The
Fall
Capitolo
I
Il potere delle parole aveva sempre esercitato su Aziraphale un
incredibile fascino.
Dopotutto gli Angeli non avevano mai avuto bisogno di dar voce ai
propri pensieri – creature eteree e perfette, essenzialmente
pura luce, erano intrinsecamente connesse fra loro in ogni istante; le
loro menti, se così fosse stato possibile definirle,
costantemente interconnesse e legate insieme dal filo rosso
dell’amore dell’Altissima. Ogni pensiero, opinione
e convinzione era formulato e contemporaneamente come espresso ad alta
voce, dal momento che tutti erano parte di un unico, immenso canale di
comunicazione, in perfetta armonia e sempre aperto in ogni direzione:
la strada dal cuore alla mente era, per ogni Angelo, priva di intralci
e mediazioni, così che la parola non potesse essere
manipolata – non che qualcuno avesse mai desiderato farlo,
naturalmente – e fosse espressione diretta ed immediata della
purezza del proprio cuore, così come dei suoi desideri
più reconditi. Oltre a permettere un enorme risparmio di
tempo e di
energie nel tentativo di spiegare i propri propositi, avrebbe aggiunto
qualcuno. Gli uomini, tuttavia, non godevano di un simile privilegio.
Le loro menti, brillanti eppure inconsapevoli delle proprie stesse
capacità, erano come sigillate, chiuse dietro un involucro
impenetrabile, e fu necessario del tempo prima che trovassero il mondo
di sopperire a questa difficoltà, che impediva lo stringere
di legami, la formazione di società e, di conseguenza,
metteva in pericolo la sopravvivenza dell’intera specie. Ed
ecco che, sin dagli albori della civiltà, Aziraphale aveva
sempre assistito con crescente rapimento allo sviluppo del linguaggio
umano, che dal linguaggio non verbale e dai più semplici fra
i suoni gutturali, solitamente accompagnati da gesti, si era evoluto
via via fino a giungere alla creazione di un sistema di comunicazione
complesso. Dall’oralità si era poi passati alla
scrittura, alla meravigliosa capacità evocativa della parola
scritta, e anche lì molta strada era stata fatta, prima che
iscrizioni cuneiformi ed epigrammi rupestri riuscissero finalmente a
rendere l’infinita serie di sfumature di significato che gli
uomini erano diventati in grado di percepire del mondo intorno a
sé, e che avevano poi avuto l’abilità
di tradurre in parola.
Qualcuno aveva detto che la vastità dei propri orizzonti
è calcolabile sulla base della ricchezza e
dall’articolazione del linguaggio che si sceglie di
adoperare, ed Aziraphale trovava che non ci fosse nulla di
più vero. Di pari passo con l’evoluzione del
pensiero e del linguaggio – e di conseguenza della
letteratura, nonché di tutte le arti in generale intese come
forma di espressione dell’io e della collettività
– anche l’umanità aveva conosciuto un
progresso sempre più deciso e ormai inarrestabile. E pian
piano Angeli e Demoni avevano scelto di adattarsi a
quest’umana consuetudine, questa nuova e, almeno per loro,
superflua forma di comunicazione. Anch’essi si erano
ritrovati in difficoltà all’inizio, alle prese con
le più comuni incomprensioni alla base tanto delle relazioni
umane quanto di quelle che trascendono la mortalità, ma
avevano poi imparato, seppure lentamente, ad apprezzarne la bellezza (o
le straordinarie opportunità che offriva, per quanto
riguarda i Demoni, in materia di menzogne, omissioni e malvagie
persuasioni). Tutto poteva la parola, ed era bene adoperarla quanto
più spesso possibile al fine di appianare ogni dubbio,
distendere ogni tensione e risolvere diplomaticamente ogni crisi.
O perlomeno era questa l’opinione di Aziraphale. Ecco
perché non si lasciava mai sfuggire
l’opportunità di commentare, correggere,
consigliare (Crowley lo trovava semplicemente insopportabile, e
tuttavia non mancava mai di farglielo notare, secondo una
modalità non troppo lontana da quella che egli stesso
criticava), non tanto per lo smodato desiderio di far udire la propria
voce quanto, in realtà, per lasciare spazio al Bene, in ogni
situazione.
Tutto poteva la parola eppure c’erano state situazioni in cui
inevitabilmente, stanche di cadere nel vuoto, anche le parole erano
venute meno. Come le osservazioni di Aziraphale, onestamente ferite e
sconcertate, circa i gusti di Crowley in fatto di vestiario, oppure le
sue inamovibili opinioni su tutto quanto riguardasse la lettura in
digitale. Mai nessun ammasso di pixel, per quanto definito e servito in
comodo formato tascabile, avrebbe mai potuto eguagliare la sensazione
delle pagine di un libro sotto le dita. Il profumo di un nuovo libro, o
il sentore del segreto nascosto dietro le pagine dei tomi
più antichi. Contro questi argomenti, ormai,
l’Angelo era solito sollevare un muro di silenzioso dissenso
e lasciar correre. Ma se in questi casi le parole avevano fallito, ve
n’erano altri in cui le parole, semplicemente, non avevano
possibilità alcuna di addentrarsi. Non senza delle
conseguenze, almeno. Tanto Aziraphale quanto Crowley, in
realtà, erano perfettamente consapevoli del fatto che prima
o poi sarebbe arrivato il momento di parlarne. Della Caduta. Crowley
non aveva mai reso l’argomento un tabù –
sarebbe stato sciocco, dopotutto, considerando che le sue immense ali
corvine e gli occhi da serpente erano già una testimonianza
quantomeno evidente della sua condizione – né
aveva mai trascurato di ironizzare sulla situazione, adoperando lo
strumento più forte che aveva dalla sua parte,
l’ironia, e nascondendosi dietro un’armatura di
scherno e ilarità. Come se Aziraphale avesse mai potuto
ridere al solo pensiero che Crowley avesse potuto soffrire
così tanto.
Si era chiesto, talvolta, quanto dolore avesse potuto provare in
quell’occasione, e soprattutto quanto duramente lo avesse
segnato interiormente.
L’amore di Dio, l’essenza stessa di una creatura
angelica per definizione, strappata violentemente via, scarnificando
così la creatura cui un tempo quell’amore aveva
dato vita… supponeva potesse essere vagamente paragonato,
per un uomo, al vedersi strappata via d’un colpo tutta la
pelle, muscoli e tendini, tutti contemporaneamente,
all’improvviso, lasciando a quest’ultimo la
consapevolezza lucida e dilaniante di ogni nervo tirato via, ogni lembo
di pelle caduto dal proprio corpo, ormai ridotto ad un cumulo di ossa.
Privo di una vera essenza e di un vero motivo d’essere.
Millenni erano passati prima che Crowley facesse anche solo cenno alla
portata sconcertante di quell’evento, ma si era sempre
trattato di frasi lasciate a metà, sconnesse e quasi
pronunciate inconsapevolmente, parole colte di sfuggita o bisbigli
sommessi. Parallelamente allo scorrere del tempo però,
Aziraphale aveva anche avuto l’opportunità di
farsi sempre più vicino a quel demone dai capelli vermigli,
di conoscerlo sempre meglio, e a poco a poco aveva imparato a fare a
meno anche delle poche parole che l’altro si accingeva a
pronunciare sull’argomento, preferendo piuttosto leggere nei
suoi occhi e nei movimenti del suo corpo le risposte di cui aveva
bisogno. E ricordava di averlo visto, molto tempo prima, mentre
osservava malinconicamente il piumaggio candido dell’Angelo
credendolo assorto nei suoi libri, torcendosi nervosamente le mani.
Così come lo aveva visto pregare, a modo suo, prima di
addormentarsi. O piangere contemplando il cielo notturno, la volta
celeste infiammata da centinaia di minuscoli diamanti ad anni luce di
distanza, per poi negare spudoratamente di averlo fatto. E in quelle
occasioni Aziraphale avrebbe voluto avere tante parole, le
più dolci, le più gentili, le più
delicate possibile (non che ne avesse mai usate di diverse,
poiché non ne vedeva alcun bisogno) e soprattutto quelle
giuste, per poter essere in grado di alleviare, anche solo in parte,
quella sofferenza lancinante che l’Angelo sentiva pulsare in
ogni fibra dell’essere di Crowley, eppure non ne aveva mai
trovata nessuna. Si era limitato a sedergli accanto, qualora lo
ritenesse opportuno e ce ne fosse la possibilità, e gli
aveva tenuto la mano.
Dopotutto il demone aveva i suoi spazi e tutto il diritto di vivere
anche in solitudine le proprie fragilità, e Aziraphale
sapeva che alcune volte, in determinate situazioni, Crowley non si
sarebbe mai perdonato l’essersi lasciato vedere in quelle
condizioni dall’altro, mostrando una simile debolezza. In
quei casi, allora, il suo conforto si sarebbe inutilmente trasformato
in un altro peso sulle spalle del demone, e non ve n’era
bisogno. “Io ho soltanto posto delle domande,”
aveva detto Crowley in più di un’occasione in
riferimento al motivo per cui avesse ricevuto una simile punizione.
Soltanto delle domande, si era ripetuto più e più
volte Aziraphale, meditabondo. Quanto male potevano aver fatto delle
innocue domande? Lui era solito porre domande di continuo: interrogava
sé stesso, gli altri, Dio stessa, e altrettante volte
metteva semplicemente tutto in discussione. Lo aveva sempre fatto e lo
riteneva giusto. Quindi qual era la differenza tra se stesso e Crowley?
Dov’era l’errore, la colpa? Che fosse semplicemente
un segno tangibile della sua inadeguatezza fra i Principati, come
sospettava ormai dall’inizio dei tempi?
Eppure contemplava Crowley in adorazione – i suoi zigomi
affilati, gli occhi come globi dorati, i capelli lunghi e del colore
del sole che muore… oh, aveva amato i suoi lunghi riccioli
rossi, ai tempi di Noè – ma ben lungi dal
soffermarsi esclusivamente su quell’involucro esteriore che,
dopo tutto, egli stesso si era costruito, contemplava sopra tutto il
suo animo segretamente gentile, e giusto, e compassionevole, in grado
di apprezzare la bellezza e conoscere l’amore, e non poteva
credere che l’Altissima non avesse visto tutto
ciò. Che la perdizione eterna fosse tutto ciò che
meritava soltanto per essersi posto delle domande… e fu in
quel preciso momento, immerso in queste riflessioni nel caldo volgere
al termine di un pomeriggio di fine luglio, che Aziraphale decise di
consultare le Sacre Scritture. Non che non le conoscesse a memoria,
naturalmente, ma come ogni buon libro esse avevano la straordinaria
capacità di parlare diversamente a chiunque scegliesse di
consultarle a seconda dello stadio della propria vita, della propria
situazione, dei propri dubbi e delle proprie paure. Ad ogni rilettura
l’Angelo sembrava riuscire a scorgervi qualcosa di nuovo,
qualcosa capace di risuonare con una familiarità del tutto
diversa nel suo petto e in grado di suscitare prospettive e
possibilità differenti ogni volta: la parola di Dio era
lì, quando ne aveva bisogno, ed essa era in grado di
trasmettere una solennità ed una sicurezza che nessuna
conversazione interfacciata con Metatron avrebbe mai potuto
raggiungere. Fu ad esse, dunque, che Aziraphale si rivolse. E
lì credette di aver trovato la chiave.
Angolo Autrice.
Dopo
soltanto sei episodi questa meravigliosa serie è stata in
grado di conquistarmi del tutto. Come se David Tennant non fosse ormai
dai tempi di Doctor Who una ragione per me abbastanza valida per
innamorarmi follemente, Michael Sheen è stato una scoperta
formidabile, e non solo: mi ha colpito la leggerezza dei dialoghi, la
purezza delle emozioni che questa serie è riuscita a
trasmettermi, la recitazione impeccabile dei personaggi e il modo
credibile e genuino in cui si è scelto di confrontarsi con
tematiche importanti - una per tutte, il superamento della tradizionale
e retrograda dicotomia bene/male - a cui chiunque potrebbe rapportarsi.
Il rapporto tra Crowley e Aziraphale mi ha incredibilmente affascinato,
non scrivevo da tanto né avevo mai scritto prima d'ora in
questo fandom, ma ho sentito il desiderio di approfondire il sentimento
così puro che questi due personaggi sembrano condividere e
non sono riuscita a trattenermi dallo scrivere qualcosa in merito.
Spero di aver fatto un buon lavoro, che possa piacervi e soprattutto
spero di avere occasione di leggere i vostri commenti,
perché sarebbe un'occasione di crescita straordinaria e mi
riempirebbe il cuore.
Mi
sono già prolungata molto, quindi detto ciò,
buona lettura!
Love
you always,
— afterallthistime.
Disclaimer: storia già precedentemente pubblicata su AO3
sotto l'username di rivederlestelle
|