Un piccolo stralcio, una
scena roamntica, e forse un po' stucchevole, ambientata dopo la radura:
il primo bacio di Ryo e Kaori. Per gentile concessione di
Proust, che nel primo dei sette volumi di "Alla Ricerca del tempo
perduto" racconta come Swann avesse dato ad Odette il primo bacio con
la scusa del fiore che ella teneva appuntato al corsetto dell'abito. Il
Trcyrtis del titolo è, nella traduzione Panini, il
fiore che Miki aveva nel bouquet - Pan di Cuculo nell'edizione
Starcomics. Il Pandicuculo (o
Anacamptis morio) è un'ochidea selvatica, del
bacino del Mediterraneo, che fiorisce da Aprile a Giugno, mentre invece
il Tricytis è una liliacea asiatica che fiorisce
in estate ed in autunno, a seconda dei tipi.
Non avevano più
parlato, né tantomeno
si erano sfiorati, dopo che Ryo aveva fatto quell’ammissione,
anche per la
preoccupazione per le condizioni della loro cara amica. Quando
però, tornati a
casa, rassicurati circa la sorte di Miki, Ryo stava parcheggiando la
Mini,
rivolse lo sguardo, timido ed un po’ impacciato, verso Kaori.
Lei, mani in
grembo, si fissava alternativamente le dita, il mondo fuori dal
finestrino, la
strada davanti a sé.
In poche parole:
tutto, tranne lui.
La comprendeva. Dopo
anni passati a
rinfacciarle tutte le peggio manchevolezze, dopo mille passi indietro,
probabilmente non ci credeva nemmeno più lei a quella
dichiarazione, o forse
già si aspettava che lui si richiudesse nel suo mutismo,
lasciando passare il
momento, dandogli ancora una volta l’occasione di far finta
di nulla e
rimangiarsi quelle parole non con le parole ma con la mancanza di fatti.
Kaori era, in
pratica, rassegnata; e
per una volta, lui stesso se ne rammaricava, eppure Ryo non era certo
nemmeno lui
di sapere come si potesse abbattere quel muro che li divideva, quella
barriera
eretta da lui stesso, mattone dopo mattone, nel corso di quei lunghi
anni che
lui e la socia avevano condiviso l’uno accanto
all’altra. Di una cosa sola era
pienamente consapevole: se non avesse detto o fatto qualcosa, forse le
cose tra
di loro non sarebbero più potute cambiare.
Cosa dire? Cosa fare?
Una volta aveva detto
a Saeko che lui,
sotto, sotto, era un ragazzo timido; l’amica
l’aveva presa sul ridere, senza
però rendersi conto di quanta verità ci fosse in
quella semplice frase. Lui
sapeva fare lo sciocco, il buffone, faceva il cretino con le donne, ma
si
trovava perduto ed incapace quando si trattava di affrontare sentimenti
reali e
profondi. Lo stesso si poteva dire di Kaori, che ancora faticava a
capire
quando un uomo la corteggiava, e che era ritrosa
nell’affrontare con lui il
discorso della loro precaria situazione sentimentale, temendo un
rifiuto o di
rovinare la loro partnership.
Erano, come sempre,
ad un impasse.
E poi, mentre lei si
stava
stiracchiando, mani giunte sopra al capo, lo sweeper notò il
delicato
fiorellino, il Tricyrtis del bouquet da sposa di Miki che si era
impigliato
negli abiti di Kaori durante l’attacco alla chiesa; dopo che
lui glielo aveva
porto nella radura, la giovane donna lo aveva sistemato sul giacchetto,
appuntandolo sull’intaglio che percorreva il bavero. Tornando
a casa però la
Mini aveva preso un paio di buche, col risultato che il delicato
bocciolo era
andato fuori posto.
“Kaori,
aspetta…” le disse dolcemente,
la voce bassa e roca, lo sguardo dolce eppure caldo, avvolgente,
sfiorandole
con le dita ruvide il delicato polso mentre lei si apprestava ad aprire
la
portiera. “Il fiore è andato fuori posto. Ti
spiace se lo sistemo?”
Lei, arrossendo, non
abituata a
ricevere quello sguardo caldo e dolce dal partner, fece un timido cenno
di
assenso col capo, avvertendo come quella semplice richiesta
significasse in
realtà molto di più di quanto potesse sembrare.
“Non
muoverti, non vorrei che andasse
ancora più fuori posto e tu lo perdessi. Sarebbe un peccato
perdere l’unico
fiore del mazzo…” sussurrò, guardandola
negli occhi, sorridendole. “Lo sai cosa
si dice di chi prende il bouquet, no?”
Lunghe ciglia che le
tenevano celati
gli occhi, Kaori distese le labbra in un sorriso tenero ed innamorato.
Ryo si
protese verso di lei, il naso che la sfiorava, e le sistemò
il fiore. Indugiò
sul bavero della giacchetta, percorrendolo con il pollice, senza mai
staccare
gli occhi da lei, poi passò a sfiorare la pelle diafana del
petto e del collo,
lasciata scoperta dai capi di abbigliamento.
“Sei sporca
di polline… posso?” le
disse, e senza attendere una risposta prese a spolverare
l’immaginaria polvere,
facendola fremere di ardente desiderio, incapace di distogliere gli
occhi da
lui, che la guardava quasi ammiccante. Ryo alzò lo sguardo,
fissandola
intensamente, il seduttore a cui le donne cadevano ai piedi e non lo
sciocco
donnaiolo pervertito e maniaco, e le passò un dito prima sul
mento e poi sul
labbro inferiore, facendole aprire le labbra delicate. “Ho
tanta voglia di
annusarlo, Kaori…posso?”
Era chiaro come il
sole che non si
attendeva davvero una risposta.
L’uomo
abbassò il capo sul fiore, il
naso che le solleticava la delicata vallata tra i seni, ed
inspirò sonoramente,
prendendo tutto di lei: il profumo del fiore, quello di polvere e
terra, di
polvere da sparo, l’aroma di vaniglia del bagnoschiuma di
Kaori e
dell’ammorbidente che utilizzava usualmente. Respirandola,
percorse la delicata
pelle, sfiorandola con la punta del naso che la fece fremere, e poi
salì,
ritrovandosi le sue labbra ad un millimetro dalla sua stessa bocca.
Visi che si
sfioravano, i due si
fissavano intensamente, ma con una dolcezza infinita, uno sguardo
carico di
amore in cui era rinchiuso tutto- passato, presente e futuro
– e poi Ryo sfiorò
con la bocca quella di lei, senza toccarla altrove. Il timido approccio
si fece
più caldo quando lei dischiuse le labbra e sfiorò
con la punta della lingua la
bocca di Ryo, facendolo mugolare di piacere e desiderio, e si persero,
in un
bacio che sapeva d’infinito, l’uno nelle braccia
dell’altra, continuando ad
assaporarsi fino a
che il bisogno di
aria non divenne più che impellente; riluttanti, si
separarono, dopo un tempo
che a loro parve incredibilmente lungo, eppure troppo breve.
Ryo, felice come un
ragazzino, scese
dall’auto e andò ad aprire la porta a Kaori,
praticamente trascinandola fuori
dall’abitacolo e prendendola in braccio, e tra risate e
battute e baci, la
portò in casa, facendola sdraiare sul divano. Calata ormai
la notte, si
accoccolò contro di lei, stringendola forte contro il
proprio massiccio torace,
il naso tuffato in quei delicati capelli rossi che lo solleticavano e
che lo
avevano sempre stuzzicato, fin dal primo giorno in cui si erano
incontrati, nelle
sue più ardite fantasie.
Cullati
dal calore dei rispettivi
corpi e dai loro stessi respiri, dai battiti dei loro cuori, caddero
addormentati, in un profondo sonno, con una sola certezza: non ci
sarebbero più
stati passi indietro, solo avanti.
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