, mentre le si inumidivano gli occhi. “Ci rivedremo
presto”. Nonostante quelle ultime parole, Cissnei non
riuscì a non pensare a quel bacio come ad un Bacio di Giuda.
In un modo o nell’altro, lo aveva tradito. Aveva tradito lui
e tutta la sua famiglia.
Forse gli uccellini non cantavano più, né sentiva
quella brezza fresca sul suo volto. Ma era comunque ed
inequivocabilmente una nuova e bellissima giornata, appena iniziata e,
per la prima volta da quando lavorava alla ShinRa, veramente sua.
Libera, mosse alcuni passi nella direzione opposta alla grande
città da cui era sempre stata ammaliata ma al tempo stesso
prigioniera. Davanti a lei si spalancava una nuova vita, mentre nella
sua mente riviveva il ricordo che le aveva data la forza necessaria per
cominciare, finalmente, a vivere.
Flashback
Il sole aveva ormai iniziato il suo declino, ben oltre lo zenit,
tramontando verso il limpido mare di Costa del Sol. Il cielo, il mare,
la sabbia smossa dalle onde, tutto sembrava risplendere sotto lo
sguardo ardente del sole.
Un gabbiano volava alto, nel cielo, emettendo con vigore il suo
stridulo richiamo; poi si tuffava in picchiata, sull’oceano,
alla ricerca di una preda con cui concludere degnamente la giornata.
E poi, urla di bambini che giocavano, il ritmico fragore delle onde che
si infrangevano sulla spiaggia dorata, l’odore di salsedine
che regnava incontrastato, le risate... quel luogo sapeva di
serenità. Dovunque si fosse guardata, non avrebbe visto
altro che visi allegri, pronti a dimenticare e a lasciarsi alle spalle
tutto ciò che di brutto era capitato nella loro vita.
Cissnei, ancora in costume da bagno, era seduta in riva al mare,
osservando le onde tingersi di un bagliore arancio sempre
più intenso. Una sottile brezza estiva la rinfrescava
dall’afosa giornata che era ormai solo un ricordo lontano.
Le capitava spesso, in quei giorni, di riflettere sui più
recenti avvenimenti. La morte di Angeal, la scomparsa di Hollander,
l’improvviso congedo di Zack e la sua missione di vigilarlo,
lì, sotto il sole cocente di Costa del Sol.
La vita, in quel paradisiaco luogo, in effetti, non era male. Per la
verità, non sarebbe stata male nemmeno tra i ghiacci del
Nord, se questo avrebbe significato avere Zack al suo fianco. Sentiva
che lo avrebbe seguito in capo al mondo. Non avrebbe potuto chiedere di
meglio di restare con lui, per sempre.
Ultimamente passavano parecchio tempo insieme. Tseng non amava
particolarmente il sole, e quindi usciva dalla sua camera in albergo
molto di rado. Di conseguenza, Cissnei passava gran parte della
giornata da sola con Zack, a parlare e ridere tra una nuotata e
l’altra. Aveva imparato molte cose nuove sul suo conto, e non
passava giorno in cui non smettesse di apprendere su di lui.
Zack sembrava felice e rilassato, in quel luogo. Probabilmente doveva
piacergli molto. Eppure, una nota di malinconia e di tristezza
aleggiava ancora nei suoi occhi. Aveva l’aria di un ragazzino
costretto a crescere contro la sua volontà. Aveva perso
Angeal, il suo mentore, forse la persona che significava di
più per lui; e questo lo aveva cambiato. Lo aveva reso
più… adulto. O forse l’aveva solo reso
più consapevole di ciò che significava essere
vivi, in quel mondo. Il poter sparire in un lampo, nonostante fama,
onore, rispetto… e rimanere solo un ricordo. La morte
è sempre un’esperienza drammatica.
Un’onda si infranse fragorosamente davanti a lei,
riportandola davanti a quel magnifico tramonto. Era così
bello quel luogo... sarebbe rimasta lì per sempre, se ne
avesse avuto la possibilità. Il color ambra acceso del sole
le illuminava il viso. Il mare era una grande distesa infuocata, simile
a lava bollente; e la spiaggia deserta era l’argine che
impediva all’oceano di invadere la terra.
“E’ davvero meraviglioso, vero?” chiese
una voce alle sue spalle. Fragore di passi, dietro di lei, che
smuovevano la sabbia.
“Zack!” esclamò Cissnei, voltandosi
verso il ragazzo appena arrivato. “Non ti avevo sentito
arrivare, scusami”.
“Nessun problema” disse il ragazzo, sedendosi
accanto a lei. “Eri troppo rapita dalla bellezza di questo
tramonto?” chiese, perdendo il suo sguardo cristallino tra le
onde ramate dell’oceano.
Cissnei si ritrovò a sorridere. Zack riusciva sempre a
metterla di buon umore, qualunque cosa dicesse.
“Probabile” si ritrovò a rispondere,
prendendo una manciata di sabbia con la mano destra. “Trovo
che… faccia riflettere.”
Nessuno dei due parlò per qualche minuto. Cissnei
giocherellava con la sabbia che aveva sulla mano, osservandone i
meravigliosi riflessi che donavano gli ultimi raggi di sole della
giornata. Zack invece guardava le nuvole rosate che, in lontananza, si
perdevano nella luce abbagliante del sole.
“Va tutto bene?” chiese d’un tratto Zack,
posando il suo sguardo sul viso della ragazza.
Un gabbiano volò alto nel cielo, verso la costa. Cissnei si
mise ad osservarlo, prima di rispondere. “Si,
perché?”.
“Non so... sembri… pensierosa?”
azzardò Zack.
Cissnei incontrò gli occhi del ragazzo con i suoi,
sorridendo dolcemente. “Beh… in effetti, si, stavo
pensando”. Di nuovo lesse quella tristezza attraversare lo
sguardi limpido del ragazzo e, costernata, abbassò lo
sguardo verso la sabbia dorata.
“Non è facile godersi una vacanza del genere
cercando di immaginare cosa stia succedendo lì
fuori” cominciò Zack, con lo sguardo nuovamente
fisso al tramonto. “Io continuo a pensare in che
difficoltà deve essere in questo momento la ShinRa, ad
Hollander, ad…”
“…Aerith?” chiese Cissnei, divertita.
Zack si ritrovò un po’ imbarazzato. Le guance si
imporporarono, mentre farfugliò “Beh…
si… anche…” .
“Tranquillo, è naturale il fatto che tu la
pensi!” esclamò la ragazza, assaporando la brezza
di mare che in quel momento si era alzata. “Non hai nemmeno
avuto il tempo di salutarla... immagino si stia chiedendo che fine tu
abbia fatto!”
“Si, forse” esclamò Zack, con un
espressione colpevole in volto.
Cissnei non poté fare di rinnovare la sua cristallina
risata, ancora una volta, sogghignando della sua
preoccupazione. “Tranquillo” disse poi, non appena
l’eco delle sue risate si fu spento nella tiepida aria del
tardo pomeriggio. “Sono sicura che se tiene davvero a te, lei
capirà”.
Ormai il sole stava tramontando oltre il vasto oceano. Il cielo si
tingeva del viola del crepuscolo. Un'altra afosa serata stava per
arrivare.
“Sai che ti dico?” disse poi Zack, posandole una
mano sulla spalla. “Forse dovremmo davvero fare quello per
cui siamo stati mandati qui. Una vacanza. Non è difficile,
no? Basta solo... divertirsi! Ormai siamo qui da due settimane, non
manca molto prima che ci richiamino in servizio… tanto vale
utilizzare questo lasso di tempo che ci rimane cercando di rilassarci
il più possibile, giusto? Allora dimentichiamoci dei nostri
problemi! Pensiamo solo…” e si interruppe,
guardando la linea in cui il mare e il cielo si fondevano
“… a questo luogo meraviglioso”
concluse, sospirando.
Cissnei poteva sentire la morsa gentile della mano sulla sua spalla.
Era un contatto che trasmetteva calore, affetto, determinazione.
Stavolta gli era vicino come non mai.
“E’ vero, quelli che stiamo vivendo sono dei giorni
stupendi” rispose la ragazza con un sorriso, scostandosi una
ciocca scarlatta dal viso. “Sai,” aggiunse poi,
mentre gli ultimi raggi del sole si affievolivano oltre
l’oceano. “questo è il posto dove mi
piacerebbe tornare, un giorno”.
Zack la osservò, curioso.
“E’ così strano?”
domandò Cissnei, fissandolo a suo volta nei luminosi occhi
azzurri. “Difficilmente rivivrò
un’esperienza del genere. Me lo sento.
Però… non so, ma il sole, il mare, la gente che
ride… qui si respira un’altra atmosfera rispetto a
quella che c’è alla ShinRa. E poi, il poter
stendersi qui, senza preoccupazioni, a guardare il cielo attraversato
dalle nuvole, o le stelle, la notte… è tutto
diverso. A Midgar non si riescono a vedere nemmeno le stelle. O almeno,
non dall’interno della città. Troppe luci,
credo”.
Il ragazzo si passò una mano tra i capelli scuri,
sorridendo. “Non è strano per niente. Anzi, sai
che ti dico? Questo è il luogo dove ritorneremo, insieme,
quando le cose alla ShinRa si saranno sistemate!”
Cissnei si ritrovò contagiata dalla serenità che
emanava Zack. “Non dimenticare di portare anche Aerith,
però...”
“Già!” esclamò Zack, ancora
più eccitato per il progetto. “E tu di portare...
ehm…”
Il ragazzo la guardò, incerto su che nome pronunciare.
Cissnei abbassò lo sguardo, per non far notare gli occhi
pieni di lacrime.
“Di portare… Reno?” concluse Zack, con
un’occhiata dubbiosa.
“Reno?” chiese Cissnei, osservando la baia per non
incrociare il suo sguardo.
Zack sembrava parecchio imbarazzato. “Beh, vedi...
è da tanto che ti ronza intorno, quindi pensavo che magari,
anche tu…”
“Che cosa?” chiese Cissnei in tono divertito.
“No… non credo di provare qualcosa per Reno!
E’ soltanto un caro amico per me! E poi non è vero
che mi ronza intorno!”
“Ma come! Bisognerebbe essere ciechi per non vedere come ti
scorrazza intorno!”
“Ma no, te lo stai inventando!”
“Se lo dici tu…” sbuffò Zack
divertito, alzandosi. “Il punto è che potrai
invitare chiunque ci sarà nella tua vita in quel momento!
Ora, entriamo? Comincio ad avere fame!”
“Vengo tra un minuto” rispose Cissnei, ancora
seduta sulla riva del mare sempre più scuro sotto
l’ormai violaceo cielo.
“Il luogo dove
ritornerò un giorno? E’ forse questo?”.
La risposta era implicita persino nel ritmico rumore delle onde.
Sarebbe stata lei a decidere cosa fare nel futuro.
Fine Flashback
Reno sbadigliò sonoramente, mentre misurava a grandi passi
il perimetro dell’edificio che proteggeva ormai da parecchie
ore. Qualche timido raggio di sole si insinuava tra le fenditure del
piatto, per poi posarsi sullo stretto sentiero che stava sorvegliando.
Alle sue spalle, si stagliava verso l’alto una chiesa
abbandonata.
Dovevano essere parecchi anni che quella chiesa non veniva
più utilizzata. Lo stile della struttura era gotico, ma al
tempo stesso un po’ grezzo e poco lavorato. Gran parte dei
vetri delle finestre erano rotti, le pareti erano state corrose dal
tempo e dall’usura.
Controllò nel suo orologio l’ora. Le 7:31 del
mattino. Dove diamine era finito Tseng? Avrebbe dovuto essere
lì da almeno mezz’ora! Eppure non arrivava
nessuno, e lui era ancora lì, a sorvegliare
l’Antica nonostante il suo turno fosse già finito
da un pezzo.
Ispirò l’aria fresca della giornata appena
iniziata, ripercorrendo col pensiero la notte appena trascorsa. A
quanto pare, Aerith aveva deciso di dormire in chiesa, quella notte,
probabilmente per riuscire a vedere il cielo sopra di lei, attraverso
il tetto fatiscente del luogo di culto. In verità,
il compito di Reno non era stato molto difficile; gli era
bastato appoggiarsi ad una delle pareti in pietra della chiesa ed
attendere un nemico sconosciuto, senza nome né volto, che
mai sarebbe arrivato a disturbare la quiete di quella notte. Quello che
era stato complicato e che aveva richiesto una notevole forza di
volontà da parte sua, era stato il trattenersi dal lasciare
la postazione per correre da lei.
Una notizia era giunta, un paio di giorni prima, alla ShinRa. Il
ritrovamento di Zack Fair. Morto. Ucciso dalla sua stessa famiglia.
Era stato un duro colpo per tutti loro. Lui stesso conosceva Zack,
avevano affrontato missioni insieme, condiviso opinioni, pareri,
dolori; lo aveva considerato una persona fidata, un alleato. Ma in un
attimo, tutto ciò era svanito. Seppellito dalla misera fine
di un uomo che forse non era suo amico.
In quel tragico quadro, però, la persona che ne aveva
sofferto di più era stata Cissnei. Si era estraniata da
tutti ormai da un paio di giorni; nessuno aveva idea di dove fosse
finita. Rude gli aveva detto di lasciarle tempo, di non cercarla, di
non fare assolutamente nulla che andasse al di fuori della solita
routine di ordini della ShinRa; eppure, non era così
semplice distrarsi. Ogni momento poteva essere quello decisivo. E se
Cissnei fosse fuggita, per sempre? E se non si fosse mai più
fatta trovare dalla ShinRa? Non poteva permetterlo. Avrebbe voluto
trarla a sé, abbracciarla, dirle che per lei era importante;
e poi baciarla, farle capire i suoi sentimenti, stare con lei, per
sempre. Ma se Cissnei se ne fosse andata, nulla di tutto questo si
sarebbe avverato. Mai.
Le 7:34. Tseng era andato a cercare Cissnei per ordine di Scarlet. Dove
diamine era finito? Sarebbe dovuto tornare, ormai. Dopotutto diceva di
sapere dove fosse Cissnei. E poi sarebbe dovuto venire lì
per dargli il cambio nel controllare Aerith. Perché diamine
tardava?
Basta. Se solo avesse tardato un altro minuto avrebbe lasciato Aerith
in balia del suo destino. Non gli importava niente di trasgredire gli
ordini. Trovare Cissnei era senz’altro la sua
priorità.
Stava per muoversi dalla sua postazione, quando sentì il
rumore di passi sull’asfalto coperto da un sottile terriccio.
Tseng stava camminando verso di lui, l’espressione seria, i
vestiti sporchi di fango e con un lungo taglio che gli sfregiava il
volto, diagonalmente, da cui, copioso, fuoriusciva sangue
dall’intenso colore scarlatto.
Mentre con una mano si tamponava la ferita, con l’altra fece
segno a Reno di avvicinarsi.
“Ma che diavolo ti è successo? Sembra che un
camion ti sia passato in testa!” esclamò il
ragazzo, osservando attentamente la ferita che l’uomo esibiva
al mondo.
“Fa’ silenzio! Hai qualcosa per tamponare il
sangue?” domandò sbrigativo Tseng, con un tono
freddo e distaccato.
Reno cercò nelle proprie tasche, rivoltandole.
“No, mi dispiace” rispose poi, constatando di non
avere nulla che facesse al caso di Tseng.
“Non importa” sussurrò quello in
risposta, sfilandosi la giacca d’ordinanza dei Turk e
rimanendo in camicia bianca e cravatta.
“Adesso vuoi dirmi che è successo?”
domandò nuovamente Reno, guardandolo in attesa di una
spiegazione.
Tseng non rispose, limitandosi a tamponare il volto con la giacca.
“Quello non andrà via facilmente”
borbottò pensieroso Reno, indicando il sangue ormai
raggrumato sul viso di Tseng e lo sporco sulla giacca.
“Ma mi renderà più spaventoso, rendendo
minimo il rischio di attacco da parte di un nemico” concluse
ironico Tseng.
Attorno a loro, i Bassifondi di Midgar stavano svegliandosi; il brusio
di centinaia di voci al mercato si era fatto più forte,
incrementando sempre più, ogni minuto che passava.
“L’hai trovata?” chiese poi Reno,
titubante. Sapeva che Tseng aveva capito a chi si riferiva.
Senza rispondere, l’uomo fece segnò con la testa
di sì.
“Ma...!” esclamò Reno. Dentro di lui, fu
come se un macigno si fosse disciolto nell’etere.
“E sta bene? E’ ferita? Dove…?”
“E’ scappata” esclamò Tseng,
senza muovere un muscolo, con lo sguardo fisso in un punto
non precisato davanti a lui.
Reno non comprese appieno il suono di quelle parole, inizialmente. Esse
riecheggiarono vacue e prive di significato per la sua mente, senza
trovare un filo logico che le interpretasse nel giusto modo.
Successivamente, la consapevolezza della disgrazia accaduta lo
colpì in pieno, con la forza di un mare che rende naufrago
l’uomo.
“Scappata? Come sarebbe a dire scappata?! E tu non
gliel’hai impedito?!”
Tseng indicò lo sfregio sul volto, spazientendosi.
“E perché diamine non l’hai
inseguita?!” urlò Reno, suscitando
l’indignazione di alcuni piccioni lì vicino, che
volarono via spazientiti.
“Perché le direttive per la missione sono
cambiate” rispose Tseng, con il suo solito tono calmo e
distaccato. Reno ebbe voglia di lanciargli un pugno e farlo sanguinare
ancora di più. “Ho ricevuto da Scarlet
l’incarico di badare ad Aerith”.
“Che cosa?” sbottò Reno, contrariato
“Quella stupida non ha mandato nessuno alla ricerca di
Cissnei?”
“Ehi, ti ricordo che quella stupida è il nostro
nuovo capo,” rispose Tseng “che a proposito, per la
tua gioia, ha già dato disposizione affinché un
Turk la riporti indietro”.
“Bene” disse Reno, un po’ imbarazzato
dopo la figura che aveva fatto con l’altro. “Chi ha
scelto?”
Tseng lo guardò, inarcando leggermente le sopracciglia.
“Te” disse poi, tranquillamente, continuando a
tamponarsi la ferita.
“Che cosa?! E perché mai avrebbe dovuto fare una
cosa del genere? Io…”
Tseng lo prese per un braccio, forte, bloccandogli quasi la
circolazione. “Tu cosa? Non era forse questo quello che
volevi? Non stavi forse mollando tutto per andare a
cercarla?!”
“Ahia, mi fai male!” esclamò Reno,
liberandosi dalla presa e massaggiandosi il polso e
l’avambraccio. Ma che aveva Tseng? Sembrava come... fuori di
sé.
“Scusami. Non intendevo farlo…”
esclamò subito dopo Tseng, confuso ed assente al tempo
stesso. A Reno sembrò come impazzito.
“E’ tutto a posto… tranquillo”
sussurrò poi, mentre guardava i segni rossi che le sue dita
gli avevano lasciato. “Vado alla ShinRa per avere le
direttive necessarie per la missione, poi partirò
subito”.
Si voltò e, a grandi passi e superò
l’ombra che la chiesa proiettava davanti a sé.
Mentre si incamminava a passo svelto verso una nuova missione, si
chiese se fosse saggio lasciare uno Tseng in quelle condizioni insieme
ad Aerith.
“Trovala!” esclamò una voce alle sue
spalle, abbastanza forte affinché potesse sentirlo. Vide
Tseng rivolgergli un breve cenno di saluto, con un sorriso mascherato
dalla giacca che si premeva sul viso.
Reno non riuscì a trattenersi, e scoppiò in una
fragorosa risata che risvegliò l’ambiente
circostante. No, non riusciva ad arrabbiarsi con quello che considerava
come il suo saggio fratellone. Nonostante tutto quello che era
successo, o quello che sarebbe stato in futuro, il ragazzo
capì di non aver perso ancora nulla. Avrebbe ritrovato
Cissnei, finalmente, e poi sarebbero stati insieme. E il fantasma di
Zack Fair sarebbe svanito, prima o poi.
Fece l’occhiolino a Tseng e, mentre lo salutava, si disse che
tutto era ancora da decidere, e che il gioco era appena iniziato.
Fine Capitolo 1
Ed ecco qui il primo capitolo di questa fan fiction. Cosa ve ne pare?
So che in pratica non accade quasi nulla, ma questo capitolo serve da
base per i prossimi, che vi prometto saranno pieni di avvenimenti
importanti ai fini della trama. Mi rendo conto che Cissnei,
inizialmente è un tantino fuori di sé, ma non ho
voluto mettere OOC negli avvisi proprio perché in effetti la
ragazza è distrutta dalla morte di Zack, ed e quindi
naturale che si comporti così. Stessa cosa per Reno, che
qui, a quanto pare è preoccupato per la sua Cissnei e quindi
non è molto giovale (qualcuno mi ucciderà per
l’aggiunta del potenziale pairing Cissnei x Reno, ma
sorvoliamo!).
E veniamo adesso alle dediche e hai ringraziamenti: dedico questo
capitolo al mio amico Bankotsu
che oggi 28 Luglio compie gli anni (234 anni esatti, mica pochi!) e lo ringrazio per lo stupendo
banner da lui creato che potete ammirare ad inizio pagina!
Grazie Bank!
Spero che il capitolo piaccia, poiché personalmente non ne
sono molto convinto, secondo me avrei potuto anche fare di
meglio… spero di migliorare col passare dei capitoli!
Un’ultima nota, prima di lasciarvi: la velocità
d’aggiornamento non è proprio la mia principale
caratteristica. Essendo impegnato con più long fic diverse,
inoltre, credo che passerà qualche mese prima che io
aggiorni nuovamente... spero comunque di fare in fretta!
Al prossimo capitolo! Ciao!
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