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Il mio bellissimo desiderio proibito
«Che ne pensi di passare il Capodanno al Pub
con gli altri ragazzi?»
La domanda era arrivata non propriamente alla
sprovvista. Immaginavo che la poca fantasia e lo scarso spirito d’intraprendenza
di Ricky, il mio mini-ragazzo, non avrebbero partorito altro che una festa di
Capodanno uguale ed identica ad ogni singolo barboso sabato sera trascorso
durante tutto l’anno.
«Ehm... ok» Accidenti!
Ore 21.00 del 31 dicembre 2002.
Sono pronta. Vestita completamente di nero (in
tono col mio umore), indosso un paio di pantaloni di cotone elasticizzato ed un
bustino senza spalline, chiuso sul davanti con un laccetto di velluto. La mia
fedele cintura con le borchie “killer”, memorabile dono per il mio diciottesimo
compleanno, mi circonda i fianchi. Per dare un tocco di classe al tutto, ho
deciso di abbinare uno svolazzante spolverino di pelle lungo fin sotto le
ginocchia (trovato d’occasione al mercatino delle pulci) ed un paio di adorabili
stivaletti a tacco alto che io amo definire “molto anni ’80”. I miei lunghi
ricci sono raccolti in una semplice crocchia ed il trucco mette molto in
risalto gli occhi castani. Le unghie sono perfettamente limate e laccate di
rosso sangue. Come da mio consueto stile, alla stregua di una statua indiana,
sono abbondantemente ricoperta da una non meglio identificata quantità di
braccialetti, anellini ed orecchini. Solo il collo è nudo.
Non sono niente male. Lo specchio lo conferma.
Arriviamo al Pub con il bolide rosso guidato
con destrezza da Ricky: la vecchia Panda di sua madre.
Abbandonato il mezzo di trasporto in uno
spiazzo buio e paludoso (il parcheggio del locale) ci rechiamo con passo spedito
verso il nostro destino, alias il Capodanno più lagnoso di tutti i tempi.
Arrivati a destinazione, lo sconforto inizia a
pervadermi.
Nella (vana) speranza racchiusa nella parola
“festa” mi ero illusa di poter quantomeno fare qualche interessante conoscenza.
Magari avrei avuto un illuminante scambio di opinioni con una ragazza simpatica,
dotata di palle rotte quanto le mie a causa di un fidanzato totalmente ed
immancabilmente deludente sotto tutti i punti di vista. Già mi immaginavo
conversare amabilmente con un brillante laureando. Mentalmente, preparavo le
frasi per respingere con garbo le avance di qualche trentenne milionario.
O, forse, avrei incontrato lui.
E, invece, appena varcata la soglia del tedio,
eccolo là: il solito, vecchio, palloso, monotono gruppetto di “Amici di Ricky”.
Odio queste tre parole.
Un losco branco di individui di età compresa
fra i sedici ed i trentacinque anni, di prevalenza hippie e con capacità
ricreative che spaziano dal saper suonare lo scacciapensieri al far girare
l’hula-hop per almeno trenta secondi consecutivi. Uno, addirittura, crede di
essere un vampiro!
Ma non è finita qui...
Schiacciata in un angolo del locale, tutta
intenta a cercare di fondermi con una delle pareti di mattoni nudi nel disperato
tentativo di sfuggire ai discorsi senza senso degli individui che mi circondano,
mi accorgo della nefasta presenza: tamarri. Non ho parole. Questo è senza dubbio
un presagio malvagio per l’anno nuovo. Dio ha deciso di punirmi per tutti i miei
(numerosi) peccati. Perché? Perché proprio stasera?
Abbacchiata più che mai, sorseggio lentamente
della Guinness dal bicchiere di plastica che tengo in mano, pensando di non
essere mai stata più disgustata di così.
Decido di rifugiarmi in bagno.
A proposito di disgusto: il “locale adibito a
cesso”, come usava chiamarlo affettuosamente una mia vecchia conoscenza, è
totalmente infestato da esseri orripilanti armati di bicchieroni di super
alcolici e cannoni grossi come sigari.
Ma, prima di potermi dare alla fuga, noto una
scena alquanto interessante.
C’è una ragazzina tamarra sui sedici o
diciassette anni in mezzo a quella marmaglia. E’ in compagnia dell’immancabile
amica/compagna di scuola e di un paio di sbarbatelli dall’aria baldanzosa. Ad un
certo punto la ragazzina, per farsi bella, suppongo, strappa dalle mani di uno
degli sbarbati un bicchiere pieno e metà di rum (il colore è inconfondibile) e
se lo scola tutto in un botto.
Non credo ai miei occhi. E’ fuori di testa?
Incuriosita dall’effetto che avrà su di lei il
super alcolico, me ne rimango lì, inchiodata al lavandino, sciacquandomi le mani
il più lentamente possibile, con tutti i sensi all’erta.
E poi, ecco la reazione:
Di punto in bianco, la ragazza strabuzza gli
occhi, barcolla leggermente e, per non cadere, si aggrappa al braccio
dell’amica/compagna di scuola. Deve girarle un bel po’ quella testolina vuota...
Io, interiormente bastarda, inizio a
sghignazzare, mentre la tamarrina sbronza viene tenuta in piedi di peso da due
ragazzini che le si affiancano e le circondano la vita con le braccia. Stanno
cercando di portarla fuori dal Pub per farle prendere una boccata d’aria, a
quanto ho capito. Chissà se sono a conoscenza dell’alta pericolosità di far
prendere colpi d’aria allo stomaco di qualcuno che ha bevuto troppo...
Provo invidia. Almeno lei, sicuramente, domani
mattina non ricorderà più niente di questo schifo di serata. Quasi quasi mi
ubriaco anch’io.
Sconsolata dalla mia capacità di reggere
l’alcol (diciamo pure che farei impallidire Paul Di’Anno, se mai dovesse vedere
la quantità di birra che riesco a buttar giù senza batter ciglio), abbandono lo
squallido bagno con la mente persa nelle mie fantasticherie.
Ed ecco che vedo lui.
Daniel.
Ci avevo sperato. Molto. Ma non volevo farmi
illusioni.
E’ proprio davanti a me, a pochi metri. E’
inconfondibile. L’unico in tutto il Pub con l’aria di chi la testa non ce l’ha
vuota.
Anche lui mi ha notato.
Stava parlando con una specie di ameba quando,
improvvisamente, si è girato e mi ha visto. Forse ha avvertito il mio sguardo su
di sé. Probabile. Anche perché, mentre lo fissavo, ho avuto una fugace immagine
di lui a petto nudo a cavallo di una Harley-Davidson.
Ho appena tradito mentalmente il mio ragazzo.
E’ possibile?
Lo vedo che si congeda dall’ameba con qualche
parola ed inizia a camminare con passo sicuro nella mia direzione. Indossa dei
jeans strategicamente strappati, una maglietta bianca, un paio di stivali
marroni ed un enorme chiodo di pelle.
Lui è il mio bellissimo desiderio proibito.
Io resto lì, a fissarlo con (sono sicurissima)
uno sguardo molto malizioso impresso sulla faccia. Stupide fantasticherie
traditrici.
«Ciao» lo saluto, tuffando il castano dei miei
occhi nel verde dei suoi.
«Ciao a te» mi risponde, ricambiando
l’intensità del mio sguardo.
Wow!
«Anche tu qui? Non dirmi che sei a corto di
posti migliori dove fare il conto alla rovescia»
Questo è quello che la mia bocca gli ha
chiesto. In realtà, il mio cervello aveva tutt’altro quesito da porgli. Qualcosa
che somigliava vagamente ad un “Che cavolo ci fai TU in un posto del genere, la
notte di Capodanno, in mezzo a questo branco di debosciati? Portami via!
«Diciamo che ho fatto un salto»
Lo sapevo.
«Allora beato te, che fra poco levi le tende
da questo purgatorio»
Non volevo essere così esplicita, ma l’idea
che l’unica persona nei paraggi degna di questo nome lasci la festa fra poco mi
urta parecchio.
«Se ti va, puoi venire via con me»
«...»
«...»
No, aspetta. Forse ho capito male.
«Eh?» Al momento, è tutto quello che riesco a
far uscire di bocca.
«Dicevo che, se ti fa piacere, puoi venire con
me» mi ripete, mentre i suoi occhi, ancora saldamente ancorati ai miei, sembra
sprizzino scintille.
«Sono con Ricky»
Ma perché? Perché sono così odiosamente
fedele?!
Se sapessi di non fare la figura della
pazzoide correrei verso il muro e ci sbatterei la testa fino a perdere i sensi.
«Ci stai ancora insieme?» Ho l’impressione
che, nel pronunciare l’ultima parola, abbia fatto una faccia un po’... come
dire... schifata.
Non ho la forza di dirgli di sì e, quindi, in
segno di assenso, faccio ciondolare la testa avanti e indietro un paio di volte.
Sto malissimo. Come faccio a spiegargli tutta
la faccenda, senza fare la figura della scema?
«E’ una situazione un po’ complicata» riesco
ad aggiungere.
Avverto della severità nel suo sguardo. Ed
anche un po’ di...
Possibile? Rabbia.
Sapevo di piacergli. L’avevo capito subito.
Dalla prima volta che lo vidi.
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