Lust for life
Attenzione!
Si consiglia di aver precedentemente letto Falling and lonely (Miracle)
per una maggiore comprensione della storia. Queste vicende avvengono
all’incirca un mese dopo rispetto alla fine di quella
OneShot. Il
seguito invece è Just
us together. Si avverte che vengono trattate, anche se in
maniera blanda, tematiche delicate. Buona lettura!
Una serata perfetta – ecco che cosa stava cercando di
organizzare.
Una serata bellissima e memorabile da trascorrere insieme al suo
ragazzo.
Una serata sensazionale.
Da due settimane cercava in maniera ossessiva di intrecciare ogni cosa
nella maniera più giusta. Non avrebbe sbagliato nulla e
niente
sarebbe andato storto. Non era possibile.
Una serata senza alcun tipo di errore sciocco – il mantra che continuava a
ripetersi e che riusciva a stento a separarla da una crisi di nervi.
Non era possibile sbagliare.
Sono in grado di
organizzare almeno una serata bella e piacevole. Posso farcela.
Con agitazione stese sul letto la biancheria intima che aveva deciso di
comprare soltanto pochi giorni prima. Un chiodo di insicurezza spezzava
ogni suo gesto e ogni suo pensiero.
Sarà troppo o
troppo poco?
Aveva deciso di spendere una cifra molto consistente del suo stipendio
e si era sentita in colpa nel momento esatto in cui aveva visto la
commessa impacchettarle il suo acquisto e sorriderle cordiale.
Ho speso troppo.
Domande pratiche e realistiche avevano stretto la sua nuca con un filo
spinato di dubbi e tardivi scrupoli.
Come riuscirò
a sopravvivere
decentemente fino alla fine del mese? Cosa ho fatto? Sono diventata una
stupida ragazzina incosciente? Perché ho fatto una follia
simile? Ho dei grilli nel cervello o dei droidi che mi rotolano fuori
dalle orecchie insieme a della sabbia sporca?
Una volta raggiunto il suo appartamento si era chiusa in bagno e aveva
indossato il completo in fretta e furia. Aveva sospirato spazientita e
aveva maledetto la sua idiozia – stropicciandosi gli occhi lucidi
e poi la fronte e poi le tempie.
Si era avvicinata con un’espressione adirata allo specchio e
si
era costretta a guardarsi in maniera clinica e senza tentennare. Aveva
stretto le mani in due pugni forti e aveva alzato il mento. Non era
bella e non aveva molte curve. Inutile illudersi del contrario. Il suo
seno era piccolo ed era patetico cercare di mostrarsi diversamente. Si
era toccata il ventre piatto e definito dalle tante ore trascorse in
palestra e aveva pensato che non fosse male. Una misera parte di se
stessa era rimasta soddisfatta dal suo riflesso e aveva smesso di
sentirsi in colpa. Mentre un’altra parte più
insicura e
infantile aveva continuato a domandarsi cosa avrebbe mai potuto
pensarne Ben. Gli
piacerò?
Aveva toccato la sua immagine allo specchio e aveva piegato il collo
verso destra. Le sue gambe erano toniche ma forse lo erano troppo. I
suoi fianchi erano di dimensione normale e non grandi, accoglienti.
Doveva depilarsi o non si sarebbe sentita a proprio agio.
Cosa altro avrebbe
dovuto fare per essere pronta? Come poteva prepararsi?
La sua mano era scivolata via dallo specchio fino al lavandino e lo
scontro con il lavabo l’aveva costretta a distogliere lo
sguardo
e a stringersi le dita con l’altra mano. Si era sentita sola
non
appena si era resa conto che non aveva nessuno a cui chiedere aiuto.
Poteva parlarne con Finn? O con Poe?
No. Non
poteva. Come chiedere aiuto ai suoi amici che disapprovavano con tanta
acredine la sua relazione?
Poteva rivolgersi a Rose? No.
Rose era troppo impegnata a pensare ad Armitage e non era giusto
frastornarla con i suoi stupidi piagnistei.
Si era seduta sul bordo della vasca non appena aveva compreso quanto
sarebbe apparsa ridicola rispetto alle altre donne. Talmente tanto incapace.
Era logorante pensare al possibile confronto con le altre ragazze di
Ben. Era controproducente e dannoso.
Avrà avuto
tantissime
avventure ed io gli sembrerò una bambina. Non avevo neanche
mai
baciato nessuno prima di lui. Mi sento talmente tanto patetica.
Le aveva confidato di non aver mai avuto una relazione stabile ma
questo non significava non avere nessuna esperienza. Il pensiero
attorcigliava le sue viscere e bruciava nel suo addome. Era ingiusto
essere gelosa di un tempo in cui nemmeno si conoscevano. Era naturale
che Ben avesse avuto un passato ed era anche estremamente logico. Nella
sua testa si era costretta a ripetersi questi discorsi come una lezione
impossibile da dimenticare. Si era ostinata a cancellare ogni traccia
della sua irrazionalità e ad ottenere una consapevolezza che
potesse convincere gli spasmi del suo corpo a placarsi. Il nodo alla
pancia e alla bocca dello stomaco non avevano il diritto di esistere ed
era convinta che sarebbero scomparsi in poco tempo. Lo sperava con ogni
granello di se stessa.
Ma erano trascorse due settimane e le sembrava di non essersi mai
sollevata dal bordo della vasca o forse di essere ancora ferma sul
ciglio di una strada sperduta.
Non pensarci. Non devi
pensarci.
Accarezzò con più fermezza la biancheria che
aveva steso
sul letto e altre domande indegne di lei ricominciarono a intristirla
ticchettando contro la sua fronte.
Perché
assomiglio ancora ad un
topolino del deserto? Tutta ossa di fuori e volto scavato. Non ho un
seno prosperoso o gambe slanciate. Non ho fianchi morbidi e meno
spigolosi. Ben non riuscirà neanche a dirmi che non gli
piaccio
perché è sempre troppo buono e gentile con me.
Fece due passi indietro e si costrinse a respirare. Un ennesimo dolore
acuto alla pancia strozzò il suo respiro e la costrinse a
fermarsi barcollando.
Non posso fermarmi. Ho
poco tempo.
Aprì il cassetto del suo comodino e prese fra le mani le
poche candele di fragranze diverse che era riuscita a comprare.
Quali candele erano
adatte per una serata perfetta? Hanno anche dei nomi strani.
Le soppesò tra le dita e le avvicinò al suo naso.
Sembravano identiche.
Non siamo in uno
scadente film rosa
del sabato sera. Non sono un’adolescente che vive in un mondo
di
fate e arcobaleni. Che cosa mi è saltato in mente?
Ributtò le candele nel cassetto e lo richiuse con un
po’ troppa forza.
Sto sbagliando ogni
singola cosa.
Una nuova stretta alla pancia la costrinse a sedersi sul letto.
L’unica scelta giusta era stato il completo intimo e non ne
era
neanche certa.
I dubbi che ho sul mio
corpo adesso devono tacere e cessare di esistere. Non ho più
tempo e sono stanca.
Le candele erano state un cedimento che aveva avuto
all’ultimo
secondo. Un errore che avrebbe potuto evitare insieme a tanti altri.
E invece sbaglio sempre
e non imparo mai. Avevano ragione gli istruttori
dell’orfanotrofio. Sono un essere inutile.
La stretta alla pancia divenne insostenibile e Rey piegò il
suo corpo con la fronte posata sulle sue ginocchia.
Un pugno allo stomaco e al cuore era in grado di ridurla ad una pallida
immagine di se stessa. Scioglieva la sua resistenza. Da quando era
diventata tanto debole?
Sono sempre stata forte
e non ho mai
avuto bisogno di nessuno. Perché sono tanto spaventata?
Perché ho questi dubbi che sono come dei tarli assassini
nella
mia testa? Vorrei riuscire a strapparmeli via a mani nude. È
soltanto del sesso, devo rilassarmi.
Sbatté le palpebre e osservò le sue pantofole.
Forse avrebbe dovuto comprare delle pantofole più carine.
Le calze alla fine sono
riuscita a
comprarle? Forse no. Come ho fatto a non pensarci? Me ne sono davvero
dimenticata? Non sono in grado di creare una serata perfetta.
È
troppo tardi. E cosa posso fare adesso? Chiamarlo e dirgli di non
presentarsi più a casa mia perché la serata
è
saltata a causa di calze non pervenute?
Si voltò verso il comodino alla ricerca del cellulare e
ovviamente non lo trovò.
Oppure dirgli cosa? Che
sono
spaventata e con mille insicurezze sciocche e con un costante dolore
alla pancia che non vuole andarsene in alcun modo?
Il suo era un atteggiamento da codarda. Riconosceva la stretta al suo
ventre. Era un bollente dolore di spilli che strappava il suo respiro a
ondate. C’era una parte delle sua mente che era cosciente di
ciò che avrebbe dovuto fare e che avrebbe voluto gridarle di
alzarsi. Che non era una tragedia e che rimanere ferma ai piedi del
letto a far finta di nulla non avrebbe cambiato la situazione.
Ma come era possibile?
La sua vista si appannò e la sua testa la obbligò
a smettere di fingere.
Fermati e renditi conto
della verità.
La fronte bruciava e le sue guance erano accaldate. Tratteneva a stento
un groppo di lacrime alla base della gola.
Come è
possibile? Perché?
Il suo corpo aveva scelto di ribellarsi.
***********
Le sue mani non tremavano più.
Soltanto le punte delle dita si allungavano e piegavano in degli scatti
nervosi. La sua schiena era un filo di cenere pronto a dissiparsi in
una nuvola di fumo mentre la sua pancia si contraeva senza concederle
un respiro completo. I palmi posati sopra il suo ventre non avevano il
potere di aggiustare il suo dolore e di placare le contrazioni. I suoi
piedi battevano in maniera sconnessa contro il pavimento senza seguire
un ritmo preciso.
L’universo ha
deciso di ridere di me.
Si era cambiata. Ormai non aveva più senso sperare in un
miracolo. Indossava una tuta grigia e delle pantofole mezze rotte. Da
dieci minuti osservava il soffitto del suo soggiorno e non aveva
intenzione di scoprire in quale parte della casa aveva abbandonato il
suo cellulare.
È tardi. Ben
ormai sarà
già in macchina e non voglio disturbarlo con una mia
telefonata.
Dovrò dirglielo di persona.
Il suo intero corpo aveva deciso di ribellarsi contro di lei
– o
forse aveva scelto di umiliarla oppure di divertirsi con le sue
speranze.
Sono sempre stata una
ragazzina
stupida con dei sogni stupidi. Dovrei smettere di vivere
nell’attesa di qualcosa di bello. Non accade mai nulla di
bello
alle persone come me. È impossibile.
Con un braccio piegato si bendò gli occhi e
bofonchiò
delle soffocate lamentele contro il collo della sua maglietta.
Formulava costantemente dei pensieri di cui si pentiva poco dopo. Una
parte di se stessa riconosceva che era irrispettoso credere di essere
l’unica persona al mondo a cui capitavano sventure e
imprevisti
tragicomici. Non era giusto sputare e calpestare i bei ricordi che
aveva creato insieme ai suoi amici che erano diventati la sua nuova
famiglia. Insieme
a Ben.
Sussurrò il suo nome e con le palpebre chiuse vide
lentamente il
suo volto formarsi e i dettagli dei suoi occhi e delle sue labbra.
Percepì il calore della sua risata nel petto e i crampi al
ventre crebbero di intensità.
La sua vita era un miracolo da quando aveva conosciuto Ben
– il
suo nome era una scintilla alle costole e un arricciarsi alle dita dei
piedi.
Lui era l’unica eccezione nella sua esistenza sfregiata da
delusioni e da aspettative infrante. Non aveva potuto imbottigliare i
suoi sentimenti e non era riuscita a nasconderli in nessun angolo della
sua mente. Lei si era innamorata di Ben. Lei amava Ben. Lo
amava più di se stessa e non era mai riuscita a dirglielo.
Ogni tentativo era stato un fallimento – un disastro ogni volta che ci
aveva provato.
Gli interminabili istanti in cui aveva sentito il suo cuore scalpitare
in gola e nascondersi sotto la sua lingua. Le parole che erano sempre
rimaste bloccate dai suoi denti e dal suo palato. Miliardi di sorrisi
con cui aveva cercato di celare la sua vigliaccheria e i milioni di
respiri sommessi con cui aveva cercato di raccattare coriandoli di
coraggio. Non era mai riuscita a vincere le sue paure. Ogni sforzo si
era trasformato in una sconfitta logorante.
Cosa potrei fare?
Aveva scoperto di essere delusa dalla sua incapacità di
esprimersi e dal suo carattere introverso.
Non posso dimostrargli
concretamente
quanto lo amo? Non riesco a spiegarglielo con le parole. Posso
riuscirci con le azioni. Posso riuscire almeno in questo. Io devo agire
e non posso sbagliare.
Una scossa di adrenalina le aveva attraversato le ossa e un germoglio
di speranza si era radicato intorno al suo sterno e alla bocca del suo
stomaco.
Posso farcela, giusto?
E invece no.
Aveva sbagliato di
nuovo
e il suo fallimento dimostrava che non era in grado neanche di
organizzare una serata romantica. Il suo intestino era divorato dalla
frustrazione e dall’infelicità. La sua testa era
martoriata dalla consapevolezza di non essere abbastanza e di non aver
mai fatto abbastanza per un’altra persona.
Ben ha detto di amarmi.
Sdraiati sul divano a giocare e a ridere. Lei aveva scoperto che Ben
non sopportava il solletico e aveva iniziato a stuzzicarlo. Non aveva
smesso di torturarlo fino a quando non aveva implorato
pietà.
Così grande e
così
forte avrebbe potuto vincere subito contro di me. E invece no. Invece
ha lasciato che io mi stendessi sopra il suo corpo e gli solleticassi
il collo e la pancia. Ha giocato con me e mi ha stretta al suo petto
senza smettere di ridere con le lacrime all’angolo degli
occhi.
Gli aveva detto che era necessario immortalare una vittoria del genere.
Si era sporta ad afferrare il cellulare sul tavolino e impostando la
telecamera interna gli aveva baciato la guancia mentre i suoi capelli
neri erano rimasti tutti in disordine a solleticarle la fronte. Le
guance rosse di entrambi e sorrisi sulle loro bocche. Aveva scattato la
fotografia ad occhi chiusi e lui aveva mormorato due parole contro la
sua tempia sudata. Ti
amo.
Rey si morse il labbro e raccolse le mani sotto le sue cosce. Il dolore
alla sua pancia era poco sopportabile. Era certa che ci fosse anche un
miscuglio di acuto pentimento e di delusione verso se stessa.
Io non sono riuscita a
rispondergli. Non gli ho detto di amarlo. Come ho potuto essere
talmente tanto stupida?
Le rispose la sua mente con un’improvvisa immagine a
tradimento. Fu una pugnalata al cuore.
Unkar Plutt che cercava di sbottonarle i jeans con una mano e che le
palpeggiava il seno con l’altra. Il sangue ghiaccio liquido
nelle
sue vene fino a quando le sue dita non avevano sfiorato
l’estremità di un tubo che aveva utilizzato come
arma. Lo
aveva colpito alla testa con tutte le sue forze ed era fuggita
dall’orfanotrofio insieme a Finn, in piena notte.
Aveva soltanto quindici
anni.
Fuggita dall’orfanotrofio e dal suo passato e da
un’altra
Rey che aveva sperato non esistesse più. Quella notte aveva
promesso a se stessa che non avrebbe permesso a nessun'altra persona di
avvicinarsi a lei.
Esporsi era soltanto
pericoloso.
Unkar Plutt, direttore del suo orfanotrofio, avrebbe dovuto essere
l’uomo adulto in grado di proteggerla dal male. Non avrebbe
dovuto essere lui stesso il male da cui scappare.
Il suono del citofono ebbe il potere di trasportarla nuovamente nella
realtà. Si sollevò dai cuscini e dalla coperta
con uno
scatto deciso. Provava una sensazione elettrica simile ad una nuova
corrente d’ansia che vibrava tra le giunture delle sue ossa.
Non
sapeva come avrebbe potuto sradicare i tentacoli della paura che
continuavano ad attorcigliarsi ai suoi polpacci e a scorticare con le
dita ogni sua paranoia. Sembrava impossibile.
Corse ad aprire il portone del suo palazzo e nell’agitazione
si
incise i palmi con le unghie. Ma il formicolio alle sue mani era blando
e sopportabile. Non aveva la stessa consistenza dei pugni e dei calci
che una volta era stata costretta a sopportare. E non aveva la stessa
potenza distruttrice del pensiero di non vivere la sua vita insieme a
Ben. Dei graffi erano soltanto delle impronte sbiadite sulla pelle.
***********
Non gli diede il tempo di salutarla o di dire qualsiasi parola. Ben
entrò in salotto e Rey corse ad abbracciarlo
– ad
aggrapparsi al suo collo e a baciarlo con le mani intrecciate ai corti
capelli della sua nuca.
Lo sentì sorridere sulle sue labbra e poi sulla sua guancia,
sul
suo orecchio e sulla sua fronte. Ben respirò profondamente e
un
brivido corrose i suoi nervi. Casa. Finalmente era a casa.
Erano aggrappati l'uno all'altra e sapeva che non era abbastanza e che
non lo sarebbe stato mai.
Non riuscì ad evitare di provare una sensazione stordente di
affogare nell'aria, di calpestare un dettaglio di un giorno ordinario
che sarebbe stato meglio dimenticare.
Ben era un uragano di sensazioni che strisciava sotto la sua pelle e
premeva contro i suoi muscoli e i suoi tendini.
Era sempre un’emozione impossibile da controllare e non
riusciva
a non esserne sopraffatta. Sfiorare il suo corpo e legarsi a lui.
Gettare all’aria ogni pensiero razionale semplicemente grazie
alla sua risata e ai suoi sussurri contro il suo lobo sinistro. Avrebbe
desiderato bloccare il tempo. Rimanere tra le sue braccia e dimenticare
il susseguirsi dei suoi continui errori. Non pensare. Essere serena.
Smettere di domandarsi cosa fosse giusto e cosa sbagliato. Smettere di
chiedersi come avrebbe dovuto comportarsi.
“Devo darti una brutta notizia.”
Soltanto a causa della debolezza del suo corpo l’unica scelta
possibile era dirglielo subito. Rivelargli la verità senza
neanche dargli il tempo di parlare e sperare di non sbagliare ancora.
“Ben. La nostra serata è saltata.”
Rey premette la fronte contro il suo petto e gli baciò il
collo.
La consapevolezza molesta di sbagliare ogni cosa non riusciva a
sopprimerla e doveva essersi impigliata tra i tendini delle sue
braccia. Ben cercava il suo sguardo mentre gli stringeva la schiena. Ma
non poteva dirglielo guardandolo negli occhi e allora
continuò a
parlargli con il viso nascosto.
“Mi dispiace che tu abbia attraversato mezza città
a causa mia. Mi dispiace tantissimo.”
Era devastata perché la situazione era sfuggita al suo
controllo. Rey
aveva perso.
Aveva perso mesi prima e se ne era resa conto soltanto nelle ore
confuse del pomeriggio appena passato. Era stata sconfitta
nell’esatto momento in cui lo aveva incontrato e dentro il
suo
corpo era cresciuto un sentimento troppo grande da contenere e da
bloccare sul nascere. Aveva deciso di trasferirsi in un continente
diverso pur di tagliare le radici infette che l’avevano
imprigionata per dieci anni. Era stata costretta ad andarsene e il suo
unico pensiero – la sua unica preoccupazione – era
stato
sopravvivere. Lei non aveva mai previsto di innamorarsi.
“Dimmi cosa hai. Mi stai facendo preoccupare. Ti senti male?
È successo qualcosa di grave?”
Ben sciolse con delicatezza le braccia che cingevano la sua schiena e
spostò i capelli che le celavano il volto – accarezzando la fronte e la
tempia sinistra.
Non gli rispose subito. Osservò un gioco sottile di vene
pulsare
su una porzione delle sue spalle che era stata lasciata nuda dallo
scollo della maglietta. Un incastro bellissimo su cui lei amava
riposare. Lo sfiorò con la punta delle dita.
“Sei arrabbiato?”
Lui scosse la testa e abbassò il capo verso il suo.
“Sono preoccupato. Sei pallida e hai gli occhi lucidi. Hai la
febbre? Per questo non vuoi mangiare al tuo ristorante preferito? So
che ci tenevi a salutare la tua amica Rose.”
Perché avrebbero dovuto mangiare al suo ristorante preferito?
“Non mi sono spiegata bene. La nostra serata è
saltata.
Non possiamo perché sono in quel periodo del mese. Proprio
quel
periodo del mese. Il tempismo è tragico e me ne rendo conto
da
sola. Mi dispiace tantissimo.”
Pensò che Ben avrebbe condiviso il suo dispiacere e la sua
frustrazione. Nella sua testa lo vide scuotere il capo e dirle che
anche lui aveva immaginato la serata che avrebbero dovuto trascorrere e
che la aveva attesa tanto. Che la amava e che desiderava fare
l’amore con lei. Certo
che voleva fare l’amore con lei. Che
più di ogni altra cosa al mondo voleva essere dentro di lei.
Che era bellissima e che l’avrebbe attesa sempre.
Ben l’avrebbe stretta forte e lei si sarebbe sentita
accettata. Si sarebbe sentita rispettata e desiderata.
Stupida ragazzina con
sogni stupidi. Non aveva ancora imparato a non illudersi.
Scosse il capo e vide la realtà.
Lui stava sorridendo e le stava dicendo che avrebbe cucinato qualcosa
di caldo. Le stava chiedendo se avesse già preso le medicine
e
se avesse bisogno di altro. Nelle sue orecchie era tutto ovattato.
Devo comprarti qualcosa
in farmacia?
Manca qualcosa in casa? Perché non ti sdrai sul divano e non
pensi soltanto a riposare?
Tante domande a cui non prestava attenzione e a cui rispondeva a
monosillabi. Ben la strinse e le diede un bacio sulla fronte.
Un bacio sulla
fronte.
Nel suo cuore crebbe un palloncino di infelicità e allora
comprese di odiarsi.
Non aveva mai smesso di essere una bambina ingrata.
***********
Era rilassante osservare Ben cucinare. Si era accoccolata su una sedia
della cucina e aveva posato il mento sulle ginocchia, stringendosi le
gambe con le braccia. Lui preparava la cena e parlava della sua
giornata voltandosi a guardarla con un sorriso accennato. Cercava un
dialogo che in quel momento lei non era in grado di offrirgli. Annuiva
e seguiva il movimento delle sue mani, il modo in cui il suo corpo si
muoveva nello spazio. Era molto bello. Era affascinante
– il
suo primo pensiero la prima volta che lo aveva incontrato.
Era troppo bello ed era irraggiungibile per una ragazza-nessuno come
lei. Lo aveva compreso subito che Ben proveniva da un mondo molto
diverso dal suo. La certezza le aveva invaso lo stomaco il giorno in
cui aveva sollevato la testa all’indietro pur di riuscire a
parlargli guardandolo negli occhi. Come era possibile essere notati
da una persona simile?
“A cosa stai pensando?”
Penso di aver avuto
sempre ragione e che tu mi abbandonerai come tutti gli altri.
“Stavo ricordando la prima volta che ti ho visto.”
Lo vide sorridere e riempire una pentola d’acqua. Sembrava
rilassato – non
come lei, non con l’intestino arrotolato e morso da denti
aguzzi e grondanti veleno.
Strinse i pugni di riflesso e non trattenne la sua lingua.
“La prima volta che ti ho incontrato tu non mi hai vista. Lo
sapevi?”
Non osservò la sua reazione e volse il capo verso le
venature del tavolo.
“Rey, certo che ti ho vista. Sei entrata in palestra e ti ho
sentita subito. Hai attraversato la porta ed io mi ero già
voltato verso di te.”
“Ed è così che sei diventato
mio?”
“Io penso di essere sempre stato tuo.”
Non è vero.
Non lo sei neanche adesso.
“È stato pochi giorni prima. Eri nel parcheggio
della
palestra e camminavi sotto la pioggia senza curarti di coprirti. Io
aspettavo Poe e ti ho visto arrivare. Sembravi triste e avrei voluto
parlarti. Ma tu non ti eri accorto di me e non volevo disturbarti. Ero
soltanto un’estranea e anche tu eri un estraneo per me. Ma ti
ho
visto e ho pensato che eri bello e che avrei voluto conoscerti.
C’era qualcosa nel modo in cui non ti curavi della pioggia e
del
mondo intorno a te... qualcosa che mi ha subito ricordato me stessa e
che mi ha fatto pensare che fossimo simili.”
Diglielo. Diglielo che
lo ami anche tu. Digli che lo ami talmente tanto che sei spaventata.
Non è complicato. Diglielo.
O forse era complicato. Forse era normale nella sua vita sentirsi
inadeguata e con la costante sensazione di non essere mai abbastanza e
di non avere nulla da offrire. C’era una crudele certezza
nella
sua anima che mormorava indecenze al suo orecchio.
Ben
scomparirà. Ben ti
abbandonerà. Sarai nuovamente sola e senza speranze. Tu
sarai
sempre sola e non amata. Sei spazzatura gettata sul ciglio di una
strada. Sei una ragazzina che è stata trattata da tutti come
se
fosse niente.
La verità era un’atroce crudeltà da cui
era
abituata a fuggire. Aveva trascorso anni ad aspettare il ritorno dei
suoi genitori. Era sempre stata molto brava a illudersi e a inventarsi
nuove realtà in cui raggomitolarsi.
Sono troppo confusa.
Chiuse gli occhi e strinse le palpebre con le unghie. Delle macchioline
blu si sformarono e raggrumarono davanti alla sua vista e allora si
stropicciò le ciglia. Il freddo si impadronì
della base
della sua schiena con uno schianto improvviso. Come se avessero negato
qualcosa alla sua volontà. Come se avessero strappato un
organo
dal suo corpo senza alcun riguardo e con una sadica attenzione
– che
ti faccia male, Rey, e che possa ricordarti la tua solitudine in ogni
momento della giornata.
Ben si avvicinò e si inginocchiò davanti alla sua
sedia.
Le accarezzò le cosce e si fermò ai suoi fianchi.
Era
talmente tanto immersa nei suoi pensieri logoranti che si perse ad
osservare il modo in cui i suoi polpastrelli strofinavano la maglietta
del suo pigiama. La pelle di Ben era sempre calda ed
elettrica. Amava
il suo calore.
“Vuoi che me ne vada?”
La sua domanda turbò il groviglio delle sue elucubrazioni e
scosse un punto oscuro della sua anima. Sollevò il capo come
una
molla arrugginita e si perse nel suo sguardo adombrato.
“Vuoi andartene?”
Perché vuoi
andartene?
“No. Ma mi sembri stanca e infelice. Se tu vuoi riposare e la
mia
presenza non ti aiuta io posso andarmene. Devi solo dirmelo.”
Si accorse che si era dimenticata di respirare dal bruciore ai polmoni
e dalla secchezza alla gola. La sua voce sarebbe stata simile al suono
strozzato di un pulcino bagnato. Una dolorosa pressione cinse la sua
fronte corrucciata e le vene delle sue tempie.
Diglielo.
Ti amo.
Diglielo adesso.
“Non voglio che tu te ne vada.”
Ti amo tanto.
“Sei sicura? Non ti ho mai vista tanto stanca e mi stai
facendo
preoccupare. Perché mi sembra che tu sia arrabbiata con
me?”
Era una cerca-rottami. Lo era sempre stata. La sua sopravvivenza era
legata alla stilla di avidità che non era mai riuscita ad
abbandonare. Nella sua vita aveva dovuto scavare e raccattare. Aveva
dovuto rubare e poi nascondere ogni cosa. Non le era mai stato concesso
di fermarsi e aveva sempre preteso di più.
Di più, di
più. Sempre di più.
Aveva costretto il mondo a concederle tutte le opportunità
che i
suoi genitori avevano scelto di negarle. Nessuno aveva mai pensato di
prendersi cura di lei. Molti avevano cercato di sopraffarla e di usarla.
I suoi amici erano stati gli unici a non abbandonarla e non era stato
abbastanza. Una parte di lei aveva sempre bramato di più.
Poi aveva incontrato Ben.
Era stato dolce il modo in cui si era annidato sotto la sua pelle. Ed
era stato naturale arrendersi alla certezza di amarlo – senza agonia e tormenti.
Ben l’aveva avvolta con un'ondata lancinante di
felicità e lei invece si stava dimostrando
un’ingrata.
Non avrebbe mai voluto dipendere tanto da un’altra persona.
Non
aveva mai desiderato un legame di una tale insana intensità.
Il
suo passato avrebbe dovuto almeno insegnarle una lezione importante e
non sembrava esserci riuscito.
Nessuno rimane. Se ne vanno via tutti.
Quindi è
così? Sono
ancora la stessa bambina avara dell’orfanotrofio? Non sono
cresciuta? In cosa sto trasformando la mia vita? Sto distruggendo
l’unica cosa bella che mi sia mai capitata?
Ridusse in polvere una fastidiosa tensione che stava corrodendo i suoi
muscoli e si schiarì la gola occlusa da dei granelli di
sabbia
grezza.
“Non mi sento male. Solamente... non riesco a capire come tu
riesca a non essere seccato.”
“Cosa?”
La sua espressione stupita e dispiaciuta colpì nuovamente il
suo
intestino a morsi. Una macchia di rimpianto avvolse i suoi polmoni e
generò un senso di soffocamento. La sua bocca si mosse e non
scaturì alcun suono. Credeva avrebbe balbettato qualcosa e
invece neanche una parola era riuscita ad articolare.
Ho diciannove anni.
Perché non sono ancora cresciuta?
“Rey. Perché dovrei essere seccato?”
Glielo chiese con un sorriso sulle labbra e una risata nella voce. Il
suo atteggiamento rilassato riuscì a scavare un tormento
ancora
più profondo nel suo petto. Ferite tagliate con il sale e
croste
punte da aghi incandescenti. Forse era un dolore troppo radicato nel
cuore – non
poteva essere estirpato senza uccidere il suo stesso corpo.
Non sto capendo. Non gli
interessa minimamente del fallimento della nostra serata? Non gli
dispiace? Neanche un po'?
Domande su domande corrucciarono la sua fronte e dubbi insidiosi
imbronciarono le sue labbra. Ben dovette rendersi conto della
profondità della sua infelicità nel momento in
cui il
sorriso gli morì sul viso. Senza smettere di osservarla si
avvicinò ad abbracciarla – ad avvolgerla meglio tra le sue
braccia.
Era ancora in ginocchio. Una mano era sulla sua nuca e
l’altra
intorno alle sue spalle. Lei mosse il naso contro il suo collo e gli
strinse i fianchi con le braccia. Le sue dita si erano aggrappate alla
sua maglietta e gli accarezzavano la base della schiena. Con una mano
aperta risalì dalla sua vita al centro delle scapole e poi
nascose il volto tra i suoi capelli e il collo.
Erano legati in maniera talmente forte che uno dei due si
lasciò
scappare un gemito di dolore. Ma non comprese chi e non aveva neanche
importanza.
Voglio essere
coraggiosa. Voglio
dirti ogni cosa e raccontarti anche le esperienze che avrei voluto
dimenticare per sempre. Voglio condividere tutto con te.
“Rey. Parlami.”
Una sfumatura di seria preoccupazione arrochiva il suo tono di voce.
Ebbe il potere di spaventarla e di farla boccheggiare come una sciocca.
Nel modo in cui la osservava c’era un'attenzione che riusciva
a
farle tremare le gambe come se fossero di stupida gelatina. Qualcosa di
tanto forte da scaldarle il petto e da annebbiarle la mente. Nel modo
in cui la sfiorava c’era una venerazione che era in grado di
bruciare la sua pelle di fragile cartapesta. Intorpidiva paure che
nascondeva anche a se stessa e scioglieva ogni suo tormento. Un fiotto
di coscienza raggiunse la superficie dei suoi pensieri e vinse tutte le
difese che aveva provato a costruire.
“Avevo preparato tutto. Avevo sistemato la stanza e avevo
comprato un bel completo intimo. Avevo comprato anche delle candele di
vari colori e profumi. Ho cercato in ogni modo di creare una serata
perfetta e poi il mio corpo ha deciso di non collaborare con me. Te lo
giuro. È in anticipo di cinque giorni. Come può
essere in
anticipo di cinque giorni? Io non capisco. E non capisco come tu riesca
a non essere seccato. Non ti dispiace? Tu non volevi? O non mi vuoi in
quel senso?”
L’espressione di Ben era confusa e stordita. Sembrava non
riuscisse a comprendere le sue parole e tutto il suo discorso. La sua
bocca assunse una strana smorfia di sconcerto che lei avrebbe voluto
dissipare via con le punte delle dita e poi con un bacio. Le strinse le
braccia a livello del gomito e nel movimento impacciato la sua fronte
sfiorò il suo mento. Avrebbe voluto soltanto abbracciarlo
ancora
più forte e non aver mai detto nulla.
Perché aveva
riversato fuori ogni cosa?
“Un completo intimo.”
La sua voce strozzata era una moltitudine di farfalle blu dentro di
lei. Sfrigolavano nel suo stomaco e si acquietavano con carezze e
solletichi leggeri nel suo petto.
“Sì, un completo intimo per la nostra
serata.”
Ed era anche un completo
carino.
“Un completo intimo per la nostra serata.”
Perché aveva
un’espressione stupita?
“Di sesso. La nostra serata di sesso.”
Ma non ci aveva mai
pensato? Neanche
un momento? Forse era stato sollevato. Era così poco
desiderabile? O non voleva perché era una ragazzina priva di
esperienza?
Ben sembrava sul punto di parlare o di domandarle
qualcos’altro,
ma Rey bloccò ogni suo possibile discorso. Si rese conto che
tutto il suo corpo tremava a causa dell’adrenalina. I suoi
nervi
cedettero e non trattenne più il flusso delle sue paure e
delle
sue speranze. Non ci riuscì più.
“Lo so. Non ho esperienza e può essere pesante
dovermi
spiegare come muovermi e sicuramente anche poco eccitante.”
“Rey.”
“Ho immaginato tante possibili spiegazioni. Ogni giorno tu
sei
buono e gentile con me, come oggi. Nessuno nella mia vita ha mai
pensato di aiutarmi o di prendersi cura di me, anche soltanto per un
secondo. Tu mi hai preparato la cena e mi hai anche proposto di
preparami la borsa dell’acqua calda e sei stato tutto il
tempo
preoccupato. E intanto io cosa facevo? Ero felice perché il
mio
ragazzo dimostrava di amarmi tanto? No. Nella mia testa
c’erano
soltanto domande stupide. Perché Ben non è
dispiaciuto?
Perché Ben non è seccato da questo imprevisto?
Non sono
abbastanza? Ho pensato che forse non sai come dirmi che non sei
abituato con una ragazza vergine. Sarai stato con ragazze molto
più esperte di me. Ed è scontato, va bene. O
forse non ti
piaccio fisicamente? C’è qualcosa del mio corpo
che non ti
piace? Non capisco. Ti ho detto che la serata era saltata e tu non hai
detto nulla. Neanche una parola. Non lo volevi anche tu? Io non capisco
e mi sento un’ingrata. In realtà io sono un’ingrata.
E mentre parlo mi sento ogni secondo più stupida, ma io ci
tenevo. Non riesco mai a dirti quanto ti amo e allora desideravo
dimostrartelo. Ecco perché era importante. Quale altro modo
ho
per dimostrarti che ti amo?”
Non avrebbe pianto. Sapeva che sarebbe riuscita a non piangere. Un
costante raschiare di un groppo di lacrime nella sua gola non avrebbe
schiacciato la sua volontà. Era soltanto una bambina il
giorno
in cui il direttore del suo orfanotrofio aveva deciso di percuotere il
suo viso con un duro colpo di mano – e poi la sua pancia e poi le sue
gambe.
Era riuscita a non piangere e a non muovere un muscolo. Non avrebbe
pianto adesso. Non avrebbe pianto mai.
Ogni mattina mi sveglio
e penso che
anche Ben potrebbe abbandonarmi come tutti gli altri. Quando
comprenderà che io non sono abbastanza? Lo sanno tutti. Un
giorno si volterà a guardarmi e capirà che io non
sono
una persona amabile. Ma quando? Quando? Sarò costretta a
vivere
tutta la mia vita nell’attesa dell’inevitabile? Si
renderà conto di ciò che sono, se ne rendono
conto sempre
tutti. Capirà che non sono importante nella sua vita e che
può gettarmi via come spazzatura. Proprio come i miei
genitori.
Buttata fuori dalla macchina con la forza.
Il cuore uscì dalle sue costole e scomparve ai suoi
piedi. Che
stupida.
Nella nebbia dei suoi tormenti un pensiero vinse contro il rigurgito di
tutti gli altri.
Ben e i miei genitori
non sono la stessa persona. Ben è diverso.
Le sue pupille bruciavano e lei non avrebbe pianto.
Ben non si
comporterà come i miei genitori. Ben non mi
abbandonerà sul ciglio di una strada. Ben mi ama.
Senza rendersene conto le sue mani si erano strette a pugno e si erano
aggrappate allo scollo della sua maglietta. Sciolse la presa ed ebbe il
doloroso istinto di abbassare lo sguardo. Lui continuava ad osservare
ogni suo movimento e si mordeva il labbro inferiore lasciandolo andare
poco dopo.
Ben mi ama. Lui ama me.
Lo sento.
Lo vide sistemarsi a disagio sulle sue ginocchia ancora posate sul
pavimento del suo appartamento e muoversi ancora più vicino
– sempre
più incurante dell’ostacolo della sedia.
Sul suo volto si susseguirono milioni di emozioni e non
riuscì a
coglierle tutte. Erano sfuggenti e incostanti. Le sue labbra erano
solleticate dal suo respiro e dalle sue parole.
“Non hai bisogno di dimostrarmi con il sesso che mi ami. Non
hai bisogno di dimostrarmi nulla.”
Era ferito. Avrebbe voluto rimediare e rimangiarsi ogni cosa.
Esprimersi meglio. Essere una persona migliore.
“Non mi sono spiegata bene.”
Lui posò la fronte contro il suo petto. Nel punto in cui
avrebbe
dovuto esserci il cuore. E lei gli toccò i capelli
– senza
pensarci e con un gesto impalpabile.
“È colpa mia. Mi dispiace essere stato vago e aver
sbagliato. Una parte molto forte di me non voleva essere completamente
sincera. In realtà non vorrei neanche adesso. Non volevo
deludere le tue aspettative e mi vergognavo.”
Il suo sospiro pesante le colpì il seno. Una rassegnazione
senza
speranza che incise il suo addome con un colpo di spada incandescente.
Ben e i miei genitori
non sono la stessa persona. Non sono la stessa persona. Non lo sono.
Ben mi ama.
Gli strinse le spalle e prese la sua mano scaldandosi il palmo e le
dita. Lui sorrise tristemente e rise in maniera soffocata
nell’osservare il modo in cui aveva intrecciato le mani
d’istinto.
Non sono la stessa
persona.
“È molto imbarazzante doverlo ammettere ad alta
voce.”
Lui sorrideva ancora e scuoteva la testa mordendosi le labbra. Avrebbe
voluto bloccare ogni cosa e baciarlo.
Ben mi ama.
Non voleva vederlo agitato e sofferente.
Ben ama me.
“Va bene se non vuoi dirmelo. Posso aspettare.”
Lei sapeva ogni cosa sull’aspettare. Aveva aspettato anni il
ritorno dei suoi genitori. Era brava ad aspettare.
Ma Ben non smetteva di guardarla e non abbassava lo sguardo.
Come posso aver dubitato
tanto? Avrei soltanto dovuto guardarlo negli occhi e avrei capito. Sono
davvero una stupida.
Rey rispose al suo sorriso triste e sfiorò la radice del suo
naso e le sue sopracciglia e la fronte. Si sporse a baciarlo ma Ben
parlò contro le sue labbra.
“Rey. Non ci sono mai state altre ragazze. In nessun senso.
Mai. Tu sei la prima in tutto.”
Non ebbe il tempo di ripetersi le sue parole nella mente e di
intenderle. Lui si sollevò da terra e camminò
verso la
cucina – con
la schiena contratta e le spalle incurvate.
Avrebbe voluto alzarsi anche lei e raggiungerlo. Strattonarlo e
stringerlo come prima. Baciargli la nuca e farlo sorridere. Dirgli che
lo amava da impazzire e chiedergli perdono.
Perché
è tanto triste? Perché pensa di deludermi?
Perché non ridiamo insieme della nostra idiozia?
L’impulso di sbattere la testa contro il muro e urlare al
mondo la sua stupidità era sempre più incalzante.
Come aveva potuto essere tanto egocentrica? E perché Ben
credeva di deluderla con la verità?
Non gli ho mai chiesto
nulla del suo
passato. Mi sono sepolta nelle mie sicurezze e non gli ho dato modo di
raccontarmi nulla. Pensavo di sapere tutto e invece non sapevo
assolutamente niente. Sono stata superficiale.
Erano stati entrambi troppo spaventati.
Lasciò la sedia e fece un passo verso di lui. La sua pancia
era
indolenzita e allora incrociò le braccia intorno al suo
ventre.
Doveva parlargli.
“Ben Solo, guardami.”
Doveva farsi ascoltare.
“Penso che la cena si sarà raffreddata.”
Un’altra scarica di adrenalina attraversò la sua
colonna
vertebrale e le ossa delle sue costole. Altri due passi e si
ritrovò di nuovo a sfiorargli la schiena e a respirargli
sulla
nuca. Gli toccò il polso e il dorso della mano con cui si
reggeva allo stipite della porta. Era elettrico.
“Ben Solo, devi guardarmi e ascoltarmi.”
Era brava ad aspettare. Rimase ferma ad attendere una sua parola o un
suo gesto.
Era troppo brava ad aspettare.
Ticchettò con le dita il suo polso – dolce come lacrime di pioggia.
Lui rilassò le sue spalle e Rey tornò a
respirare.
Sgusciò sotto le braccia di Ben e si posizionò
davanti al
suo viso. Un rumore assordante confluì violento nel suo
petto e
nelle sue orecchie.
Si poteva piangere di felicità?
Gorgogliava roboante tra i palmi delle sue mani e fluiva tra le sue
guance e le sue ciglia. Lui aveva degli occhi bellissimi.
“Ti amo, Ben. Va bene?”
Stupidi entrambi.
Gli prese il cuore e gli baciò il labbro superiore.
Sospirò di piacere sulla sua bocca e si mosse con affanno.
Ogni volta non bastava mai. Il tocco delle sue labbra e il sapore della
sua bocca, il cozzare dei denti di entrambi e il pizzicore nella sua
gola. Non bastava mai.
Il suo calore e la sua elettricità erano in grado di
annebbiarle i sensi.
Lui era in ogni parte di lei – oltre la pelle e il sangue.
Penso si possa piangere
di felicità.
Non aveva previsto di innamorarsi. Non aveva neanche mai pensato di
poter innamorarsi e di poter essere riamata in egual misura.
Penso di avere le guance
bagnate e non voglio sapere il motivo.
“Possiamo imparare insieme. Possiamo compiere ogni nuovo
passo
insieme. Siamo io e te, insieme. Questa è la cosa
più
importante. Perché dovresti deludermi? E perché
dovresti
vergognarti?”
Credevo che spesso tu mi
scivolassi
via. Mi sembrava di non essere capace di trattenerti vicino a me. Che
ti sgretolassi ad ogni mio tocco e che sparissi dalle mie mani ogni
volta che pensavo di averti vicino. Adesso riesco a rendermi conto che
sono stata io. Sono stata io a non riuscire a vederti. Che stupida che
sono stata. Perdonami.
Ben aveva le labbra gonfie e gli occhi lucidi come i suoi. Gli fece una
smorfia strana per fargli capire che non era triste e lui scosse la
testa di lato e sembrò sospirare di sollievo. Sentiva il suo
cuore battere in maniera impazzita sotto il suo palmo. Era come averlo
tra l’angolo delle sue linee spezzate e delle sue vene. Un
filo
rosso che nessuna lama era in grado di logorare e di strappare.
“Tu come hai potuto pensare che non mi piacessi? Io non avevo
neanche capito quale era il tuo progetto per questa sera. Pensavo
dovessimo andare al tuo ristorante preferito. Scusami. Perdonami, sono
stato uno stupido.”
Sono io che mi sgretolo.
“Sono stata stupida anche io. Dobbiamo smetterla di avere
tanta
paura. Io ti amo. Tu mi ami. Non è un miracolo?”
La domanda lo scosse. Forse se lo era domandato anche lui. Forse anche
la sua mente si era arrovellata a chiedersi come potesse esistere un
miracolo del genere. Forse ancora non ci credeva del tutto.
Digli ancora che lo ami.
Diglielo sempre. Non farglielo dimenticare mai.
Lo disse.
Perché non
glielo aveva detto subito?
Lo disse ancora.
Chi tremava di
più?
Lo disse piano e le parole si scomposero in miliardi di bellissime
possibilità.
Ben sorrideva ad occhi chiusi.
“Tu sei un miracolo, Rey. Mi rendi talmente tanto
felice.”
Si rese conto che non avrebbe mai potuto amare un’altra
persona
nella sua vita con la stessa intensità con cui amava lui.
Era
l’uomo migliore che avesse mai incontrato. Era imperfetto e
combatteva i suoi demoni con un coraggio che ammirava.
La sua coscienza non rinnegava le ombre di Ben – erano tante e lei le amava tutte.
Anche nella sua anima esisteva del grigio e non ne era spaventata.
Erano insieme e nulla avrebbe potuto spaventarla.
Lui curava tutti i suoi brutti ricordi e desiderava il suo bene al di
sopra di ogni altra cosa.
Ben mi ama.
Avrebbe posato la guancia contro il suo petto e si sarebbe nascosta
sotto la sua pelle. Gli avrebbe raccontato tutto del suo passato e gli
avrebbe chiesto di essere stretta talmente forte da avere i lividi alle
ossa. Non era giusto dimenticare la bambina che era stata e che avrebbe
sempre scalciato i sassi sul selciato. Non avrebbe inventato nei suoi
sogni un passato meno doloroso. La consapevolezza di essere amata
acquietava il bruciore delle vecchie cicatrici e sfumava il colore
oscuro delle vicende passate – ed era un altro miracolo che non
avrebbe mai pensato di assaporare dentro il suo corpo.
Avrebbe dovuto soltanto credere.
Soltanto in questo modo avrebbe trovato dinanzi a sé
l’appartenenza che aveva sempre cercato.
Angolo autrice.
Please, non lanciatemi pomodori. Questa storia era pronta da molto
tempo e in questi giorni ho avuto il coraggio di revisionarla e di
pubblicarla. Ben non è il protagonista assoluto come nelle
storie precedenti ma desideravo scrivere una storia dal Pov di Rey ed
analizzare il suo passato e mi sono trovata a parlare, anche se ancora
in maniera blanda, di tematiche delicate. Tematiche che dovranno essere
approfondite in altre storie sempre legate a questo ciclo AU. Spero vi
sia piaciuta! Doveva essere una commedia (cosa succede se il ciclo
decide di presentarsi proprio la serata in cui si decide di voler fare
sesso con il proprio fidanzato?) e poi non so cosa sia successo. Fatemi
sapere cosa ne pensate, per favore. Inoltre: il tema di Rey che vuole sedurre Ben con nuova biancheria è un must delle fanfiction Reylo (e la sua gelosia), quindi mi sono ispirata a varie storie, ma soprattutto a “Hit me with your best Shot” di SageMcMae. Moltissimo alla lontana, ma da questa autrice è nata l’ispirazione per questo mio lavoro.
A presto!
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