bsd tumbrl
Storia partecipante al
contest "Storie racchiuse
tra le pagine di un libro" indetto da AleDic sul forum di
EFP.
Pacchetto: The Infernal Devices
Citazione: Preferirei che mi dicessi la
verità, tutta la verità, per quanto amara o
spaventosa, in modo da poterla condividere con te.
Situazione: A ha un segreto che non
può confessare a nessuno.
Introduzione: La
vita è fatta di probabilità che si possono
avverare o meno, il rischio fa parte di essa e lui questo pericolo l'ha
sfidato innumerevoli volte, vincendo sempre contro la sorte.
[DazaixAtsushi
-molto implicito-] [3613 parole]
-Probabilità-
All'agenzia
dei Detective Armati le
giornate sono sempre o troppo
frenetiche o troppo tranquille; non esiste via di mezzo, questa
è la prima cosa che Atsushi ha imparato dopo neanche un mese
dalla sua assunzione. Fortunatamente
in quel momento è la seconda categoria a
prevalere, il che rincuora il giovane dato che può
concedersi al lavoro d'ufficio e terminare i rapporti lasciati in
sospeso.
Una volta finiti
sbatte il plico di fogli sulla scrivania, per
procedere a pinzarli, ed è lì che la persona che
gli siede
di fronte attira la sua attenzione. La postura del signor Dazai, quando
è seduto, è spesso scorretta ed esprime
tutta la sua svogliatezza, nemmeno in quella posizione passa
inosservato; è solo fortunato che il signor Kunikida non sia
lì per prenderlo a calci e gridargli contro.
Atsushi vorrebbe
ignorarlo e finire di archiviare i suoi rapporti,
così potrebbe essere libero di tornarsene a casa, tuttavia
non
riesce a smettere di guardarlo: sono forse gli occhi chiusi o le
labbra distese, oppure le mani poggiate sotto il mento per reggere il
viso ad attirarne l'attenzione?
Il ragazzo pensa che
sicuramente sta sonnecchiando e si prende
giusto un paio di secondi per studiare da vicino il suo superiore;
Dazai ha la pelle olivastra, i capelli castano scuro e indossa sempre
un trench color sabbia, ciò che fa da contrasto a quella
gamma
di colori sono le bende bianche che spuntano da sotto i
polsini della camicia, proprio queste attirano l'attenzione
più del dovuto.
In effetti, la
seconda cosa che Atsushi ha imparato di questa Agenzia così
particolare è che
il suo superiore è fonte di enigmi e misteri, dallo scoprire
il
suo precedente impiego a capire il perché indossa sempre
delle
bende a contatto con la pelle.
"Mmm, c'è
qualcosa che non va?"
Atsushi sobbalza
appena rendendosi conto che ora gli occhi di Dazai sono svegli, vigili
e stanno puntando proprio a lui.
"Ehm, no... solo che
mi stavo domandando..." Farnetica nel tentativo di
guadagnare inutile tempo.
Il suo superiore lo
sta solo osservando,
nemmeno con tanto interesse, ma lo stesso si sente in soggezione.
"Perché
indossa sempre quelle bende?" Domanda con
una punta di apprensione nella lingua, alla fine non
è riuscito a stare zitto.
Dazai non risponde,
non subito; muove gli occhi fino ai polsi,
poi di nuovo al ragazzo davanti a sé. Quando Atsushi lo vede
sorridere tranquillo capisce che era davvero meglio se rimaneva in
silenzio.
"Vuoi guardare tu di
persona cosa c'è sotto queste?"
Pronuncia malizioso e allungando un braccio tendendo una mano, la
schiena di
Atsushi si protrae all'indietro sbattendo contro lo schienale della
sedia.
"No, io... sa che non
farei mai una cosa del genere!" Farfuglia agitato
e rosso in viso; gesticolando con le mani rischia di creare
confusione tra i rapporti che finalmente è riuscito a
mettere in ordine, mentre le spalle di Dazai tornano a raddrizzarsi
attente.
"E io non te lo
lascerei mai fare, tranquillo." Mormora facendo sì
che Atsushi si quieti. "Non c'è
molto da scoprire. Sotto queste bende c'è solo pelle, no?"
La conversazione tra
i due cade così, con il nullafacente
cronico dell'Agenzia che si addormenta tra uno sbadiglio e un altro e
un senso d'inquietudine instillato nel più giovane. Che modo
poteva essere, quello, di liquidare un discorso? Probabilmente ha
chiesto qualcosa di sbagliato, pensa Atsushi mortificato. Dopotutto lui
è soltanto un nuovo arrivato nell'Agenzia e, per quanto sia
stato accolto bene, ancora non conosce affatto nessuno dei suoi
colleghi, tantomeno il signor Dazai che l'ha salvato dalla morte, dalla
fame, dall'oblio.
Vorrebbe
persino chiedergli scusa per la sua audacia, ma è il signor
Kunikida a interromperlo facendo irruzione nella stanza e sbraitando
contro il nullafacente cronico. Tutto ciò che Atsushi riesce
a capire è
solo che un nuovo caso da risolvere si prospetta all'orizzonte e, come
un copione che si ripete ogni volta, anche lui ci casca nel mezzo.
Non più di
un'ora dopo si ritrova a vagare ai confini della
città per raggiungere il luogo indicato, trascinandosi
dietro un Dazai più svogliato che mai.
Sotto i ponti di
Yokohama passano diversi canali, soprattutto la zona
portuale ne è piena, dato che poi sfociano nell'oceano
Pacifico,
ed è già pomeriggio inoltrato quando Atsushi e
Dazai ne
percorrono uno, dirigendosi verso l'area della prossima indagine: un
magazzino situato in una baia desolata, immersa nelle campagne appena
fuori città, dove alcuni trafficanti pare stiano
nascondendo armi dalle grosse dimensioni e quantità.
Sono
persino in ritardo sulla tabella di marcia, ma Atsushi non ne ha colpa:
piuttosto è proprio il suo partner il motivo di quel
rallentamento.
All'ennesimo verso di
gioia il ragazzo si volta stizzito schioccando
uno sguardo seccato e ascoltando l'ultimo sproloquio senza senso.
"Hai visto
Atsushi-kun? L'acqua è così chiara e limpida
qui, neanche sembra un canale artificiale! Secondo te quanto
è
profonda? Per scoprirlo immagino che dovrò saltare!"
Lo avrebbe davvero
fatto se il suo subordinato non gli avesse impedito
di scavalcare la balaustra, trascinandolo di forza nella direzione
opposta.
"Insomma, signor
Dazai! Mi sta solo rallentando! Questo caso era
affidato a lei prima che Kunikida mi obbligasse a seguirla!" Si lamenta
inutilmente il più giovane.
Naturalmente l'altro
uomo neanche lo sta minimamente ascoltando,
piuttosto vaga a
destra e a sinistra importunando giovani donne o signore, quelle poche
che ancora passeggiano per la strada dirigendosi ignare verso
casa.
Atsushi non
ci vede più e lo afferra per la cintura
dell'impermeabile, evitando così un contatto diretto che gli
sarebbe fatale -ha imparato sulla sua pelle che l'Abilità No Longer
Human
è perennemente attivata e basta il solo tocco fisico per
scatenarla-, trascinandolo via da quel ponte.
Costi quel che costi
avrebbero raggiunto il luogo d'indagine senza
altri intoppi, il giovane detective non decelera nemmeno quando lo
ascolta farfugliare incomprensibili probabilità sul
verificarsi o meno di certi eventi. Lui è ancora giovane e
inesperto, non ha il modo di approcciarsi ai casi da risolvere come
farebbe lo stesso Dazai o Kunikida, non riesce a estorcere informazioni
in modo sincero come farebbe Kenji, nemmeno è in grado
d'intuire
tutto al primo colpo come il signor Rampo, eppure il suo senso
del dovere gli impone di non lasciar perdere.
Ha bisogno d'imparare
e
fare esperienza sul campo, per farla è disposto anche ad
affrontare faccia a faccia quella gang di trafficanti di armi e farsi
del male.
Convinto dalle parole
di Kunikida, cose come
queste sono solo piccolezze per noi dell'Agenzia,
e aiutato dalle provocanti battute del signor Dazai, che pare avere un
talento innato per irritare i propri nemici e commettere passi falsi,
sconfiggere quei uomini armati si
rivela fortunatamente cosa di poco conto, se non per una piccola
complicanza in più.
"Dazai-san!" Grida
allarmato Atsushi mentre tenendosi un fianco gli
corre incontro. La missione è compiuta, ovviamente anche la
banda di trafficanti di armi è stata messa al tappeto, ma
chi
l'avrebbe detto che tra di loro c'era un utilizzatore di
Abilità
capace di manovrare dispositivi infiammabili?
Le informazioni
ricevute non menzionavano nessuno del genere.
Dazai era riuscito a
catturarlo, annullando la sua capacità, però non
era
riuscito a impedire un'esplosione. Nonostante la deflagrazione di
dimensioni ridotti lo spostamento d'aria fece balzare via sia
lui che Atsushi, quando quest'ultimo riaprì gli occhi si
trovò i vestiti bruciacchiati in alcuni punti e una ferita
non tanto profonda e grave sul
fianco destro.
Allora si era alzato
in piedi e, usando la vista della
tigre, individuò il suo superiore in mezzo alla nube di
cenere per corrergli incontro.
"Dazai-san!" Ripete
più forte e finalmente la nube si dipana.
Può
appurare di persona che Dazai sta bene, è in piedi e
al massimo ha il viso, i vestiti e i capelli un po' sporchi di
fuliggine. Tuttavia è immobile e osserva assorto il suo
braccio
piegato verso di sé, ai suoi piedi l'uomo che ha causato
quello
scoppio è svenuto supino.
Se Atsushi prima
è sollevato nel vedere il suo superiore stare
bene, subito dopo si rabbuia preoccupato: una delle maniche
dell'impermeabile color sabbia è completamente andata,
insieme
alle bende che o sono bruciate o stanno penzolando sciolte.
Ciò che
preoccupa maggiormente il nuovo arrivato dell'Agenzia
è la condizione di quel braccio: ci sono tagli sul polso,
tante
cicatrici profonde e regolari, sbiancate dal tempo; ci sono bruciature
ormai
diventate cheloidi; sono presenti solchi di varie dimensioni, simili a
buchi, forse colpi di pistola? Atsushi si paralizza sul posto e solo
allora Dazai abbassa il braccio, nascondendolo contro il fianco.
"Ah, meno male che
stai bene, Atsushi-kun. Fortunatamente l'esplosione
non è stata esagerata, e tu eri già abbastanza
lontano."
Ma Atsushi non gli
presta ascolto, piuttosto continua a boccheggiare spaventato.
"Dazai-san,
quelle..." Le indica terrorizzato.
Vede l'espressione di
Dazai mutare, passare da tranquilla a seria, quasi infastidita.
"Te l'ho
già detto, è solo pelle. Sono ferite vecchie, del
passato."
Atsushi non
è convinto; così è troppo sbagliato,
non voleva scoprire cosa Dazai celava sotto quelle bende in questo
modo...
"Ma..."
Se il suo braccio
è ridotto in quello stato, allora in che condizioni
è il suo corpo?
La mano di Dazai,
quella ancora sana perché protetta
dalle bende, gli
accarezza i capelli fino ad arruffarglieli; si tratta di un tocco
così leggero dal quale Atsushi non potrebbe sottarsi nemmeno
volendo, nonostante il cuore ancora palpita per l'agitazione.
Lo avverte esplodere nella cassa toracica assieme al ritorno di quella
sensazione di malessere provata qualche ora prima, in ufficio, per aver
domandato qualcosa che non avrebbe dovuto chiedere.
Sotto
quelle bende non c'è solo pelle, ma un'intera
storia dietro
che probabilmente non scoprirà perché mai gli
verrà raccontata.
"Non c'è
nulla di cui spaventarsi." Lo calma Dazai con voce lenta e
rilassata. "Sapevo che poteva accadere, che esisteva una
probabilità che accadesse, non è nulla di cui tu
debba angustiarti così tanto."
Tuttavia Atsushi
scaccia via quella mano focalizzandosi sull'opposta,
le sue dita si muovono automatiche verso i lembi più esterni
della sua camicia, strappandola a partire dall'orlo e ricavandone
così dei fogli di stoffa di dimensioni lunghe e
rettangolari.
Non gli concede nemmeno il tempo di reagire che già si
è
avventato su quel braccio, massacrato dal tempo, usando le bende
provvisorie per sostituire quelle andate bruciate.
"Per favore non lo
faccia più." Grida con la gola strozzata
mentre drappeggia quei pezzi di stoffa attorno al braccio di Dazai,
toccandone così le cicatrici, gli ematomi e le bruciature.
"Io posso
guarire grazie alla mia Abilità, e anche tutti gli altri
basta
che passino sotto le cure di Yosano, ma lei... lei..."
Non riesce nemmeno a
concludere la frase che già le lacrime si
manifestano a lucidargli gli occhi, con le mani tremanti si sta persino
rendendo conto dello scempio che sta compiendo: un groviglio di stoffe
intrecciate a caso e forse strette in malo modo, ma il suo superiore
non ha
opposto resistenza, anzi lo ha lasciato fare.
Anche se lui non ha
alcuna esperienza su come si trattano delle ferite, o su come si
realizzano delle fasciature, Dazai non ha opposto resistenza; forse
è stato proprio questo arrendersi ad aiutare Atsushi a
calmarsi, forse così facendo lo ha reso utile. Al contrario suo Dazai
è sempre stato bravo capirlo.
"Va meglio?" Gli
domanda dopo un po', quando le mani del suo
subordinato si allontanano dal proprio arto avendo terminato il lavoro.
"Sì, io...
mi dispiace. Non dovevo permettermi, ma davvero cerchi di avere cura di
sé."
Dazai si tocca il
braccio che fino a qualche minuto prima era esposto
alla vista altrui, sistemando meglio la bizzarra fasciatura che Atsushi
ha realizzato per lui.
"Avevo calcolato ogni
probabilità di uscire indenne
dall'esplosione, questo è stato solo un piccolo incidente di
percorso. Perciò, davvero, non preoccuparti più.
Piuttosto ora dovremmo metterci in contatto con Kunikida, non credi?"
Atsushi avverte la
sua mente tornare con in piedi per terra: hanno
messo ko il loro obbiettivo, il loro elemento più pericoloso
giace a pochi metri da loro ancora privo di sensi, ma non è
ancora finita. Immediatamente tira fuori il cellulare dalla tasca dei
suoi pantaloni per telefonare a Kunikida, avvertirlo di quanto successo
e prendere nuove istruzioni su come muoversi. A telefonata conclusa si
mette in contatto anche con la polizia locale per mandare
immediatamente una pattuglia sul posto. Dato che è coinvolto
anche un utilizzatore di Abilità da considerarsi pericoloso
forse
è meglio prendere contatti anche con la Divisione per le
Abilità Speciali gestita dal governo? Tutto questo lo manda
in
confusione e in crisi, il signor Dazai nemmeno lo sta aiutando, dato
che
non lo ha sentito fiatare per tutta la durata delle sue telefonate,
solo quando mette via il cellulare capisce perché. Di lui
non
c'è più traccia, è sparito nel nulla
come da solo
sa fare.
Lo ha lasciato a
gestire tutte le scartoffie
burocratiche del caso, se l'è data a gambe per evitare tutte
le
seccature.
Però lo ha
fatto senza dire una battuta, una parola
di scherno, qualsiasi cosa d'irritante tipico da lui; se fosse stata
un'altra situazione, Atsushi avrebbe sospirato
desolato e avrebbe lasciato perdere, ma stavolta non
è
così.
Perché si
sente in colpa di aver fatto cose che non
doveva fare, di aver detto cose che non doveva dire. Sa benissimo che
non è prevalentemente colpa sua, che ci si è
ritrovato
nel mezzo senza volerlo, se ne rende conto, ma il senso di inquietudine
non vuole lasciarlo stare.
Come si
sarà sentito il signor Dazai
dopo che la sua pelle è stata mostrata in quel modo? Se
è
scappato lo ha fatto proprio per evitare lui? Per non dovergli dare
spiegazioni?
Da affiliato
dell'Agenzia decide di aspettare l'arrivo delle
autorità, ma una volta che queste se ne saranno andate nulla
gli
può vietare di andarlo a cercare; il rapporto giornaliero
può attendere, le sue futili scuse no.
Una volta liberatosi
da
tutte queste formalità può constatare che il sole
è basso nel cielo, che l'azzurro si sta già
tingendo di
rosso, che la fine della giornata sta per arrivare e che non ha la
minima idea di dove il signor Dazai possa essersi andato a cacciare.
Allora si affida al
suo istinto, quello dell'animale dentro di lui, si
allontana accompagnato dal vento che soffia. Le sue gambe lo portano
verso le campagne, luoghi silenziosi e solitari, parte alla
ricerca raggiungendo un passaggio a livello dove le assi delle
rotaie sono vecchie e arrugginite. Si mette a seguirle con attenzione,
qualcosa gli dice che saranno di aiuto, in lontananza si vedono
locomotive viaggiare e lasciare la città per dirigersi
altrove.
Atsushi sospira udendone il suono.
Il fischio del treno
è un sibilo ovattato in lontananza che piano piano si
avvicina o si allontana sempre più.
Davanti a Dazai ci
sono solo le campagne distese della periferia di
Yokohama, disturbate da una linea ferroviaria che si protrae fino
all'infinito in entrambe le direzioni.
Il cielo rosso segna
come il
disco solare stia ormai per scomparire lasciando dietro di
sé un
raggio verde; l'uomo sospira, poi si riempe i polmoni di quell'aria di
campagna, non più soffocata dallo smog cittadino.
Certi scenari lo
aiutano a staccare, a ripercorrere i suoi anni nella
Port Mafia e a quello che è diventato dopo, quando ha deciso
di
aderire come detective per l'Agenzia di Fukuzawa.
Analizza ogni singola
cosa successa, dalla più piccola fino alla più
odierna.
Ha abbandonato
Atsushi senza dirgli nulla,
neanche una pacca sulle spalle per l'ottimo lavoro svolto, desiderava
solo di poter stare in solitudine. Non ha mentito dicendo che sono
ferite del passato, ma il passato è lì; non si
cancella. Quelle ferite esistono proprio per ricordarglielo.
Nel momento in cui
riapre gli occhi lo stridio
del treno pare essersi fatto ancora più vicino; allora
toglie le
mani dalle tasche del suo impermeabile, le lascia scivolare ai fianchi
e muove un passo in avanti.
La vita è
fatta di probabilità che si possono avverare o meno, il
rischio fa parte di essa e lui questo pericolo l'ha sfidato
innumerevoli volte, vincendo sempre contro la sorte.
Ma mentre sta per
compiere il secondo passo un violento strattone
lo riporta indietro: la mano guantata del suo nuovo subordinato lo sta
trattenendo dalla cintura del suo trench, mentre i suoi occhi lo
guardano con un misto di preoccupazione e di terrore. Ha le guance
rosse e il viso leggermente sudato; da quanto tempo lo sta cercando?
Sicuramente da tanto, da quando si sono separati dopo aver sconfitto
quel gruppo di trafficanti. Deve ammettere a se stesso
di aver perso la cognizione del tempo dopo essersi abbandonato ai
ricordi..
"Dazai-san!" Grida
Atsushi con voce affannata. "Che cosa stava facendo?
Guardi che Kunikida la sta cercando, vuole che la riporti indietro
all'Agenzia."
Dazai sospira:
esistono diverse probabilità nella vita,
così come quella di essere interrotti o scoperti nel mezzo
di qualcosa.
"Ah, Atsushi-kun...
Finalmente sei arrivato."
Fa di nuovo un passo,
stavolta non avanti ma indietro.
Atsushi tira un
sospiro di sollievo vedendolo allontanarsi di sua
spontanea volontà dalle strisce di acciaio del binario,
tuttavia
ancora non comprende: finalmente?
Cosa significa finalmente?
La locomotiva
sfreccia dietro di loro alzando un gran polverone da
terra; l'astro solare nemmeno è più visibile; ora
il cielo sta assumendo una sfumatura blu; in
direzione di Yokohama iniziano ad accendersi le prime luci della
città.
Sulla via del ritorno
sono udibili solo i passi che solcano il terreno;
la camminata di Atsushi è più corta rispetto a
quella del
suo superiore, la cosa non lo disturba in quanto gli permette di
poterlo tenere d'occhio, sia mai che gli venga la voglia di scappare di
nuovo. Nessuno dei due ha più parlato dopo che si sono
ritrovati, piuttosto sembra essere calato un silenzio imbarazzante.
Tra i due
è Atsushi a fermarsi per primo, incapace di avanzare
ancora, nel mentre in cui si ferma Dazai lo imita. A testa bassa il
ragazzo valuta se lo ha fatto perché lo ha sentito smettere
di
camminare o se ha avuto lo stesso pensiero per la testa.
"Dazai-san..."
"Atsushi-kun..."
Nessuno dei due
prosegue oltre, lasciando calare soltanto un pesante silenzio. Allora
Dazai sorride, prende in mano la
situazione e lo incita a parlare con un gesto della mano.
Ma non sa davvero
come intavolare il discorso: vuole solo porgergli le sue
scuse per quanto successo, al tempo stesso vorrebbe una risposta alla
domanda che gli ha posto in ufficio.
"Perché
indossa sempre quelle bende?"
Ora lo sa, il
perché, tuttavia non è questo che vuole
conoscere. Piuttosto si rende conto che sta usando l'oggetto bende come
pretesto per conoscere meglio il suo superiore, sperando di entrare
più in intimità con lui.
Ma esistono
seriamente le parole adatte
per chiedere qualcosa di così delicato senza risultare
troppo
invadente? Atsushi alza le spalle inspirando aria, poi scava nei
cassetti
della sua memoria qualsiasi cosa che possa tornargli utile. Quando l'ha
trovata butta fuori il respiro, sollevando finalmente gli occhi.
"Preferirei che mi
dicessi la verità, tutta la verità,
per quanto amara o spaventosa, in modo da poterla condividere con te."
Subito dopo averla
pronunciata avverte l'imbarazzo colorare le sue
guance, insieme a una risatina divertita davanti a sé.
L'atmosfera sembra essersi alleggerita un pochino.
"Che frase elaborata,
dove l'hai letta?" Gli chiede Dazai dopo aver
finito di ridere; nonostante l'impaccio ancora presente Atsushi ora
è più rilassato.
"Penso di averglielo
detto, ma nel mio orfanotrofio c'era
una grande biblioteca. Questa è la frase di un libro che ho
letto." Sorride.
Dazai non
può fare a meno di riderne ancora. Mette persino in
mostra le braccia per coprirsi le labbra, Atsushi può
constatare
di persona che il buffo bendaggio fatto è ancora
lì presente, mentre lui ha decisamente bisogno di una nuova
camicia. Ormai è abituato a stracciare a brandelli i suoi
vestiti ogni volta che esce in missione, ma stavolta è stato
per
una buona causa.
"Immagino che ora
aspetti una risposta." Risponde finalmente Dazai
dopo aver finito di ridere. "Ma, mi dispiace, questa è una
cosa
che non ti posso dire."
Atsushi apre appena
la bocca, ma incapace di dire qualcosa si lascia sopraffare
boccheggiando appena.
"Ogni uomo ha un
segreto che vuole nascondere." Puntualizza il
più grande dei due portando lo sguardo a terra; è
in quel
momento
che il suo subordinato più giovane muove un passo e una mano
in
avanti, forse con l'intento di raggiungerlo e afferrarlo nuovamente,
animato dalla sola intenzione di colmare quella distanza tra
loro.
Le sue intenzioni
sono sempre buone e sincere, questo Dazai lo
sa, eppure parlare di lui vorrebbe dire riaprire un passato ancora
troppo doloroso per essere dimenticato. A volte non sempre tirarlo
fuori è sinonimo di bene, per un uomo come lui meglio
lasciarlo stare sepolto dove si trova.
"Atsushi." Lo chiama
usando un tono freddo, non di rimprovero.
Assomiglia più a un ordine, l'assenza del suffisso -kun a
cui il ragazzo è tanto abituato lo congela sul posto.
"Va bene
così." Sono le ultime parole che ascolta provenire dalla sua
bocca, dopo di quelle solo il silenzio accompagna i suoi gesti e le
sue azioni. Solo tre parole, che in realtà sono sinonimo di "lascia
perdere, non continuare."
Le spalle di Atsushi
si abbassano, imitando la curva delle labbra; non
era questo ciò che voleva, non desiderava mettere a
disagio
qualcuno, né tantomeno il suo superiore. Voleva solo sapere,
ma... andare bene? Come poteva andare bene?
"Come può
dire così se poi fa una faccia tanto
triste?" Mormora appena, sapendo che si è già
allontanato quel tanto che basta perché il suo
sussurro non raggiunga orecchie altrui, disperdendosi tra le folate di
vento.
Quando arrivano
nuovamente agli uffici dell'Agenzia la luna è
già alta nel cielo, la notte si è già
mostrata e
la Port Mafia sicuramente si sta già muovendo nelle tenebre.
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