clan aburame 4
Accademia Ninja, scuola primaria dove questi piccoli assassini in
provetta vengono iniziati all’arte sublime dell’omicidio,
all’arte magnifica dello spionaggio e della recitazione, dove
arti illusorie, magiche e marziali vengono apprese da tante piccole
menti fertili, piccoli corpi e piccole anime sui quali gravano le sorti
di un Villaggio intero che, amorevole, addestra i bimbi per avere dei
mercenari personali un futuro non così prossimo.
Perché l’avvenire è nelle loro piccole e delicate mani…
-No, non voglio! Non voglio gli insetti! Non mi piacciono! Non voglio!-
Uno strillo, l’ennesimo di quel pomeriggio tanto afoso, si eleva dal giardinetto di casa Aburame.
La piccola Miyako è entrata in Accademia, è una piccola
Ninja oramai, lancia shuriken da tutte le parti, si arrampica sugli
alberi, cosa che faceva anche prima ma che ora assume un significato
diverso, picchia sua sorella con maggior foga giustificando così
il suo allenamento alle arti marziali, sprizza chakra da tutti i
pori… una vera ninja modello. E ovviamente il cognome che porta
non poteva essere una caso.
-Il Clan Aburame è specializzato nella lotta attraverso gli insetti…-
Così si è sempre detto nei tempi che furono e così
si dirà sempre nei tempi che saranno. Vivere in simbiosi non con
uno ma con mille organismi, seppure tutti uguali e davvero
terribilmente simili l’uno all’altro, non è una cosa
semplice, più o meno come vivere con quei dannati occhiali scuri
di fronte al viso.
Ma tra occhiali scuri e insetti c’intercorre una notevole
differenza. Per esempio gli occhiali con camminano, né
strisciano sotto la pelle a contatto con la carne viva, non escono e
non entrano in corpi altrui, non succhiano il chakra del nemico, non
ronzano in quella maniera tanto fastidiosa…
In una parola, sono decisamente meglio degli insetti.
E se già è una tortura dover portare quelli, la sola idea
di dover condividere il proprio corpo con un’intera massa informe
di creature rivoltanti faceva non irritare, imbestialire, atterrire,
orripilare la povera piccola primogenita di Shino Aburame.
Il pover’uomo aveva cercato invano, diversi giorni per non dire
anche intere settimane, di spiegare alla bimba che non c’era
assolutamente nulla di male o malvagio ad utilizzare una tale perfetta
e sublime arma. Anzi, gli insetti erano tra le creature più
fedeli e letali che si potesse mai avere, precisi come
nessun’altra creatura vivente, senza pietà, senza remora
alcuna. In più, non si ribellavano se non in rari casi estremi,
il padrone rimaneva sempre e comunque il padrone, come una Regina nel
suo alveare di piccole e brave operaie.
Nulla, Miyako non aveva voluto sentire ragioni.
-Kinji dice… dice che gli insetti sono orrendi! E che io sono uno scarafaggio troppo cresciuto!-
Kinji Inuzuka, figlio di Kiba Inuzuka, un piccolo cafone assolutamente
privo di qualsiasi tatto che poteva definirsi tale, bimbo fin troppo
allegro e vivace. Compagno di classe della piccola Aburame.
Shino trattiene un’imprecazione piuttosto adulta, cercando una
ragione valida perché la figlia dimentichi il torto subito.
Non trovandola, optò per la tattica migliore e sicuramente infallibile a sua disposizione.
Prese in braccio la bimba e, con quanta più gentilezza gli era possibile, la coccolò appena.
-Basta allenarsi, per oggi… andiamo a prendere un gelato!-
E le grida disperate di trasformarono in un sonoro trillo di gioia.
Possessivo, in maniera quasi maniacale, ossessivo e protettivo come sempre aveva temuto di poter diventare.
L’arrivo della propria prole aveva trasformato Shino da perfetta
macchina assassina, razionale e fin troppo diplomatica, seria,
rispettosa e rigorosa, in un qualcosa che assomigliava ad un cane da
guardia, pronto a saltare addosso alla gente se questa si avvicinava di
troppo alle SUE amatissime bimbe.
Ogni tanto si chiedeva se mai Shibi si fosse comportato così con
lui, ma ogni volta che pensava al padre la risposta gli si palesava
davanti in tutta la sua nitidezza. Ovviamente no.
Ma questo sicuramente non l’avrebbe fermato, così come
l’evidente e fin troppo palese irragionevolezza delle sue azioni.
Se la natura gli aveva affidato un compito, ovvero quello di proteggere
e far crescere la propria prole mettendoci tutto sé stesso,
Shino Aburame avrebbe eseguito il suo compito col massimo impegno,
sicuro che solo così si sarebbe garantito il massimo risultato.
-Dovresti insegnare ai tuoi figli un po’ d’educazione…-
Kiba Inuzuka, fedele compagno di squadra, allievo di Kurenai assieme a
Shino e Hinata Hyuuga, padre di due bellissimi gemelli della medesima
età della piccola Miyako, Kinji e Oniji, sedeva tranquillamente
sul prato, la schiena contro il dorso del suo immenso e bianco cane
Akamaru.
Con una tranquillità che pareva gli fosse stata infusa
semplicemente da un miracolo divino, Kiba stava ripulendo le proprie
armi ninja. I suoi figli, intanto, trottavano peggio dei lupi
sull’erba assieme ai loro piccoli e bianchi cani, abbaiando di
tanto in tanto e facendo dei versi che tanto umani non parevano.
Ma tant’è, erano Inuzuka, di diverso non ci si poteva aspettare nulla.
Shino, in tutta la sua minacciosa imponenza, era in piedi di fronte al
compagno, ad aspettare che quello si degnasse di rispondergli. Kiba lo
guardò, sorridendogli come se nulla potesse temere.
-I miei bimbi sono particolarmente vivaci e schietti. Mi dispiace che
la tua Miyako sia stata vittima delle loro monellerie… è
una cosa a cui porrò rimedio, sta tranquillo…-
No, Shino non era soddisfatto da quel tono di sufficienza che
l’altro sembrava dimostrargli, come se il fatto che tanto lo
aveva fatto irritare per l’altro fosse una semplice
sciocchezzuola, una cosa da bambini. Come in realtà essa era
davvero.
Ma l’amore paterno rende ciechi, e l’Aburame ora desiderava che l’onta fosse pagata col sangue.
Riprese il suo discorso, più deciso che mai.
-Hanno definito mia figlia scarafaggio…-
Kiba posò il kunai a terra, prendendo quello successivo e
cominciando a strofinare il panno sopra la sua superficie lucida.
-Con tutte le volte che io ti ho dato dell’insetto non mi stupisco molto della cosa…-
Indignazione, forte, cocente indignazione.
Se solo la mente di Kiba si fosse prestata alla nobile arte del
ragionamento, Shino credeva che le cose palesi che gli ballavano di
fronte al naso un cancan quasi ossessivo gli fossero state tanto
evidenti fa far male al suo stesso cervello.
E invece no, Kiba doveva goderci un sacco a vederlo in quella maniera.
Come se i ruoli si fossero incredibilmente invertiti, in tutti quei
anni.
-Kiba…-
E Kiba alzò gli occhi sul compagno, vedendo il volto serio
nascosto sotto i vestiti, gli occhi minacciosi e mortali oscurati dagli
occhiali da vista. Certo, solo un genio avrebbe capito da quella
sottile inclinazione della voce che qualcosa non andava, Shino in
questo non aiutava, proprio per niente. Purtroppo, Kiba non era il
genio che Shino tanto cercava.
-Ohi, Shino… non è che sei arrabbiato, vero?-
Le mani dell’Aburame si strinsero con forza nelle tasche che le
nascondevano, e la voce che uscì dalla gola fu così grave
che quasi Kiba capì.
-No, affatto…-
L’Inuzuka sorrise, placido e contento.
-Oh, bene… per un attimo ho temuto seriamente il contrario…-
Era evidente, Miyako non sarebbe mai diventata quello che Shino desiderava.
Odiava gli insetti, li detestava con tutta sé stessa. Non ne
sopportava la vista, il pensiero, l’essenza intrinseca. Le faceva
senso ora avvicinare suo padre quando questi si faceva una ferita,
anche minima, che tagliasse la pelle.
Strillava peggio di un grillo che viene squartato ogni volta che Shino tentava di parlargliene.
E dire che il povero uomo le aveva tentate proprio tutte.
Una volta era persino arrivato a farle trovare una colonia di piccoli
insetti dentro le lenzuola del letto, dicendole che se avesse dormito
con loro e si fosse ritrovata viva il giorno dopo poteva stare sicura
che quelle piccole creaturine mai le avrebbero fatto del male.
Quella notte Miyako aveva dormito con i genitori, senza cambiare idea per alcun motivo.
Temari, da canto suo, assisteva alla sconfitta del marito con
soddisfazione sadica, come se tutte le rogne che la famiglia Aburame le
aveva fatto passare in quei anni trovassero riscatto in tutto quello,
nella figura miserevolmente testarda del marito.
Si, era proprio Shino quello che come un mulo si rifiutava di concepire
le sue figlie come qualcosa di diverso dal nome stesso che portavano
dopo quello proprio, come qualcosa che potesse differire dalla sua
volontà.
E ogni volta che tornava a casa ricoperto d’insetti tanto per far
provare le brezza di vedere Belzebù in persona a delle povere
anime innocenti, l’unica che non si metteva a urlare come una
dannata delle sue donne era solamente Midori.
Spossato, Shino si era lasciato cadere sopra il divano del proprio salotto.
Aveva assistito tutto il giorno agli allenamenti della figlia,
seguendola passo dopo passo, aiutandola dove trovava difficoltà
e spronandola dove riusciva meglio.
Certo, gli era scappata una innocentissima battuta, quando aveva
constatato che la bimba saltava come solo la madre era capace di fare.
-Sembri proprio un grillo…-
La bimba, storcendo il naso e facendogli la linguaccia, aveva subito risposto.
-Preferisco essere una rana!-
Al ché Shino aveva capito quanto in fondo era arrivato.
Si era preso la testa tra le mani, guardando con insistenza il pavimento.
-Hai fallito anche oggi?-
Seriamente, il pavimento stava per diventare ancora più
interessante dopo che una donna, a caso, bionda e riccia e dal nome
Temari Aburame gli si era avvicinata di soppiatto e l’aveva
schernito con un tono fintamente dispiaciuto.
-A Miyako piacciono più le rane che gli insetti? Direi che se ti
avesse risposto con “cane” sarebbe stato forse più
drammatico…-
Shino mosse la mano, ad indicare il pavimento.
-C’è una macchia…-
Temari sogghignò, andandosi a sedere in parte al suo uomo, abbracciando la sua ampia schiena.
Poteva capirlo, almeno in parte, poteva capire la frustrazione che gli
derivava dalla delusione di non riconoscersi negli occhi di sua figlia,
nei suoi gesti, nelle sue parole. Poteva immaginare quanto fosse
frustrante per Shino, dal momento che il marito si lasciava abbracciare
manco fosse stato un peluches. Normalmente salvata via come una
cavalletta, richiamando a sé un’invettiva formidabile
nella formulazione di balle colossali.
-Devo andare a cambiare il pannolino a Midori…-
Tanti pannolini aveva cambiato che ormai era diventato persino più esperto di Temari in quella pratica.
E il fatto che stesse fermo a lasciarsi coccolare così come se
nulla fosse era segno fin troppo evidente che si era dichiarato
fatalmente sconfitto. Ma se da un lato quel suo comportamento la
inteneriva profondamente, dall’altro la irritava oltre ogni
misura; non era ammissibile che il suo uomo fosse così
intransigente d’aver predisposto, senza interpellare alcuno o
semplicemente le dirette interessate, ogni particolare della vita delle
sue figlie. Temari amava le sue figlie, certo, le avrebbe protette
anche a costo di strappare a morsi le braccia dei suoi amati fratelli,
certo, avrebbe fatto di tutto per renderle perennemente felici, certo,
e sarebbe stata orgogliosa di loro qualsiasi strada loro avrebbero
scelto. Certo.
Sospirò, staccandosi di un poco da quella schiena ampia ma senza interrompere il contatto con Shino.
-Dimmi Shino… se io non avessi avuto un braccio in meno mi
avresti amata lo stesso? Mi avresti guardato con gli stessi occhi
innamorati?-
Shino scrollò le spalle, un poco annoiato.
-Non è per questo…-
Ma l’irruenza della donna lo fece zittire, immediatamente.
-Si che è questo, Shino! E’ esattamente questo! Non puoi
certo pretendere che le tue figlie siano l’immagine speculare dei
tuoi desideri! Sono innanzitutto esseri viventi, persone pensanti e che
provano desideri, paure, incertezze… Il compito di un genitore
è accompagnare queste creature alla maturità, a quel
momento in cui le loro forze saranno sufficienti perché si
mantengano in piedi e badino a sé stessi… Non puoi
imporre il tuo sogno ad una persona che non sei tu!-
Silenzio, forse un po’ troppo teso, forse un po’ troppo rassegnato.
Oh, il signor Aburame aveva desiderato così tanto tenere un piccolo Shino tra le braccia…
Alzò d’improvviso la testa, fissando il vuoto davanti a sé.
-Forse è meglio che alleni tu, Miyako… ho l’impressione che con te si possa applicare di più…-
A Temari scappò un sorriso accondiscendente, dolce, dolce e materno.
-Ci proverò…-
Rassegnazione, dovette ammetterlo Shino, dovette ammettere di essere
stato deluso da sé stesso e da quel desiderio malsano che aveva
provato nei confronti di sua figlia, della prima delle sue creature.
Come uno sciocco aveva creduto scontato la somiglianza tra sé e
quella bimba dai capelli scuri, così simile alla madre da
insinuare una morbosa quanto ridicola gelosia in lui. Che uomo
patetico…
Ma non importava, non importava davvero più. Temari aveva
ragione, non poteva pretendere nulla da Miyako che non fosse
semplicemente lei stessa, sarebbe stato egoista, terribilmente egoista
e illogico. E Shino Aburame era tutto fuorché illogico.
Certo, quando però vide Karura seduta sul prato, con tante,
tante farfalline svolazzanti tutte attorno, ridere con una naturalezza
che avrebbe fatto sciogliere anche il ghiaccio più duro, dentro
Shino non potè che nascere una sciocca e vanesia
speranza…
Mi scuso per il ritardo della pubblicazione, ma ho avuto tante cose da fare ^^''
Questo capitolo
è un pò sofferto, non penso risulti così comico
come i precedenti... me ne scuso, ma è uscito così e
così rimarrà u_u parla di tematiche relativamente
complesse, troppo umorismo avrebbe stonato u_u
Detto questo,
ringrazio tutti quelli che prestano attenzione alla mia umile opera,
chi l'ha recensita, messa nei preferiti/seguite, chi l'ha solo letta.
Grazie di cuore ^^
Ps: io starò via tutto il mese di Agosto, per cui ci si rivede a settembre ^^
Ciao ciao
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