Jessica Fletcher e il caso della Crillen House
Storia scritta per
il contest Omaggio a Mrs. Fletcher indetto da
Writer's Arena
Disclaimer: i personaggi non mi appartengono ma sono dei rispettivi
autori. La storia è scritta senza scopo di lucro.
Jessica
Fletcher e il caso della Crillen House
Personaggi:
Jessica B. Fletcher: scrittrice di romanzi gialli e investigatrice
dilettante
Roger Davemport: proprietario di una importante Casa Editrice
nonché amico di Jessica
Teresa Davemport: seconda moglie di Roger Davemport
Sheila Davemport: prima moglie di Roger e socia della D&D
Nick Drake: socio di Roger Davemport
Dave Coolidge: Direttore del Marketing della D&D
Tenente Frank De Gregorio: investigatore della polizia di Los Angeles
Natasha Clarke: giornalista del Daily News
Ero nella mia cucina, intenta a sfornare gli ultimi biscotti della
giornata. D’altra parte era stata una pessima serata, tuoni e
lampi si erano susseguiti ininterrottamente dal pomeriggio. Non era
raro che Cabot Cove fosse colpita da simili tempeste, soprattutto in
quella stagione, e io non trovavo niente di meglio da fare che scrivere
e fare biscotti. Mentre mi raddrizzavo col vassoio ancora fumante in
mano qualcuno suonò alla porta: doveva essere Seth. Chi
altri sarebbe mai venuto a trovarmi in una serata come quella,
altrimenti? Appoggiai con cura il vassoio e mi tolsi i guanti. Con un
sorriso aprii la porta, ma la battuta che stavo per
pronunciare mi morì sulle labbra. Davanti a me
c’era un uomo di bassa statura, con un impermeabile tutto
stazzonato, totalmente zuppo.
- Signora Fletcher, si ricorda di me?
Mi chiese con la sua voce lievemente roca fissandomi con
l’occhio buono. Mi ripresi subito e lo feci accomodare
dentro. Gli offrii i biscotti ancora caldi e una tazza di
caffè bollente.
- Cosa la porta da queste parti?
Gli domandai quando lo vidi un poco rifocillato. Mi rispose che lui e
la moglie stavano facendo un giro per il Maine e che si era ricordato
che proprio a due passi dalla cittadina dove alloggiavano abitava la
sua vecchia amica Jessica. Che Rochester fosse vicina a Cabot Cove era
una delle affermazioni più azzardate che avessi sentito a
quel riguardo e “amica” non era il termine
più esatto a dire il vero. Avevamo solo risolto un caso
insieme una quindicina d’anni prima. Mi sedetti lentamente
intuendo che quella visita fosse tutt’altro che casuale.
***
Erano i primi anni ’90,
più precisamente l’estate del 1992: ero andata a
Los Angeles per ritirare un premio alla carriera. La premiazione si
svolgeva presso la sontuosa sala dei banchetti della Crillen House, una
dimora storica dei primi del ‘900 ove aveva la sua sede
l’Associazione Californiana Scrittori. Era stata donata
all’Associazione dall’ultima erede dei Crillen,
Altamira, donna assai originale e il cui gusto sfarzoso ed eccentrico
rendeva la magione un luogo a volte incantato, altre decisamente
inquietante. E forse per questo piace tanto agli scrittori losangelini.
Non era la prima volta che visitavo il salone, con i suoi stucchi
dorati, i trompe l’oeil alle pareti, i suoi soffitti
istoriati e l’immenso lampadario centrale che si diceva fosse
ispirato a quello del Teatro dell’Opera Populaire
dell’omonimo fantasma. Ad ogni modo quella sera ero
lì a sorseggiare un bicchiere di champagne chiacchierando
animatamente con gli altri ospiti dell’evento.
- Jessica, sei splendida! E’
un piacere immenso averti a questa nostra piccola festicciola!
- Roger! Non essere modesto:
è una festa meravigliosa!
Risposi abbracciando il mio vecchio amico. Roger Davemport, il
patròn degli scrittori californiani nonché
Presidente dell’Associazione. Il suo contributo alla
letteratura americana non era stato dei più memorabili, in
compenso la sua Casa Editrice, la D.&D., era una delle
più importanti del paese. Era stato lui a candidarmi al
premio ed era stato sempre lui ad aver organizzato la serata in mio
onore. Erano parecchi anni che non ci vedevamo, così
l’osservai attentamente. Si portava bene i suoi settantadue
anni, aveva ancora una folta capigliatura bianca che teneva pettinata
all’indietro, rigogliosi baffi biondi gli sormontavano le
labbra sottili che si aprivano spesso in una risata omerica. E di
omerico aveva anche la pancia che contrastava curiosamente con le gambe
corte e magre. Tutto sommato non era cambiato molto
dall’ultima volta che l’avevo visto. Mi
presentò la sua seconda giovane moglie, Teresa. Era una
donna bellissima il che mi spinse a compatire un poco il mio vecchio
amico. Mi chiesi per quale motivo gli uomini più diventavano
vecchi e potenti e più sentivano la necessità di
accompagnarsi a giovani donne per lo più senza scrupoli.
Nonostante tutto l’atteggiamento di Teresa me la rese
simpatica, mi ricordava vagamente una mia nipote, morta qualche anno
prima. Come lei aveva la carnagione dorata e lunghi capelli neri. Aveva
un che di gentile nello sguardo e nei modi per nulla arroganti, che me
la fecero prendere subito in simpatia. Il suo corpo esile era fasciato
da un vestito rosso che si accordava magnificamente ai suoi colori.
- Allora, hai qualche nuovo romanzo nel
cassetto?
Mi chiese ancora Davemport, risposi brevemente che ero appena alla fase
di ricerca e che anzi avrei approfittato della mia permanenza per
condurre qualche piccola indagine.
- Sei sempre la solita!
Mi apostrofò Sheila che si era unita alla conversazione.
Sheila era la moglie numero uno, come la definiva Roger. Una donna
imponente, le cui proporzioni erano rese ancora più
giunoniche dal lungo abito bianco. Anche lei aveva i capelli neri e
cerulei occhi miopi, ma la lingua tagliente e i modi bruschi la
rendevano nettamente diversa dalla seconda moglie dell’ex
marito. Era anch’ella un’amica di vecchia data,
dopo aver pubblicato un paio di buoni romanzi si era data
all’editoria: aveva, infatti, una piccola quota nella
D&D. L’altra D era Nick Drake, ma quella sera ancora
lo avevo visto. Chiacchierammo ancora qualche minuto e Roger volle
presentarmi il suo giovane direttore del marketing. Non avendo figli
suoi, Davemport era sempre alla ricerca di nuovi talenti da proteggere
e lanciare fossero essi scrittori di belle speranze o giovani
professionisti rampanti. Il giovane uomo che mi presentò
come Dave Coolidge apparteneva alla seconda categoria: di
bell’aspetto, era il classico ragazzone americano tutto
capelli biondi, mascella volitiva e sorriso bianchissimo. I suoi modi
erano aperti e niente affatto sgradevoli. Mi strinse la mano con
entusiasmo, si premurò che avessi il bicchiere pieno e
s’ informò sulle mie ultime fatiche, letterarie e
non. Avevo, infatti, appena finito una collaborazione con una radio di
Portland per una serie di riduzioni radiofoniche dei miei racconti. Mi
stupì un poco che ne fosse a conoscenza, lì in
California. Ma non feci in tempo a domandarmene il motivo che Davemport
ci guidò tutti quanti nella sala attigua dove era stato
approntato un piccolo palco. Ci disponemmo tutti all’ascolto
mentre il decano degli scrittori californiani, Gustav Stapledon,
iniziava il suo discorso. Furono distribuiti vari premi: al migliore
romanzo esordiente, al miglior romanzo, alla migliore raccolta e
così via. A me spettava il posto d’onore e dovetti
attendere un bel po’ prima che il mio nome fosse chiamato. Mi
consegnò il premio il Presidente in persona.
- Qualche decennio fa, incontrai proprio
in un’occasione del genere, un’ottima scrittrice
esordiente. Aveva appena pubblicato il suo primo romanzo e credo che
neppure lei stessa fosse in grado di immaginare il successo che ne
avrebbe avuto. Da allora ha continuato a mietere trionfo dopo trionfo
diventando una delle scrittrici più importanti di questo
paese. Ed è perciò con immenso onore che sono
lieto di consegnarle il premio alla carriera della A.C.S.!
Davemport mi fece cenno di salire sul palco, non era la prima volta che
ricevevo delle onorificenze, ma l’emozione era sempre la
stessa. Ringraziai sinceramente commossa e dedicai il premio al mio
Frank. La serata proseguì a lungo, mi complimentai con gli
altri vincitori e chiacchierai con tutte le mie nuove e
vecchie conoscenze. All’una mi sentii decisamente affaticata,
così cercai Roger per ringraziarlo e salutarlo. Mi aggirai
per la Crillen House col premio che mi pesava, i piedi
stanchi e le guance bollenti, forse per il troppo champagne.
Mi sedetti un momento su una panca posta all’interno di uno
dei bovindi del piano terra. La finestra era aperta per lasciar entrare
la brezza della sera che profumava dei lillà e gelsomini che
crescevano rigogliosi arrampicandosi lungo le mura della casa. E fu
solo per quello che scorsi due figure in atteggiamento piuttosto
intimo. Parlavano a bassa voce e non riuscii a sentire cosa dicevano,
sforzai un po’ gli occhi per riuscire a riconoscere di chi si
trattasse. Quando si mossero verso la luce e riuscii finalmente a
vederli in volto le mie labbra si strinsero con disappunto. Cercai di
convincermi che la situazione non fosse così equivoca come
appariva a prima vista. Eppure non c’era molto da
meravigliarsi se due giovani di bell’aspetto, con un radioso
futuro davanti fatto di successo e soprattutto tanti soldi, provassero
una simpatia forse un po’ troppo familiare
ancorché una dei due fosse sposata col capo
dell’altro. Mi rialzai mentre meditavo sulla scena che avevo
visto poco prima e finalmente Roger mi venne incontro.
- Jessica, dov’eri finita? Ti
stavo cercando in lungo e in largo!
Scoppiai mio malgrado in una risata:
- Potrei dire la stessa cosa di te!
Vorrei andare – continuai tornata seria – sono
piuttosto stanca.
Roger era d’accordo con me, si sentiva affaticato, mi
confessò e non vedeva l’ora di sedersi un momento
a gustare l’ultimo whisky della serata.
Anche Sheila ci raggiunse, con un
espressione di disappunto sul bel viso.
- Roger, hai per caso visto un orecchino
in giro?
Apostrofò l’ex marito non appena lo vide. Al suo
cenno negativo Sheila sbuffò, era tutta la sera che lo
cercava, doveva essersi allentata la monachina che lo teneva agganciato
all’orecchio.
- Era uno dei miei?
Chiese con fare sardonico Roger, Sheila aprì una mano e ci
fece vedere il compagno sopravvissuto: uno splendido brillante da
almeno un carato brillava sul suo palmo.
- Non mi resta che andare a dormire e
cerare meglio domani.
Si congedò Sheila, troppo stanca per poter frugare ancora
qua e là. La Crillen House aveva anche qualche stanza dove
poter far riposare gli scrittori in visita, perciò non
dovevo fare altro che salire di un paio di piani per potermi finalmente
sfilare le scarpe e prepararmi per il giusto riposo. Non fui molto
stupita quando venni a sapere che anche lo stesso Davemport e Teresa
avevano scelto di rimanere a dormire alla Crillen. Sheila aveva preso
la stessa decisione, ciò che mi stupì invece fu
di sapere che si sarebbe fermato anche il giovane direttore del
marketing. E rimasi ancora più sorpresa quando vidi Nick
Drake entrare nel salone principale e dirigersi verso Roger con fare
minaccioso.
- Roger, questa è la goccia
che ha fatto traboccare il vaso!
Davemport lo prese da una parte mormorando qualcosa, ma un Drake ancora
più alterato si scrollò la sua mano di dosso e
urlò:
- Non permetterò che mandi in
rovina la Casa Editrice per i tuoi capricci!
- Avanti Nick, è solo una
promozione. Ci porterà dei grossi guadagni!
Ma quello non si lasciò persuadere. Teresa mi si
avvicinò spiegandomi la situazione:
- Roger ha grandi ambizioni per la
D&D, purtroppo Nick non riesce a capirlo.
- Di cosa si tratta?
- Roger sta cercando di allargare il
campo d’azione dell’azienda, ha in mente di
espanderla e costituire una società di produzione. Ma Nick
ha paura che sia un azzardo con tutte le case di produzione che ci sono
da qui a Encino. Litigano sempre più spesso…
Intanto era intervenuto anche Coolidge che stava cercando di calmare
gli animi. Stavo quasi pensando di intervenire io stessa quando Teresa
mi prese per un braccio. Mi guardò con occhi enormi e quasi
spaventati.
- Il problema è che ha
ragione Nick…lei non potrebbe farlo ragionare?
Rimasi sbalordita da quella richiesta, conoscevo Roger da molti anni,
ma non avevo certo l’ascendente necessario per fargli
cambiare idea su cose di cui tra l’altro ero piuttosto
digiuna. Presi tempo mentre pensavo ad una risposta adeguata:
- E Sheila cosa ne pensa?
Teresa scosse le spalle:
- Non so – rispose flebile
– io e lei non parliamo molto.
Potevo immaginarlo. Anche se Roger e Sheila si erano lasciati da
qualche anno quando Teresa era entrata a far parte della famiglia
Davemport potevo capire che non fosse una situazione idilliaca e potevo
anche comprendere come mai Sheila non avesse troppa simpatia per una
donna tanto più giovane e bella.
Finalmente i due litiganti sembravano
essersi calmati, Davemport si era seduto pesantemente e Drake era
accanto alla porta con le braccia incrociate e il viso torvo: non era
cambiato di una virgola dall’ultima volta che lo avevo visto.
Era sempre alto, segaligno e calvo come una palla da bowling. In
compenso portava un pizzetto mefistofelico che insieme alle basette
disegnate e gli occhi verdi contribuiva a dargli un’aria
diabolica. Ma chi lo conosceva bene sapeva quanto invece fosse ansioso
e gravato da un’ulcera cronica che era diventata quasi una
leggenda nell’ambiente.
Mi avvicinai a Drake il quale non appena
mi vide si aprì in un sorriso:
- Jessica, che piacere vederti! Immagino
avrai assistito alla scena poco edificante di poco fa… -
aggiunse scurendosi in viso.
Annuii ma cercai di alleggerire l’atmosfera rammentandogli
qualche buffo episodio del passato. Nick sembrò essersi
calmato quel tanto che bastava per ricordarsi della sua ulcera. Con una
smorfia tirò fuori dalla tasca della giacca le sue
inseparabili pastiglie e ne ingollò un paio
senz’acqua.
- Vogliamo berci il bicchiere della
staffa?
Propose Roger avvicinandosi con l’aria di chi volesse
soprassedere ad un comportamento poco onorevole.
- Credo che per me sia troppo tardi per
qualsiasi cosa! – affermai convinta desiderosa solo di
mettermi a letto. Anche gli altri rifiutarono. Davemport scosse
lievemente la testa e si riempì un bicchiere di whisky. Noi
altri ci separammo.
L’ultima immagine che ho di
Roger Davemport vivo è di lui seduto in una grossa poltrona
di cuoio nel salottino rosso della Crillen House. Aveva un paio di
mezzi occhiali appollaiati sul naso carnoso e leggeva una qualche sorta
di documento. Sul tavolinetto di mogano accanto alla poltrona riposava
un bicchiere pieno a metà di liquido ambrato.
***
Nonostante la stanchezza quella notte
non riuscii a prendere sonno agevolmente. Un caleidoscopio di immagini
mi turbinava nella testa. La premiazione, Sheila che rideva
allegramente, Teresa e David in quell’atteggiamento complice,
il litigio fra i due soci della D&D e ancora la richiesta
d’aiuto di Teresa. Ma soprattutto non riuscivo a togliermi
dalla mente il volto di David Coolidge. Ora che potevo starmene per
conto mio mi resi conto che il ragazzo aveva smosso qualcosa nella mia
memoria. Il suo viso era associato a qualcosa di spiacevole, ma non
riuscivo a inquadrarlo. Mi rigirai un paio di volte, impaziente. Accesi
la luce, bevvi un sorso d’acqua e mi riadagiai sul cuscino.
Sbuffai insonnolita e scontenta, guardai il premio che luccicava
debolmente alla fioca luce dell’abajour. Pigiai nuovamente
l’interruttore e la stanza ripiombò nel buio,
rischiarato solo da lame di luce prodotte dai fari delle automobili di
passaggio. Il premio mi aveva fatto venire in mente Frank, se non fosse
morto avrei mai preso sul serio l’idea di scrivere? Eppure
avrei scambiato tutto quello che avevo, il successo, i soldi, i
riconoscimenti, per avere di nuovo al fianco mio marito. Sospirai,
finalmente prossima al sonno, quando sobbalzai improvvisamente: mi ero
ricordata chi fosse David Coolidge!
Quella rivelazione mi agitò
così tanto che fui costretta ad alzarmi e a gironzolare per
la stanza in preda all’indecisione. Ormai di dormire non se
ne parlava. Mi misi a sedere su una poltrona e ricostruii nella mente
gli avvenimenti che vedevano coinvolto quel giovane che tanto giovane
non era e che non si chiamava affatto David Coolidge. La consapevolezza
della scoperta mi mise ancora più in subbuglio: avrei
trascorso la notte in bianco. Riflessi se fosse il caso di far
partecipe della mia scoperta Roger, in fondo aveva il diritto di sapere
chi fossero realmente i suoi dipendenti. E anche Teresa, se era vero
che avesse quell’amicizia così intima col ragazzo,
era giusto che sapesse con chi aveva a che fare. Ma poi, se non fosse
stato chi pensavo che fosse? Avevo il diritto di lanciare accuse senza
prove? Avrei dovuto indagare. Mi riproposi di controllare
l’archivio del Daily News e fare qualche telefonata ad un
paio di detective che conoscevo nel LAPD. Mi ero appena messa il cuore
in pace che fuori la luce cominciò a riverberare nel cielo.
Era quasi l’alba quando sentii una voce femminile che
concitata bussava a tutte le porte, compresa la mia. Di corsa presi la
vestaglia e uscii.
- Che cosa succede?
Domandai a Nick che dormiva nella stanza accanto alla mia. Precedendomi
verso il salottino rosso ansimò:
- Sembra che Roger si stia sentito male.
Come entrammo scorgemmo Sheila accanto alla poltrona dove era riverso
l’ex marito. Teresa era accasciata su un’altra
sedia, i capelli scompigliati e il viso stravolto. Anche Sheila
sembrava sconvolta. Nick le si avvicinò e
l’allontanò dal corpo. La donna si
voltò verso di me con un espressione disperata negli occhi
dilatati. Subito presi in mano la situazione, non era la prima volta
che mi trovavo in una circostanza simile. Intimai a tutti di non
toccare nulla e guardai attentamente il cadavere del mio vecchio amico.
Come ho detto giaceva scomposto sulla poltrona, una smorfia di
sofferenza sul volto. Sembrava che avesse avuto un malore, un infarto,
ma qualcosa mi spinse a scartare quell’ipotesi. Avevo notato,
infatti, il bicchiere sul tavolino. Ricordo perfettamente che la sera
prima era quasi pieno. Ma ciò che attirò la mia
attenzione fu un sottilissimo deposito sul fondo, ebbi cura di non
toccare il bicchiere per non contaminare eventuali prove e mi chinai
per sentirne l’odore. Quando mi rialzai osservai il gruppetto
di persone riunito nella stanza: Teresa seduta sulla sedia accanto alla
porta tormentava un fazzolettino zuppo. David accanto a lei, le cingeva
le spalle con un braccio e mi guardava con un espressione
indecifrabile, forse mi aveva riconosciuto anche lui. Accanto alla
biblioteca, in piedi, Nick sfoggiava la sua espressione tipica e si
massaggiava la pancia con una mano. Sheila era seduta alla scrivania,
pallida e con un’espressione smarrita sul volto.
L’assassino era tra noi.
- Qualcuno è entrato o uscito
dalla Crillen House dopo che la festa è finita?
Domandai più per scrupolo che per altro e la risposta fu
negativa. Proposi di chiamare la polizia, mi era chiaro che la morte di
Roger era stata tutt’altro che naturale.
- Jessica, non ti sembra esagerato?
Esclamò Nick, dopo aver fatto un passo in avanti.
- Non sono un medico ma sospetto che
Roger non sia morto per cause naturali.
Replicai sicura. La mia affermazione causò sgomento negli
altri ospiti. Nessuno sembrò credere ad
un’eventualità tanto infausta e così il
dubbio andava ad unirsi al dolore per il lutto. Indicai la patina
biancastra sul fondo del bicchiere e dissi che come minimo andasse
analizzata. Solo in quel momento Sheila sembrò riprendersi e
ritrovare il suo solito modo di fare autoritario.
- Nick, sono d’accordo con
Jessica. Non voglio nulla d’intentato, ma che sia fatta
chiarezza.
Decidemmo che era meglio spostarci in un’altra stanza e ci
trasferimmo nella piccola biblioteca attigua. Mi sono sempre trovata a
mio agio nelle biblioteche, questa mi era di particolare conforto in
quel momento. Non eccessivamente grande (ve n’era una, di
consultazione, molto più ampia al pian terreno), era la sala
dove erano conservati gli esemplari più preziosi ed
assomigliava molto ad uno studio. Le parete lasciata libera dalle
mensole aveva una grande finestra che dava sulla facciata anteriore
della Crillen e fino a metà della sua altezza era decorata
da pannelli di legno scuro. L’altra parte di parete era
ricoperta da una fine carta da parati rosso cupo decorata a ramages
tono su tono. Entrammo alla spicciolata disponendoci quasi nel medesimo
modo in cui eravamo nell’altra sala. Sheila era alla
scrivania e stava chiamando la polizia, Nick con le braccia conserte
sulla pancia era di vedetta alla finestra, Teresa si era seduta in un
angolo, su una delle sedie per i visitatori e Dave le teneva le mani
sulle spalle per confortarla. Io ero accanto alla porta ed osservavo.
Ero io stessa sconvolta da quello che
era accaduto al mio vecchio amico, mi rammaricavo di non essere andata
a parlargli la notte precedente, forse avrei potuto salvarlo. Sempre
che si fosse trattato di una morte per cause naturali. Dopo che Sheila
ebbe finito al telefono, il silenzio cadde nella biblioteca. Era una
situazione troppo sconvolgente per poter essere elaborata in pochi
minuti. Non solo era morta una persona importante della
nostra vita, ma l’ombra di sospetto gravava su tutti noi,
chiunque in quella stanza avrebbe potuto essere l’assassino e
il pensiero ci raggelava.
- Sta arrivando qualcuno.
Nick interruppe il silenzio calato. Mi avvicinai alla finestra e notai,
oltre al furgone della morgue, un’auto male in arnese da cui
uscì un uomo altrettanto trasandato. Sheila si
alzò stancamente e scese a fare gli onori di casa, se si
può dire così. Nick si premurò di
accompagnarla, erano sempre stati molto uniti. Noi altri tre rimanemmo
in biblioteca in attesa. Teresa si mordicchiava un’unghia con
fare infelice, cercava di trattenere nuovamente le lacrime.
- Sapeva che Roger era malato?
La giovane donna annuì:
- Sapevo che prendeva delle medicine, mi
diceva che erano per la pressione. Era sempre così pieno di
vita e…oh, dio!
Scoppiò a piangere. Coolidge cercò di consolarla,
e dava piccoli colpetti sulla schiena implorandola di non piangere.
- La lasci fare – intervenni
– le farà bene.
L’uomo mi lanciò uno sguardo infastidito che
mascherò immediatamente con un’espressione di
rammarico. Mi lasciò il posto mentre io sedevo accanto a
Teresa e cercavo di farle bere un poco d’acqua.
Dopo poco Nick e Sheila tornarono
accompagnati dall’investigatore assegnato al caso. Era
l’ometto stazzonato che avevo notato poco prima, portava un
impermeabile stropicciato e stringeva un sigaro fumato a
metà tra le dita.
-Questo è il Tenente De
Gregorio.
Lo presentò Sheila. Poi proseguì nelle
presentazioni e indicandomi esclamò:
- E questa è Jessica
Fletcher, la famosa scrittrice.
Il mio nome non sembrò dire granché al tenente.
Sheila allora gli spiegò che ero una scrittrice di gialli al
che De Gregorio si illuminò:
- Non leggo quella roba, ma mia moglie
ne va matta!
Ben presto si presentarono gli uomini della scientifica. Decisi di
tenermi in disparte: nonostante l’aspetto trasandato il
tenente De Gregorio mi sembrò tutt’altro che
sprovveduto come voleva farci credere. La biblioteca fu scelta come
quartier generale per i primi interrogatori e mentre aspettavo il mio
turno ne approfittai per fare una telefonata. Chiamai la mia vecchia
amica Natasha Clarke, cronista del Daily. Alla mia richiesta rispose:
- Sono passati diversi anni,
però penso di ricordarmi del caso.
Rimanemmo d’accordo che si sarebbe fatta risentire lei quando
avesse avuto maggiori informazioni.
La giornata trascorse lentamente e ci ritirammo sfiniti. La mattina
successiva De Gregorio si presentò trionfante: a quanto
sembrava aveva già un sospettato. Ma quando scoprii che si
trattava di Sheila decisi d’intervenire, ero sicura che fosse
innocente e non potevo restare a guardare. Così presi in
disparte De Gregorio per fargli presente le mie perplessità.
- Signora capisco che Sheila Davemport
sia una sua amica, ma abbiamo trovato un suo orecchino
nell’imbottitura della poltrona dov’era seduto il
cadavere…
- Ma io ricordo perfettamente che ieri
Sheila si fosse lamentata di aver perso un orecchino: chiunque avrebbe
potuto prenderlo e infilarlo in quella poltrona.
Il tenente sbuffò alla mia interruzione.
- Non so perché le sto
dicendo tutto questo: comunque abbiamo trovato una boccetta dello
stesso farmaco usato per uccidere Davemport nella borsa della sua
amica.
Questo mi lasciò per un momento perplessa ma mi ripresi
subito:
- Tenente, non le sembra molto stupida
un’assassina che lascia l’arma del delitto nella
propria borsa?
- Sarebbe sorpresa di sapere quanto
siano stupidi i criminali: è per questo che li prendiamo. La
vita reale non è come uno dei suoi romanzi.
Si congedò De Gregorio con sarcasmo mentre un paio di
poliziotti accompagnavano Sheila alla centrale per interrogarla
ulteriormente.
- Jessica, non sono stata io!
Esclamò veentemente Sheila. Le dissi di non preoccuparsi e
che l’avrei aiutata. Non potevo credere che fosse stata lei.
Avrei fatto di tutto per scagionarla. Dopo pochi minuti ricevetti una
telefonata da Natasha, aveva delle novità e mi chiedeva di
incontrarci. Ci trovammo in un caffè piuttosto pretenzioso a
pochi isolati dal Sunset Boulevard. Natasha era una bella quarantenne,
dai vaporosi capelli biondi, curatissima nel suo tailleur Armani e
perfettamente a proprio agio su un paio di Laboutin di almeno dieci
centimetri. Eppure sapeva essere tenace come un mastino se annusava una
pista interessante.
- So cosa è accaduto alla
Crillen House. Questa richiesta è collegata?
Esordì infatti non appena fummo servite.
Annuii e dopo un sorso di
caffè confessai:
- E’ una situazione molto
delicata Natasha. Ci sono delle persone che ne potrebbero avere la vita
distrutta se non agiamo con…attenzione. E’ lui?
Alle mie parole il volto della giornalista si era incupito.
- Non mi avevi detto che avevi legami
con la vittima.
- Lo so. Per me è ancora
molto difficile parlarne. Non posso fare a meno di chiedermi se fossi
arrivata in tempo se avessi potuto cambiare le cose…
mormorai. Natasha in un gesto di muta comprensione mi strinse la mano.
- Jessica, ascoltami: avevi ragione.
Dave Coolidge e Herbert Calvin sono la stessa persona.
Chiusi gli occhi. Nonostante sapessi la verità la
rivelazione mi lasciò scioccata, un dolore sordo
tornò a farsi strada all’interno delle mie ossa.
- Ma c’è di
più – continuò la giornalista
– è un cacciatore di dote professionista e non
è la prima volta che cambia nome. E’ sospettato di
diversi casi di truffa e di almeno un omicidio, come sai.
- Deve essere un vero camaleonte se
è riuscito a farla franca in tutti questi anni.
Natasha annuì e proseguì:
- Credo che sia perché
nessuno ha saputo fare i collegamenti giusti, sapere dove guardare.
Ringraziai Natasha, con la promessa di renderla partecipe di ogni
eventuale sviluppo e lei mi rassicurò che non avrebbe
scritto una riga al proposito finché la vicenda non si fosse
conclusa.
Mi recai subito alla centrale di polizia per ragguagliare il tenente De
Gregorio delle mie ultime scoperte. Trovai Sheila, accompagnata da
Nick, che stava uscendo proprio in quel momento. Ci salutammo
affettuosamente.
- Ero certa che fossi innocente!
Esclamai soddisfatta.
- E’ bastato contattare il mio
medico. Per ironia della sorte io e Roger eravamo entrambi
cardiopatici.
- Lo sapeva qualcun altro?
- Non sono cose che si sbandierano ai
quattro venti ma ricordo che qualche tempo fa ci fu un piccolo
disguido.
Mi raccontò che qualche settimana prima il fattorino della
farmacia da cui si servivano entrambi abitualmente aveva scambiato le
ricette e quindi boccette.
- Sai le dosi erano diverse.
Questo mi fece riflettere, con una certa urgenza le chiesi:
- Qualcuno fu presente
all’incidente?
Sheila si pizzicò il labbro inferiore.
- Fammi riflettere. Era poco prima di un
viaggio di Roger a Fresno e Dave stava discutendo con lui i dettagli.
A quelle parole ebbi una specie di folgorazione: ma certo, era tutto
chiaro! Mi precipitai da De Gregorio raccontandoli tutto ciò
che avevo scoperto:
- Ma perché lo avrebbe fatto?
Raccontai anche della conversazione tra Dave e Teresa a cui avevo
assistito, del cambiamento del testamento avvenuto pochi mesi prima in
favore di Teresa e conclusi:
- Aveva il movente, l’arma e
l’opportunità.
Il tenente sembrava convinto ma aveva ancora delle
perplessità:
- Ma come lo proveremo?
- Con il suo aiuto, ha mai fatto un
po’ di teatro?
Il pomeriggio stesso De Gregorio convocò Dave Coolidge in
centrale. Appena il giovane oltrepassò l’androne
un poliziotto telefonò al tenente per avvertirlo del suo
arrivo.
- Sta arrivando, si metta accanto alla
porta signora Fletcher!
Sbirciai al di là della soglia e appena ritenni Dave
abbastanza vicino annuii al tenente che ad alta voce esclamò:
- Lei è sicura che si tratti
dello stesso uomo?
- Al cento per cento tenente –
risposi a voce altrettanto alta – se non crede a me chieda a
Natasha Clarke, la giornalista del Daily che ha seguito il caso.
- Sta facendo delle accuse molto gravi,
signora.
- Ne sono consapevole, ma Natasha
sarà felice di farle vedere tutta la documentazione che ha
raccolto. Sono prove schiaccianti.
Quando uscii dall’ufficio del tenente quasi andai a sbattere
contro Coolidge, era terreo in volto, ma si riprese subito sfoderando
un sorriso fascinoso e salutandomi allegramente. Avevo avuto
l’accortezza di avvertire Natasha e lei si era mostrata
più che disponibile, aveva in mano uno scoop che non si
sarebbe lasciata sfuggire per niente al mondo. La sera stessa qualcuno
scassinò il suo ufficio in cerca di documenti. Ma ad
aspettarlo Dave trovò me e De Gregorio: la trappola era
scattata.
- Non potete arrestarmi, non ho fatto
niente!
- Non definirei una rapina con scasso
“niente”.
rispose sarcastico De Gregorio. Coolidge si voltò furente
verso di me:
- E’ stata lei a montare tutta
questa messinscena! Mi ha odiato fin dal primo momento!
E avrei avuto i miei ottimi motivi, ma non lasciai che la rabbia
prendesse il sopravvento:
- Roger aveva scoperto il tuo gioco. Non
potevi permettergli di distruggere tutto ciò per cui avevi
lavorato.
- E’ stata di Teresa
l’idea. E’ lei che gli ha fatto modificare in suo
favore il testamento.
Scossi la testa:
- Sei stato tu a suggerirglielo, faceva
parte del tuo piano.
Dave aveva un volto terribile, gli occhi lampeggiavano d’ira
mentre accusava la sua presunta amante di aver messo lei la medicina
nel bicchiere del marito.
- Non è vero –
ribattei nuovamente – Teresa stessa mi ha confessato che non
aveva la minima idea di che tipo di medicina prendesse il marito.
Mentre tu lo sapevi perfettamente perché hai assistito allo
scambio dei flaconi da parte del garzone della farmacia. E sapevi anche
che era lo stesso tipo di medicina che prendeva anche Sheila. Ed
è stato facile per te rubarle uno degli orecchini che aveva
perso per accusarla.
Dave Coolidge mi si scagliò addosso e solo la forza dei
poliziotti che lo tenevano gli impedì di farmi del male. Lo
trascinarono via mentre ancora inveiva.
***
Il vento continuava a sferzare i vetri delle finestre mentre il
silenzio era caduto su di noi. Il tenente De Gregorio prese un altro
biscotto e lo sbocconcellò pensosamente.
- Si è fatto piuttosto tardi
per lei, non crede?
Rivangare tutta quella vecchia storia mi aveva causato un certo
disagio, ma il tenente mi guardò a lungo fissamente.
- Sa Jessica, ci sono dei casi che ti si
appiccicano addosso come carta di caramella alla suola della scarpa. E
un vecchio poliziotto in pensione non fa che pensarci e ripensarci
finché elabora una teoria. Vorrebbe ascoltarla?
Abbozzai un sorriso e feci un cenno affermativo. Non credo avrei avuto
altra scelta. De Gregorio si tirò indietro e
iniziò:
- Facciamo finta che esista una
scrittrice molto famosa che ad un certo momento deve andare
all’estero. Al suo ritorno scopre che una delle sue nipoti
è stata uccisa e che il marito era il principale sospettato.
Ma il processo l’aveva scagionato per insufficienza di prove.
La scrittrice è affranta e comincia a pensare che se fosse
stata presente alle indagini non sarebbe accaduto. Ma il marito
scompare e la donna si porta dietro questo tarlo, finché
molti anni dopo non incontra quello stesso uomo ad un party. Ha
cambiato aspetto e nome ma la scrittrice è sicura che sia
lui. Durante la notte si decide a parlare all’amico per
metterlo in guardia ma lo trova morto. Ha avuto un infarto, ma questo
dà un’idea diabolica alla scrittrice. Corre nella
sua camera e prende una siringa e un flacone di medicinale,
perché anche le scrittrici soffrono di cuore. Riempie la
siringa di whisky e con la polvere delle pasticche frantumante e
inietta la mistura nel corpo dell’amico. Così
dall’autopsia sarebbe risultato che il whisky è
stato avvelenato. Poi versa altro medicinale nel bicchiere. Ma ancora
non è soddisfatta, credo che fosse stata lei a trovare
l’orecchino perduto e si sia dimenticata di darlo alla
proprietaria. Ma questo le dà un’ulteriore idea
per ingarbugliare ancora le cose. Così nasconde
l’orecchino, pulisce le sue tracce e torna a letto. Che ne
pensa?
Ero immobile sulla sedia, completamente agghiacciata dal quel racconto,
poi mi sforzai di sorridere:
- Potrebbe essere una trama meravigliosa
per uno dei mie libri! Conosce la legge del contrappasso, tenente?
- Credo di si. Vuol dire che un uomo
colpevole di un delitto riesce a farla franca e che quello stesso uomo
viene condannato per un omicidio che non ha commesso.
La pioggia fuori si era smorzata, ne approfittai per alzarmi e
congedare De Gregorio. Il tenente si rigirò il cappello in
mano e mi salutò. Non lo vidi mai più.
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