[KuroKen ❖ One-shot]
La spia rossa del televisore
spento. Il rumore dei passi di suo padre che si perde nelle fughe del
parquet al piano di sopra – probabilmente starà
cercando la porta del bagno. L’uscio di una porta che sbatte.
Il tac tac
altalenante di un ramo che impatta morbido sulla finestra.
Ha gli occhi chiusi,
ma il sonno non arriva. Dev’essere stato il caffè
consumato quel pomeriggio – non avrebbe dovuto prenderlo.
Ha le mani congiunte,
premute contro il grembo. Chissà se contare le pecore possa
servirgli davvero.
Sbircia con la
palpebra socchiusa la sveglia sopra al comodino. Segna le 2:43,
colorate di
quel verde fosforescente tipico degli orologi analogici.
Si rigira nella
coperta, che d’improvviso si fa più stretta. Forse
ha caldo, o forse no. Non è mai stato granché
perspicace con le proprie sensazioni.
Potrebbe attendere che
suo padre torni a letto per accendere la console e provare il nuovo
videogioco che ha comprato. Dalla trama non sembrava affatto male.
È
sorprendente come si ritrovi presto combattuto: da un lato la
tentazione di perdersi nel suo amato mondo digitale,
dall’altro l’accidia che lo porta a stravaccarsi
sopra al lenzuolo bollente, chiedendosi se sia colpa del caldo o di
un’autocombustione improvvisa. Non crede di avere la febbre,
eppure alzarsi gli pare uno sforzo ben più sfiancante di
quelli a cui è solito concedersi.
Decide di chiudere gli
occhi e attendere che l’ignavia del sonno si porti via il
frivolo pensiero di passare un’altra notte in bianco
– che, in realtà, non gli parrebbe poi
così surreale.
Tic.
Sospira. Quel ramo
è davvero fastidioso.
Tic.
Vorrebbe voltarsi
verso la finestra, ma la pesantezza del busto sembra ancorarlo
languidamente alla morbidezza del materasso. Strizza le palpebre, prova
a costringere la stanchezza a prendere possesso del suo corpo, invano.
Tic.
Si mette seduto,
premendo le spalle contro lo schienale del letto. È troppo
indolente per concedersi l’impegno di alzarsi in piedi e
andare a controllare cosa sia quel fastidioso rumore che si schiaccia
contro lo spesso vetro della finestra.
Tic.
L’ha visto
di sfuggita, ma non ha dubbi: quello era un sasso, tra
l’altro neppure tanto piccolo. Forse sarebbe
più corretto definirlo pietra, ma si convince che non sia
quello il contesto per disquisire su quale dei due sostantivi sia il
più legittimo.
I piedi nudi toccano
la superficie fredda del pavimento, barcamenandosi in una bizzarra
andatura oscillante, complici la bassa pressione e
l’insonnia. Posa le pallide dita sul sottile tessuto della
tenda, scostandola leggermente. Gli occhi dorati si soffermano su un
giovane ragazzo, che dal piano terra si sbraccia per farsi notare. Come
se a quell’ora della notte potesse esistere davvero
qualcos’altro capace di attirare la sua attenzione.
— Che stai
facendo?
Kuroo sogghigna; il
suo sorriso è diverso da quello di qualsiasi altra persona.
Kenma non l’ha mai considerato particolarmente bello, al
contrario: è più simile ad una smorfia distorta e
maliziosa, una mimica che par sempre farsi beffa del proprio
interlocutore. Eppure, il ragazzo non può fare a meno di
rimanerne sorpreso ogni volta che vede l’amico schiudere i
denti bianchi e strizzare le palpebre.
— Sono
passato a trovarti.
Tutto qui. E
sì che di scuse avrebbe potuto trovarne molte. Kenma si
ritrova persino a pensarne qualcuna abbastanza credibile.
Si volta verso
l’orologio. 3:15.
— Vai a
casa, Kuroo. — Il ragazzo abbassa lo sguardo, incontrando
quello più ambrato del compagno sotto la finestra.
— Domani abbiamo scuola.
Il corvino sghignazza,
saltellando da un piede all’altro. — Non mi va.
Kenma corruccia le
labbra, socchiude le palpebre. Non ha molta voglia di starsene
lì a battibeccare col suo migliore amico, eppure non riesce
a considerare valida l’opzione di sbattergli la finestra in
faccia e tornarsene a letto. Non può, non con Kuroo.
Borbotta infastidito
qualcosa d’incomprensibile. Lo sguardo del compagno
s’illumina di uno strano luccichio. —
Perché non vieni giù?
— Sai che
ora è? — domanda Kenma, massaggiandosi la nuca.
— Le persone normali a quest’ora dormono.
— Stai
dicendo che non sono una persona normale?
—
Sì.
Kuroo ride.
— Uhm, immagino di sì.
Il perché
stia ridendo, a Kenma è cosa del tutto sconosciuta. Kuroo
è fatto così: ride, sghignazza. Non si sa bene
perché lo faccia, né a qualcuno importa davvero
di saperlo; è come quei commedianti che piacciono tanto alla
gente, quelli che ridono alle loro battute prima ancora di
pronunciarle.
A Kenma i comici non
piacciono. Ma Kuroo è diverso, perché lui ride
davvero.
—
Però pensala così, — lo sente
continuare, — sono come un gatto.
— Un gatto?
—
Sì, un gatto. — Kuroo gonfia il petto, mostrando
uno dei suoi sorrisi più sghembi. — I gatti si
muovono di notte, giusto?
Bizzarro che chieda
conferma proprio a lui, che di animali non ci ha mai capito niente.
Kenma sospira, passandosi una mano tra i capelli ancora scuri.
— Se lo dici tu.
Ora che ci pensa,
Kenma non ricorda d’aver mai avuto con Kuroo una
conversazione che avesse un minimo di senso compiuto. Forse
perché il corvino è di difficile lettura, o forse
perché lui non si è mai davvero sforzato di
comprendere cosa si celasse dietro a quel ghigno sardonico ed
enigmatico. Si convince che vada bene così:
d’altronde non ha bisogno di capirlo per essere suo amico.
Un
gioco è
tanto più divertente quanto più è
difficile salire di livello.
Che strano che quelle
parole gli giungano alla mente proprio adesso, mentre osserva rapito
gli occhi luccicanti di Kuroo e quel sorriso, che ancora una volta
si fa spazio nel suo apatico cuore.
— Ho
un’idea —, lo sente dire infine. — Posso
dormire con te?
— Ma
scherzi? Che dirai ai tuoi?
—
Tornerò a casa prima che se ne accorgano. — Kuroo
assottiglia le labbra, mostrando la smorfia più maliziosa.
— Allora, sei d’accordo?
Kenma trattiene il
respiro; sul riflesso del vetro osserva le guance tingersi
d’un rossore bizzarro e inadatto alla sua natura accidiosa,
per regia poco incline a lasciare che le proprie emozioni trapelino sul
suo volto.
— Va bene
—, dice. — Sali.
Kuroo ride, prima di
arrampicarsi su per il rampicante. In poche agili mosse è
sul cornicione della finestra, a pochi centimetri dal volto del
compagno. — Hai visto? Non era difficile.
Kenma storce il naso,
allontanandosi di qualche passo. È strano come la presenza
dell’amico riesca sempre a soffocarlo. — Potevi
entrare dalla porta, sai?
—
Sì, ma questo è quello che avrebbe fatto una
persona normale.
Kenma si volta a
fissarlo; Kuroo è a pochi passi da lui e ha smesso di
ridere. Se ne sta in silenzio ad osservarlo, proprio come farebbe un
gatto che veda d’improvviso un uccellino posarsi sul fascio
d’erba accanto a lui.
Il corvino porta una
mano ad accarezzare il ciuffo di capelli che gli ricopre gli occhi
lucidi, poi con naturalezza preme le labbra contro un angolo della sua
bocca, sudaticcia per il caldo – o forse per il panico, non
saprebbe dirlo. Quel misero tocco basta per tranquillizzarlo, e sebbene
il cuore batta un po’ più forte del normale, la
sua voce muta presto in un sussurro più mellifluo, quasi
liquefatto. — Andiamo a letto?
Kuroo sorride. E quel
sorriso è bello, perché è solo per
lui. — Sì, ma io dormo a destra.
— Io a
sinistra.
Le braccia del
compagno
si serrano intorno al suo piccolo corpo, mentre Kenma non
può fare a meno di pensare a ciò che ormai gli
appare come una certezza inossidabile.
In quel gioco chiamato
vita, Kuroo è molto più bravo di lui.
✿◉●•◦
Cantuccio di Ever
Eccomi tornata, questa volta con una storia che non avrei mai pensato
di scrivere! xD
Diciamo che questo è un po' il periodo degli esperimenti e -
credetemi sulla parola - trovare il tempo per avere la
possibilità di scrivere è davvero diventata
difficile.
Chi mi segue sa quanto ami le mie storie, in primis per me stessa e poi
per il piacere di poterverle anche far leggere, ma questo è
proprio un momento in cui non connetto una cippa.
Per cui, questa storia siete liberissime/i di bypassarla, anche
perché è inerente ad una coppia su cui non avrei
mai nella vita pensato di scrivere.
Kuroo e Kenma fanno parte di quella limit zone in cui non mi sono mai
addentrata. Non perché mi stiano antipatici, ben inteso. Ma
non mi sono neanche simpatici. Insomma si trovano in una zona di
frontiera che non avrei mai pensato di affrontare, ed invece eccoci qui.
Mi è piaciuta l'idea di riprendere l'ossessione che Kenma ha
per i videogiochi e trasporla sulla figura di Kuroo, anche se avrei
dovuto sicuramente soffermarmi molto di più su questo
parametro - ma la storia l'ho pensata di getto, quindi va benissimo
così.
Cosa dire, io devo ringraziare in primis Soul Dolmayan
per aver indetto una sfida così accattivante come quella di
"Prompt, our Wires". E' un'idea che mi ha aiutata molto nel concedermi
l'ispirazione per cui, carissima Soul, grazie davvero moltissimo.
Un grazie va anche a SamHetfield,
che mi ha suggerito il prompt per questa sfida: A si sveglia nel cuore della
notte perché B lancia dei sassi contro la sua finestra.
E dunque niente, una frase simile e mi sbucano subito alla mente 'sti
due, non posso farci niente! xD
Insomma, cos'altro dire, mi sono molto divertita e spero che questa
storia possa piacervi comunque, nonostante le fluff non siano la mia safe zone - e chi
mi conosce lo sa perfettamente.
A presto!
Ever
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