Cuore
di carta
La Konan bambina teneva
sempre una risma di carta nei suoi abiti, anche quando dormiva.
Erano in guerra e non si
poteva mai sapere quando sarebbe sopraggiunto un pericolo,
così Jiraya-sensei aveva loro detto – a lei,
Nagato e Yahiko – di essere sempre pronti allo scontro.
Lei, più di tutti,
l’aveva preso in parola e girava sempre con numerosi fogli di
carta nascosti tra gli abiti e tra i capelli – non si poteva
davvero mai sapere. Erano sempre fogli bianchi e integri; non li
piegava mai prima del necessario: le ci volevano solo pochi attimi e
numerosi movimenti delle agili dita per dar loro la forma di un kunai
– o di un cigno.
Forse era per questo che
tutti i suoi ricordi, dopo l’arrivo di Jiraya-sensei al
villaggio della Pioggia, erano legati alla carta – e a se
stessa.
Yahiko un giorno, per
esempio, aveva preso tutti i suoi fogli, li aveva sparsi sul pavimento
e li aveva ricoperto d’inchiostro. Quando Konan
l’aveva visto era rimasta allibita.
– Cos…
cosa stai facendo? –
Yahiko aveva rialzato gli
occhi dal suo lavoro: pareva un albero in un prato bianco.
– Sto scrivendo
delle informazioni su una missione. – aveva affermato lui.
O forse aveva detto che stava
raccogliendo le informazioni su un qualche ninja, non se lo ricordava
più con precisione. Si ricordava solo che aveva uno sbafo
d’inchiostro sulla guancia destra e Konan ne aveva sorriso,
nonostante avesse sprecato tutta la sua preziosa carta –
impregnandola d’inchiostro la carta diventava inutilizzabile,
quand’era bagnata, diventava carta morta.
Yahiko aveva sbuffato,
pensando che ridesse di lui.
Un’altra sera, lei,
Nagato e Yahiko erano stati costretti in casa da un violento monsone
che si era abbattuto sul Villaggio della Pioggia.
Nagato si era seduto in un
angolo, paziente e silenzioso, rassicurato dalla pioggia: nessuno,
neanche un valoroso ninja, sarebbe uscito sotto quel tempo infernale e
loro non rischiavano nulla, aveva pensato. Yahiko invece era agitato e
si muoveva come impazzito, nella piccola abitazione, dando calci a
mobili e oggetti.
Konan aveva cominciato a
creare piccoli uccellini di carta e aveva iniziato a farli volare per
la stanza, per distrarsi e rassicurarsi: non possedeva le stesse
certezze di Nagato, lei.
In breve tempo i due
l’avevano raggiunta ed erano rimasti tutti e tre, intorno ad
un vecchio tavolino di legno su cui era posta una brutta lampada ad
olio a guardare la carta volare. La sua carta.
Konan ne era stata
orgogliosa.
Come era orgogliosa dei
miglioramenti che Jiraya-sensei le aveva fatto notare durante il loro
periodo d’allenamento.
La Konan bambina si chiedeva
spesso se la carta avesse un cuore: ogni cosa viva ne ha uno e sotto le
sue dita la carta prendeva vita – e a volte: prendeva
la vita – perché dunque non avrebbe
dovuto avere un’anima?
Quando prendeva la vita la
carta si sporcava di succhi scuri che l’impregnavano come
l’inchiostro fresco. La uccidevano.
La Konan adulta, che era una
risma di carta – e non aveva più nulla a farle
compagnia –, sapeva bene che persino la carta aveva un cuore,
anche se sottile e sporco d’inchiostro.
Un cuore da bambina leggera,
come quelli che, tra le lettere i punti e le virgole, aveva disegnato
Yahiko e che solo lei aveva visto.
Fine
Ringrazio Kokkai per l'adorabile
betaggio e concludo qui. <3
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