Villa Malfoy non è più buia di come l’ha lasciata: la luce del
pomeriggio emerge dalle tende tirate, piccole fiamme brillanti riscaldano la
cera nei candelabri.
Mi occuperò di rispettare le volontà testamentarie del signor
Malfoy.
La villa non è nemmeno più fredda: un fuoco sussurra e scricchiola
sulla pietra nera del camino che occupa la parete più ampia del salone, raggi
tiepidi disegnano strisce languide ai piedi delle finestre.
Le invierò quanto prima i documenti che attestano la nuova proprietà
dell’immobile.
Non è più scomoda: le sedie in legno attorno al lungo tavolo
rettangolare sono rivestite di un tessuto morbido, un vaso di fiori freschi al
centro emana un profumo confortevole.
Nel frattempo, le porgo le mie più sentite condoglianze.
Ma non è più la stessa.
La donna che legge quelle parole distende il busto contro lo schienale
e chiude gli occhi; stringe tra le mani la lettera firmata dal Magiavvocato. Pensa
a quel salone, tanto imponente quanto sorprendentemente accogliente, alla
biblioteca, ai giardini. Si figura ogni porta, muro, arredo di quelle stanze.
Sovrappensiero, Hermione prende a ruotare con le dita la sottile fascia
dorata sull’anulare sinistro. È la nuova padrona di casa.
***
Il salone
Nessuno degli Auror della squadra inviata dal Ministero avrebbe posto
ad alta voce la domanda che tutti stavano pensando. Il salone in cui Draco
Malfoy li aveva accolti, il più grande, il più vicino all’ingresso, era quello
che aveva ospitato le riunioni dei Mangiamorte alla presenza di Voldemort? La
sedia a capotavola spiccava per l’unico difetto che la distingueva dalle altre,
pregiate e perfette: l’impronta di due denti nel legno – non era difficile
immaginarlo cedevole sotto le zanne di un serpente addestrato a uccidere. Non ve
n’era un’altra analoga, dall’altro lato, come se chi era solito occuparla non
sopportasse di avere qualcuno di fronte, in una posizione pari e complementare.
Il lungo tavolo rettangolare contava abbastanza sedute da lasciare
persino dei posti vuoti, se i presenti si fossero accomodati, se quell’incontro
fosse stato più simile a una rimpatriata tra amici. Si conoscevano tutti: Harry
e Hermione avevano iniziato Hogwarts con il figlio del padrone di casa, mentre Turpin
e Stebbins erano ancora a scuola durante il loro primo anno.
Si trattava di un’ispezione, nulla che richiedesse una decennale
esperienza – non che qualcuno, al Dipartimento Auror, si sentisse mai nella
posizione di azzardare un commento su quella dei due eroi del Mondo Magico,
manchevoli per la burocrazia ma non per la legge cruenta del campo di
battaglia.
Erano a caccia di magia oscura, incaricati di bonificare un luogo che
n’era stato custode, in cui era proliferata, di cui era diventata fondamento e
quotidianità. Con Lucius Malfoy rinchiuso ad Azkaban per i suoi crimini, il
Ministero intendeva verificare che non sussistesse l’esigenza di vietare l’utilizzo
della dimora al resto della famiglia. Narcissa Malfoy non si era fatta trovare
in casa, probabilmente incapace di comportarsi quando l’ammirevole apparenza,
il più grande valore, era venuto meno. Suo figlio aveva scelto invece un singolare
mutismo e si limitava a presenziare nell’angolo di ogni stanza durante le
perquisizioni, rispondendo solo brevemente a domande su questioni pratiche.
«Lì la sedia manca?» chiese Stebbins.
«È rot-…» replicò prontamente Malfoy, per poi correggersi: «è stata
distrutta.» Il tono di una giustificazione concordata aveva ceduto il posto a
una lieve sorpresa, come se solo in quel momento il giovane uomo avesse realizzato
che non era più necessario mentire e occultare quanto accaduto tra quelle mura.
Nessuno dei presenti dovette faticare nell’immaginare Voldemort attaccare un
pezzo di mobilio e chissà cos’altro in un accesso d’ira.
Una mano sulla spalla la fece trasalire, ma si riebbe subito quando si
rese conto, alzando gli occhi dal pavimento, che si trattava soltanto del suo
amico. «Hermione, tutto bene?»
«Certo, Harry» si affrettò a rispondere.
«Se volessi prenderti una pausa…»
Hermione sospirò, quindi gli sorrise rassicurante. «Va tutto bene,
davvero.»
Cercò con quelle parole di convincere anche se stessa, allontanando
definitivamente lo sguardo dal punto preciso del pavimento in cui si era
trovata sotto le mani e la bacchetta di Bellatrix Lestrange. Ci avrebbe pensato
qualcun altro a ispezionare la polvere sotto i tappeti, o il sangue secco – sporco,
lurido, guasto – tra le fughe.
Harry parve convinto, quindi procedette a controllare il contenuto di
una madia, passando in rassegna l’ennesimo set di piatti che la padrona di casa
pareva collezionare indipendentemente dal numero massimo di ospiti possibile.
Hermione stava per andargli dietro per aiutarlo con i cassetti, quando notò che
Draco Malfoy aveva lasciato il proprio posto di impronta sulla tappezzeria: si
era accostato, doveva aver seguito lo scambio di battute e ora la scrutava
incuriosito. Era più vicino di quanto non le fosse mai stato, se non per
intenti bellicosi sepolti nelle macerie di mesi di ricostruzione.
Lo soppesò con un’occhiata e lui si lasciò guardare con l’espressione
remissiva di chi era ormai abituato a frequenti incontri col sistema della
giustizia: il portamento elegante aveva perso in fierezza; il volto pallido era
appesantito da occhiaie scure, e tuttavia pareva appena più morbido. Ai suoi
lineamenti la pace aveva tolto spigolosità, come se nel suo ghigno antico si
annidasse il livore di un’intera fazione caduta.
Non sembrava in procinto di parlare, né sul punto di spostarsi di
nuovo, così lei lo interpellò: «Ti occorre qualcosa?»
Malfoy quasi sobbalzò nell’udirla, poi negò con un cenno del capo. «No,
io…» iniziò, ma qualunque intenzione avesse cadde nel vuoto.
«E cosa vuoi?» lo incalzò. Aveva già ottenuto il perdono da parte di un
tribunale, non meritava anche la sua pazienza.
Malfoy mosse confusamente le dita lungo i fianchi, quindi le spostò
nelle tasche dei pantaloni. «Il pavimento è pulito.»
«Saremo noi a dire cosa è pulito qui.»
«No, intendo… è stato pulito.»
Hermione inarcò un sopracciglio. «Prego?»
«Da allora… c’erano macchie… sangue e altro… è stato lavato a fondo» le
raccontò, a disagio.
Sgranò gli occhi, quando finalmente comprese a cosa alludeva. «Mi stai
dicendo che vi siete puliti la coscienza con un secchio d’acqua e uno
straccio?»
Malfoy inspirò ma non aggiunse altro, così lei continuò: «Perché non
funziona così. Tu forse non vedrai più niente e appena ti ridaremo questa casa
potrai abitarci e fingere che nulla sia mai accaduto, ma io lo saprò, e non lo
dimenticherò, e farò sempre qualunque cosa in mio potere perché non accada mai qualcosa
del genere. Perché è questo che mi ordina la mia, di coscienza, che non è
sporca o lurida o guasta; ed è sempre quella che mi impone di essere qui oggi a
fare il mio lavoro, pure nel posto in cui ho visto più dolore. E ne ho viste di
cose durante quella guerra, Malfoy.»
A quel punto il mago non fu più in grado di sostenere le sue parole,
così si voltò verso i fregi dorati di una cornice vuota. «Volevo solo dirti che
io ricordo cosa è accaduto. Ricordo tutto – nonostante sia stato lavato a
fondo.» Sospirò. «Mi chiedevo come proprio tu possa essere qui, ma dovevo
immaginare che la risposta sarebbe stata qualcosa del genere, la coscienza. Né
la tua né la mia riescono a tacere, a quanto pare.»
La sorpresa per quello sfoggio di eloquio – Malfoy aveva pronunciato
più parole in quella risposta che in tutte le volte in cui aveva aperto bocca
da quando erano arrivati – mutò presto nello sdegno. Pensava di meritare la
quiete di un animo candido? Che le loro coscienze fossero paragonabili?
Fece un passo di lato e inclinò il capo all’indietro perché lui non
potesse fuggire dai suoi occhi, quel grigio ancorato alla verità torbida che
poteva offrirgli. «Ma la tua non deve tacere, Malfoy» lo corresse. «Non dovrà
mai tacere. Ricorda anche questo, tra le altre cose.» E gli diede le spalle
senza più curarsi di quale punto del salone occupasse, di cosa guardasse, di
cosa origliasse.
La sua coscienza le imponeva doveri più imperanti dei rimorsi di Draco
Malfoy.
La biblioteca
«Per Merlino!»
Capirono subito che il terzo giorno non sarebbe bastato a concludere le
operazioni: la biblioteca di Villa Malfoy, imponente al pari di una pubblica,
contava alcune librerie e decine di scaffali fino al soffitto e tutti sapevano
che doveva contenere diversi testi di magia oscura da requisire. Si
organizzarono per procedere in maniera sistematica, per non essere avvinti
dalla mole di pagine come nei peggiori incubi della loro carriera accademica. A
ciascuno fu assegnato un gruppo di ripiani e un posto a sedere davanti alle due
massicce scrivanie al centro della stanza.
Lucius Malfoy non aveva semplificato il loro lavoro contrassegnando
un’intera libreria come “Magia Oscura”. Non potevano limitarsi a leggere i
titoli sui dorsi, che sicuramente non conoscevano tutti e perché sarebbe stato elementare
mascherare un volume proibito con la copertina di un altro. Perciò si
occupavano di svuotare ogni scaffale, impilare con la magia i testi sulla
scrivania ed esaminarli uno per uno, fuori e dentro. Non si presero la briga di
risistemarli nell’esatto ordine in cui li avevano trovati, ma ebbero almeno
l’accortezza di non mescolare tra loro quelli appartenenti a diverse sezioni.
Hermione era certa che nella squadra nessuno stava trovando quel lavoro
tanto eccitante. Aveva tra le mani decine di volumi antichi, rari o proibiti;
sotto gli occhi caratteri di lingue perdute e alfabeti dimenticati; nelle
orecchie il fruscio e nel naso il profumo di pagine invecchiate dal tempo ma
perfettamente preservate dalla magia. C’era anche un immancabile quanto banale Storia
di Hogwarts, però persino quello le era sembrato affascinante come mai
prima.
I testi confiscati si stavano accumulando accanto alla porta
d’ingresso, una pila iniziava dal pavimento e aveva già raggiunto la considerevole
altezza di un uomo. Draco Malfoy stava alla finestra più lontana, come a
dimostrare con la posizione del corpo la distanza che era disposto a tenere dal
passato di famiglia, pur di conservare un nome pulito e intatta una discreta
parte del proprio patrimonio. Faceva parte degli accordi presi con il
Wizengamot, in virtù dei quali non avrebbe mai visto le quattro mura solitarie
di una cella ad Azkaban.
Era, se possibile, ancora più silenzioso del primo giorno. Aveva messo
in chiaro da subito che non era stato lui a iniziare o accrescere quella
collezione e a un paio di domande successive si era limitato a ribadire che non
ne sapeva niente. Seguiva i loro movimenti quasi con curiosità, come se davvero
non avesse idea del patrimonio di conoscenza, oscura e ammirevole, custodito in
casa sua. Hermione non sapeva se Lucius Malfoy leggesse per passione o
accumulasse per prestigio – anche se la seconda opzione le risultava più
probabile –, ma in ogni caso il risultato era sorprendente.
Riportò lo sguardo sulla scrivania prima che quello di Draco Malfoy
incrociasse il suo. Affaticata, accavallò le gambe: era seduta ormai da un po’
e la candela, in un supporto di bronzo ruvido, era consumata per metà. Mai
spaventata da un lungo lavoro di consultazione, la colonna di libri alla sua
sinistra era la più alta tra quelle dei suoi colleghi; a destra aveva impilato
quelli già esaminati e considerati sicuri.
Prese dalla cima una copia di Le Fiabe di Beda il Bardo. La
copertina era di un’edizione più recente di quella che Albus Silente le aveva
lasciato in eredità, poteva risalire all’infanzia di Malfoy. Aprì il volume per
accertarsi, alla vista e a un incantesimo rivelatore, che il contenuto
coincidesse. Verificato che era così, non vi avrebbe dedicato ulteriore
attenzione se non avesse notato alcune pagine strappate. Non poteva trattarsi
di un danno accidentale, la costa era intatta e il difetto non riguardava una
pagina soltanto ma un piccolo gruppo. Conosceva bene quel testo, dopo il tempo
passato a leggerlo e rileggerlo e interrogarvisi, così le occorse un attimo per
rendersi conto che la fiaba mancante era La fonte della buona sorte. Ne
rievocò il messaggio di fratellanza tra maghi e Babbani che emergeva dal finale
e non ebbe difficoltà a immaginare che fosse sgradito fra quelle mura quanto
caro al presente della società magica.
Si domandò con curiosità cosa ne pensasse Draco Malfoy, se accettava il
nuovo stato delle cose per costrizione o per una sincera apertura – forse
entrambe, perché se non c’è scelta nasce l’abitudine e l’abitudine può generare
convinzione. Si chiese se lui conoscesse la mano che aveva prodotto quel danno
al libro, e addirittura se fosse la sua. Non era sua intenzione produrre quegli
interrogativi a voce alta, ma quando distolse la propria attenzione dal volume
e fece per posarlo a lato si accorse che lui la stava guardando.
Non aveva la stessa espressione confusa del primo giorno, quando non
riusciva a spiegarsi come facesse lei a esserci, quando aveva dato
dimostrazione di non conoscere le implicazioni di un profondo senso del dovere.
La scrutava con un interesse nuovo, e forse si era accorto dell’analisi che lei
aveva dedicato a un testo assolutamente innocuo. Per un’inconsistente manciata
di secondi si fissarono, lei rischiarata dalla fiamma sulla scrivania e lui con
il bagliore grigio di un pomeriggio senza sole alle spalle: le ombre sul suo
viso ne trovavano di complementari, non c’era mai stata l’autenticità della
luce tra loro, un rapporto mai nato fatto di ingiurie basate sul nulla, un
coetaneo che la rifiutava senza nemmeno conoscerla – qual era il senso di
un’offesa verso l’ignoto? Quale il valore?
Hermione si mosse verso di lui sotto la spinta delle domande che non
gli aveva mai posto e nessuno, nemmeno Harry da qualche scaffale più lontano,
ci vide nulla di strano, ipotizzando che la ragione di quello spostamento fosse
in un altro chiarimento dal figlio del padrone di casa.
Quando gli fu vicina, esibì la copertina del volume. «Questa non è
magia oscura.»
Lui si limitò ad assentire, piano, con la testa.
«Eppure» continuò lei con lo stesso tono quieto, «questo è stato
censurato.»
Allora lui dedicò un’occhiata più lunga alla raccolta di fiabe, e Hermione
lo aprì nel punto a cui alludeva. Fece per mostrargli l’indice, perché anche
lui comprendesse quale racconto mancava, quando Malfoy annuì: «La fonte
della buona sorte.»
«Com’è successo?»
«Non so niente» ripeté per l’ennesima volta lui. In sua presenza, però,
per la prima occasione, aggiunse una spiegazione: «Sospetto che sia stato mio
padre, non ha mai approvato quella storia.»
Qual era il senso del loro lavoro, se erano lì per lo stesso motivo?
Proibire certe letture, cancellare idee, storpiare la libertà della conoscenza.
Per quanto sbagliate delle ideologie fossero, estirparle era la soluzione? Era
con l’educazione che se ne doveva ottenere il rigetto, o con la censura?
«Non sai niente neanche di questo» ribatté, perché non gli fosse
risparmiato un rimprovero.
Lui si strinse nelle spalle. «È la verità, anche se capisco che sia più
semplice dubitare. Anzi, questo è l’unico libro che conosco qui; mia madre lo
leggeva per me quando ero piccolo.»
Hermione represse un sorriso, perché le era impossibile pensare alle
letture ad alta voce di un genitore senza reagire in quel modo, dopo aver
ritrovato da poco i suoi in Australia e riottenuto infinite memorie velate da
un incantesimo che l’aveva devastata. «Questo potrai tenerlo.»
Malfoy la ringraziò con sincerità, nonostante lei avesse ribadito
un’ovvietà e lui dovesse esserne consapevole: nessuno si sarebbe sognato di
confiscare un libro di fiabe per bambini. Mansueto come non era stato mai, se
non dal giorno in cui l’avevano intrappolato nella sua stessa casa, attese che
aggiungesse altro o tornasse al proprio posto; ma come spiegare a lui, se non
era chiaro nemmeno a se stessa, che guardandolo si era messa alla ricerca di un
senso?
«Non so che fine faranno invece tutti quelli» confessò, allungando
un’occhiata alla pila già imponente accanto alla porta.
Malfoy corrugò la fronte, come se si stesse ponendo la medesima
questione, ora che lei l’aveva sollevata. «Per me potete farci quello che
volete» disse, provando di nuovo quel rispetto per le istituzioni che gli
avevano imposto e continuava a portare avanti. Non si poteva dire che non sapesse
obbedire, o che almeno tentasse in ogni modo – con Voldemort come con il
Ministero della Magia del dopoguerra.
«Non dipende da te, infatti. E neanche da me. Ma che senso ha predicare
la tolleranza se il suo contrario finisce in una pira?»
«È per evitare che il suo contrario dilaghi» rispose lui, imprimendo
all’ultima parola quasi il tono di una domanda.
«Voi avreste bruciato ogni opera contraria al vostro pensiero.»
Lui ebbe almeno la schiettezza di non negare.
Hermione scosse la testa. «Non ha senso. Non possiamo dirci migliori
comportandoci allo stesso modo.»
«Tu sei già migliore. Stai parlando con me.»
Lei aprì la bocca, poi la richiuse senza emettere suoni. Non le era
sfuggito come il plurale fosse diventato un singolare nelle sue parole, né come
lui le avesse fatto notare che quella era a tutti gli effetti una
conversazione, forse la prima reale che avessero mai avuto. Hermione Granger,
Dipartimento Auror, non stava impartendo ordini o raccogliendo informazioni da
Draco Malfoy, imputato del Wizengamot: stavano semplicemente parlando.
Turbata, strinse al petto il libro che era stato il suo movente e gli
diede le spalle.
Dopo soltanto un passo si sentì fermare per una manica e dovette bloccare
il primo istinto di tirare fuori la bacchetta: sarebbe stato poco professionale
lanciare una fattura a un mago disarmato, che non la stava attaccando a
dispetto del gesto azzardato. Malfoy non insisté in quel contatto inappropriato,
si limitò soltanto ai secondi sufficienti affinché interrompesse la sua
camminata.
Hermione non si voltò nuovamente, così la sua voce le giunse da dietro,
profonda e incrinata. «Mi sono chiesto che senso avesse la tua presenza proprio
in questa casa, perché io non avrei mai avuto la forza o il coraggio di fare lo
stesso, e tu me l’hai spiegato. Sono certo che ci sia un senso anche in questo,
e tu fra tutti potrai trovarlo.»
I giardini
Contro ogni aspettativa, vi era tornata da sola.
Si era lasciata alle spalle il cancello della villa e procedeva lungo
il viale, passi leggeri sulla ghiaia asciutta e il vento tra le chiome degli
alberi ai lati. Le foglie secche erano l’unica concessione di colore della
stagione che avanzava, giallo e rosso e marrone sui prati non più rigogliosi.
Non pioveva, quel giorno, e poche strisce di nubi chiazzavano un cielo
altrimenti sorprendentemente limpido. Ad accompagnarla, lo scroscio dell’acqua da
una fontana a metà del viale, che esibiva giochi complessi che sfidavano la
gravità per raggiungere equilibri possibili solo per magia. Un uccellino dai
versi esili si posò sul bordo della vasca tonda, bevve poche gocce e subito si
allontanò in volo.
Hermione sistemò sulla spalla la borsa in similpelle di drago con cui
si recava ogni giorno al Ministero. Il turno mattutino era terminato, ma aveva
preso una deviazione non preventivata.
L’ispezione di Villa Malfoy aveva dato risultati e agli archivi
straripanti del Dipartimento Auror erano stati aggiunti svariati manufatti e
innumerevoli testi di magia oscura, una collezione più imponente di ogni rifornito
negozio di Notturn Alley.
E tuttavia uno dei pezzi era in mano sua.
Arrivò all’ingresso trovandolo serrato, quando nelle precedenti
occasioni il figlio del padrone di casa in persona li aveva fatti entrare piuttosto
che demandare quel compito a un anonimo Elfo Domestico. Prima che potesse
guardarsi intorno, però, un sibilo troppo vicino agitò l’aria e Draco Malfoy
atterrò di fronte a lei sollevando un velo di polvere. Hermione produsse un
lieve colpo di tosse prima di rivolgergli un saluto che suonò meno cordiale di
quanto fosse nelle sue prime intenzioni.
«Perdonami.»
Suonava strana quella parola sulle sue labbra, avvezze a recare offese
più che a cercare ammenda. Di quanti pensieri e parole, e azioni e omissioni,
aveva da guadagnare il perdono? Gli erano stati condonati tutti, per la legge
era un uomo libero, libero di rammaricarsi per averle sporcato i pantaloni. Con
un cenno Hermione gli fece intendere che accettava le sue scuse, quindi si
puntò addosso la bacchetta per rendere nuovamente lindo il completo con un
incantesimo non verbale.
Malfoy smontò dalla scopa in un unico movimento fluido, uno di quelli
che lei non aveva mai padroneggiato al primo anno di scuola, prima di smettere
di provarci. La spostò nella mano destra e Hermione poté leggere il logo della
Nimbus sull’impugnatura, anche se non avrebbe saputo riconoscere il modello.
Non le importava, ma le perfette condizioni del legno – lucido e liscio, colore
pieno e venature profonde – indicavano un recente acquisto oppure un’attenta
manutenzione, forse entrambi.
«Ti starai chiedendo perché sono venuta.»
«Non mi aspettavo di vederti tornare» ammise, ma senza timore. Diede
uno sguardo alla porta, considerò che erano entrambi fermi sull’ingresso e la
invitò a entrare, probabilmente per pura consuetudine. Rifiutò, rapida, ma se
Malfoy ne fu colpito non lo diede a vedere, limitandosi ad annuire.
«Ho qualcosa per te» gli annunciò.
Si aspettava la sua reazione sorpresa. Trasse dalla borsa il volume che
aveva recuperato e custodito per tutta la durata del suo turno.
Il Capo del Dipartimento Auror l’aveva incaricata di registrare e
organizzare il materiale requisito dalla residenza dei Malfoy e lei vi si era
dedicata con l’impegno e la dedizione che le erano propri, soprattutto quando
quella mansione le aveva portato nuovamente sotto gli occhi i preziosi volumi
di Lucius Malfoy. Molti non erano reperibili nelle comuni biblioteche, tanti
sarebbero stati distrutti e la consultazione di quelli archiviati avrebbe
sempre richiesto una precisa autorizzazione per motivi di studio o di lavoro.
La pura curiosità non era strettamente contemplata, così aveva approfittato di
quel compito per approfondimenti che non avrebbe forse mai più fatto, appunti
che non avrebbe più preso. Nel mezzo di quelli, una dedica in prima pagina
aveva attirato la sua attenzione, per ragioni del tutto differenti.
Porse a Malfoy una copia di Malefici e manufatti per la più oscura
delle magie. «Tuo padre avrebbe voluto che lo avessi.»
«Cos’è?» domandò subito, gli occhi spalancati e una punta di sospetto
nella voce.
Non gli rispose, lasciò che lo esaminasse da sé. Malfoy voltò il
volume, scorse la quarta di copertina e comprese che il contenuto non poteva
essere permesso dal Ministero. Corrugò la fronte, mentre procedeva ad aprirlo:
trovò le parole che lei stessa aveva letto e memorizzato, interrogandosi al
contempo sul loro valore, sull’opportunità che non andassero dimenticate, sui
pericoli che imbellettavano.
A Draco, nel giorno del suo diciannovesimo compleanno. Perché “la
più oscura delle magie” ti colga come è stato per i tuoi genitori.
Il libro trattava di metodi illegali per ottenere amore dall’oggetto
dei propri desideri, più rischiosi dei filtri presenti nel programma del corso
di Pozioni a Hogwarts. Ma come ogni magia, non potevano davvero creare i
sentimenti e nelle parole di Lucius Malfoy c’era un augurio di felicità, pur
contorto. Il padre di Draco gli consegnava un’arma auspicando con tutto il
cuore che non dovesse usarla, Hermione gli restituiva l’ombra di un genitore
che la legge aveva requisito.
«Mio padre aveva diciannove anni quando ha sposato mia madre» le
confidò, e la voce calda le parlava di ricordi a lei sconosciuti ma
comprensibili. C’era amore anche in una famiglia che aveva compiuto ogni scelta
sbagliata, Hermione l’aveva intuito dalla dedica e lo notava nel tono quasi
commosso del suo interlocutore.
Malfoy strinse al petto il libro. «I miei genitori non mi hanno fatto
mai mancare niente. Potresti dire che mi hanno viziato» ammise, con un sospiro
imbarazzato. «Non so come comportarmi in un mondo in cui non mi è tutto
dovuto.»
«Non così» disse Hermione, alludendo al contenuto del volume, e lui
ridacchiò con lei. Poi si fece più seria: «Ma sono certa che lo capirai. O
almeno, te lo auguro.»
«Grazie.» Hermione annuì. «Davvero, grazie» ribadì, guardandola con
un’espressione quasi smarrita, come se non sapesse come rendere più reale
quella formula di cortesia. Una singola parola poteva apparire fredda, ma non
la forza che vi impresse con gli occhi – questo, però, Hermione non
gliel’avrebbe rivelato. L’avrebbe capito da solo, sperava, in un futuro di
sincero pentimento e umile riconoscenza.
«Mi sono domandata quale fosse il senso, e l’ho trovato nella memoria:
ricordare ciò che è stato perché non accada di nuovo. Questo è un ricordo
personale, nemmeno tu meriti che ti sia sottratto. È anche un monito per qualcosa
che non dovrai portare avanti. Custodiscilo, ma non cedere mai più alla magia
oscura.»
Lui parve rifletterci, poi glielo porse. «Tienilo tu, così sarai sicura
che non lo userò.»
Lei scosse la testa.
«Tienilo tu, e restituiscimelo nel giorno in cui lui avrebbe voluto che
lo avessi.»
Lei fece per protestare.
«Ti prego. Tienilo tu, e non dovrai portarmi un altro regalo»
ridacchiò, teso. La guardò con tutta la gravità di cui disponeva: «Tu hai
parlato con me, sei tornata per restituirmi un senso. Torna ancora.»
La data di nascita di Draco Malfoy era nel suo fascicolo. Hermione considerò
i mesi che mancavano e la curiosità che, suo malgrado, l’uomo era stato in
grado di ispirare: la giustizia era stata gentile, la memoria sarebbe stata
edificante?
Allungò la mano.
***
La memoria delle mura
Suo marito si Materializza sulla soglia e Hermione non ha bisogno di
chiedere come ha trascorso le ultime ore ad Azkaban: immagina dagli occhi
affaticati, dalla piega sconfitta delle spalle, da un sospiro pesante, che ha
bisogno di un abbraccio. Gli si avvicina, e il suo mantello caldo la avvolge.
Intorno a loro, i giardini curati da Lucius Malfoy, alberi fatti piantare da
lui, foglie rigogliose alle sue cure.
Sente un fruscio vicino e sposta lo sguardo in quella direzione: due
pavoni candidi emergono da una fitta siepe. Draco si volta per capire cosa l’ha
colpita. «Anche quelli erano di mio padre» rammenta, e la voce si spezza.
È certa che si tratta del primo accenno di fragilità che l’uomo si
permette di mostrare, da quando è stato convocato per ritirare gli effetti
personali e dare disposizioni per la sepoltura, nella prigione in cui il
genitore ha speso tutti gli anni della sua vita a partire dalla condanna.
Gli stringe il volto tra i palmi, asciuga col pollice una lacrima
solitaria.
Draco sospira, scuote la testa. Le bacia una guancia. «Entriamo.»
Si tengono per mano mentre percorrono le stanze che portano alla
biblioteca in cui hanno previsto di custodire quanto resta in questo mondo
dell’uomo che ha fatto edificare le mura che li accolgono. Hanno svuotato un
cassetto per tenere lì la bacchetta requisita dopo il processo, qualche lettera
e un paio di foto di famiglia – a portata di mano, ma non alla vista, è il
luogo di chi non c’è più.
Draco esita prima di richiuderlo, le dita sul pomello dorato. Lo lascia
andare e usa un incantesimo per serrarlo, come se non potesse sopportare un
tocco più personale. Distoglie lo sguardo, quando il legno scuro avvolge la
memoria tangibile di suo padre.
Hermione non può pretendere di immaginare come si senta, non con due
genitori ancora in vita, non se il motivo è un uomo che non ha mai davvero
conosciuto, che non ha potuto partecipare al compleanno senza invitati per cui
lei è tornata più di tre anni prima, che non ha ricevuto un permesso
nemmeno per il loro recente matrimonio. Smarrita nell’ignoranza, regala
all’uomo di cui si è innamorata, inaspettata progenie di un mago imperdonabile
per la società magica, quanto può: silenzio e conforto e vicinanza. Tiene per
sé ogni emozione conflittuale rispetto a un suocero solo sulla carta,
scioglierà i nodi quando potrà, da sola.
Stringe il braccio di Draco e si appoggia a lui, che muove il capo per imprimerle
un bacio sui capelli.
«Mia madre?»
«È ancora da sua sorella.»
«Aspettiamola di là, non vorrà vedere queste cose, non ancora.»
Narcissa Malfoy ha continuato a risiedere e preservare una dimora che
non accoglierà più la famiglia che lei sperava di poter un giorno
ricongiungere. È nell’assenza di polvere, ragnatele, petali di fiori secchi o
cera di candele consumate; è nel mobilio lustro, nelle cornici splendenti, nei
vetri limpidi delle finestre.
Non attendono ospiti nel salone, ma l’unica abitante di quella casa si
premura di accertarsi che venga lasciato sempre in perfette condizioni. Draco e
Hermione si accomodano al lungo tavolo al centro della stanza, portando due
sedie più vicine. Nessuno dei due dedica un’occhiata al punto sul pavimento un
tempo macchiato del sangue di Hermione: nessuno dei due lo considera sporco o
lurido o guasto, ormai, ma c’è voluto più di un secchio d’acqua e uno straccio.
C’è voluta, tra le altre cose, la più oscura delle magie, ma luminosa e
trasparente.
«È arrivata questa dal Magiavvocato per te» gli comunica, porgendogli
la lettera che ha lasciato lì prima.
Draco ne scorre il contenuto in silenzio, quindi guarda lei. «Non
vivremo mai qui» le dice, come in una rassicurazione.
Hermione non manca di rilevare che non ha riflettuto affatto. Gli tocca
il dorso della mano con cui tiene la pergamena: è fredda. «È la casa in cui sei
cresciuto, in cui i tuoi genitori ti hanno amato» nota nel tono più neutro
possibile.
«È anche la casa in cui ti hanno…» Suo marito scuote la testa, incapace
di rievocare a parole gli incubi che hanno lasciato nel passato. «Ci resterà
mia madre, e noi verremo a trovare lei fino a quando avrò ancora un genitore.»
Reprime un singhiozzo. «E poi un giorno… non dovrà rimanere nostra.»
«Sei sicuro?»
Non lo è.
C’è ancora la sua scopa giocattolo nella rimessa nel giardino sul
retro, una sciarpa della sua squadra di Quidditch nell’armadio in camera da
letto, una foto del suo primo compleanno in un altro salotto più piccolo.
Ci sono le stanze in cui si sono visti, conosciuti.
Draco le mostra un’espressione smarrita.
Hermione gli si avvicina ancora di più. Sussurra: «Dici di desiderare una
villa di campagna per i nostri weekend, e io so che pensi a un luogo come
questo. Non rinunceremo a vivere nella casa che abbiamo scelto insieme a
Londra, ma non dobbiamo gettare via il passato, se non lo vuoi davvero.»
Accenna un sorriso, per lui.
«Il senso è nella memoria, ricordi?»
Note:
Il libro dal titolo Malefici e manufatti
per la più oscura delle magie è di mia invenzione.
Turpin e Stebbins sono cognomi di
personaggi realmente citati nella saga.
Ringrazio Futeki per aver letto in
anteprima e betato questa storia.
Avevo in mente da un po’ una fanfiction in
cui la storia tra Draco e Hermione fosse raccontata attraverso “le mura”, le
stanze di Villa Malfoy, e infine ha trovato questa forma. Spero abbiate
apprezzato la lettura e vorrete lasciare un commento!
Vi ricordo che mi trovate anche su
Facebook e Instagram, tra una storia e l’altra.
Alla prossima!
La storia ha vinto i premi per il Miglior montaggio e la Miglior fotografia agli
Oscar della Penna 2024 indetti sul forum Ferisce la penna.