❝
Lo sclero di
ℰver❞
CAPITOLO
IV
Storia
di un quattrocchi e d'una nuotatrice che lo minacciò di morte
|
Quella sera è stanca ed affaticata, ma non ha alcuna voglia
di tornare a casa.
Ha lasciato gli altri da poco, utilizzando la banale scusa di dover
disimballare i cartoni, ma la realtà è che vuole
rimanere da sola. Le capitava spesso anche in Francia, quando aveva
troppi pensieri per la testa.
Cammina svogliata lungo la strada, con le mani nascoste dai profondi
tasconi del cappotto; la sciarpa riesce a proteggerla dal freddo che
soffia impetuoso dal mare, ma le dita intirizzite
l’ammoniscono di non sostare ancora a lungo
all’aria aperta. Dopotutto, è ancora inverno.
Durante il tragitto non fa che sentire il suo fastidioso scalpiccio.
Dannate scarpe nuove, se le avesse indossate un po’ di
più quando le ha comprate non farebbero tutto quel casino.
Ha la testa invasa da mille pensieri: l’ansia di non essere
ancora riuscita a raccontare la verità agli amici,
l’istituzione del nuovo club di nuoto, la voglia di nuotare e
la paura di non riuscirci… non più, almeno.
Iwatobi, persino in quel momento, non le pare casa sua.
Alza lo sguardo, stupita di trovarsi di fronte all’ITSC, o
almeno a quello che ne rimane. Si sente triste; nessuno le ha detto che
fosse ormai abbandonato.
Rimane in silenzio a contemplare la grande scritta rossa e il bambino
dipinto sopra che scorrazza felice in mezzo alle onde. Ricorda
d’essere stata gelosa da piccola, di quel bambino. Era
talmente felice da farla innervosire. Adesso, al contrario, sembra
pianga lacrime di ruggine.
L’iscrizione bianca dell’ingresso cattura la sua
attenzione: Iwatobi
Swimming Club.
Se ripensa ad ogni momento passato lì dentro, non riesce a
trovarne uno che non abbia un bel ricordo associato. È come
un’istantanea della sua vita passata, quando la bambina
dentro di lei ancora si dilettava a nuotare per passione, non per
punteggio.
Serra i pugni; a volte sa di essere troppo severa con se stessa, ma va
bene così. Se non lo facesse lei, non lo farebbe nessuno al
suo posto.
Fa per riprendere la via del ritorno, ma s’accorge che il
portone d’ingresso è stato lasciato socchiuso e da
dov’è lei può tranquillamente sbirciare
dentro il lungo corridoio che porta nella hall. Si morde un labbro,
certa che l’idea che l’è appena venuta
in mente sia davvero pessima.
Si guarda intorno, accertandosi che non vi sia nessuno nei paraggi.
Fissa il pomello della porta semiaperta, chiedendosi se sia davvero una
buona idea gironzolare per un edificio abbandonato. Preme delicatamente
le dita contro il vetro opaco; un allarmante scricchiolio le conferma
che l’uscio è ormai del tutto spalancato.
«Coraggio, baka» si dice, mentre intraprende i
primi passi lungo il corridoio buio. «In fondo, ci sei venuta
un sacco di volte.»
Deglutisce a fatica; l’aria è decisamente pesante,
la polvere e lo sporco accumulatisi nel tempo hanno reso quel luogo una
sciagura anche per i polmoni più allenati.
S’appoggia alla parete vicina, facendo scivolare la mano
lungo di essa per cercare d’orientarsi
nell’oscurità che avvolge l’androne.
Espira profondamente con la bocca; le tremano le gambe e sente il fiato
corto, ma si dice che vuole arrivare agli spogliatoi a tutti i costi.
Dei passi riecheggiano per il circolo; Mizuko è sicura non
si tratti dei suoi: sono più pesanti, molto più
lenti. Si blocca sul posto, nascondendosi dietro un angolo.
Ma come cazzo faccio a finire
in queste situazioni? Si rimprovera, mentre affonda il
viso nella sciarpa per soffocare l’improvviso affanno. Oddio… e se fosse un
serial killer?
Si porta una mano alla gola, affacciandosi leggermente sul corridoio
per controllare che sia libero. Prende un profondo respiro, prima
d’incamminarsi in punta di piedi verso l’uscita.
Appena s’accorge che i passi in lontananza si sono fermati,
intraprende una corsa impazzita verso l’ingresso, stando ben
attenta a non inciampare.
Dovrei esserci,
pensa, svoltando l’angolo della hall. Quando lo fa, il suo
cuore esplode come impazzito: le da la schiena una sagoma indistinta
avvolta nel nero, con addosso un capello che rende impossibile il
riconoscimento facciale.
Si lascia scappare un grido, mentre la figura sobbalza, voltandosi a
guardarla. Mizuko ha gli occhi serrati nelle palpebre e la voce
isterica; la parte più inconscia di sé la implora
di scappare e di non rimanere lì impalata a farsi uccidere.
«P-passavo di qui per caso!» urla disperata.
«Non mi uccidere, ho una lista di cose che voglio fare prima
di morire e non ne ho ancora completata la metà e poi devo
risolvere un sacco di…»
«Ohi.» Il cuore le si ghiaccia non appena sente la
voce roca dello sconosciuto.
«S-sì?» balbetta, mentre sente il sudore
infradiciarle la nuca.
«Cosa ci fai qui?» le domanda, con un tono che le
appare alquanto perplesso.
Deglutisce rumorosamente, rifiutandosi di aprire gli occhi.
«È stato il mio circolo di nuoto.»
Sente silenzio; è come se la sagoma si fosse dissolta, ma
non può ancora accertarsene fin quando continuerà
ad avere lo sguardo avvolto nell’oscurità delle
palpebre.
«Sei tu, allora.» Sobbalza, al sentire di nuovo
quei toni bassi.
Schiude un occhio, permettendo alla sua curiosità di vincere
sulla paura. Quando mette a fuoco l’ambiente, rimane sorpresa
di trovarsi davanti al ragazzo dagli occhi rossi conosciuto durante la
loro incursione alla Samezuka. Gli punta un indice contro, cercando di
ricordarsi il nome che tanto ha sentito pronunciare durante quei pochi
giorni in cui è tornata. È assurdo che
l’abbia completamente rimosso, ma alla fine si convince che
sia soltanto una riprova di quanto non lo sopporti.
«Ren» dice, sorridendo vittoriosa.
Il ragazzo la scruta, alzando un sopracciglio. «Rin,
tonta.»
Sbuffa, infastidita dal canzonatorio nomignolo che le ha conferito.
«Sarò pure una tonta, ma alla fine pensavo avessi
un nome da maschio» borbotta tra i denti, ma con tono
abbastanza alto perché lui possa sentirla.
Lo squalo si porta le mani nelle tasche della felpa, scrutando
l’esile corpicino davanti a lui: non può davvero
fare nuoto, quella figura così gracile. Fa un passo verso di
lei, sogghignando non appena la vede indietreggiare. «Guarda
che non mordo.»
«Un po’ presto per dirlo, non credi?»
constata lei, aguzzando lo sguardo. Le appare subito come una di quelle
vipere d’acqua pronte ad azzannarlo. Probabilmente ce
l’ha ancora con lui per la storia della sera prima.
Sospira, alzando le mani in segno di resa. «A questa distanza
riesci a parlare senza che ti tremino le gambe?»
Lo guarda indignata, mentre gira la testa di lato. «Tanto per
essere chiari: tu non mi fai affatto paura.»
«Detto dalla stessa persona che un minuto fa mi ha implorato
di risparmiarle la vita» le fa notare, con un insopportabile
sorriso dipinto sul volto.
«Che diavolo avrei dovuto pensare, solamente uno psicopatico
verrebbe qui a quest’ora della notte» gli risponde,
incurante dell’assurdità di
quell’affermazione.
«Vorrei ricordarti che ci sei anche tu, qui.»
Il rosso la scruta. È divertito dalla paradossale
situazione, ma più di tutto dallo sguardo vigile di lei, che
lo fissa in cagnesco. «Hai finito di guardarmi come se mi
volessi uccidere?»
«Affatto.»
«Esattamente, con chi pensi di parlare?»
«Rin Matsuoka.»
«E tu sei…» Il cremisi attende paziente
una risposta.
Vorrebbe davvero staccargli dalla faccia quel sorriso sornione, ma si
convince che apparirgli come una schizzata pazza non sia una delle
migliori soluzioni.
«Mizuko Hoshino.» Cavolo, avrebbe potuto
inventarselo, un nome dell’ultimo secondo. Si
dà mentalmente della stupida per non essere mai abbastanza
sveglia da pensare preventivamente a piani perfetti.
Lentamente riporta l’attenzione su di lui, agganciando il suo
sguardo che sembra squadrarla da capo a piedi. Arrossisce di colpo,
stringendosi nelle spalle. «C-che
c’è?»
Rin avvicina di scatto il viso al suo, cercando il bizzarro sguardo
iridescente.
«O-oh!» sbotta la ragazza, inarcando la schiena
all’indietro per mantenere le distanze da quel corpo
così minaccioso. «Che ti prende?»
«Dì un po’» le chiede infine.
«Nuoti davvero?»
La guarda trattenere il respiro per un attimo e non può fare
a meno di pensare che sia buffa. Si chiede se non sia stata la mascotte
del club prima del suo arrivo. A quei tempi, avrebbe anche potuto
trovarla adorabile.
La osserva mettere uno strano broncio, misto tra rabbia e
incredulità. Trattiene a stento una risata non appena la
vede.
«Mi stai dicendo che non ho il fisico per farlo
bene?!» sbotta infine, flettendo la schiena verso di lui con
fare minaccioso.
Adesso che è più vicina, s’accorge di
quanto sia anche terribilmente bassa. Un tappo con le braccia, per
essere più specifici.
«Ti sto solo chiedendo se nuoti» sbiascica infine,
al colmo dell’esasperazione. Sono lì da minuti
ormai e lei ancora si ostina a mostrargli la diffidenza di un cane
randagio.
Al sentir pronunciare quella domanda, qualcosa cambia
nell’atteggiamento della ragazza; la scheggia impazzita che
si trovava di fronte a lui qualche istante prima sembra placarsi e uno
sguardo raddolcito prende forma dalle iridi cangianti, mentre un
sorriso le si dipinge addosso, lasciandolo sbigottito.
«Sì, nuoto anche io» gli risponde
semplicemente, mentre s’accosta alle fotografie appese sulla
parete alle sue spalle. «È in questa piscina che
ho gareggiato per la prima volta.»
Anche il tono della sua voce è cambiato; è
più mite e sobrio, come se abbia dimenticato il motivo della
sua precedente indisposizione.
Rin s’accorge di averla vista solo due volte, eppure non gli
ha mai concesso di sentire il timbro pacato di adesso –
d’altronde l'ha sentita solo sgridarlo o sbraitargli addosso.
Lo
fissa, indicandogli con l’indice sottile una foto posta in
mezzo alle altre. Lo squalo le si affianca, studiando attentamente il
soggetto immortalato, nonostante la polvere abbia ormai sbiadito quel
ricordo su istantanea.
Non ha dubbi che si tratti di lei. È una bambina
piccola, con il sorriso sdentato e gli occhi pieni di gioia. Stringe a
sé un piccolo trofeo, reso ancora più altisonante
dalla medaglia che le sbrilluccica al collo, che sembra decisamente
troppo grande su quel petto da infante.
S’abbassa a leggere l’etichetta posta sotto la
cornice e rimane stupito di trovarla senza alcuna usura.
1° Posto
Sezione: Stile libero
MIZUKO HOSHINO
«Fai stile libero, eh?» sussurra, non aspettandosi
di ricevere una risposta.
Studia minuziosamente la fotografia; s’incupisce man mano che
focalizza l’attenzione su un dettaglio alle spalle della
piccola vincitrice. Non ha dubbi: quello è Haruka, e il suo
sguardo sta proprio fissando la giovane nuotatrice.
«Non ci posso credere» scatta infine, con le mani
tra i capelli. «Oddio, sei proprio tu!»
Mizuko lo fissa, con uno sguardo che chiaramente lascia intuire la sua
perplessità. Rin la squadra da capo a piedi, certo ormai di
trovarsi di fronte alla famosa M.H.
«Dì un po’, per caso il tuo armadietto
era accanto a quello di Haru?»
La vede sgranare gli occhi e prova un inappagabile senso di
soddisfazione nel constatare che finalmente ha potuto conoscere il
fantasma che perseguitava l’amico già cinque anni
addietro. Si sente un po’ deluso onestamente: è
davvero quella ragazzina sciatta la ragione del malessere profondo che
si celava nelle profonde iridi blu del compagno?
Gli scappa un’altra risata.
La ragazza lo fissa senza dire niente. Non ride, a stento respira, in
quel mare di fuliggine risvegliatosi dal lungo torpore.
Quel
ragazzo ha davvero qualcosa di spaventoso: non riesce a capire se
associare il suo disagio ai denti aguzzi o agli occhi che brillano di
un’insolita rabbia repressa. Per qualche istante è
convinta che non sia la polvere a farle mancare l’aria.
Pian
piano il ghigno malefico dello squalo scompare; si sente osservato
dallo sguardo indagatore e perfido della piccola ragazza che gli sta di
fronte, ma non riesce a capire come mai se ne stia zitta senza
proferire parola. Sbuffa, infastidito da quell’atteggiamento
supponente. «E adesso che hai?»
La vede fare spallucce. «Niente.»
«E allora piantala di guardarmi.»
«Non ti sto guardando.»
«Ah!?» Ma
com’è possibile che neghi l’evidenza
fino a questo punto? È davvero assurda.
«Non ti hanno mai insegnato che fissare le altre persone
è da maled-»
«Perché sei tornato?»
Mizuko non è una persona che risponde facilmente alle
domande che le vengono poste. Forse sarà dovuto al fatto che
ha troppi interrogativi in testa da non avere altro spazio anche per
risolverli.
Il rosso non ha alcuna intenzione di risponderle. È teso
come una corda di violino, incapace di poter spiegare ad una
sconosciuta cosa l’abbia portato nuovamente in Giappone,
quale problema si celi dietro la sua apparente spavalderia.
È certo che una tipa come lei non sia abbastanza sveglia per
capirlo.
«Potrei farti la stessa domanda» brontola acido,
voltandole le spalle. «Non sei stata tu la prima ad
andartene?»
«Sì.»
Deve ancora abituarsi a quei modi così diretti, si dice,
mentre torna a fissarla. «Perché allora lo domandi
a me?»
La ragazza si stringe nelle spalle, arrossendo leggermente.
«Beh, perché vedi… tu sembri davvero
triste.»
Per la prima volta da quando l’ha incontrata, lo sguardo
cremisi trema; non sa spiegarsi bene il motivo, ma la
facilità con la quale riesce a leggerlo lo destabilizza. Una
maledetta mocciosa che puzza ancora di latte non potrebbe mai capirlo,
è ovvio che stia solo cercando di soggiogarlo.
«Che diavolo ne puoi sapere tu, stupida!» sbraita,
improvvisamente incattivito.
Mizuko non sembra scomporsi affatto, ma rimane passiva a fissare lo
sguardo infuocato di Rin, sempre più rabbioso e senza
controllo. È ovvio che in lui ci sia qualcosa che non va, ma
quella rabbia non riesce a giustificarla neanche ipotizzando che
c’entri la rivalità con il delfino. È
più dura, la realtà. Lo sente. Gli fa
più male di quel che dovrebbe.
Trattiene un sospiro; non vuole irritarlo, sa che certi pensieri
possono annebbiare la mente, a volte. Lei ne è un esempio
vivente.
‘Fanculo, pensa, arrendendosi. In fondo, non credo ci
riparleremo più.
«Sono tornata perché voglio trovare delle
risposte» dice, ignorando il fatto che nella testa dello
squalo ci siano domande ben più importanti di quella che le
ha fatto. «Su me stessa.»
«Risposte?» Lo sguardo amarantino sembra placarsi,
vittima di un’improvvisa curiosità.
La bionda sorride, sfiorando con le dita sottili la fotografia
polverosa di una lei molto più felice.
«Sì, risposte. Sai, quelle che si danno quando si
fanno delle domande.»
«Anche spiritosa» lo sente mormorare, ma nella sua
voce non vi è più alcun accenno di cattiveria.
«Oh, certo.» Mizuko gli si para dinnanzi.
«Sono un vero spasso.»
«E modesta.»
Rin si lascia scappare una risata, riuscendo a dimenticare per un
istante il suo inferno personale. Quella ragazzina è strana
come poche. S’accorge che, nonostante i suoi modi siano
assolutamente insopportabili, il suo modo spicciolo di vedere la vita
gli piace. È come avere a che fare con una bambina, con i
suoi grandi occhi cangianti che scrutano un mondo solo a colori.
«Ohi.» Sa che non dovrebbe parlarne proprio con
lei, ma non riesce a frenare la curiosità. Quando riesce ad
attirare la sua attenzione, le labbra si muovono da sole.
«Cosa c’è tra te ed Haru?»
La giovane nuotatrice rimane a fissarlo, sorpresa da quella domanda
inaspettata. Di tutte le cose che ha pensato potesse chiederle, quella
sicuramente non rientra nell’elenco.
Oddio, e adesso cosa risponde? Trovare una risposta ad un quesito
così complesso è tutto fuorché facile.
Deve pensare a qualcosa di sensato da dire, ma ogni volta che prova a
rispondere, i magnetici occhi blu del libero le occupano la testa e si
sente come una di quelle teenager che stravedono per l’idol
di turno.
Dio, che scena raccapricciante.
«E-ehm» prova a dire, schiarendosi la voce.
«In realtà è difficile
spiegarlo.»
Magari riuscirà ad eludere la domanda, ma non appena osserva
gli occhi impazienti che le stanno di fronte capisce che non ha alcuna
via di fuga.
Respira profondamente, mentre con un unico forte sospiro butta via
tutta l’aria accumulata nei polmoni. Bene così,
dovrà pur trovare un modo per parlarne. Meglio con lui che
con Makoto o, peggio, Nagisa. Già se lo immagina, il
coetaneo, mentre lei si confida e lui la scruta con gli occhi rosei
illuminati dalla luce della malizia.
Giammai.
«Io non lo so» sbotta infine, passandosi una mano
tra i corti capelli biondi. «Per lui in realtà
credo di essere una palla al piede.»
«Credi questo?» Il rosso sembra sorpreso, ma non
riesce a spiegarsene la ragione.
La ragazza fa spallucce, strofinandosi il naso infreddolito contro la
sciarpa. «Quando eravamo più piccoli passavamo
molto tempo insieme – ah beh, non farti strane idee, solo in
piscina in realtà – e credo di averlo fatto spesso
arrabbiare.»
«Davvero?»
«Eh, già. Ero sempre molto chiassosa e imbranata e
goffa e…»
«Eri?»
Rin ripensa alla crisi isterica che le ha visto fare durante la sera
precedente, trattenendosi dal canzonarla. Crede davvero di essere tanto
cambiata?
Mizuko lo fissa, immusonita. «Sono un po’
migliorata» borbotta, girando lo sguardo di lato.
Lo squalo sorride sotto i baffi: si sorprende di trovare la sua
compagnia piacevole. «E adesso?»
«Adesso è diverso.» La ragazza sospira,
portando le mani dietro la schiena e strofinandosi le dita.
«Se è vero che io non sono cambiata, allora forse
è cambiato lui. Anche se…»
«Anche se…?»
«Il modo in cui nuota.» La osserva sorridere. Un
sorriso del tutto nuovo, dolce e malinconico al tempo stesso, di quelli
che quando si vedono impediscono allo sguardo di guardare altrove.
«Il modo in cui nuota è sempre
meraviglioso.»
Rin non riesce a capire cosa prova. Sente di essere arrabbiato e
tuttavia vuole sentirla parlare ancora, con quegli occhi illuminati dal
pensiero del rivale e col cuore in mano, trasognante. Come esistere
all’interno della sua bella favola rosa, fatta dei
più variopinti colori. Si convince che dev’essere
bello, vivere lì.
«Sembri davvero felice quando parli di lui» le
dice, maledicendosi per l’astio vagheggiante della sua voce.
Mizuko abbassa lo sguardo, fissandosi le punte degli stivaletti.
«Beh… è perché io amo
Nanase-kun» sussurra, con lo sguardo perso in
chissà quali dolci ricordi.
Rimane a fissarla, turbato al pensiero di quelle parole; allora
è vero che tra loro c’è davvero
qualcosa. Mentre cerca di replicare, lei lo ferma, scuotendo
freneticamente le braccia.
«Ma non c’è da
preoccuparsi!» sbraita, improvvisamente conscia di quanto
appena detto. «È un amore a senso unico!
Decisamente a senso unico! Figurati se una come me può
piacere ad uno come lui, cioè mi hai vista?»
Ride così come parla, pensa il rosso.
Istericamente.
Non dev’essersi accorta in tempo di quello che ha detto,
è certo che non glielo avrebbe mai confidato se fosse stata
presente a se stessa. In effetti, non può che essere
d’accordo con lei: come potrebbe mai piacere ad uno come
Haruka? È nevrotica, irragionevole, maldestra e dice sempre
cose che non dovrebbe dire, risultando per lo più fuori
luogo.
Ha tutte le carte in regola per essere il peggior incubo
dell’avversario. Dovrebbe essere così. Eppure, il
ricordo degli occhi blu del rivale che la cercano, che
s’illuminano a guardarla… quello Rin non
l’ha sognato, ne è sicuro.
Sbuffa infastidito, afferrandola per un braccio.
«Oh!» grida lei, colta di sorpresa. «Dove
diavolo stiamo andando?»
Il rosso la fulmina con lo sguardo. «Non avrai intenzione di
tornartene a casa da sola, mocciosa.»
Mizuko
lo fissa, socchiudendo la bocca e rimanendo imbambolata a fissarlo,
mentre Rin le fa un cenno con la mano, cercando di destarla da quella
improvvisa catalessi. È
proprio un caso perso, si dice, mentre
s’incammina all’uscita dell’edificio
trascinandola di forza – non che sia un problema in
realtà, la ragazza pesa a stento un terzo di quanto pesi lui.
Sul serio
Haru, come fai? Vorrebbe chiedergli. Come riesci a tenere il passo di
questa qui?
«Ohi, Rin» si sente chiamare.
«Cosa vuoi?» Non si volta a guardarla,
né si ferma. È stanco e vorrebbe solamente andare
a dormire.
Per un attimo è tentato di controllare che stia bene;
qualche istante dopo la sente mugugnare qualcosa di incomprensibile.
Sospira, ormai arresosi al suo atteggiamento bipolare. «E
adesso cos’hai detto?»
«Non è importante.»
«Dillo e basta!»
«Ho detto grazie, ok!? Però dato che faccio ancora
fatica a ricordarmi l’accento di alcune parole non volevo
sbagliare!» sbraita, dimenandosi come una pazza.
Non ridere,
si ammonisce. Non
ridere o lei s’incazzerà ancora di più.
«Sono arrivata» dice, una volta giunti in
prossimità di un bel cancello in ferro battuto.
«Buonanotte, Matsuoka-san.»
«Mi hai chiamato Rin per tutto questo tempo,
perché adesso te ne esci con Matsuoka-san?»
La ragazza si stringe nelle spalle, arrossendo di colpo.
«N-non mi ero accorta di chiamarti per nome.»
Il rosso si dà una manata sulla fronte, frastornato.
«Lascia stare. Va bene Rin.»
«O-ok.»
«Buonanotte, Mizuko.»
Quando finalmente la vede chiudere la porta di casa, lo squalo non
riesce a smettere di sorridere.
È decisamente fuori di testa, quella.
⚘
Amakata-sensei studia attentamente i volti dei presenti, facendo
svolazzare un foglio vicino ai loro nasi. «Dunque, per quanto
riguarda il modulo del club di nuoto che avete compilato…
dopo un’attenta analisi da parte del nostro
istituto…»
Ha sempre odiato chi si diletta con la suspense altrui. Sarà
dovuto al fatto che in Francia c’era una docente che non
faceva altro che parlare per puntini di sospensione.
«… È stato
approvato!»
Le mette subito tenerezza l’espressione sollevata del bel
castano, mentre l’isteria del più piccolo tra i
presenti prende il sopravvento su qualsiasi altra forma
d’esultanza.
«Magnifico! Sapevo che potevamo contare su una ex dipendente
di una compagnia di costumi!» esclama, mentre la sensei
sdrammatizza le sue lusinghe, risultando più falsa di quel
che crede.
«Ragazzi, c’è una condizione in
particolare…» s’affretta a dire poco
dopo la docente, dissipando l’ilarità generale.
«Beh, vedete…»
Una volta fuori, la piscina appare come un campo abbandonato. Mizuko la
studia attentamente: le recinzioni sono del tutto arrugginite,
strozzate dall’edera rampicante che sembra soffocarle; la
piscina, oltre agli evidenti segni dell’usura temporale,
sembra territorio di caccia d’erbacce e piante opportuniste
insinuatesi lungo le crepe allargate dalle intemperie; vi sono anche
dei considerevoli tronchi di legno marcio e qualche cartone buttato qui
e lì a mo’ di deposito. È impossibile
distinguere persino le linee bianche che separano le corsie.
«Wow, sembra l’Amazzonia» mormora il
biondino, ancora con l’argento vivo addosso.
«Vuol dire che…» prova a dire Makoto, ma
la professoressa lo precede.
«Esatto, dovrete rendere utilizzabile questa
piscina.» Il tono perentorio della sua voce manifesta subito
una rilevante necessità, non c’è dubbio.
Senza piscina, in effetti, nuotare è abbastanza difficile.
«Il va y avoir
du ménage à faire[1]»
sussurra la ragazza, portandosi una mano sulla bocca per non apparire
troppo stupita del disastro dinnanzi ai suoi occhi.
Haruka la fissa, confuso. «Cos’hai detto?»
«Ah!» Scuote freneticamente la mano,
sdrammatizzando il suo commento poco felice. «Niente di
importante. È un riflesso incondizionato, scusa!»
Il libero la guarda perplesso; distoglie lo sguardo da lui, ripensando
alla confessione fatta al suo rivale la sera prima.
Sono
un’idiota! Si dice, ripensando allo sguardo
incuriosito del rosso. Oddio
e se dovesse dirglielo?! Ma no, in fondo non si parlano, giusto?!
Però sono amici, potrebbero anche fare pace e allora vuol
dire che lui potrebbe in qualche modo confidargli quello che gli ho
detto, oddio no impossibile…
«Mizuko.» Scatta sull’attenti al suono
della voce sospettosa del corvino. «Qualcosa non
va?»
Si volta, cercando di mantenere il contegno. Quando lo vede, lo sguardo
blu che tanto adora è visibilmente preoccupato. Si
rimprovera per essere lei la ragione della sua angoscia.
«No.» Certo,
come no. «È tutto ok.»
Perché diavolo quando gli sta così vicino deve
comportarsi da stupida? Non può far finta d’essere
una ragazza normale, magari riservata, un po’ misteriosa,
capace di attirare la sua attenzione?
Certo che no. Lei è la solita vecchia amica infastidente e
con lo scarso senso d’equilibrio, si dice, mentre inizia a
strappare ogni ciuffo d’erba che osa sfidare la sua forza
fisica. Incazzarsi con se stessa è ormai diventata una delle
prerogative più urgenti.
Dà
uno sguardo veloce alle crepe delle pareti della piscina,
interrogandosi su chi abbia mai permesso di trascurarla a quel modo.
Studia la situazione, cercando di ricordarsi come fare per poterle
riparare.
«Mizuko.» Makoto le si avvicina, accovacciandosi
vicino a lei. «Sei stanca?»
Scuote la testa, tornando a fissare il muro d’azzurro
sbiadito. «Sto pensando ad una soluzione per questo
schifo.»
«T’intendi di riparazioni?»
«Assolutamente no» ride lei, sfiorando con le dita
la crepa. «Però possiamo provare a stuccare e poi
ridipingere sopra. In fondo, queste spaccature non sono poi
così profonde.»
«No, hai ragione» conviene il castano, mentre li
raggiungono gli altri due membri del club.
Haruka le si accosta, porgendole una mano per farla alzare da terra.
Arrossisce un po’, ma le ciocche non permettono al moro di
notarlo. Santi capelli.
«Cosa facciamo, quindi?» domanda Nagisa, portando
le braccia dietro la nuca. «Abbiamo ancora un po’
di tempo.»
«Beh, potremmo provare ad andare da DolphinS,
sicuramente avrà tutto l’occorrente» fa
notare Makoto, mentre s’avviano verso lo studio di
Amakata-sensei.
Una
volta in macchina con la docente, l’allegro gruppetto si
lascia andare ad una serie di fantasticherie su come verrà
su la piscina a lavoro finito, ognuno emozionato a modo suo su come
possa apparire nuova e tirata a lucido.
Prendono tutto il necessario per riparare le fessurazioni e il colore
per ridipingere; Mizuko dà una rapida occhiata alle vernici
bianche, poi si fa indicare da un commesso dove poter trovare le barre
galleggianti – certa che quelle conservate non siano
più utilizzabili. Afferra decisa il portafoglio, mentre
Makoto e Nagisa tentano disperatamente di dissuadere il libero dal
buttarsi dentro una vasca ricolma d’acqua – a volte
la vita degli amici di Haruka Nanase può essere
particolarmente difficile.
Nei giorni a seguire proseguono la loro tabella di marcia, continuando
ad allestire la piscina affinché sia pronta in poco tempo;
Nagisa ed Haruka si danno al disegno, coadiuvati dal club di arte per
la produzione di locandine al fine di sponsorizzare
l’apertura del nuovo club – lavoro in cui
l’arte cubista del primino incontra quella più
classicheggiante ed apprezzata del nuotatore prodigio.
Mizuko passa il suo giorno di meritato riposo sulla terrazza,
intenta a fissare in lontananza un giovane ragazzo che pulisce la
piscina. Persino da quella distanza riesce a vedere come brillino i
suoi occhi al pensiero di poter finalmente tornare a nuotare.
Sente aprirsi alle sue spalle la porta d’acciaio ed una voce
chiamare proprio il ragazzo che sta in piscina. Sorride ad un Makoto
chiaramente sorpreso di trovarla lì.
«Mizuko!»
«Buongiorno, Makoto» gli dice, affacciata alla
ringhiera. «Se cerchi Nanase-kun è
lì.»
Indica un piccolo omino immerso nella nuova pittura azzurra della
piscina. Il castano non può fare a meno di sorridere.
«S’impegna tanto, eh?»
«Più di tutti noi» gli fa notare la
ragazza, con lo sguardo trasognante. «Mi chiedo se esista
davvero al mondo qualcuno che possa competere con l’amore che
prova per il nuoto.»
L’orca la fissa, contento di trovarsi lì con lei.
Gli è sempre piaciuta, Mizuko.
Non nel senso vero del termine, o almeno crede. È
che lei è quel tipo di ragazza che, una volta che entra
nella vita altrui, non si può proprio dimenticare. Haruka
non c’era riuscito, ma se è per questo neanche
lui. S’era interrogato più volte, in passato, per
sapere come stesse, se fosse felice; non ha mai sopportato
l’idea che potesse essere triste, forse perché
è sempre stato abituato a vederla sorridere.
Forse chiamarlo amore è inesatto. No, non lo chiamerebbe
affatto amore. Forse per paura o forse solo perché
è troppo semplice: è quel tipo di affetto che non
pretende d’esser visto; è piccolo e forte, capace
di sbocciare anche nel mese più freddo; non è
geloso, non è arrogante né narcisista; non
è vanitoso o violento.
È il volere che lei sia felice, null’altro.
Vorrebbe tanto chiederle cos’abbia vissuto lontana da
Iwatobi, se abbia riso, pianto, se abbia trovato qualcosa
d’importante o sia stato solo un lungo viaggio per poter
tornare lì. Eppure, ogni volta che è sul punto di
domandarglielo, il suo sguardo incrocia quello di Haruka e
improvvisamente si sente in difetto, proprio come se lui non avesse
diritto di starle così vicino, d’essere al fianco
dell’amica.
Sa che è solo una sua fissazione: l’amico non
dubiterebbe mai di lui, questo lo sa bene, ma forse è
proprio per questo che si sente messo da parte.
Non ha mai potuto competere in acqua, con Haruka. E adesso non
può farlo neanche per lei, perché anche ad un
orbo parrebbe evidente come Mizuko non abbia occhi che per il delfino.
Non è un tipo che rischia, Makoto. Forse
è per questo che non ha mai potuto davvero essere se stesso;
nel suo atteggiamento paterno e protettivo si è dimenticato
com’è essere bambino. Quando le persone sognavano
di se stesse, lui sognava di loro, nel suo piccolo mondo sentimentale
fatto solo di amicizie preziose, d’affetti sinceri, dove non
ha mai trovato spazio per le menzogne. È difficile da
trovare, una persona del genere.
«Makoto» si sente chiamare dalla voce canterina.
«Tutto ok?»
«Sì» le risponde subito, portandosi una
mano a carezzarsi il collo tornito.
«Perché?»
Mizuko lo guarda con quei suoi adorabili globi luminescenti,
preoccupata che possa essergli accaduto qualcosa. «Sembri
strano.»
Si lascia scappare una risata nervosa, mentre porta lo sguardo a
cercare la figura dell’amico intento a pulire la piscina. No,
non può decisamente competere contro di lui. Non su questo.
«Non è niente» risponde, reprimendo il
flusso di quei pensieri ingiusti, troppo lontani da quella che
è la sua persona, il suo essere.
Quel sentimento non è un oceano in cui è in grado
di nuotare. Rischierebbe di affogare. Per cui, perché
tuffarsi? «Non è niente.»
Fa per andarsene, con una decisione che gli pesa addosso più
di tutto il resto. La sente, la parte di sé che sta
affondando, quella che sta urlando. Ma non importa.
Lui è Makoto. L’amico su cui si può
sempre contare. La spalla su cui piangere.
Non è proprio fatto per l’egoismo, lui. Per una
volta, però, avrebbe tanto voluto essere diverso.
Peggiore di così.
⚘
«L’avete ripulita proprio per bene!»
Per una volta deve convenire con Amakata-sensei. La piscina
è sempre più bella, si dice, mentre ripassa per
l’ennesima volta le strisce delle corsie con un pennello per
l’imbiancatura.
«Non potrebbe alzarsi da lì e darci una
mano?» sbotta innervosito il biondino, con attorno un mucchio
d’oggettistica che non sa bene come utilizzare.
Il solito imbranato,
le viene da pensare, udendo in sottofondo la voce della docente che
accampa la scusa dei raggi ultravioletti per godersi ancora la
tranquillità della sua sdraio.
A pochi metri di distanza da lei, un Makoto entusiasta dipinge la
parete più lunga della vasca.
«È divertente» lo sente dire,
rivolgendosi al corvino. «È come se fossimo
tornati alle elementari.»
«Alle elementari di sicuro non ti chiedono di
sistemare una piscina» gli risponde, irritato.
Mizuko sorride; è proprio da lui non sopportare
l’idea di attendere ancora per potersi tuffare in acqua.
Come se percepisse il suo sguardo addosso, il corvino si volta a
fissarla. Rimangono in silenzio per qualche istante: ormai non vi
è più alcun imbarazzo, quando i loro sguardi
s’incontrano. È un tacito accordo tra colori
dissonanti, il blu profondo dello sguardo del delfino che brama
d’esser visto, scrutato dal corallo e dall’azzurro
di lei.
È il cuore a lanciarle i primi segnali; sembra esploderle
dal petto non appena lo vede sorridere.
Oddio. Non ha pensato a nulla di intelligente da dirgli. Maledetto
cervello che non pensa mai a niente.
Quando è ormai sul punto di avvicinarsi a lui, avverte alle
sue spalle la voce fastidiosa della giovane Matsuoka. Tempismo
perfetto, e lei che sta ancora lì a si
chiedersi come mai non la sopporti.
«Ah Gou!» sente esclamare il coetaneo.
«Sei venuta ad aiutarci?»
«Ti ho detto di chiamarmi Kou, altrimenti non ti
darò nulla!» gli risponde acida, indicandogli il
sacchetto con dentro i rinfreschi.
Ti chiami
Gou, perciò non rompere. È quello
che pensa, ma sta ben attenta a non parlare. Non è la prima
volta che rischia di fare una figuraccia a causa della sua indole
troppo impulsiva.
«Eh?! Sei cattiva!»
«Nagisa» lo chiama, puntando i piedi ed attirando
l’attenzione degli altri due ragazzi.
«Andiamo.»
Il biondo la guarda, confuso. «Dove?»
Mizuko
s’aggrappa al bordo della piscina, issandosi sulle braccia
per poterne uscire. È arrabbiata, ma non ne capisce bene il
motivo. Forse è perché la rossa davvero non le
piace – insomma, come diavolo fa a sbucare sempre nei momenti
meno opportuni?
«Andiamo a fare pubblicità, no?» Fissa
il compagno, attendendo che la raggiunga.
Quando si allontanano, Makoto non può fare a meno di notare
quanto Haruka sia turbato. Ha sempre creduto fosse solo frutto della
sua immaginazione, ma adesso ne è fermamente convinto:
l’amico è geloso di Nagisa, anche se forse neanche
lui sa bene cosa sta provando. Lo fissa, sorridendo.
«Che c’è, Haru?»
«Niente» mugugna, continuando a dipingere.
Perciò è questo, pensa il castano,
osservando lo sguardo sempre più accigliato del compagno.
È proprio un libro aperto.
Mentre i due senpai continuano le rifiniture della piscina ormai
prossima all’apertura, Mizuko e Nagisa corrono per i corridoi
come due esaltati, in cerca di qualcuno abbastanza folle da unirsi al
loro club. È difficile, si dicono, mentre ogni studente che
incontrano trova una scusa qualsiasi per potersi defilare quanto prima
dai loro filosofici discorsi su quanto sia salutare nuotare.
«Ragazzi! Nuotiamo e divertiamoci insieme!» esclama
Nagisa, con addosso gli occhialini e una tavoletta azzurra con sopra un
pinguino.
«Perché dovremmo nuotare in una piscina, quando
c’è il mare a due passi?» rispondono due
ragazzi del primo anno.
«Se vi iscrivete subito, avrete in regalo una fornitura
annuale della mascotte dell’Iwatobi: Iwatobi-chan!»
continua il biondo, ad un altro gruppo.
«No, grazie» rispondono tutti in coro.
La ragazza appare sempre più arrendevole: il nuoto non
è uno sport che va per la maggiore, dopotutto. Non
è popolare come il basket o energico come il calcio.
Si dice che preferisce trovare poche persone che abbiano davvero voglia
di nuotare insieme a loro e, per la prima volta, sente davvero la
necessità di potersi tuffare anche lei nel primordiale
elemento e gustare appieno l’adrenalina di ogni falcata, di
ogni bracciata. Non vede l’ora.
Persa a fantasticare su come potrebbe essere nuotare di nuovo insieme
ai suoi vecchi compagni, sbatte la testa contro qualcosa
d’estremamente duro. Tiene la mano premuta contro il naso,
sperando di non iniziare a sanguinare. «Ma si può
sapere che cos-»
La frase le muore in gola, mentre mette a fuoco la sagoma sorpresa del
suo vicino di banco: Ryugazaki.
«Oh!» gli grida contro, facendolo sobbalzare.
«Ma guarda dove vai!»
«Io?! Ma sei tu che mi sei venuta addosso!» sbraita
lui di rimando.
«Mizu-chan!» Nagisa le si affianca dopo qualche
istante, preoccupato. «Mizu-chan, ti sei fatta
male?»
«No, sto bene» risponde, lasciando cadere la mano
sul fianco.
Rimane zitta, mentre i due compagni di classe intraprendono una sciocca
lite sul perché Ryugazaki non presti attenzione alla gente
più bassa di lui. In realtà, sta osservando da
vicino il bel fisico del turchino: sarebbe davvero perfetto per il
nuoto.
Scruta attentamente i deltoidi, dà una rapida occhiata ai
polpacci ben evidenti anche da sotto il pantalone. Sì,
potrebbe davvero funzionare.
«Senti, Ryugazaki-kun» lo chiama, distogliendo la
sua attenzione dal biondino. «Perché non ti unisci
al club di nuoto?»
La fissa perplesso – stessa espressione che vede ben presto
dipinta sul volto dell’amico, che comprende subito il motivo
per il quale la ragazza sia così interessata al giovane che
sta loro di fronte.
«Impossibile» risponde infine il blu, distogliendo
lo sguardo. «Mi sono già iscritto al club di
atletica.»
Mizuko non sembra voler desistere. «Il club di atletica
è davvero noioso.»
«E tu che ne sai?!» le urla addosso, irritato dalla
sua fastidiosa supponenza.
La nuotatrice fa spallucce. In realtà non sa molto di quello
sport, per cui non avrebbe il diritto di poterne parlare. Forse, in
realtà, non riesce proprio ad ammettere che possano esistere
persone che apprezzino altre discipline all’infuori del
nuoto. La cosa è alquanto indigeribile.
«Cosa c’è di emozionante in un tizio che
fa un salto con l’asta?» chiede, seriamente
dubbiosa.
Rei la fissa sconcertato, aggiustandosi gli occhiali che
sembrano scivolargli dal naso. È chiaro come lei non abbia
mai visto davvero un atleta, si dice, mentre trattiene una delle sue
solite risate maniacali.
«Non capisci, vero?» le domanda, lasciando da parte
la rabbia di poco prima. «Non può capire chi fa
uno sport esteticamente brutto come il nuoto.»
Mizuko sgrana gli occhi, mentre sente un fuoco divamparle dentro come
il peggiore degli incendi. Nagisa l’afferra al volo, avendo
previsto la reazione spropositata dell’amica. Come sempre,
non è cambiata neanche in quello.
«Ripetilo se hai il coraggio!» urla, mentre
l’amico la trattiene per le braccia. «Quattrocchi
esaltato!»
«I-io non sono esaltato!» Rei si nasconde dietro
una porta, certo che se la ragazza dovesse sfuggire a quella presa
probabilmente lo ucciderebbe.
«Rimangiati quello che hai detto!»
Se si concentra, può veder uscire del fumo dalle sue narici.
Deglutisce, certo delle sue convinzioni. «No!»
«Ah!?»
«Ho detto no!»
«Nagisa, lasciami andare!» grida contro
l’amico, in procinto di perdere l’equilibrio.
«Mizu-chan, sta’ calma!» la rimprovera
quest’ultimo, sperando di guadagnare tempo. Se ci fosse stato
Makoto, sicuramente trattenerla sarebbe stato più semplice.
«Sarà lento e doloroso, mi senti?!» Rei
trema al sentire quella voce così iraconda. «Ti
farò morire di atroci sofferenze, sai dove te la puoi
ficcare quell’ast…»
«Hoshino-san!» La voce del docente la riporta alla
realtà, distogliendola dal suo soliloquio. «Che
stai facendo?!»
«Mi sto prendendo una vita sensei, ne stia
fuori!» continua a rimbeccare, contorcendosi come una biscia.
«Nagisa, lasciami andare!»
«Aiuto! Makoto!» grida il biondino, nella speranza
che l’amico più robusto possa sentire la sua
richiesta.
L'indaco, terrorizzato, proprio non riesce a capire il
perché di quella reazione. Non osa muoversi da dietro la
porta, certo che lei gli salterebbe addosso, pronta a spezzargli la
cervicale.
Deglutisce, immaginando la scena. È da quando
l’ha vista in classe che quella ragazza non gli piace, e
adesso sa anche il perché: oltre a quell’aria
trasognante che si porta sempre addosso, il giovane atleta non sopporta
lo sguardo con cui studia tutti, certa di poter avere tutte le risposte. Lui, che è
così vittima di se stesso, non può comprendere
cosa si celi dietro quel comportamento sconsiderato.
Mizuko non è in grado di
esprimere ciò che prova, se non così.
D’altronde, non è mai stata brava a spiegarsi e,
spesso, ha anche dovuto rinunciare a farlo. In fondo, quale beneficio
avrebbe mai potuto trovare in persone che non la capivano?
Si è sentita spesso sola, questo non lo nega. Eppure, in
cuor suo ha sempre saputo di parlare una lingua che gli altri non
capiscono; quella silenziosa e che non esprime mai, se non quando
è in acqua.
Mizuko, quando è arrabbiata, nuota. Quando è
triste, nuota. Quando è felice, nuota.
Non conosce un altro modo per pronunciarsi.
Questo Nagisa lo sa perfettamente, e perciò non si
meraviglia affatto che l’amica voglia scuoiare vivo un
ragazzo che ha osato insultare ciò che le è
più indispensabile. In realtà, gli viene da
sorridere.
Nonostante la tenga ferma e senta la voce del sensei tentare di farla
ragionare, il nuotatore di rana pensa a tutt’altro, ormai
lontano da quel furioso battibeccare.
È per questo che lei ed Haruka sono così vicini,
pensa. Perché
provano le stesse cose.
È malinconico, quel pensiero. Perché lui, che
è tanto bravo a farsi comprendere, non ha la minima idea di
che cosa si provi.
Quando parli, ma nessuno ti capisce.
⚘
Qualche ora dopo Mizuko esce dall’aula professori, sfinita.
Suppone d’aver finalmente sfatato il mito d’essere
una ragazzina per bene. Peccato, cominciava a piacerle l’idea
d’essere trattata con un occhio di riguardo –
nonostante il sensei non sia stato affatto duro con lei, ma si sia
limitato semplicemente ad ammonirla.
Tutto per colpa dell’orbo narcisista.
Cos’ha provato durante la lite neanche riesce a ricordarlo.
Sa solo di non essere stata abbastanza svelta da sottrarsi alla presa
altalenante di Nagisa, che in qualche modo è riuscito a
contenere la sua furia.
Si dà della stupida, mentre ripensa al modo poco ortodosso
di relazionarsi col compagno di classe. In fondo, è stata
lei a cominciare.
Percorre
svogliata il corridoio d’ingresso agli spogliatoi, pronta
alla ramanzina che sicuramente anche Amakata-sensei le avrebbe fatto
– e d’altronde non si stupisce affatto, persino lei
si sarebbe autopunita per il gesto sconsiderato di pensare
d’uccidere un suo coscritto.
Quando apre la porta che la separa dall’ingresso del club,
Nagisa è già lì, con la faccia di chi
ha voglia di fare un mare di domande. «Mizu-chan!»
Haruka la guarda di sottecchi, continuando ad intagliare Iwatobi-chan
dall’aria spenta, mentre un Makoto sempre più in
ansia le si avvicina circospetto.
«Cos’ha detto il sensei?» domanda,
sperando che gli occhi verdi non tradiscano la sua eccessiva
preoccupazione.
«Niente di particolare» lo tranquillizza lei,
portandosi una mano dietro la nuca. «Suppongo fosse solo
sorpreso del mio atteggiamento.»
Il bruno si alza in piedi, scrutandola con fare minaccioso. Mizuko
sobbalza, vittima di quello sguardo blu che tanto ama e che adesso si
sta avvicinando a lei sempre più iroso.
«Ti rendi conto cosa sarebbe potuto accadere?» Il
tono della sua voce è baritonale, non molto diverso dal
solito timbro apatico, ma uno strano luccichio del suo sguardo rende
manifesta una rabbia mal celata. «Ti avrebbero potuta
sospendere.»
«Lo so, ma io…»
«No!» sbotta infine il delfino, afferrandola per le
spalle. «Tu non lo sai, baka!
Altrimenti non lo faresti.»
Makoto e Nagisa rimangono in disparte, inquietati dalla scena mai
veduta del loro amico così arrabbiato. Sotto certi aspetti
sono quasi sollevati che qualcuno riesca a suscitargli un simile
istinto. Si scambiano una veloce occhiata, prima di congedarsi
silenziosamente da quella lite che sembra non riguardarli affatto.
L’orca si volta a fissarli, prima di richiudere la porta alle
sue spalle. Sorride. A
vederli così, sembrano proprio una coppia di giovani
innamorati, si dice, mentre raggiunge il primino.
Mizuko rimane in silenzio, chinando il capo; vuole piangere, lo avverte
dal modo in cui le tremano le palpebre.
Tutti.
Può davvero litigare con tutti, ma con lui proprio non ci
riesce. Non riesce a rispondergli, a dirgli la verità, che
lei non voleva, che l’è partita la testa nel
momento stesso in cui ha sentito una voce insultare ciò che
lei ritiene più prezioso.
«Io…» prova a dire, ma si blocca.
Le labbra le tremano, gli occhi gonfi non mettono a fuoco
più nulla di ciò che un istante prima riusciva a
vedere del pavimento, la gola secca le vieta qualsiasi tipo di
spiegazione.
Haruka è arrabbiato e lei si sente come una bambina
insultata dal proprio genitore, mentre avverte la presa sulle sue
spalle divenire sempre più stretta.
«Mizuko» si sente chiamare, ma non ha il coraggio
di guardarlo in faccia. «Di’ qualcosa.»
Attende paziente una risposta della giovane, sperando si volti a
guardarlo e gli conceda di vedere nel suo sguardo il motivo che
l’ha spinta a comportarsi in quel modo. Sa cosa pensa lei;
è convinta che lui sia arrabbiato – ed in effetti
lo è – ma non riesce affatto a comprendere quanto
si sia preoccupato quando Nagisa ha spiegato loro ciò che
era accaduto.
Gli succede solo con lei, di preoccuparsi. Forse perché
tutte le persone di cui si è sempre circondato non sono
così pazze da voler spellare vivo un liceale.
China il capo, posando la fronte contro la sua chioma bionda;
socchiude gli occhi, mentre trasforma la presa attorno alle sue spalle
in un abbraccio pacato, privo di rabbia. Le sfiora la schiena con le
dita, cercando di tranquillizzarla, quando i primi singhiozzi
fuoriescono dalla sua piccola bocca, scuotendole la colonna vertebrale.
«Scusa» la sente dire, mentre avverte le sue
piccole mani stringergli la camicia. «È quello che
ha detto lui… lui… non doveva dirlo.»
«Cosa?»
«Io ho solo l’acqua» continua la
ragazzina, lasciando le lacrime scivolare lungo le guance.
«Io non me ne sono accorta, davvero, volevo solo che si
rimangiasse quello che aveva detto.»
«Cos’ha detto di così
sbagliato?» le domanda, cercando di trattenere un sorriso.
Quando fa così gli sembra davvero di parlare a una bambina.
«Che il nuoto è uno sport brutto»
risponde, imbronciandosi. «Ma lui che ne sa, mica
l’ha mai fatto, no?»
Haruka sospira, serrando la presa attorno alla minuta vita di lei.
«Sei proprio una baka.»
«Lui lo è di più.» Mizuko
alza la testa per fissarlo e, per un istante, si sente smarrito nel
vedere lo sguardo di lei inumidito dalle piccole gocce attorno alle
ciglia. «Lui è proprio un bako.»
«Si dice baka
anche per gli uomini» la riprende il corvino,
dimenticandosi d’essere ancora incollerito.
«Ah» gli risponde, scoppiando a ridere.
Il delfino osserva la scena: stringe tra le braccia una ragazza dagli
occhi rossi e gonfi che ha il sorriso perlaceo e il collo solcato da
tanti piccoli rivoletti di frustrazione, rabbia e paura. Una ragazza
completamente sbagliata, che attenta costantemente alla sua vita
puntando a farlo ammattire.
E c’è solo un modo per evitare che questo accada.
«Smettila di andartene in giro solo con Nagisa.»
Mizuko lo fissa, mentre il bel sorriso scompare. Studia attentamente il
ragazzo di fronte a sé e riesce a scrutare un lieve rossore
in prossimità degli zigomi.
«A-allora la prossima volta vieni tu con me» dice,
affondando il viso nella sua camicia. Se la guardasse adesso, il
delfino vedrebbe solamente una grande faccia rossa.
Haruka sorride. Quelle parole gli piacciono, gli piacciono
terribilmente. Persino lui si sorprende d’accontentarsi di
così poco.
«U-uhm.» È un’affermazione,
anche se non riesce a esprimerla come vorrebbe.
È così rilassato da non rendersi neppure conto di
quanto quell’abbraccio sia divenuto insolitamente lungo e
intenso, ma non gli importa. Fin quando può stare con lei in
quel modo, a lui non importa davvero.
«Amakata-sensei mi sgriderà» continua a
dire la piccoletta stretta tra le sue braccia. «Credi che se
la raccontassi la verità mi perdonerebbe?»
«Probabilmente» le risponde, lasciando scivolare le
sue dita lungo i fili dorati di lei.
Mizuko adora quel contatto. Adora sentire le mani di lui,
così gentili e piene di riguardo. La fanno sentire speciale.
Gli occhi le tremano, ma questa volta non è affatto per una
crisi di pianto. Ogni volta che gli è vicina, non
può fare a meno di pensare a quanto possa essere bello stare
sempre con lui, bearsi del suo sguardo, tranquillizzarsi al suono della
sua voce.
Ripensa alle parole rivolte a Rin la sera prima: è vero, ad
uno come lui non può piacere una svampita come lei. Ne
è certa.
E allora, perché? Perché vuole tanto illudersi
che non sia come pensa? Perché vuole tanto credere di poter
essere più di quello che è?
La gente normale si accontenterebbe, in fondo. Quando due persone sono
così incompatibili, di solito è un bene porre
delle distanze. Eppure, lei non riesce a farlo. Ha paura.
Paura di perderlo, paura di non poter più sentire le sue
dita sfiorargli i capelli, il suo respiro giungerle lieve
all’orecchio.
Vorrebbe
tanto trovare la forza per chiederglielo, ma sa di non essere
coraggiosa abbastanza per farlo. È troppo imbarazzante, ma
soprattutto la verità può farle male, e lei non
ha alcuna voglia di soffrire ancora.
«Sei ancora arrabbiato?» gli chiede, cercando il
suo sguardo. Quando lo incontra, l’oceano si è
finalmente placato.
«No» risponde. «E comunque lo
sapevo.»
«Cosa?»
«Che avresti trovato un’altra scusa assurda per
abbracciarmi» le fa, sorridendo.
La giovane sbarra gli occhi, evitando a tutti i costi di arrossire.
È avvinta dal calore di quel corpo che le sta pressato
contro e una strana sensazione la porta a credere d’essere un
po’ vittima del ragazzo che le sta accanto: Haruka la
conosce, sa cosa le piace, sa cosa la fa arrabbiare; fa esattamente
quello che lei fa con tutti. Studia.
Solo che lei lo fa un po’ più rumorosamente, ecco
tutto.
«A me piace abbracciarti, Nanase-kun» gli dice, con
un sorriso nascosto nel bianco della sua camicia.
Il ragazzo
rimane a contemplare la chioma bionda, cercando di scorgere il viso che
vuole tanto vedere: come sempre Mizuko non è in grado di
mentirgli, né di nascondere ciò che prova. Non
vuole ammetterlo, ma quell’aspetto del suo carattere gli
piace, e tanto.
Non le risponde. Sa che con lei non ce n’è
bisogno. Capisce i suoi silenzi meglio di chiunque altro.
«D-dovremmo andare» la sente dire, mentre le
piccole mani s’allontanano dal suo petto.
Istintivamente stringe la presa, riportandola contro il suo torace.
Non sa bene cosa fare, non è nella sua indole comportarsi in
quel modo; si sorprende d’essere così vulnerabile
quando è con lei. Come se si dimenticasse di tutto il resto.
Persino in questo momento, con la piscina quasi pronta e gli amici in
attesa di vederli, a lui non va di staccarsi da lei. Non gli va
proprio.
«N-Nanase-k…»
«Haru.» Sente il cuore di lei accelerare i battiti.
«Solo Haru.»
Finalmente si volta a guardarlo; i suoi occhi disorientati sono davvero
magnifici, si dice il corvino, mentre la osserva schiudere la bocca per
lo stupore.
Quella bocca, che è così tremendamente vicina
alla sua.
Le si appressa, sfiorando la punta del suo naso con la propria. Il
respiro flebile di lei è un piacevole invito ad assaporare
la dolce brezza di quei margini schiusi e tremanti. Nonostante questo
ancora s’interroga, ancora si domanda cosa prova. Eppure,
è ormai così evidente.
Che desidera quelle labbra tanto quanto desidera nuotare.
NOTE:
[1] Dal francese: “Ci
sarà un gran casino da pulire”.
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