Il continente di
Rune-Midgard è ricco di magia e meraviglie. Non
c’è da stupirsi se composto da tante locazioni
speciali. Tra le tante c’era, e della sua distruzione sto per
parlare, Lutie, la città del Natale.
Non era facile
raggiungerla perché in quanto a locazione speciale stava ben
nascosta e serviva un teletrasporto, ma ne valeva la pena! Per lo meno
prima che saltasse in aria. Potevi incontrare Mr. Pupazzo di Neve,
l’emo dalle lacrime di ghiaccio consolabile dai soli
aspiranti Bardi, i gemelli Alley e Thomas che elemosinavano come meglio
si può e, naturalmente, Babbo Natale.
E l’Albero, il
più grande mai visto! Alto cinquanta metri e largo trenta!
Stava al centro della piazza e si diceva che salendoci era visibile la
torre di Thanatos. Il re in persona aveva fatto sì che
figurasse sulla moneta ufficiale ed era documentato che un monarca dei
tempi lontani lo avesse avuto in giardino. La leggenda diceva fosse
stato concimato con lo sterco del drago Detardeurus.
Si era soliti sperare non
accadesse niente a quest’albero, per cui, mentre lo osservava
cadere in avanti, staccandosi dalle travi mentre le lucette si
spegnevano come una catena di Sant’Antonio, Vens
pensò che il giorno dopo sarebbe stato lutto nazionale. In
realtà lo pensò solo dopo aver visto divamparsi
l’incendio. Non ci fosse stato quello sarebbe bastato
risollevarlo e via. Ma se veniva bruciato…
«Ma come ha
fatto solo ad accendersi, con tutta quella neve?»
domandò Vens la pretessa, all’uomo che
l’affiancava. Quello, che dai vestiti e l’aria poco
sveglia doveva essere uno stregone, fece per ribattere, ma la ragazza
proseguì: «Magia? Se non ci sono le condizioni
atmosferiche giuste, anche quella fa cilecca.» Di nuovo, lo
stregone fece per dire qualcosa, ma l’altra
continuò: «Però con un potere magico
abbastanza alto si può fare questo e altro.»
L’uomo
sospirò. «Sì» disse, pensando
che Vens aveva la cattiva abitudine di rispondersi da sola.
Si trovavano sulla
collinetta che precedeva la città, poco lontani dal
Ricevitore usato dai finti Babbi Natali dove apparivano le persone
teletrasportate. Là si godevano lo spettacolo in tutto relax.
«Ehi,
guarda.» Vens indicò giù.
«È come ci fosse benzina. L’Incendio si
allarga passando sulla neve per terra come servisse ad alimentarla.
Incredibile.»
Ormai tutto il centro
ardeva, primo tra tutti l’albero che era caduto in avanti e
pareva una freccia incandescente a indicare la slitta di Babbo Natale,
in fiamme anch’essa. Le renne dovevano essersela filata in
volo, di loro non c’era traccia.
«Uh-oh»
mormorò Vens.
Forse sorpreso che non
continuasse, lo stregone mormorò: «Uh?»
«Mica
c’è il negozio di fuochi d’artificio,
là in fondo?»
Lo stregone
scrutò l’orizzonte.
«Sì.»
«Ahia.»
«Già.»
«Dici che
facciamo meglio ad allontanarci?» disse Vens.
«Nah. Siamo
abbastanza lontani.»
«Uhm.»
«Teniamo pronti
i Muri di Sicurezza, in ogni caso.»
«Aye
sir.»
Entrambi sedettero a terra.
«Certo che sono
tanti» mormorò Vens dopo un po’. Frotte
di persone si riversavano alla porta principale, che essendo di pietra
non avrebbe preso fuoco, diretti forse verso il Ricevitore. E dove
andavano, se no? Nessuno sapeva che ci fosse al di fuori di Lutie; chi
ci si avventurava in genere non tornava, e chi lo faceva parlava di un
deserto ghiacciato senza fine.
«La popolazione
è sui trecento» disse lo stregone.
«Sembrano tanti perché tutti insieme, ma per una
città sono pochissimi.»
«Sarà.»
Entro poco il Ricevitore
evacuò un numero imprecisato di persone. Le più
audaci, che erano rimaste e tentavano di domare il fuoco, non stavano
riscuotendo successo.
«Dici che
dovremmo aiutare?» domandò lo stregone.
«E perderci lo
spettacolo?» Vens scosse la testa. «E poi non credo
avremmo speranze. Certo, se un pazzo si buttasse nell’acqua
gelida sotto al ponticello e sparasse Palla Acqua,
forse…»
Si guardarono e scossero
la testa entrambi.
Poi Vens vide qualcuno
risalire la collina, fuori dalla folla che si precipitava al
Ricevitore. La pretessa aguzzò la vista e riconobbe due
ragazzi. Trascinavano un contenitore munito di ruote grande quanto una
diligenza. Forse avevano ripulito qualche casa in occasione
dell’incendio. Però, viste le dimensioni,
ipotizzò non l’avessero riempito a dovere, o non
sarebbero riusciti a smuoverlo, anche in due.
«E
quelli?» mormorò, quando erano ancora troppo
lontani per sentirli.
Lo stregone si strinse
nelle spalle. «Che facciamo?» chiese.
Vens si alzò,
si stiracchiò e disse: «Quello che siamo venuti a
fare prima di trovarci di fronte a una catastrofe. Potrebbero avere
qualcosa d’interessante.»
«Pensavo fossimo
venuti per reclutare.»
«Anche. Ma non
possiamo mettere su una gilda se siamo al verde, non ti pare?»
L’uomo
sospirò. «Il ruolo di briganti mal ci
addice.» Anche lui si mise su due piedi, e iniziò
a scaldar le mani in vista di qualche incantesimo.
Quando i due furono
vicini, Vens avanzò a larghe falcate e gli si
parò davanti. I due avevano difficoltà a far
sì che il vagone o quel che era non capitombolasse
giù a causa del pendio, e non la videro.
«Ehi,
ehi» disse.
Ripreso il controllo del
vagone, lo spadaccino in avanguardia la guardò con fare
interrogativo. Aveva lunghi capelli neri legati in una coda e copriva
parte l’armatura con un pesante mantello nero.
«Sì?»
Aveva parlato la ragazza che lo succedeva, dai lunghi capelli rosa.
Rosa. Vens lo notificò nonostante
l’oscurità e si chiese se fosse possibile
scacciare il cattivo gusto così come si fa con gli spettri.
Visto l’arco a tracolla, la dedusse un’arciera.
«Perché
venite di qua? Il Ricevitore è di là»
disse la pretessa.
«Perché
non andiamo al Ricevitore» replicò la ragazza, e
sorrise mentre riprendevano a spingere. Ora che Vens lo notava, vestiva
anche di rosa. Una tuta da arciere. Rosa. Non aveva creduto esistesse
qualcosa più rosa di un Poring.
Lo stregone si fece avanti
e disse: «Be’, è poco
importante.» Alzò una mano, su cui vorticavano un
paio di scintille lucenti, e gliela mostrò come monito.
«Che avete là dentro?»
La ragazza rosa si
fermò e lo guardò sgranando gli occhi, mentre lo
spadaccino avanzava come nulla fosse.
Lo stregone
mostrò la seconda mano e le scintille moltiplicarono. Disse
allo spadaccino: «Questa dovrebbe essere
un’intimidazione.»
«È
riuscita male, allora» replicò quello,
però si fermò. «Se volete la roba
là dentro, non ci troverete molto. A parte un ragazzino con
un grosso bernoccolo che russa.»
Vens guardò il
compare. «Ci serve a qualcosa un ragazzino?»
«No.»
«Però
non mi fido. Voglio vedere» insisté Vens.
In quell’istante
le fiamme raggiunsero il negozio di fuochi d’artificio.
L’esplosione fu tale che dovette sentirsi su tutto il
continente, e i razzi partirono a destra e a manca vorticando nel
cielo, tanti che forse guardando in alto da Prontera si sarebbe
finalmente scoperta la direzione in cui si trovava Lutie.
«Bella»
disse Vens, quando i timpani tornarono a funzionare.
«Aspettavo solo questo.»
«Noi avremmo
preferito evitarlo» disse la ragazza rosa. «Tutto.
Non solo i fuochi.»
«Chi
è stato?» domandò Vens.
Lo stregone le
toccò la spalla, ritirando le scintille per
l’occasione. «Dovremmo procedere. Non fa mai bene
chiacchierare con chi si deruba.»
«E
sta’ zitto, Cris.» Tornò a guardare la
ragazza rosa. «Quindi?»
Lei sospirò.
«Siamo stati noi. Complici della Renna Dasher.»
Lo spadaccino la
guardò, aggrottando la fronte. «Vuoi raccontarle
altro? Staremmo sgombrando, se ben ho capito.»
«E va
be’» commentò l’altra. E
insieme ripresero a spingere.
«Ehi, no,
aspettate» disse Vens andando loro dietro. «Io
voglio saperne di più davvero.»
«Non abbiamo
tempo, guarda» disse lo spadaccino.
«Se lo fate non
vi rubiamo nulla» promise la pretessa.
Lo spadaccino si
limitò a guardarla, per poi riprendere il cammino.
Stregone e pretessa li
fissarono in silenzio compiere qualche metro, poi lo stregone disse:
«A questo punto…»
Vens annuì,
estraendo la bacchetta dal reggicalze. «Carica.»
|