Inter
Sidera Versor
Quello
che Nickel poteva osservare dall’ampio balcone della
camera da letto era un panorama piuttosto invidiabile.
La
sua abitazione era posta in alto su una delle colline che
circondavano la cittadina nella quale aveva studiato -e ora lavorava- e
grazie
a questo le bastava abbassare lo sguardo per godere di una visuale
quasi
completa sulle luci che rendevano la valle brulicante di vita. Allo
stesso
tempo però la posizione della casa non permetteva
all’inquinamento luminoso di
rovinare troppo lo spettacolo offerto dal cielo notturno,
particolarmente
limpido quella sera e pieno di stelle che pulsavano leggermente come
tante
piccole Scintille.
Atmosfera
tranquilla, peccato che l’animo di Nickel non lo fosse
altrettanto, e non solo perché stava ripassando mentalmente
per l’ennesima
volta la lista di tutto quel che andava messo nella valigia.
«Il
datapad di riserva per gli appunti!» esclamò,
sbattendo una
mano contro la fronte.
«Ne
hai messi due la terza volta che hai ricontroll-ahio.
Devo ritenermi fortunato che fosse
solo un pugno e non la chiave inglese» fu tutto
ciò che disse Bustin,
massaggiandosi il petto appena colpito.
«Ooooh,
tu!... lo sai che per colpa dei miei cugini faccio così
quando la gente mi arriva dietro all’improvviso come facevano
loro!» esclamò
Nickel, un po’dispiaciuta per il pugno nonostante il tono di
rimprovero «E se
fossi stato uno di loro ti avrei beccato in piena faccia!»
Lui
sorrise. «Questo perché anche loro sono dei
nane-»
«Faccio
in tempo a rimediare, sai?!» lo interruppe la minicon,
incrociando le braccia davanti al petto.
«Io
comunque ti avevo chiamata due volte» disse Bustin
«Solo che
a quanto pare non mi hai sentito».
L’affermazione
fece dissolvere l’aria bellicosa di Nickel. «Sul
serio?... è che ero persa nei miei pensieri. Mi spiace,
scusami».
Si
lasciò condurre placidamente su uno dei due lettini da
esterno, sedendosi poi accanto a lui. Perfettamente consapevole di
avere un
carattere impulsivo, a volte si chiedeva come a Bustin, che di
impulsivo non
aveva granché, potesse star bene una cosa del genere.
«Fino
a stamattina mi sembravi contenta di andare a quella
conferenza. Che il professore abbia pensato a te per sostituirlo
è un’ottima
cosa a tanti livelli» disse Bustin
«Perché significa che al lavoro ti stai
facendo notare e lo stai facendo in bene. E per tre giorni non dovrai
farmi da
beta per la mia song-fic su Wallop Prion Ranger!»
Wallop
Prion Ranger, una serie tv che Bustin ormai conosceva a
memoria, cosa che Nickel ormai sapeva bene dato che l’aveva
sentito più volte
anticipare i dialoghi. Ricordare i tentativi imbranati del suo compagno
di
imitare i calci rotanti del protagonista, di solito finiti con qualche
soprammobile rotto a terra, minacciò perfino di farla
sorridere nonostante la
tensione.
«Ecco,
questa è una buona cosa» scherzò Nickel
«Comunque: sono
contenta quanto stamattina all’idea di andare, e voglio andare. È solo che
è una cosa piuttosto importante, ci
saranno tanti transformers comuni e non ci saranno molti altri minicon,
e quei
pochi contrariamente a me saranno professoroni conosciuti,
e… e sarà la prima
volta in assoluto che uscirò fuori da Prion!»
Nickel
aveva sempre vissuto la vita semplice di una persona
semplice nata in una famiglia semplice, cosa che di per sé
non aveva proprio
nulla di negativo, ma era per quella ragione che, se da un lato era
felice
all’idea di un viaggio tra le stelle, dall’altro
non riusciva a negare che
l’idea la rendesse un po'nervosa. Inoltre le aspettative e i
timori riguardo le proprie
capacità -timori infondati, dovuti solo a una comprensibile
ansia- non
l’aiutavano a sentirsi meno tesa.
«Quella
della conferenza è una zona tranquilla, abbiamo
già dato
un’occhiata insieme» le ricordò Bustin
«E tu e gli altri starete in un ottimo
albergo, belle camere, tanti servizi e un buffet al top. Uno dei
migliori nella
lontana Crystal City».
«Mi
avevi accennato di esserci stato qualche tempo fa, sbaglio?»
Lui
annuì. «Ben prima di conoscerci, sì.
Però la gestione non è
cambiata e, credo, nemmeno la qualità».
«Eri
con qualcuno della tua famiglia?»
La
domanda le era sorta spontanea sapendo che la loro bella casa
in collina era dovuta in parte al fatto che la famiglia di origine di
Bustin
fosse -fosse stata- benestante anche
se non “ricca” nel senso milionario del termine, e
che quindi era plausibile
che potessero aver portato lì Bustin in vacanza o qualcosa
di simile, però si
pentì rapidamente di aver tirato in ballo la questione,
ricordando che non era
il suo argomento preferito.
Il
che era comprensibile dato che lui nel parlarne aveva
lasciato intendere di essere rimasto il solo della sua famiglia a non
trovarsi
nell’Allspark.
Nickel
non sapeva bene cosa fosse successo, però collegando i
pochi elementi che era riuscita a estrapolare le volte in cui era
venuto fuori
l’argomento aveva concluso che l’intera famiglia di
Bustin -lui incluso- fosse
rimasta coinvolta in un incidente, e che Bustin si fosse salvato ma
fosse
rimasto sfigurato in volto in modo irreparabile: avrebbe spiegato il
motivo per
cui non toglieva la maschera neppure con lei, non se lei poteva
vederlo. In certi frangenti
piuttosto intimi Nickel aveva avuto modo di tenerla in
mano, ma era sempre stata bendata e, doveva dirlo, lui aveva fatto in
modo che
in quei momenti avesse avuto per il processore tutt’altro.
Neppure
le rassicurazioni sul fatto che l’avrebbe amato lo
stesso anche se lì sotto ci fosse stato un disastro erano
servite a
convincerlo, e lui riusciva perfino a mangiare senza toglierla, questo
grazie
alla tecnologia che permetteva alle “celle”
all’altezza della bocca di
spostarsi continuando però a nascondere quel che
c’era sotto.
«Nah!
Nessuno di loro» rispose Bustin «Tornando a noi:
capisco
che tu sia tesa ma sono sicuro che andrà tutto bene. Se il
professore pensasse che non sei
all’altezza del compito non avrebbe scelto te, se
l’ha fatto vuol dire che non
ha dubbi sulla tua competenza e che riuscirai a stare tranquillamente
al passo.
Ne sono sicuro anche io».
«Tu
però non sei un medico e non sai come sono le cose di
medicina» replicò Nickel, un
po’più tranquilla ma ancora non del tutto
«Non
sono più solo le cose che mi aiutavi a ripassare per gli
esami».
«Non
so come siano le cose di medicina ma so come sei tu. Tanto
mi basta».
«Non
è che lo stai dicendo solo perché sono io o per
farmi stare
tranquilla?»
Bustin
scosse la testa. «Se non lo pensassi ti farei complimenti
su altre cose. La forza del tuo pugno destro, per esempio!»
«Non
ho fatto apposta a dartelo! Cioè, in realtà
sì, ma allo
stesso tempo no!» si difese la minicon, mentre lui rideva
«E non ridere!... che
antipatico» borbottò, lasciandosi comunque
stringere tra le braccia.
Bustin
ovviamente non se la prese. «La mia antipatia è
un’altra
cosa di cui per tre giorni potrai fare a meno».
«Ti
chiamerò appena arrivo nella mia camera
d’albergo».
«Non
mi aspettavo altro».
«E
guai a te se ti dimentichi di curare le mie piantine!» lo
avvertì Nickel, indicando una serie di vasetti accanto al
parapetto. Erano una
delle cose che i suoi parenti le avevano mandato da casa quando lei si
era
trasferita da Bustin.
«Agli
ordini, capo!» esclamò lui, con un gesto da
militare «E
tu, se nella conferenza o lì in giro vedi qualche spunto per
la fanfic su
Wallop, mandamelo a dire. Andiamo a letto? Domani devi alzarti presto,
quindi
sarebbe bene se andassi in ricarica alla solita ora».
«Alla
solita ora manca un’ora» disse Nickel, perplessa,
per poi
comprendere «Ma tu in effetti hai detto “a
letto”…»
«L’importanza
dei dettagli, visto?» annuì lui, mentre
rientravano in casa decisi a compensare ciò che nei tre
giorni successivi,
causa lontananza, sarebbe mancato.
.::
Sera del giorno
successivo ::.
Portando
il datapad accanto ai recettori audio, Nickel attese
con impazienza che Bustin rispondesse alla chiamata. Pur essendo
arrivata in
albergo all’incirca mezz’ora prima sentiva di avere
già di che raccontargli.
Il
viaggio, durato parecchie ore, era andato bene.
Nell’astronave aveva avuto modo di conoscere i colleghi
minicon del suo
professore, aveva parlato con loro e, con suo sollievo, si erano
rivelate tutte
persone molto cordiali -cosa dovuta anche al fatto che il suo superiore
le
avesse fatto un’ottima pubblicità-. Sarebbe stata
capace di farsi rispettare lo
stesso se fossero stati maleducati, perché Nickel non era
tipo da farsi mettere
i piedi in testa da chicchessia, però che tutto fosse filato
liscio come l’olio
era stato molto meglio.
Essere
integrata nel gruppo l’aveva anche aiutata a sentirsi
molto più entusiasta che intimidita davanti
all’architettura imponente e
pomposa di Crystal City, che teneva fede al proprio nome grazie a
palazzi alti,
strade e ponti sospesi sinuosi, edifici più bassi spesso
tondeggianti in certe
parti e, soprattutto, pieni di vetrate. Era stato interessante trovarsi
sotto
gli occhi qualcosa di tanto diverso dal solito, però non
aveva impiegato molto
a capire che, per quanto affascinante potesse essere quello stile, lei
preferiva quello più semplice delle cittadine di Prion. Per
i suoi gusti
c’erano anche poche piante tecnorganiche, il che era un
po’triste.
L’unica
nota stonata fino a quel momento c’era stata al suo
arrivo in hotel, quando le avevano comunicato che purtroppo, a causa di
un
disguido, la camera in cui lei avrebbe dovuto soggiornare non era
disponibile.
Anche quella però era stata una fortuna e lo aveva capito
subito dopo, perché
avevano messo a sua disposizione una delle suite più belle
dell’albergo -in
quanto partecipante a quella conferenza lei e gli altri erano
considerati
ospiti “importanti”, le avevano detto.
Risultato: in quel momento si trovava al
penultimo piano, stesa su una cuccetta in cui venti minicon sarebbero
stati
larghi, e meditava di entrare nella vasca idromassaggio
all’energon posta
accanto a una vetrata immensa per guardare da lì il sole
artificiale tramontare
su Crystal City.
“Dai,
rispondi!” pensò Nickel, iniziando a tamburellare
con le
dita sul bordo della vasca.
–
Nanetta. Come sta
andando? È tutto a posto? –
«Sì!
Ma dov’eri?! Ci hai messo una vita a rispondere!»
lo
rimproverò, seppur sorridendo nel sentire il suono della sua
voce.
–
Oggi è una delle serate
in cui sono al Crawling Mist! –
Mentre
Nickel aveva studiato da medico e puntava a un posto
fisso nella clinica dove lavorava attualmente, il suo compagno non
aveva mai
mostrato interesse a cercare qualcosa di altrettanto stabile,
preferendo
lavorare da tecnico freelance -con un buon numero di clienti fissi che
garantivano entrate regolari- e, in linea con quel che faceva durante
gli
studi, come bartender a chiamata al Crawling Mist, un locale carino
nella loro
cittadina.
Tutte
scelte che Nickel non aveva mai criticato, trovava una
buona cosa che il suo fidanzato avesse voglia di lavorare e che quei
mestieri
fossero di suo gusto, specie il secondo, che gli permetteva di
conoscere molta
gente.
«Già
a quest’or… ah! Dimenticavo, a Prion siete tre ore
avanti
rispetto a qui» ricordò Nickel.
–
Esatto. Ma non c’è
problema, sono entrato in pausa poco fa! –
Nickel
stava per riprendere parlare, però fu interrotta
dall’avviso che un cameriere ai piani -un minibot per la
precisione, tipo di
transformer spesso addetto a certi tipi di lavori- si trovava fuori
dalla porta
ed era stato incaricato di consegnarle qualcosa.
«Non
ho ordinato niente» disse Nickel, perplessa.
–
Se fossi in te però
andrei a vedere cos’è. –
Qualcosa
nel tono del suo compagno la persuase a far entrare il
minibot, che le consegnò con garbo un pacco di medie
dimensioni e si congedò
dopo un lieve e garbato inchino.
«Tu
c’entri con questa cosa, Bustin?...» disse nel
datapad
mentre apriva il pacco.
Ai
suoi occhi si palesò un delizioso vasetto con una piantina
di
campanule vosniane cristalline dalla sfumatura rosa perla, un fiore che
lei, in
quanto amante di certe cose, sapeva essere difficile da reperire al di
fuori di
Vos stessa.
–
Un’altra pianta di cui
prendermi cura quando andrai alla prossima conferenza, se ti piace.
–
Nickel
non riuscì a dire una parola, impegnata ad aprire una
scatola
accanto al vasetto e scoprendo all’interno due ornamenti per
le braccia che,
seppur di fattura semplice, erano visibilmente costosi.
–
Rimprovero per il regalo
numero due in arrivo in tre, due, uno… –
«Tu
non devi… cioè, già solo la
piantina…» furono le prime
parole di Nickel, alla quale sembrava di aver perso la
capacità di mettere le
parole in fila e aveva le ottiche pericolosamente lucide
«I-io amo tutto, adoro
tutto, ti ringrazio TANTO,
però non dovresti-»
–
Però voglio. Voglio fare
un regalo alla mia compagna, che col suo impegno sta facendo carriera e
si
merita questo e di più –
replicò Bustin – E sono
felice che ti piaccia, Nanetta. –
«Come…
come hai fatto? Voglio dire, come hai fatto a prevedere…
e sono arrivata nella mia stanza cinque minuti fa e non è
nemmeno quella
prevista, perché quella non era disponibile!»
–
Sono uno dei principali
azionisti di quell’albergo, quindi non era difficile!
–
«Oh,
su!» sbuffò Nickel.
–
Ho fatto qualche lavoro
lì quando ero ancora uno studente. Quando ci siamo
conosciuti ero già piuttosto
avanti nel corso, se ricordi – disse Bustin
– Ho conosciuto parte del personale
dell’albergo, sono rimasto in
contatto con vari di loro e mi hanno dato un aiutino a organizzare
questa
sorpresa. –
Nickel
concluse che la spiegazione fosse sensata. «Ho capito.
Però davvero, io ti ringrazio molto, mi è
piaciuta tantissimo, solo… non posso
fare a meno di pensare che non posso ricambiare allo stesso modo,
né adesso né,
forse, mai».
–
Noi due abbiamo già affrontato
più volte l'argomento... –
«Non
è tanto per una questione di soldi, è
che… è… l’ultimo
regalo che ti ho fatto è stata una coppia di gnomi da
giardino!» esclamò la
minicon, passandosi una mano sul viso al ricordo «Non saprei
scegliere un
regalo decente nemmeno se ne andasse della mia vita!»
–
Scherzi? Sono perfetti,
ricordano noi due: lei gli arriva a stento alla spalla! –
«Te
ne approfitti perché non sono a casa, ma ricordati che
dopodomani torno! E mi vendicherò!» lo
avvertì Nickel.
–
E io non vedo l’ora. Casa
è un po’troppo silenziosa senza di te che protesti
per quel che combinano i
tuoi colleghi, per quel che combino io o perché il mio tempo
di lavaggio delle
mani è inferiore al minuto! “Palmo contro palmo/
cooosììì!/ la sinistra sulla
destra! La destra sulla sinistra!...” –
«No,
la canzone del lavaggio delle mani NO, ti prego!»
esclamò
Nickel, inutilmente dato che le stava venendo da ridere e lui se
n’era accorto
benissimo.
–
“E sfregare bene qui!
Così, così, così!”
–
Dopo
qualche secondo di canzone, Nickel si accorse di rumori di
sottofondo dalla parte di Bustin simili a dei cori, o delle
invocazioni, o
qualcosa di simile. Cercò di ascoltare meglio ma non
riuscì, dunque chiese
direttamente delucidazioni.
«Sento
come dei cori dietro di te, non capisco…»
–
La partita a Cube tra l’East
Prion e il West Prionia è ancora in corso, sono gli ultimi
dieci minuti e qui
sono tutti abbastanza presi, tanto per cambiare! –
«Il
Cube non l’ho mai capito granché»
sbuffò Nickel «Non so
proprio perché ne vadano matti. Anche i colleghi del mio
professore, me l’hanno
detto durante il viaggio…»
–
Filato tutto liscio?
–
«Sì,
assolutamente! Ora ti racconto!»
La
telefonata andò avanti per altri dieci minuti prima che
Nickel decidesse di concludere il suo racconto. Si disse che avrebbe
avuto più
tempo e più cose da raccontargli il giorno dopo o
direttamente al ritorno, però
avrebbe mentito se avesse detto che non avrebbe voluto continuare la
chiamata a
oltranza. Si diede perfino della sciocca per questa ragione, per il
fatto di
sentire la mancanza del suo ragazzo pur avendolo appena concluso la
chiamata:
era roba da ragazzine e lei non era una ragazzina, era biologicamente
adulta da
tempo, era in carriera e di carattere volitivo, poteva tranquillamente
riuscire
a stare senza di lui per un giorno, tre, una settimana o mesi, lo
sapeva.
“Potrei”
concesse la minicon, mentre osservava la piantina di
campanule vosniane “Ma preferisco averlo vicino, se posso
scegliere”.
Ringraziamo
Highlander DJ e Barbara D'Urso per la canzone del lavaggio
delle mani :'D
Grazie
a chi ha letto fin qui e alla prossima, qui o su TSB 2 :)
_Cthylla_
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