Chi è che ha vinto?
È
questo a cui pensa Levi, mentre sente arrivargli alle narici
l’olezzo
fastidioso del sangue che gli cola sul viso. In un'altra occasione, la
cosa gli avrebbe dato un ciclopico voltastomaco, ma non
v’è abbastanza
tempo per pensarvi: lo sguardo ottenebrante vaga veloce dal corpo
bruciacchiato e annerito del suo sottoposto a quello bianco e
cadaverico del suo comandante. E gli viene da pensare che vi sia una
certa ironia, nel ragionare che quelli siano gli stessi colori con cui
Erwin è solito giocare a scacchi.
Perché, dopotutto, è di questo che
si è sempre trattato: una partita durata cento anni, durante
la quale è
stata data loro la possibilità di muovere solo i pedoni. A
quegli
altri,
invece, è stato concesso d’esser regine, pezzi
invincibili che
sono in grado di muoversi come vogliono.
Levi lo sa; Erwin
gliel’ha detto molte volte. I pedoni sono i pezzi che
sacrifichi più
facilmente, ma sono anche quelli che ti permettono di fare scacco al
re.
Eppure, il comandante gli è sempre parso più
simile al
cavallo: con quel suo muoversi fuori dagli schemi e in maniera del
tutto imprevedibile rispetto agli altri pezzi, ha sempre dato prova
della sua incredibile capacità strategica, anche a rischio
di sacrificare i propri compagni.
Levi pensa, non può esimersi dal farlo. Si
ritrova con la siringa in mano e due pezzi da salvare, un cavallo e un
pedone. E la logica, ch’è sua acerrima rivale in
questa scelta,
gl’intima che di pedoni al mondo ve ne sono a iosa, ma che
non capita
spesso di potersi servire d’un cavallo per mangiare le
regine.
I pedoni
sono i pezzi che sacrifichi più facilmente.
Il puzzo di sangue
raggrumato inizia a giocargli dei brutti scherzi; sente il sapore
ferruginoso riempirgli la bocca, mentre si avvicina con cautela al suo
comandante, che alza di scatto una mano nell’istante in cui
l’ago gli
sfiora la pelle. Una
coincidenza?
Levi non crede alle casualità, non
l’ha mai fatto. Osserva il volto sempre più
esangue del suo superiore,
chiedendosi fino a che punto sarebbe stato in grado di spingersi pur di
far scacco al re: ha sacrificato i suoi sottoposti, ha immolato se
stesso per ricavarne una gloria di cui non avrebbe potuto godere. Il
capitano non sa spiegarsi ciò che lo spinge a volgere
l’attenzione
verso il pezzo più sacrificabile: Arlert ha gli occhi chiusi
e la bocca
consumata dal calore, ma nonostante questo respira ancora, come un
pedone resiliente che non abbia ancora voglia di morire.
I pedoni sono i
pezzi che sacrifichi più facilmente.
Si
concede un attimo per riflettere ancora, ma più osserva
Erwin più la
sua affidabile capacità di giudizio cede il passo ad una
tentazione
affascinante e provocatoria. In quel singolo istante concentra tutta la
sua lucidità, infilando l’ago nella vena del
sottoposto, sacrificando
il pezzo più indispensabile. Pensa che solamente un folle
potrebbe
salvare un pedone al posto di un cavallo.
Ma d'altronde lui a scacchi non sa proprio giocare.
|