23
(I
danni della gratitudine)
Nell’essere costretto a lavorare per il perfezionamento
della formula dell’energon sintetico richiestagli dai
Decepticon, alle domande
che ronzavano nel processore di Ratchet se n’era aggiunta
una, ossia: “Perché i
miei compagni non vengono a salvarmi”?
«Sei lento come la morte per mancanza di energon,
dottore»
sbuffò Knockout, che lo sorvegliava, mentre Ratchet era
impegnato in un
complesso processo di estrazione chimica.
«O la cautela o un’esplosione in piena faccia, se
vuoi
rovinarti la carrozzeria però posso fare più
velocemente» replicò l’Autobot.
«No, grazie» replicò Knockout e, almeno
per il momento,
parve decidere di restare zitto.
Ratchet tornò al processo e ai suoi pensieri cupi con un
breve sospiro.
Perché i suoi compagni non si erano ancora fatti vivi? Era
quel che ci si sarebbe aspettati. Possibile che non fossero riusciti a
trovare
l’astronave? Vero, era sempre in movimento, ma fino a quel
momento erano sempre
riusciti nell’impresa in un modo o nell’altro.
Lui aveva accettato di partecipare al progetto di Megatron
ma, anche se veniva mosso dalla speranza di poter riportare in vita
Cybertron,
non era piacevole trovarsi in mezzo ai Decepticon, soprattutto quando
Vos della Decepticon Justice Division partecipava alle sperimentazioni.
Probabilmente stava prendendo le misure per capire quanto
del suo corpo sarebbe entrato nella fornace di Helex una volta che lui
avesse
finito il lavoro.
Più si andava in là meno illusioni Ratchet si
faceva a
riguardo: sarebbe rimasto in vita fino al compimento del suo lavoro ma
poi, se
i suoi compagni non fossero arrivati in tempo, non sarebbe uscito vivo
dalla
Nemesis. Per tale motivo aveva deciso di rallentare il tutto
-l’accusa di
Knockout non era infondata- per quanto possibile. Con Shockwave e Vos
in giro
non lo era molto, ma lui cercava di fare del suo meglio mentre
pregavadi non essere scoperto, se mai avesse dovuto
sabotare di
nuovo un’attrezzatura del laboratorio, e per essere salvato.
La raccolta d’informazioni continuava a essere
l’unica cosa
abbastanza positiva in quella situazione, insieme al trovarsi sotto gli
occhi
casi unici e soluzioni alle quali di suo non avrebbe mai pensato.
Nell’energon
sintetico instabile c’era un componente che non erano stati
in grado di
“tagliare” fino a quando Shockwave aveva suggerito
di utilizzarne un altro
presente nei corpi di creature tipo gli insecticons; guarda caso nella
Nemesis
al momento era presente più di qualche carcassa, colpa
dell’attacco di qualche
tempo prima.
Dall’analisi che avevano fatto avevano reperito il
componente, non intaccato da alcunché, ma avevano scoperto
anche un’altra cosa,
ovvero che quelle bestie presentavano un avvelenamento nel loro fluido
vitale dovuto a una cosa che gli umani chiamavano
“radioattività”. Probabilmente le loro
uova si trovavano in uno di quei luoghi
fuori mano in cui gli esseri umani avevano la brutta tendenza a
smaltire certe
scorie, tendenza della quale Ratchet era a conoscenza a causa della
frequentazione con i terrestri. A detta di Shockwave questo poteva
essere
collegato con una cosiddetta “follia omicida” che
secondo lui quelle creature
avevano manifestato durante l’attacco.
All’aver sentito lo scienziato Decepticon parlare
dell’utilità di un possibile siero che mandasse in
berserk la carne da cannone,
Ratchet preferiva non pensare.
“Terrò duro e continuerò a cercare di
fare il possibile per
allungare i tempi” pensò “Spero che gli
altri trovino l’astronave e mi tirino
fuori da qui”.
***
Se nel laboratorio della Nemesis l’atmosfera era quella che
era, fortunatamente non si poteva dire lo stesso
dell’infermeria della Peaceful
Tiranny.
«… ma fammi capire, i tre vengono tutti a te per
botta di c-
ehm, pura fortuna, o li nascondi da qualche parte?! Ok logicamente non
mi sono
innervosito sul serio, solo che, e che cazz- che diamine,
ecco!... brava, ridi delle mie disgrazie con le carte»
applaudì Kaon, con un’aria di biasimo palesemente
fintissima sul volto «Brava!
Complimenti!»
Kaon, che era stato spostato lì proprio come Tarn aveva
detto qualche tempo prima, era tornato a essere completamente cosciente
ed era tornato a
poter stare seduto e a poter lanciare attacchi elettrici, come da
programmi di
Tarn, ma ancora non era in condizioni di camminare. In compenso la
presenza di
sedie come quella sulla quale si trovava al momento gli permetteva
muoversi e
avvicinarsi a Spectra,
così da poter
passare il tempo insieme. Anche quando non faceva così,
di rado la tenda
tra i loro lettini veniva tirata: a Kaon non erano mai dispiaciute le
chiacchiere, specie se erano con delle femme e se le femme in questione
non
avevano la tendenza a dare colpi di cacciavite.
«Non è per quello che rido, è
perché cerchi di non dire
brutte parole» disse Spectra, aggiungendo al proprio mazzetto
le carte appena
guadagnate.
Spectra dal canto suo apprezzava il tutto, Kaon contribuiva moltissimo
ad
alleggerire tutta la situazione e in vari momenti riusciva perfino a
farla
sentire divertita, cosa che poteva solo essere considerata
buona.
«Possono essere passati i vorn ma gli ammonimenti e i
richiami scritti del capo sono ancora validi com’erano validi
una volta, anche
per gli in-validi
com’è al momento il
sottoscritto» replicò il Decepticon, indicando la
sedia fluttuante sulla quale
si era spostato «Una sedia costretta a stare su una sedia, se
non fossi io
farebbe ridere. In realtà fa ridere anche se sono
io… cos’è quella faccia?»
«È che mi dispiace per quel che è
successo, spero che tu guarisca
presto».
«Lilleth… noi diamo la caccia alla gente della
Lista, le
cose che possono capitare nel mentre si chiamano “rischi del
mestiere”. Se
avessi voluto un lavoro d’ufficio non sarei in questa nave, e
lo
stesso vale per gli altri. A dirtela tutta saremmo contenti se anche tu
facessi
la stessa cosa... rimanere qui con noi, intendo».
Il parlare e straparlare di Kaon aveva fatto sì che quel
discorso venisse fuori più di una volta in pochissimo tempo,
ma neppure questo
infastidiva Spectra. L'opinione di Tarn su quell'argomento era
già stata inequivocabile, pure se non espressa a parole
-ricordare quello che
Soundwave trovava pericoloso, alias il fatto che Tarn
oltre a
conservare tutto avesse preso dei libri nuovi e altro per lei, riusciva
ancora a commuoverla- ma le faceva piacere
sapere che anche per gli altri la sua non era una presenza
sgradita. Da quel che aveva capito, la consideravano
un membro della squadra disperso da tempo.
«Soundwave però lo sarebbe un po’meno,
credo» disse Spectra
«Quindi mi sa che non è il
caso…»
«Da dove hai
tirato fuori l’asso adesso?!» si lagnò
Kaon, vedendo sfuggirgli anche le carte
di quella mano «Sì, beh, alle brutte puoi
divorziare. Con la guerra i matrimoni
si fanno facilmente e i divorzi pure, a meno che… avete fuso
la Scintilla?»
Spectra scosse la testa. Quella era una tra le cose che
ricordava di aver desiderato quando la sua massima aspirazione era
trovare un
compagno di vita, ma no, lei e Soundwave non l’avevano fatto.
Durante la prima
notte di nozze -nonché l’ultima di pace- si erano
occupati di altro, e per
come si erano messe le cose poco dopo era stata una gran fortuna.
«Ecco, brava. Se le cose stanno così ti puoi
già muovere
molto più facilmente, Lilleth, e- va bene, non riesco a
mettere via nemmeno i
punticini» borbottò.
«Quando l’ho sposato è stato
perché ci credevo. Magari se
tornassi indietro farei le cose meno di fretta, come ho detto anche a
lui»
disse la giovane femme «Ma è andata
così e mi sono comportata già piuttosto
male senza aggiungere altro di brutto. E comunque non è che
abbia smesso di
volergli bene, quindi se potessi vorrei evitare di finirla
così senza nemmeno
provare ad sistemare un po’tutto. Un po'lo stiamo
già facendo».
Se avessero domandato a Spectra come andava con Soundwave,
avrebbe appunto risposto che le cose “procedevano”.
Lui continuava ad andare a
trovarla in ogni momento libero e non c’erano state
discussioni spiacevoli
né
tra loro due né fra lui e altri. Una certa tensione tra
Soundwave e Tarn sembrava essere inevitabile ma Spectra non aveva
più assistito a
scene come quella del primo incontro, ed era già tanto,
infatti si sentiva
molto più rilassata nei confronti del suo compagno.
«Ho capito. Quel che volevo dire è di ricordarti
che se le
cose non dovessero andare granché c’è
sempre posto qui. A Helex mancano i tuoi
biscotti» aggiunse Kaon.
«Appena Nickel mi dà il permesso di uscire da qui
glieli
faccio, giuro… se non vanno oltre la sua razione»
aggiunse poi Spectra «Anche
la cosa delle razioni vale sempre?»
«Eccome» sospirò il Decepticon, che se
avesse avuto dei
sensori ottici li avrebbe alzati al soffitto «Lui si ricorda
ancora».
«Chi?»
«Helex. Si ricorda ancora di quando hai cercato di coprirlo
quella volta in cui voleva farsi fare dei biscotti in più e
Tarn vi ha beccati
in cucina, hai presente?... oooooh, finalmente due punti!»
esultò Kaon,
artigliando le carte.
«Ricordo, ma è passato tanto tempo»
disse Spectra, un
po’perplessa «Volevo solo cercare di aiutarlo e non
ha nemmeno funzionato molto
bene, è stato un po' un niente di che».
«Il “niente di che” gli
è bastato per pesare
la persona che aveva davanti e decidere che non gli dispiaceva, ti
pare?»
«A questo punto immagino di sì. Solo che da allora
sono
cambiate tante cose, voi siete gentili con me e ne sono felice, ma
sinceramente
non capisco perché la gente si ricorda di me, o ci tiene, o
magari pensa che
potrei essere in grado di fare qualcosa di buono» disse
apertamente Spectra «Finora
io di quello non ho fatto granché. Forse non dovrei
disturbarti con questi
discorsi però».
«Quando Tarn mi ha preso nel gruppo me lo chiedevo anche io.
Cosa potesse vedere di buono in me» disse Kaon, avvicinandosi
ancora di più con
la sedia «Prima dei Decepticon e della DJD, che per me sono
arrivati nello
stesso momento, ero un tossico e segaiolo-»
Si interruppe e si guardò intorno, chiedendosi se Tarn fosse
in ascolto e se quella fosse una parola approvata o meno. La risposta
alla
prima domanda parve essere “no”, e quanto alla
seconda… immaginava che fosse
“no” anch’essa, ma ormai il danno era
fatto.
E poi Lilleth era adulta e sposata, dunque conosceva l'argomento.
«Dicevo, un tossico che pur essendo un tecnico più
che decente non
era mai
riuscito a combinare niente se non finire in un casino dopo
l’altro» continuò
«Pensavo di essere buono solo per quelli. Ai tempi la squadra
non era
conosciuta come adesso ed era anche più piccola,
c’erano solo i due grossi…
ecco, diciamo che mi servivano gli shanix per una dose, e nel mezzo di
una crisi
di astinenza pesante poootrei
aver hackerato i loro conti bancari tutti
insieme.
Non dire niente, non so come mi sia saltato in testa».
Solo qualcosa legato alla droga avrebbe potuto spingere
qualcuno a cercare di rubare soldi a Tarn, Helex e Tesarus insieme,
pensò
Spectra, felice che Kaon fosse ancora lì per raccontarlo.
«E poi mi hanno trovato, ma Tarn non mi ha fatto secco e ha
deciso di tenermi» proseguì il Decepticon
«Inizialmente ero solo contento che
mi avesse risparmiato ma non capivo perché, non vedevo quel
che aveva visto
lui, col tempo invece ho cominciato a capire anche io quanto valevo, ed
eccomi
qua! Un po’meno drogato, segaiolo sempre e comunque MA anche
uno dei tecnici
migliori che ci siano, tutto perché lui ha creduto in me.
Ora non sto dicendo
che è il santo protettore degli ultimi o robaccia buonista
del genere, ok? Dico
solo che se non fosse stato per lui probabilmente il mio cadavere
starebbe ad
arrugginire in un fosso e che a volte, di noi, capiscono più
gli altri di
quanto ne capiamo noi stessi! Ok è un discorso confuso
ma è Tarn quello che
parla bene, non io».
«Non è per niente confuso» sorrise la
giovane femme «Grazie
per avermelo raccontato».
L’ultima mano di valtti, con varie proteste da parte di
Kaon, decretò la vittoria di Spectra. Visto quello, le
condizioni di entrambi e
l’ora, il Decepticon decise di tornare sul suo lettino e
andare in ricarica.
«E ti direi di fare lo stesso, Lilleth» aggiunse
poi «Dopo il
solito controllo di Nickel».
Spectra annuì. «Lo farò, Soundwave
prima mi ha già detto che
stasera non sarebbe potuto passare, quindi non devo aspettarlo. Questa
cosa
dell’Omega Lock dà molto da fare a tutti
quanti...»
«Ci puoi scommettere. Speriamo che stavolta non si metta in
mezzo nessuno, sono venuto a sapere che l’ultima volta
l’hanno fatto Optimus
Prime e compagnia… ma dopo che Soundwave è
tornato col medico Autobot,
Starscream e i vehicons hanno spazzato via la loro base. Unica cosa
buona che
sia riuscito a fare ultimamente quello
là»
aggiunse Kaon «Quindi stavolta non dovremmo avere sorprese,
l’unico sicuramente
sano e che possa avere ancora voglia di creare problemi è
l’altro nan-ehm,
l’altro minic-»
«Tardi» fu il commento asciutto di Nickel
nell’entrare in
infermeria «Se ti sento chiamarmi nana un’altra
volta- e tirare la tenda non ti
salverà, ti ho sentito, LO SO che
non
dormi!... se non altro il fatto che abbia ripreso a dire stupidaggini
è un
segno di miglioramento» sbuffò Nickel,
avvicinandosi a Spectra «Come ti senti?»
«Piuttosto bene, mi sembra che vada un
po’meglio
di stamattina».
«Vediamo» disse la minicon mentre controllava i
suoi valori. Erano quasi tutti sotto a quel che sarebbe stato il
livello
normale, ma era prevedibile. «Sì,
considerando tutto direi che
procedi bene. La risposta da dare al tuo compagno se domani dovesse
dirti di
nuovo di uscire e andare a stare nel suo alloggio però
è sempre no. È testardo
come un mulocon!»
Non aveva tutti i torti dato che Soundwave, nonostante i
buoni propositi, aveva tirato fuori spesso l’argomento. La
prima volta che
avevano parlato le aveva detto che se pensava di aver bisogno di
restare lì
l’avrebbe lasciata fare, ed era così, ma era
evidente che lui continuasse a
temere che qualcuno lì potesse fare qualcosa di
inappropriato. Se faceva così
però non era per cattiveria o perché la riteneva
una deficiente, su quel punto
si erano chiariti, il che era importante.
«Abbastanza ma penso che lo faccia anche perché
vorrebbe che
stessimo più vicini. Sono la sua compagna, lui ha detto di
essersi preoccupato
molto per tutto il tempo e gli credo,
e se penso a quel che è successo con Spectrus, al fatto che
io me lo sia
cercato e che Soundwave sappia anche di questo… quel che
voglio dire è che la
reazione di Soundwave magari è normale, ecco. Mulocon o
meno».
Quel che la preoccupava di più non era la propria situazione
fisica o la relazione col suo compagno, dato che entrambe le cose
sembravano
aver imboccato la via giusta, quanto il silenzio di Dreadwing, che da
quando
lei gli aveva lasciato quel messaggio non si era fatto più
sentire. L’ansia che
potesse essere nei guai c’era sempre, ma nei giorni passati
aveva saputo che
gli Autobot sulla Terra erano stati mandati offline, che gli
insecticons di
Airachnid avevano fatto la stessa fine -e molto probabilmente anche
Airachnid
stessa- e che Spectrus non era in condizioni di nuocere, dunque aveva iniziato anche ad
avere il dubbio che
magari lui potesse semplicemente aver lasciato il pianeta in qualche
modo.
Poteva essere andato via proprio come qualche
tempo prima, nel relitto dell’astronave con cui lei e
Spectrus si erano
schiantati all’arrivo, le aveva proposto di fare. Dreadwing
allora le aveva
lasciato intendere che se fosse andato via sarebbe stato per -e con-
lei, non
per se stesso, e quello era uno dei motivi per cui lei
l’aveva dissuaso, ma
magari dopo gli ultimi fatti aveva cambiato idea e aveva deciso di
chiudere con
tutto. Una cosa simile le sembrava poco in linea col Dreadwing che
conosceva,
ma ormai anche lei aveva imparato che le persone, in circostanze
particolari,
potevano comportarsi in modo del tutto opposto al solito.
Forse Dreadwing era già lontano dai Decepticon, lontano dai
propri guai e anche lontano da lei e dai suoi, di guai. Lontano dai
suoi
pianti, dal suo affidarsi a lui per ogni cosa e da tutto ciò
che, per scelta o
meno, aveva sopportato.
Non riusciva a fare a meno di pensare che se fosse stato
così lui avrebbe potuto almeno farle sapere che era a posto
e dirle addio tramite
comm-link, sarebbe
stato sempre
meglio del
silenzio, ma sapeva anche di non essere nella posizione di volere
alcunché da
un mech al quale aveva già preso troppo senza dare niente in
cambio.
«Se volete cercare di riavvicinarvi era giusto che tu glielo
dicessi, anche se sicuramente non è stato facile»
concesse Nickel.
«No infatti. È difficile parlarne
perché tutta la cosa con
Spectrus è anche difficile da spiegare e ancora
più difficile farlo senza
sembrare completamente stupida. Soundwave, ma anche Dreadwing, non
capivano
granché come potessi volergli ancora bene dopo che aveva
tentato di terminarmi
una volta… figurarsi gli dicessi che nonostante tutto
è ancora così».
«come come?!»
esclamò Kaon spostando
la tenda con forza, dimentico di essere teoricamente “in
ricarica” «C’è mancato
poco che facesse secchi sia te che me che Tess,
com’è possibile?!»
Non era arrabbiato, solo estremamente sorpreso, e Nickel non
era da meno. Nessuno dei tre fece caso che un rumore di passi pesanti
si era
interrotto fuori dall’infermeria, neppure Spectra che
rendendosi conto di come
suonava quel che aveva detto cercava un modo di far capire il non
capibile.
«Hai presente quello di cui parlavamo poco fa e di quanto ti
senti grato a qualcuno a cui devi tutto quello che sei? Immagina questa
cosa
cominciare da appena hai avuto l’età per capire e
di non aver avuto nessun
altro intorno, stabilmente, per tutto quel tempo. “Sono
inutile ma questa
persona è l’unica che mi vuole bene lo
stesso”. Tutto quel che vorresti è poter
ricambiare, e un giorno quella persona ti dice che ha bisogno del tuo aiuto. Avrei fatto qualsiasi
cosa»
disse, passando alla prima persona «Penso che ormai sappiate
anche voi che mi
mandava a spiare al posto suo e anche la fine che facevano le persone
dalle
quali mi faceva trovare. Loro non erano cattivi come diceva, non era
giusto che
finissero così, di solito erano gentili con me»
continuò «Era Spectrus a terminarli ma la colpa
era anche mia
perché non
riuscivo a impedirlo, lui li terminava e io mi odiavo a morte, e mi
ripetevo “Senza
di lui non hai niente e non sei niente, non conta come ti senti, lo fai
per lui, a cui devi
tutto, devi farlo per lui,
che
tiene a te come nessun altro”. Poi mi sono innamorata del mio
compagno e ho capito…»
disse, concedendosi un attimo per riprendere fiato «Ho capito
che Spectrus non ha mai
tenuto a me come credevo, e subito dopo ho dovuto attaccarlo e poi ho
creduto
che fosse morto ed è stato tutto un disastro. Sono contenta
di essere riuscita
a smettere di volerlo aiutare, so che è nella Lista, so che
è giusto che si
trovi lì e spero di non vederlo mai più
nella vita, però non riesco ancora a smettere di
pensare a tutto questo e che forse se è finita
così è perché non sono riuscita
a far sì che lui mi volesse bene abbastanza da non volermi
uccidere quando ho
scelto Soundwave… e i Decepticon».
«Quella che hai tu verso Spectrus si chiama
“dipendenza
affettiva”. Lui però non ti ha mai voluto bene,
l’hai detto tu stessa» disse
Nickel «Avresti potuto dargli il mondo e tanto non sarebbe
stato abbastanza,
dunque non hai rovinato le cose: puoi averle accelerate, ma presto o
tardi
sarebbe finita allo stesso modo. L’unica cosa che puoi fare
è cercare di andare avanti, anche se ci vuole tempo, e
parlarne come hai fatto
va molto bene. Io come medico ci sono, gli altri anche, tu
però aiutaci ad
aiutarti».
«È quello che voglio fare».
«Tra le cose che vuoi fare non puoi mettere anche lasciarmi
vincere un attimo a carte la prossima volta?»
domandò Kaon a Spectra.
Questo diede inizio
a
una breve e ben poco seria discussione tra lui e Nickel, la
quale nel
corso
di essa e del controllo dei valori di Kaon utilizzò dei
gesti il cui
significato era sconosciuto a Spectra ma che sicuramente si
avvicinavano molto
all’osceno. Probabilmente avrebbe chiesto la traduzione a
Tarn il giorno dopo.
«E comunque no, quello tra le cose che voglio fare non
c’è»
disse Spectra -che aveva capito e apprezzato il tentativo di Kaon di
alleggerire l’atmosfera- con un sorriso. Sentiva anche che
essere riuscita a
dare forma ai propri pensieri e a spiegarsi la faceva stare meglio.
«È un’ingiustizia
però!»
«In ricarica tutti e due, forza» concluse la
minicon «Avete
bisogno di riposo, soprattutto tu, Kaon!»
I due convalescenti si diedero la buonanotte e la diedero
anche a Nickel, che dopo un’ultima occhiata uscì
dall’infermeria con un breve
sospiro. Era felice che entrambi stessero migliorando, lo era anche nel
vedere
che Spectra sembrava starsi dando da fare in tal senso ma il suo
rapporto con
Spectrus sembrava diventare una faccenda più contorta ogni
volta che ne
parlava.
«Da quanto sei qui?»
«Un po’» disse Tarn «La mia
intenzione sarebbe stata quella
di entrare ma sarebbe stato deleterio interrompere un discorso a dir
poco…
complesso. “Per lui, a cui devi tutto”»
ripeté «Se qualche vorn fa le cose
fossero andate diversamente-»
«Il discorso che ho fatto a lei vale anche per te, per il
passato non si può fare niente ma si può fare
qualcosa adesso. Abbiamo
iniziato, continuiamo così».
Il Decepticon annuì. «Non hai torto. Hai avuto
notizie di
comunicazioni dall’esterno?»
«Se parli del mech che lei non sa ancora essere sulla Lista,
no».
«Mi sembra di notare un accenno di biasimo,
Nickel… la mia
intenzione era quella, poi pensando alla situazione attuale e al fatto
che il
suo compagno mi avrebbe volentieri anticipato ho deciso di concedergli
elegantemente
tempo e modo di farlo. Solo che non ha ancora provveduto, il che
è strano:
visto il modo in cui si è comportato nel loro primo incontro
mi sarei aspettato
che usasse questi giorni per dirle che Lord Megatron ritiene che
Dreadwing vada
condannato e cercasse di rovinarne
l’immagine in qualsiasi modo,
invece sembra aver deciso di fingere che Dreadwing non esista e che
l’aggiunta
del suo nome alla Lista non sia mai avvenuta. Mentirei se dicessi che
lo
capisco» commentò.
C’era più di una ragione dietro a quel
comportamento,
incluso il piccolo dettaglio riguardo il fatto che non fosse stato Lord
Megatron ad aggiungere quel nome alla Lista, ma né lui
né Nickel potevano
saperlo, e le ipotesi erano tutto ciò che restava loro per
quella sera.
***
“Ancora?...”
Di nuovo la
Nemesis sospesa nell’atmosfera terrestre, di
nuovo quella strana vasca, anello o qualsiasi cosa fosse ripieno di un
liquido
sconosciuto, e di nuovo Starscream che urlava, Knockout in lontananza e
il
Decepticon con un solo sensore ottico.
Nessuno di loro
sembrava essere in grado di vederla,
esattamente come l’altra volta. Alcuni sogni che aveva fatto
tempo prima erano
stati estremamente “interattivi” -anche troppo
considerando che era finita
offline in più d’un paio di essi- ma questo non
era tra loro: il Decepticon con
l’occhio rosso non fece minimamente caso a lei mentre
afferrava Starscream
dicendo cose che Spectra, come l’altra volta, non capiva
affatto.
“Shockwave.
Dreadwing mi ha dato una mano a capire chi sei”
pensò.
Quando aveva
visto tutto ciò per la prima volta aveva
riflettuto se parlarne o meno a Dreadwing, decidendo infine di farlo.
Lui aveva
ipotizzato che potesse esserle stata mostrata un’immagine di
Shockwave in
passato e che il suo processore potesse averla ripescata totalmente a
caso -non
era improbabile dato che solitamente era così che funzionava
nei sogni- ma allo
stesso tempo le era sembrato abbastanza dubbioso: d’altra
parte né lui né lei
sapevano davvero se e quanto credere al fatto che anche quel sogno
potesse
avere una base di verità.
Gliene aveva
parlato la stessa notte in cui erano stati
sorpresi nel bosco da Spectrus. Era passato poco tempo ma in quel
momento,
complice anche il trovarsi in un sogno, le sembrava tutto lontanissimo.
Si
voltò sapendo già cos’avrebbe trovato,
alias il corpo di
Lord Megatron che, trafitto da Star Saber e vittima della forza di
gravità,
stava scivolando dalla lama ed era in procinto di cadere nel vuoto;
ancora una
volta non vide chi brandiva la spada, la quale però non
sembrava “attiva”
neppure in quell’occasione, dunque chiunque fosse non era un
Prime. Ricordava
la leggenda a riguardo, e come non avrebbe potuto? Lei era sempre
quella che le
sapeva tutte.
“E se
fosse?...”
Il sospetto che
potesse trattarsi di Dreadwing scomparve
così com’era venuto. Dreadwing poteva avercela con
Lord Megatron, ma non era
lui che Dreadwing avrebbe voluto vedere morto, quello che avrebbe
voluto vedere
morto era Starscream.
“Questa
è la Nemesis, se fosse vero Soundwave sarebbe qui e
ci sarebbe anche la DJD, loro non permetterebbero a nessuno di fare
questo a
Lord Megatron” pensò Spectra “Non
è detto che sia vero o che lo sarà. I miei
sogni sono andati in modo simile ma mai uguale a quello che ho visto,
solo uno
è andato uguale, e-”
Le
passò accanto Arcee, incapace di vederla esattamente
come gli altri, e solo a quel punto vide che più in
là c’era anche l’Autobot
che avrebbe voluto prenderla in ostaggio; non che Spectra ce
l’avesse con lui
per quello, in fin dei conti lei era sposata con un Decepticon. Se non
ricordava male il suo nome era Ratchet, il medico degli Autobot
presente sulla
Terra.
L’astronave
intera a quel punto iniziò a tremare, anche se
lei parve l’unica a rendersene conto, e le stanze e i
corridoi iniziarono a
richiudersi su se stessi.
Forte del fatto
che fosse un sogno, che lei stavolta ne
fosse consapevole e che quindi non ci fosse assolutamente nulla di cui
avere
paura, Spectra Specter si lanciò all’interno della
struttura ad anello ripiena
di liquido strano poco dopo aver avvertito quel che sembrava -o anche
no- il
suono dello spostamento d’aria dovuto a un battere
d’ali.
…
…
“Come,
wayward
souls
And
wander through the
darkness…”
“Dove
sono? Cos’è questo posto?”
pensò Spectra, sulla
soglia di un magazzino molto malridotto e col tetto semi distrutto che
riusciva
a riparare ben poco dell’interno dalla pioggia battente
“Chi è che canta?” si chiese
poi, capace solo di comprendere che si trattava di una femme
“Io non conosco
questa canzone”.
“…outlier!
Outlier! OUTLIER!”
Non conosceva
neppure quelle voci, e se anche le avesse
conosciute non avrebbe avuto motivo di temerle dato che logicamente non
si
stavano rivolgendo a lei, eppure fu pervasa da un terrore profondo e un
istinto
viscerale di scappare che sentiva suoi e, allo stesso tempo,
completamente
alieni a se stessa.
“
There is a
light, for the lost and the meek
Sorrow
and fear are
easily forgotten
When
you submit to the
soil of the earth…”
Il magazzino
prese fuoco, Spectra urlò con una voce che non
era la sua e le sue gambe si mossero indipendentemente dalla sua
volontà mentre
il rumore di passi di corsa di chissà quali e quante persone
dietro di lei
nasceva e aumentava sempre di più, dandole
l’impressione di avere alle spalle
una folla inferocita che lei non riusciva a voltarsi ad osservare. Il
rumore
della corsa e della pioggia però non superavano quello della
canzone
sconosciuta che, già lo immaginava, sarebbe rimasta nel suo
processore per un
pezzo.
“Grow,
tiny seed
You
are called to the
trees
Rise
till your leaves
fill the sky…
Until
your sighs fill the
air in the night…”
Corse ancora, non
poteva proprio farne a meno anche se le
gambe iniziavano a dolere e sentiva un senso di oppressione al petto e
un
malfunzionamento del sistema di ventilazione che non le era mai
capitato di
provare in vita sua. Perché aveva così tanta
paura? Non aveva senso. Lei di
solito non aveva paura degli sconosciuti, proprio perché
sconosciuti: non era
detto che dovessero essere malintenzionati per forza.
Anche se
difficilmente una folla correva urlando dietro
qualcuno per riempirlo di complimenti.
“Lift
your
mighty limbs…
And
give praise to the
fire”.
Una luce davanti
ai suoi occhi attirò la sua attenzione più
di tutto il resto: era quella di una lanterna che si trovava oltre la
vetrina
di un negozio, anch’esso a lei del tutto sconosciuto, ma quel
che campeggiava
in vetrina non lo era affatto: la bambola di Sparkleriver -la stessa
che era
sul comodino dell’infermeria- era lì, a rendere
ancor più strano il tutto.
Forse anche per
quel motivo provò la certezza assoluta che
quel negozio fosse un posto sicuro e si mosse in avanti per
raggiungerlo, ma un
qualcosa di indefinito -causa buio, pioggia e velocità
dell’accaduto- la
strattonò di lato con violenza, senza farle male ma
sollevandola comunque dal
terreno.
Vide il negozio
allontanarsi e la luce della lanterna
sparire, inghiottiti da un’oscurità abissale che
avvolse anche lei subito dopo.
…
…
Quando
riaprì i sensori ottici fu costretta a socchiuderli
nuovamente a causa del fastidio dovuto alla luce improvvisa. Qualsiasi
posto
fosse, di sicuro non erano quel magazzino e quei vicoli tetri nei quali
aveva
fatto la sua corsa disperata fino a poco prima. Si sentiva ancora
piuttosto
scossa, al punto di rendersi conto di star tremando.
Ai suoi sensori
olfattivi giunse un odore dolce che era
sicura di non aver sentito per moltissimo tempo…
cos’era? Era un cibo che le
piaceva.
Quando
riaprì le palpebre si trovò davanti una matassa
filante di zinco rosato. Istintivamente allungò una mano per
prendere il
bastoncino che lo sorreggeva…
“Lali-ho”
disse Bustin, il minicon che Tarn le aveva
descritto come nemico, mostrando sul visore lo stesso sorrisetto di
pixel che
Spectra aveva visto nell’immagine.
Non
c’era differenza da quella al sogno che stava facendo,
se non che in quest’ultimo lui sembrava essere decisamente
più alto: a volerla
dire tutta non era molto più basso di lei. Oltre che su di
lui lo sguardo di
Spectra iniziò a cogliere dettagli anche sul luogo in cui si
trovavano, un
luna park simile a quello che, nell’Harbinger con Starscream,
aveva visto nella
puntata di un anime. Anche il “lali-ho” era una
citazione a quell’episodio.
A quel punto
Spectra fece istintivamente la cosa più da
Spectra che potesse fare.
“Emerald Splash!”
esclamò, allargando le dita di entrambe le mani.
L’attacco
speciale di uno dei protagonisti della serie non
riuscì, ma sicuramente riuscì a far ridere di
gusto il minicon dopo un
brevissimo attimo di confusione.
“Ah,
vedo che sei una donna di cultura” disse
poi, tornando a porgerle lo zinco filato “Allora, signora
Specter, aggiungo o
no le stelline di energon?”
Vero, essendo
sposata ormai era ‘signora’. Era stato tutto
talmente veloce e disastrato da non averci mai pensato.
“Tante stelline,
grazie”.
“Arrivano!”
Lei e Bustin
sembravano proprio essere completamente soli in
quel posto, ma si sentiva del tutto a
suo
agio pur sapendo chi lui fosse: in fin dei conti non si erano mai
incontrati
faccia a faccia e soprattutto, come le prime due parti di quel sogno,
nulla di
tutto quel che aveva attorno era altro che un processo del suo modulo
cerebrale.
“Anche
se mi sono presentato con un ‘Lali-ho’ non ho
brutte
intenzioni, tranquilla” disse lui “Non pensavo che
potessi cogliere il
riferimento”.
“E io
non credevo che l’anime mi fosse rimasto in mente”
replicò Spectra, prendendo in mano il bastoncino quando
Bustin glielo porse di
nuovo. “Grazie”.
“Non mi
hai ancora chiesto chi sono” disse lui.
“So
già chi sei, è per questo che non te
l’ho chiesto”
replicò Spectra, perfettamente tranquilla “Ho
visto una tua immagine”.
“Spero
che fosse del mio profilo destro, è quello che
preferisco”.
“Sinceramente
non penso che dovresti preoccuparti del
profilo. Non so perché tu sia finito a lavorare con Spectrus
ma non è stata una
buona idea” disse Spectra “Anche se fossi stato
costretto, per te non
cambierebbe niente ormai”.
“È
tua abitudine preoccuparti della salute dei tuoi
nemici?”
“Questo
è un sogno e tu non mi hai mai fatto nulla…
ancora”.
“Forse
lo zinco filato è avvelenato, non ci hai pensato?”
Spectra diede una
breve occhiata al dolciume. “Dicevi di
non avere brutte intenzioni, no?”
“Non
tutti
quelli che sono carini con te hanno buone intenzioni, che sia a breve o
lungo
termine. Ormai penso che tu lo sappia”.
“Quello
che è
successo di brutto non cambia il fatto che io continui a pensare che ci
sia più
bene che male nell’Universo. Tra i Decepticon stessi ce ne
sono vari a cui
voglio bene e viceversa, o che comunque si preoccupano un
po’per me. Perfino
Lord Megatron. Spero davvero che non gli capiti qualcosa di
brutto” mormorò,
più a se stessa che a al minicon.
“Qualcosa
di brutto tipo?”
Era preoccupata
per quel che aveva visto prima, si sentiva
ancora inquieta e, riguardo la seconda parte del sogno, anche confusa.
Cercare
di fare mente locale ora che era tutto più tranquillo poteva
non essere una
brutta idea, concluse.
“Certi
sogni che ho fatto si sono avverati, uno in modo
preciso e gli altri no, ma anche lì le vere intenzioni della
persona che ho
sognato si sono rivelate uguali a quelle che ho visto” disse
“Ho sognato Lord
Megatron che moriva. Quando mi sveglierò forse dovrei
parlargliene, lo
riguarda, e poi conosce tante cose più di me, magari mi
può aiutare a capire
che fare… se
è davvero il caso di
prendere sul serio questi sogni, intendo”.
Il minicon
lì per lì non rispose, ma il luna park fu invaso
da una melodia che Spectra conosceva, allegra e un
po’malinconica allo stesso
tempo in alcuni passaggi. Non ricordava a quale anime o film
appartenesse ma
era piuttosto sicura che fosse sempre tra quelli che aveva visto
nell’Harbinger.
“Ti va
di ballare, signora Specter?”
“Non
credo… ecco… non sono capace” disse
Spectra.
“Ti
guido io. È più semplice di quel che
pensi” disse il
minicon, fluttuando alla sua altezza mentre raggiungevano un piazzale a
un paio
di metri di distanza “Hai anche un bel vestito, sarebbe un
peccato non
sfruttarlo”.
Spectra fece a
malapena in tempo a realizzare di star
effettivamente indossando un abito iridescente di foggia simile a
quello visto
indosso a sua madre, prima di trovarsi a essere guidata dal minicon in
quel
ballo improvvisato. Non aveva torto: lasciando fare a lui, con una mano
nella
sua e l’altra poggiata su una sua spalla, era più
semplice di quanto pensasse.
“Tu sei
proprio sicura che parlare ad altri di questi tuoi
sogni sia una buona idea?” disse Bustin “Al momento
ti trovi con i Decepticon.
Non te li toglieresti più di torno già solo per
questo, oltre che per il resto:
immagina come potrebbero voler sfruttare
un’abilità del genere se col tempo
riuscissi a controllarla meglio, e pensa a come sono ridotti coloro le
cui
abilità particolari vengono sfruttate da Megatron
già da tempo. Vuoi davvero
rischiare questo?”
“Non
è detto né che sia controllabile né
che sia un’abilità
vera” replicò Spectra “E comunque Lord
Megatron è stato buono con me, non era
obbligato a lasciare che venissi soccorsa e stessi nella Nemesis e
nemmeno
aveva motivi per parlare bene di me in giro, eppure l’ha
fatto lo stesso. Se
c’è la possibilità che possa
succedergli qualcosa simile al mio sogno, io come
posso stare zitta? Non posso, io… non posso. È
giusto che io provi a
parlargliene e decida lui, il resto non importa”.
Il minicon fece
un breve sospiro. “Capisco. Cerca di non
rovinarti l’esistenza per colpa della gratitudine o della
gentilezza, o se non
vuoi proprio farne a meno trova anche il modo di tirartene fuori.
Sarebbe un
peccato se un giorno finissi offline per questo”.
“È
strano che una persona che lavora con Spectrus si
preoccupi della mia salute” commentò Spectra.
“Come
hai detto tu prima, questo è un sogno, io non ti ho fatto
niente e neppure tu a me” replicò lui “E
ho apprezzato il tuo saluto”.
“Neppure
la DJD ti aveva fatto qualcosa ma da quel che ho
capito li hai attaccati lo stesso» osservò Spectra
«Anche se tra loro c’è… Nicky”.
“Nicky”
ripeté Bustin, dopo una breve pausa “Una
rimpatriata difficile nel momento sbagliato”.
“Non
credo che trovarvi uno contro l’altra fosse quel che
volevi, no? Voglio dire… siete minicon. Da quel che sapevo
Nickel sarebbe
dovuta essere l’unica rimasta e invece ci sei anche tu, ma
siete comunque
soli”.
“Vero.
Sarebbe bello se la vita tenesse conto di quello che
si vuole o non si vuole, peccato che non sia così”
rispose il minicon “E che tu
non sia la sola a rischiare di rovinarsi l’esistenza a causa
delle persone che
ha attorno e ai sentimenti verso di esse”.
“Nickel
ha attorno il resto della DJD, non credo che
vogliano farle del male o rovinarle l’esistenza”
disse Spectra,
perplessa “Forse stando con Spectrus
rischi di farlo più tu che loro, anche senza
volerlo”.
“Di
sicuro è tutto molto complicato”
replicò il minicon,
allontanandosi tranquillamente da Spectra «E ora devi proprio
andare”.
“Come-”
iniziò a dire Spectra mentre l’immagine del luna
park e del minicon diventava sempre più sfocata.
“È
stato interessante. A presto, signora Specter…”
…
…
«…»
Il risveglio di Spectra stavolta non fu brusco come spesso
succedeva dopo quel tipo di sogno. Era consapevole di trovarsi
nell’infermeria
e il suo orologio interno suggeriva che fosse già mattina,
non così tardi da
vedere Kaon sveglio -la tenda era tirata- ma nemmeno a un’ora
troppo
improbabile. A dirla tutta era pressappoco l’ora in
cui…
«Sei sveglia» disse Soundwave, entrando in
infermeria con la
creanza di fare piano dato che c’era un altro paziente in
ricarica.
«Sono uscita dalla ricarica poco fa, ti stavo anche
pensando»
sorrise la femme.
«Spero per cose buone».
«Mi ero resa conto dell’orario, quindi ho
immaginato che
saresti arrivato presto» spiegò Spectra.
«Sì. Giusto. Hai visto che cerco di essere
regolare con le visite,
è più facile per tutti. Avrei davvero voluto
venire a trovarti anche ieri sera,
solo che… lo sai».
«Mi avevi già avvisata che non saresti passato e
so che hai
molto da fare, quindi non c’è problema. E poi non
vengo mai lasciata sola»
cercò di tranquillizzarlo lei «La cosa importante
però è che tu non finisca a
stare male per via del troppo lavoro e del poco sonno, te
l’ho già detto
qualche altra volta».
«Sto attento, non preoccuparti. Tu, piuttosto… il
medico di
bordo mi ha detto che la guarigione procede».
«È vero» confermò Spectra.
«E mentre controllava l’accesso come una guardia
dell’arena
di Kaon mi ha anche detto che però devi ancora restare
qui» continuò Soundwave.
«È vero anche questo e…
cos’è?» domandò Spectra,
mostrando
sincera curiosità nei confronti di un contenitore che
Soundwave ha tirato fuori
da uno scomparto.
«Energocciole» annunciò il tecnico nel
togliere il coperchio
«Dopo averle contate, scansionate e aver analizzato tutti i
macro, qualsiasi
cosa siano di preciso, la minatura
di
guardia dell’arena di Kaon ha detto che puoi mangiarne
“addirittura” cinq… a
quanto pare avevi fame» commentò, vedendola
infilarsene in bocca due insieme.
«Scusami, è che da quando ho sono sulla Terra non
ho visto
un dolce neppure nelle fotografie» si giustificò
lei, con una mano davanti alla
bocca «Non ho avuto nemmeno modo di cucinarli».
«Sai fare i dolci?»
«… già, tu non sapevi neanche
questo» realizzò Spectra. Erano
compagni di vita ma non si erano proprio detti granché, loro
due. «Sì, so fare
i dolci. A dire il vero so cucinare un po’di tutto ma quelli
in particolare mi
vengono bene, dicono. Magari in futuro riuscirò a fartene
assaggiare qualcuno» disse,
rompendo un’energocciola in due parti e porgendone una a
Soundwave.
«Sono contento di sentirti parlare del futuro» fu
la
risposta di Soundwave, il cui stato d’animo a riguardo era
percepibile nel tono
di voce.
«Ecco, a proposito di quello, dopo se Lord Megatron non ha
troppo da fare vorrei parlargli di una cosa-»
Il comm-link di Soundwave emise le statiche di una
comunicazione in entrata, ragion per cui l’ex gladiatore fu
costretto a
interrompere Spectra con un cenno.
– Non credo che la
cosa ti farà piacere ma saresti venuto a saperlo tra poco
– disse Megatron
– Dreadwing è qui.
È nella Nemesis e,
parole sue, si è “consegnato in quanto
disertore”. –
«Soundwave? È
successo qualcosa?» domandò Spectra.
Qualcosa era successo, sì: il possibile fallimento di un
piano concepito dalla rabbia, la gelosia e probabilmente destinato a
finire
male già da allora.
Spectra però, purtroppo o per fortuna, non poteva ancora
saperlo.
N.d.A.:
- l’anime che viene citato è, nemmeno a dirlo,
JOOOO-JO!
*letto cantando Sono
Chino Sadame*
- la canzone è “Merry-Go
Round Of Life”. Che è
bellissima. Il mio disegno riguardo una
scena qui presente, un po’meno :D
“Che ve devo di’, ar massimo ve posso
cantà na canzone”.
Cominciavo a pensare che questo capitolo non sarebbe mai
esistito, invece con una mezza botta di ispirazione e tre inizi di
capitolo più
o meno lunghi e rimescolati tutti insieme in quello che avete letto
sono
riuscita, dopo mesi, a tirare fuori qualcosa.
Dubito che ormai freghi qualcosa a qualcuno, trattasi di un
fandom poco popolato e oltre a questo i tempi di aggiornamento non
aiutano, ma
tengo davvero tanto a continuare e finire questa storia. Ringrazio
coloro che
mi hanno dato/danno sostegno :)
_Cthylla_
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