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XI° CAPITOLO
ASRIEL
(*)Deutschland, Deutschland über alles,
über alles in der Welt
Dall’altra parte della
strada, di fronte a casa Rizzo, si estendeva un vialetto da alberi con tanto di
panchine per giovani coppiette che volevano scambiarsi, in santa pace, tenere e
romantiche effusioni. A quell’ora tarda, però, tutte le panchine erano vuote,
fatta eccezione per una sola, poco più in là rispetto alla villetta Rizzo. Non
si trattava di una coppia, ma di una persona sola che, in sé, non aveva nulla di
romantico e tenero. Al contrario, i suoi occhi grigi, aperti solo a metà,
avevano un’aria da essere superiore, anche ora che, davanti a lui non c’era
proprio nessuno su cui esercitare la sua arroganza. La temperatura della notte
era piacevole e, qualsiasi altro componente dei Predators si sarebbe rilassato
nell’attesa della telefonata di Richard. Asriel Stern no, però. Schiena dritta,
mani sulle ginocchia, bocca serrata ed espressione attenta, rivolta verso il suo
obbiettivo.
Finalmente i suoi pantaloni
cominciarono a vibrare. Asriel aveva tolto la suoneria per evitare che l’inno
nazionale tedesco destasse troppa attenzione. Infilò la mano in tasca
estraendone il cellulare.
“Richard?”
“Come avevo previsto si
trova a casa sua. Secondo Sheril dovresti provare nella stanza di Salvatore
Junior.”
“Quindi non è sicura. Non
possono chiederlo a Rizzo, prima che vada dentro inutilmente?”
Una risatina giunse
dall’altro capo del telefono.
“Sei troppo simile a me. Mi
chiedo quanto tu possa essere utile.”
Asriel non degnò la benché
minima attenzione alla provocazione e aspettò, pazientemente, che Richard
smettesse di scherzare.
“E’ morto prima che potesse
dare qualche informazione in più.”
Il sopraciglio destro scattò
verso l’alto. Più che sorpreso, il tedesco, era irritato.
“Dovresti chiederti quanto
sia utile la ragazza.”
“Lo farò, grazie del
consiglio.”
Con il pollice, Asriel,
interruppe la chiamata.
Era sicura che, nonostante
il ringraziamento, Richard non avrebbe mai messo in dubbio la posizione di
Savannah né, tanto meno e purtroppo, quella del moccioso sudamericano. Il
pensierosi Jack gli provocò un moto di stizza che dominò con qualche difficoltà.
Una volta ritrovata la calma si alzò dalla panchina e si diresse verso l’altro
lato della strada, senza prendersi il disturbo di guardarsi in torno. La strada
era deserta.
Fu facile, per uno scalatore
esperto come Asriel, arrampicarsi sulla facciata della casa. Per sua sfortuna,
però, le finestre erano chiuse; non sarebbe riuscito ad entrare senza fare
rumore. Gli rimaneva solo da sperare che in casa non ci fosse nessuno.
Riparandosi il gomito ruppe il vetro della finestra più vicina, senza guardare
dentro e, veloce come sempre, a dispetto dell’età, girò la maniglia entrando
finalmente nella stanza.
“VERDAMT!”
Quella non era proprio
serata. Ancora una volta la fortuna non gli aveva degnato nemmeno una rapida
occhiatina. Si era intrufolato nella camera da letto del piccolo Salvatore che,
svegliato dal rumore dei vetri rotti, ora era seduto sul materasso con la
schiena dritta ed un’espressione pietrificata sul volto pallido e seminascosto
dal buio.
Ma Asriel si era sbagliato:
quella sera quel poco di fortuna che ebbe gli semplificò il lavoro. Tutte le
guardie del corpo dei Rizzo, quella sera, come tutti i compleanni di Salvatore,
avevano la serata libera. Lusso che la famiglia poteva permettersi da quando il
suo potere era solo un ricordo o la speranza per il futuro. Bruce aveva pregato
Salvatore di lasciarne almeno un paio per la figlia e il nipote, ma il
capofamiglia, con sua enorme stupidità, non lo aveva ascoltato. Al posto delle
guardie del corpo, quindi, nella stanza del bambino, si precipitò, disarmata, la
madre. Fu un sollievo, per Asriel, veder entrare l’esile figura di Maria, ma
nonostante questo se ne guardò bene dall’abbassare completamente la guardia. La
natura insegna: una madre può diventare molto più pericolosa del cacciatore più
esperto. Il primo istinto dell’uomo fu quello di prendere come ostaggio il
ragazzino che, ora, guardava speranzoso la madre. Sarebbe stata la mossa
migliore se ad entrare fossero stati i gorilloni dei Rizzo, oppure se Maria
fosse stata armata; ma in quella situazione non c’era alcuna ragione di
provocare due omicidi inutili. Asriel si limitò ad alzare le mani a mezz’aria,
rivolgendosi con un tono calmo a Maria:
“Mi ascolti signora. Non ho
alcuna intenzione di fare del male e suo figlio e nemmeno a lei. Voglio
solamente uno stupido cavallino di legno; niente di più. giuro che dopo me ne
vado senza creare altro disturbo.”
La donna non era molto
convinta, ma Asriel si rifiutò di aggiungere altro. Sarebbe stata soltanto una
perdita di tempo, la dialettica non era una delle sue doti migliori e non
avrebbe saputo dire null’altro per convincere Maria. In fondo sarebbe stato
meglio se fosse uscito da quella casa con i due ancora vivi, ma sei era tanto
stupida da non dargli retta non era certo colpa di Asriel.
Finalmente Maria si mosse in
direzione del figlio, andandosi a sedere al suo fianco e circondandolo in un
abbraccio materno. L’uomo fece per uscire dalla stanza, quando un’idea bloccò i
suoi passi.
“Signora, suo padre ci ha
detto che il cavallino si trova nella stanza di suo figlio, ma io qui non vedo
nulla di interessante. Non è che mi farebbe il favore di evitarmi una
telefonata?”
Ciò che aveva appena fatto
era molto rischioso. Sheril e Savannah non potevano essere sicure di aver
interpretato bene le poche informazioni di Rizzo; se il Trojan non era nelle
mani del bambino Maria avrebbe potuto capire che suo padre non stava
collaborando e che loro non potevano costringerlo per qualche motivo. In questo
caso sarebbe stato bene, per la salute di madre e figlio, che lei non intuisse
la vera ragione.
“Non si trova qui” rispose
la donna mentre Asriel tratteneva il fiato. “E’ nella sua stanza dei giochi, al
piano di sopra. La porta a sinistra delle scale.”
Maria ritornò a chiudere la
bocca non aggiungendo altro, ma si vedeva perfettamente dalla sua espressione
che aveva altro da dire. Sembrava preoccupata, ma allo stesso tempo rassegnata.
“Non si preoccupi, eviterò
di metterle a soqquadro la camera.”
Detto questo Asriel uscì non
preoccupandosi di suggerire, in modo perentorio, ai due di non uscire per quella
notte; non sarebbe stato necessario.
Quando asriel varcò la porta
della stanza dei giochi si ritrovò in una specie di paese dei balocchi in
miniatura. Nella parete opposta c’era un’enorme finestra in quel momento chiusa,
ma di giorno, quasi sicuramente, la sua grandezza lasciava passare una buona
quantità di lice solare. Le pareti erano azzurre, dall’odore si sarebbe detto
che erano appena state ridipinte. Probabilmente sotto la vernice c’era una carta
da parati dai disegni infantili, poco adatti all’età di Salvatore in cui si
pensa sempre di essere troppo grandi per certe cose.
“Lo fossero realmente”
borbottò fra sé.
Ora, a decorare i muri,
c’erano vari poster di fumetti come Batman e l’Uomo Ragno, per non parlare di
tutti le figure maschili principali degli X-Men, personaggi inventati molto
prima che Salvatore fosse nei pensieri e nei progetti dei genitori. Nell’angolo,
alla destra della finestra, c’era un divanetto con alcuni cuscinetti dalle
fodere colorate, perfetti per riposarsi dopo ore ed ore di gioco. Si sa che
divertirsi è stancante. Al centro c’era un tavolo ovale su cui erano disposti
alcuni modellini di soldati in assetto da combattimento. Mancava una televisione
con Play Station, ma quasi sicuramente quella l’avrebbe potuta trovare in
salotto, dove anche i dipendenti dei Rizzo avrebbero potuto giocarci. Per Asriel
sarebbe stata veramente un’impresa individuare ciò che cercava in mezzo a quella
baraonda di roba, ma fortunatamente i gusti di Salvatore erano decisamente
moderni e colorati, per questo alla fine riuscì a scovare il pezzo di legno. Il
Trojan si trovava su una mensola, vicina alla finestra. Era troppo in alto per
il piccolo; la madre la usava per metterci i giochi più delicati e costosi,
mentre il nonno l’aveva usata come nascondiglio per la sua ultima speranza. Con
un sorriso soddisfatto, Asriel depose con cura il Trojan nello zaino
appositamente imbottito. Richard era stato molto chiaro in proposito, il
cavallino non doveva subire nemmeno un graffietto. Si era appena rialzato in
piedi quando gli arrivò una seconda telefonata.
“Siamo qui fuori.”
“Arrivo, ma, Richard, perché
ridacchi.”
“Lo vedrai da te quando
arriviamo in albergo!”
Arrivati nella camera
dell’hotel occupata da Richard, Sheril, che aveva preso in consegna lo zaino, lo
chiuse nella cassaforte a loro disposizione. Savannah e Jack erano rientrati da
poco più di mezz’ora. Il moccioso era scuro in volto, decisamente imbronciato se
ne stava seduto in disparte con la gamba destra sul ginocchio e le dita
incrociate sul ventre. Savannah, invece, per la prima volta da quando la
conosceva, aveva il viso rilassato e soddisfatto; la fronte non era crucciata e
questo dava un’espressione più dolce ai suoi occhi nocciola.
“Avete fatto uno scambio
d’identità voi due?” chiese Asriel riferendosi al fatto che, normalmente, lei
era quella musona e lui con la faccia perennemente soddisfatta.
Lo sguardo di Jack si alzò
su di lui, fulminandolo. Tutti, nella stanza, videro il tremito che il ragazzo
ebbe nelle mani. Un movimento veloce e breve, ma c’era poco di cui scherzare,
Jack era carico come una molla. Una bomba pronta ad esplodere al minimo
scossone, forse, questa volta, nemmeno l’autorità di Richard avrebbe fermato
l’argentino dall’uccidere il collega. Per questo Asriel pensò (e pensò bene)
che, per quella sera, sarebbe stato meglio evitare frecciate.
“Devo dire” cominciò
Richard, interrompendo il silenzio creatosi. “che nonostante tutto siamo stati
bravini. Alla fine non ci abbiamo messo molto tempo per recuperare il Trojan.”
“Quindi non mi punirai?”
chiese Savannah.
Non è che ci sperasse
realmente, in realtà non le importava nemmeno più di tanto, era solamente una
domanda a titolo informativo.
“Direi proprio di sì,
invece. Ti toglierò il 40% della tua parte per esserti ubriacata e per non
avermi detto niente di Bruce. Ma non prenderò ulteriori provvedimenti perché,
infondo, non saremmo riusciti ad essere più veloci di così.”
“Che cosa facciamo ora?”
“Anche se Salvatore e Bruce
sono morti non è il caso di adagiarsi sugli allori. Potrebbe sempre esserci un
terzo uomo pronto per riorganizzare la famiglia. Partiamo domani per il Galles.”
“Devo contattare il nostro
amico John Smith?”
“No, Sheril. Voglio prima
capire chi è il nostro Ulisse e cosa nasconde dentro il suo cavallo di Troia.”
“Sai da che parte
cominciare?”
“Probabilmente cercando
informazioni sulle due italiane che erano venute a farci visita troveremmo anche
il loro datore di lavoro con facilità. Ma per ora preferisco andare a casa,
l’aria che c’è a Cardiff ha sempre avuto il potere di farmi venire delle
intuizioni geniali. Se dovessimo andare in Italia, faremmo sempre in tempo a
ripartire.”
“Che gioia” disse in tono
ironico Sheril, per nulla felice di dover prendere un aereo una volta di troppo.
In quel momento il cellulare
di Richard ricevette un messaggio. Quando l’inglese lesse sul display ciò che
c’era scritto la sua espressione divenne seria e pensierosa. I Predators
rimasero in religioso silenzio, aspettando l’imminente novità.
“Cambio di programma, non
andiamo a casa. Sheril prendi i biglietti per Montpellier. Chissà che per un
colpo di fortuna la situazione non si sblocchi da sola.”
Tutti:
eccomi di nuovo con un nuovo capitolo di questa storia che nasce e cresce piano,
piano. Il fatto che nessuno abbia recensito il capitolo precedente e dato il suo
contenuto mi è venuto un dubbio: non è che ho scritto una cosa troppo volgare e
di poco gusto? Ad essere sincera io mi sono divertita a scrivere del primo, e
fugace, contatto fisico tra Jack e Savannah, e non mi è sembrato brutto quando
l’ho riletto. Però siete voi i miei giudici quindi mi piacerebbe sapere se ho
esagerato.
Intanto spero che questo vi
sia piaciuto…la prossima volta ci rivedremo nella bellissima città di
Montpellier…spero vivamente di ritrovare le foto…
(*) Inno nazionale tedesco
(=Germania, Germania, al di sopra di tutto/ al di sopra di tutto nel mondo)
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