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XII° CAPITOLO
SOUVENIRE DEI 21 ANNI
(*)L’infinito sai cos’é? ...
L’irraggiungibile fine o meta
Che… rincorrerai per tutta la tua vita,
“ma adesso che farai?... adesso io ... non so... “ infiniti noi
so solo che non potrà mai finire
mai ovunque tu sarai, ovunque io sarò
non smetteremo mai
se questo é amore ... é amore infinito
Era una bella giornata di
fine primavera. Richard girava tranquillo, in solitudine, per le strade della
città francese; le mani in tasca e un’andatura rilassata, ma sicura nella
direzione della sua meta. Si trattava di un barattino, che lui conosceva fin
troppo bene, dove aveva appuntamento con una sua vecchia conoscenza. Girò
l’angolo fermandosi subito dopo. Eccola là, Satine Chabrol, più che una vecchia
conoscenza, quella, era una sua vecchia fiamma, una di quelle di cui ci si
dimentica difficilmente. Lei era seduta di spalle e non poteva vederlo; i soliti
capelli neri e lisci, tagliati in un baschetto perfetto con una lieve scalatura
nelle ciocche che le incorniciavano il viso. Le gambe lunghe e affusolate erano
accavallate sotto il tavolino dove, Richard, vide una cosa che gli fece morire
il sorriso sulle labbra e passargli la voglia di andarsi a sedere. Il pastore
di Beauce di Satine, sua guardia personale. Il pastore di Beauce è il cugino
francese del Dobermann, con un fisico più robusto e rustico rispetto alla razza
tedesca. Satine possedeva un cane della stessa risma anche quando si erano
conosciuti; dato il tempo che era passato non poteva essere lo stesso, ma tra
Richard e il vecchio cane di Satine c’era sempre stato un odio viscerale che
divertiva molto la donna. Sebbene lui non conoscesse il nuovo pastore, poco ma
sicuro, quella non era una razza molto socievole con gli estranei.
In quel momento la testa del
cane, che fino ad ora era appoggiata su una delle zampe anteriori scattò verso
l’alto, puntando, poi, gli occhi scuri sullo sconosciuto. Da quella distanza
Richard non poteva esserne totalmente sicuro, ma avrebbe scommesso che appena lo
aveva visto aveva cominciato a ringhiare nella sua direzione, probabilmente
allarmato che un uomo stesse fissando così intensamente la propria padrona.
Satine piegò la testa di lato per controllare il suo fedelissimo, dando prova
che stava effettivamente ringhiando. Dopo aver calmato il cane, voltò il busto
verso Richard regalandogli uno dei suoi più splendidi sorrisi maliziosi. Lui si
avvicinò e, dopo aver controllato che il pastore non si muovesse, posò una mano
sul fianco della donna, baciandola sulle guance.
“Sempre scortata?” disse
Richard sedendosi.
“Lo sai che adoro i Beauce.
Lei si chiama Rouge. Tu, invece, sembri sempre uno straccione.”
Richard sorrise, passandosi
con noncuranza le dita fra i lunghi capelli.
“Non penso di ricordare
male: nonostante il mio aspetto hai ceduto.”
“Ero giovane ed inesperta”
si giustificò lei, senza averne una reale intenzione.
“Giovani lo eravamo insieme,
quanto all’inesperta non lo credevo all’ora come non lo credo oggi.”
In quel momento, un ragazzo
con la divisa da cameriere portò loro due caffè.
“Direi che abbiamo usato
sufficiente tempo per il passato.”
“Sono d’accordo. Allora
Satine, perché mi hai fatto venire a Montpellier?”
“Siete riusciti a prendere
il Trojan?”
Il volto di Richard non mutò
nel sentire la domanda, si limitò solamente a continuare a fissare la francese.
“So tutto del tuo attuale
incarico, quindi non fare giochetti.”
“Non ti ho insegnato proprio
niente, allora, mia cara.”
Fu tra loro due che tutto
iniziò: la storia dei Predators. Richard era una specie di avventuriero moderno,
ciò che era anche ora all’età di 46 anni, ma gli mancavano le conoscenze, le
persone giuste come potenziali clienti. Gli mancava ciò che a Satine Chabrol,
figlia unica di una famiglia schifosamente ricca non mancava affatto.
Nel 1984 Richard aveva 21
anni, una grandissima voglia di viaggiare, la forza per farlo e l’età per
pretenderlo. Amava moltissimo l’Inghilterra, ma trovare un lavoro con cui aveva
la possibilità di viaggiare per il mondo era il sogno della sua vita. Anche da
giovane Richard era abbastanza brillante da riuscire a trovare, senza troppe
difficoltà, un lavoro adatto. A dire il vero ne aveva provati molti, ma a tutti
mancava una piccola caratteristica: il rischio che avrebbe dato frizzantezza al
viaggio. L’ultima volta che si ritrovò in Francia, senza pensare troppo ai pro e
ai contro decise di rimanerci, almeno per un po’. Camuffando il suo aspetto, già
all’epoca trasandato, cominciò a frequentare locali alla moda, confondendosi e
facendo conoscenza con le persone più ricche in circolazione. Sentendo i loro
discorsi e l’atmosfera che si percepiva in quei posti, Richard si convinse che
quello decisamente non era il suo ambiente. Lo circondavano persone troppo
concentrate sull’apparenza. Le donne facevano a gara per chi aveva il vestito
più costoso, non era importante se la vincitrice fosse volgare o ridicola. gli
uomini, tra le altre cose, facevano mostra delle loro donne, una più bella
dell’altra; poco importava che non fossero vere conquiste ma solo signorine a
pagamento. Ciò che piaceva a Richard Heart erano i soldi e quella gente ne aveva
molti, allora perché non servirli nei loro capricci? Fu in quel periodo che
nacque l’idea di un’agenzia tutto fare. Solo il pensiero eccitava la fantasia
del giovane; c’era solo una falla in tutto il suo progetto: non aveva le basi
per cominciare a farsi un nome.
L’incontro con un’annoiata
riccona di nome Satine Chabrol fu una vera e propria manna dal cielo. Richard e
Satine si compensavano: lui conosceva abbastanza il mondo da sapersela cavare,
più o meno, in tutte le situazioni, lei aveva la lista dei clienti e il fascino
per trovarne di nuovi. Per circa un annetto le cose andarono a gonfie vele, fino
a quando ognuno rimase nel proprio campo di competenza, ma sia lui che lei
avevano un carattere forte, decisamente inclini al comando. Satine cominciò a
fare di testa sua durante le “missioni”; anche Richard, però, non fu da meno.
Stando con Satine aveva imparato a tirare fuori quel carisma necessario perché
le persone gli affidassero i propri capricci.
I due si lasciarono
esattamente come si erano incontrati. Nella camera da letto di Satine, tra le
lenzuola vellutate, senza litigare e senza rimbeccare all’altro i suoi errori.
Iniziò con passione e finì con la stessa.
Nei 25 anni che passarono si
rividero solo una volta, un paio di anni dopo. Richard si trovava a Montpellier
per affari e, avendo un po’ di tempo libero aveva cercato Satine, invitandola a
bere qualche cosa insieme, nello stesso bar in cui si trovavano ora. Lei gli
raccontò di aver trovato un altro lavoro ma, ogni tanto, si divertiva a mettere
in pratica ciò che aveva imparato stando con Richard. Per lei insomma era
diventato solamente un hobby, con cui passare il tempo nei periodi di noia.
Lui, invece, aveva
continuato e, scendendo nei particolari, le disse di aver messo su una squadra
perché si era reso conto che, nonostante il suo talento, non era assolutamente
capace di fare tutto con eccellenza. Sheril era perfetta per le pubbliche
relazioni e anche se non era come Satine, poteva solo dire di essere soddisfatto
della sua PR. Asriel era un ladro fantastico; anche Richard non aveva troppe
difficoltà ad entrare nelle case altrui, ma il tedesco non conosceva neanche un
ostacolo. Jack era un sadico assassino privo di morale e amore per il prossimo;
tutti nei Predators erano in grado di difendersi, ma il signor Salvador si
divertiva e questo era un vantaggio per lui in certe occasioni: niente coscienza
con cui fare i conti a fine giornata. Savannah era un atleta, il suo ruolo non
era mai stato ben definito e all’inizio Richard aveva avuto dei grossi dubbi su
di lei. La ragazza era l’unica del gruppo ad aver cercato Richard, mentre con
gli altri era avvenuto il contrario. Lui li aveva visti, si era innamorato delle
loro capacità e li aveva ingaggiati. A convincere Richard su Savannah era stata
la rabbia repressa che l’americana emanava da ogni cellula del suo corpo.
Nonostante la sua apparente inutilità, Savannah si era rivelata spesso
vantaggiosa in più di un’occasione.
I due amanti di un tempo
parlarono per tutto il pomeriggio, come se nulla fosse cambiato; solo quando lei
aveva dichiarato di dover rientrare ci fu una prova della lontananza che si era
creata fra i due. Si erano alzati entrambi, guardandosi negli occhi, entrambi
decisi su come salutarsi o sulle frasi da dire di commiato. Fu Richard a
sbloccare la situazione, prese la mano destra di Satine e dopo avergliela
baciata, senza aggiungere altro le girò le spalle.
“Non ti ho insegnato proprio
niente, allora, mia cara.”
“Sì, sì lo so: bocca chiusa
occhi ed orecchie ben aperti.”
Richard si limitò a
sorridere, soddisfatto.
“Allora facciamo un bel
gioco” propose Satine. “Il gioco del supponiamo.”
“Molto bene, prima tu.”
“Supponiamo che una signora
mi abbia contattato per recuperare una statuetta. Supponiamo che io sia
impazzita nel cercare le sue tracce, perché in ogni via che setacciavo, ad un
certo punto lei spariva sempre e, al suo posto, mi capitava un cavallino di
legno che, per pura comodità, chiameremo Trojan. Mettiamo che io sia venuta a
sapere che una famiglia di mafiosi americani, oramai di poco valore, per tornare
in auge, abbia rubato il Trojan, non tanto perché il buzzurro che ne è a capo lo
colleghi alla statuetta…
“Che per pura comodità
chiameremo?”la interruppe Richard.
Per un attimo Satine rimase
in silenzio, chiedendosi se e cosa avrebbe dovuto tenere nascosto all’uomo.
“La Sainte Vierge du Pardon,
posso continuare con il gioco?”
“Te ne prego” rispose
Richard con un lieve inchino del capo.
“Il vero motivo per cui
questi americani avrebbero rubato il Trojan sarebbe stato il fatto che chiunque
rubi qualche cosa al nuovo possessore della statuetta deve, per forza di cose,
essere molto stupido o molto potente. Per quanto ne saprebbero, la famiglia…”
“Rizzo.”
“Per supposizione.”
“Ovviamente.”
“Avrebbero rubato un
modellino senza conoscerne il vero valore.”
“Ti prego fammi continuare”
richiese Richard. “Supponiamo che sei venuta a sapere che il vecchio
proprietario John Smith…”
“Quanta fantasia” lo
interruppe Satine.
“Sono d’accordo, ma io non
c’entro. Dicevo? Ah sì, John Smith ha ingaggiato un’agenzia per recuperare il
Trojan senza raccontare tutta la storia e tu, per non fare troppa fatica hai
aspettato, perché conosci il capo dell’agenzia.”
Satine sorrise annuendo.
“Cosa vuoi?”
“Per supposizione?” chiese
la donna ironicamente.
Richard non rispose, non ce
ne era bisogno. Mandarla a cagare sarebbe stata una caduta di stile; dichiarare
che il gioco lo aveva stancato sarebbe equivalso ad un autogol.
“Voglio che tu mi consegni
il Trojan” rispose, questa volta seria, Satine.
“Certamente, basta che tu mi
paghi più di quello che ho pattuito con John Smith.”
“Tu non capisci. Non vengo
pagata nemmeno io questa volta.”
“Satine Chabrol che fa
beneficenza?” la prese in giro lui.
“C’è una storia triste
dietro quella statuetta.”
“Faccio portare un pacchetto
di fazzoletti?”
“Stronzo!”
“Sempre al tuo servizio.”
Dopo l’ultimo scambio di
battute cadde il silenzio. Rouge, percependo la tensione creatasi, sporse il
muso lungo, toccando con il naso umido il ginocchio nudo della padrona. Per
tranquillizzare il suo pastore di Beauce la accarezzò sulla testa, grattandole
il pelo grosso e duro. A dire il vero Satine era molto tentata a dire una
semplice parola, un unico comando e i Predators sarebbero stati costretti a
portarsi il loro capo su una carrozzina, in giro per tutto il mondo.
“Fammela vedere, Satine.”
Lei guardò l’omo che le
stava di fronte. Non era cambiato in quella ventina di anni, sempre trasandato
come quando ne aveva 21. Capelli e barba lunghi, un po’ crespi, di un colore
simile all’ocra con qualche striatura rossiccia. Gli occhi grandi, ma poco
marcati, le ricordarono il perché Richard non avesse mai avuto problemi di
donne. L’espressione sempre gioiosa, a parte rari casi eccezionali; sempre
curiosa come quella dei bambini forse smuoveva l’istinto materno che alberga in
ogni donna. Poi tutto passava, quando rimaneva senza maglietta. Il suo fisico
muscoloso era tutt’altro che fanciullesco ma non lo era, in special modo, il
tatuaggio che aveva dietro la schiena. Una corona inglese in bianco e nero,
minuziosamente particolareggiata in tutte le più piccole sfumature, lunga da
scapola a scapola e proporzionalmente alta. Non che il fisico e il tatuaggio
allontanassero le conquiste, anzi. Solo che, al posto della madre, usciva la
donna.
La mano che stava
accarezzando ancora Rouge si spostò dalla testa del cane e aprì la borsetta
firmata, dalla quale uscì una foto. Il soggetto era una piccola, ma fine ed
elegante, statuetta della Vergine. Il viso, le mani giunte in preghiera e i
piedi scalzi erano, stranamente, di un bianco sporco, lo stesso colore del
vestito. Solo le pieghe di quest’ultimo e il rosario che Maria aveva in mano
erano d’oro.
“Perché tutta bianca?”
“E’ d’avorio.”
“John Smith mi paga
decisamente poco.”
“Ed è anche vecchia.”
“Quanto?”
“Seconda Guerra Mondiale.”
“Non così tanto.”
“Sì, ma vale di più per un
collezionista, amante del periodo.”
“Per essere più precisi?”
“Non sono la tua consulente”
rispose rabbiosa Satine, quasi ringhiando. “Non ti ho fatto venire a Montpellier
per farti guadagnare di più.”
“Lo sai in che guaio mi
metterei se ti dessi la statuetta? Se la vuoi almeno pagami.”
Satine sbuffò, appoggiando
la schiena alla sedia, esasperata.
“Se ti facessi raccontare la
storia, cambieresti idea?”
“Improbabile, comunque non
sarei solo io a dover essere convinto.”
“Pensavo che fossi tu il
capo” lo provocò Satine.
“Infatti, ma ci sono dei
limiti. Vorrei vedere te come terresti a freno quattro persone, tutt’altro che
innocue, se gli dici che dopo un lavoro non li pagherai.”
“Almeno acconsenti di
sentire la storia.”
“Per quello che cambia, a me
va bene. Ma verrà anche la mia squadra.”
“Ti manderò un messaggio”
disse Satine alzandosi e, senza nemmeno salutare concluse così l’appuntamento.
Lasciando a Richard solo il conto da pagare.
(*) “L’infinito” di Raf.
Vorrei spiegare il perché ho
scelto questa canzone. Il motivo è semplice: tra Richard e Satine c’è un
rapporto un po’ particolare. Non si sono dimenticati, ma sanno di essere
incompatibili, così hanno fatto la loro scelta di vivere due strade diverse.
Essendo persone coerenti non lasciano che ciò che è stato ricominci ancora una
volta. Spero che dai dialoghi tutto ciò sia venuto fuori, a voi l’ardua
sentenza!!! Per quanto riguarda la storia la domanda è: Richard e Satine
continueranno a voler avere due vite diverse o ci riproveranno? Sinceramente
ancora non lo so…né l’uno né l’altra mi hanno suggerito niente per ora.
Leuconoe:
va bene và, per questa volta ti perdono
J…
ovviamente stò scherzando!!! Non ti devi preoccupare, soprattutto perché almeno
qualcuno (cioè tu) ha risposto alla mia domanda e sono molto contenta che il cap
tra Jack e Savannah non fosse volgare. Per rispondere alla tua recensione, è
vero il cadavere a pochi passi fa senso, però come hai detto tu caratterizza
Jack. Savannah, finalmente, ha avuto la sua rivincita, forse ora sarà un pochino
più serena. A dire il vero questa storia è nata proprio con il passato di
Savannah: mi ero immaginata i Predators, tutti quanti, ma non sapevo cosa fargli
fare, poi mi è venuto in mente il passato di Savannah. Solo dopo è nato il
Trojan e solamente da pochi giorni è nata La Sainte Vierge du Pardon, con la
relativa storia che rivelerò nei prossimi capitoli con personaggi tutti
nuovi…spero solo di non annoiarvi con questa storia nella storia…
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