I marinai tornano tardi
I marinai
tornano tardi, e le onde li accompagnano verso il prossimo pericolo.
*
Solo il sangue poteva purificare certi
orrori, Inej l’aveva imparato. Portò il pugnale alle labbra e vi soffiò una
muta preghiera, la concessione elargita a una coscienza che la vita aveva
scalfito e plasmato a nuova forma. Si preparò a usarlo sull’uomo immobilizzato
di fronte a lei.
«Non vai più a caccia di informazioni,
Spettro?»
Forse la sua coscienza era mutata già
allora, quando Kaz Brekker le aveva proposto di raccogliere le confidenze e i
sussurri negli spigoli di una città mai dormiente.
«Niente di quello che dirai potrà
cambiare la tua sorte.»
«Oh, lo so. Ma non vuoi sapere chi mi ha
procurato i miei lavoratori?»
«I tuoi schiavi, intendi.»
Di sicuro quella di De Vries,
proprietario di due locali notturni nel Barile, era ispirata a una moralità
deviata: solo con una buona dose di malata creatività si potevano considerare
“lavoro” contratti stipulati per essere rescissi sempre nelle peggiori
condizioni, o mai.
«Non vuoi saperlo, Spettro?»
«Parla.»
«Manisporche.»
Il Bastardo del Barile, la coscienza del
crimine di Ketterdam.
Tu, Kaz, non venderesti mai nessuno.
Sai meglio di chiunque altro che non sei solo l’ennesimo capobanda che gratta a
destra e a manca per ottenere il margine migliore.
Inej lanciò l’arma.
*
I marinai
tornano tardi, e la città non dorme nella loro attesa.
*
Inej non si vedeva ancora.
Kaz osservò la lettera con cui gli aveva
anticipato il prossimo approdo al porto di Ketterdam, lasciata sempre bene in
vista sulla sua scrivania dal momento in cui era arrivata. Il giorno annunciato
era passato e l’attracco ventidue al molo era rimasto vuoto, e così anche nei
successivi, stando alle informazioni che gli erano giunte dal Quinto Porto. A
pagare le conseguenze della sua agitazione erano stati i nuovi acquisti fra gli
Scarti, verso i quali aveva mostrato meno pazienza del solito.
Passò le dita nude sulla firma in fondo
al foglio. Lo faceva sempre senza guanti, illudendosi che fosse un modo per tenerla
vicina, sfiorare ciò che lei aveva toccato, pensare a lei sulle parole che gli
aveva dedicato. L’attimo dopo si rimproverava per la propria codardia, perché
se l’avesse avuta davanti a sé, in carne – pulsante, non gelida – e ossa –
solide, non marce –, tanta vicinanza non avrebbe saputo osarla.
Dov’era finita?
Si spogliò del cappotto della giornata,
che appese a un gancio al muro della sua stanza alla Stecca. Si tolse il gilet,
tirò su le maniche della camicia e si avvicinò al catino.
Era soltanto la razionalità del leader a
frenare gli istinti più bassi che l’assenza di lei era in grado di generare –
lanciare tutta la Ketterdam su cui poteva vantare un credito alla sua ricerca, affollare
i mari, setacciare le onde, indagare le coste. Il cuore, quello su cui la mente
e la morale non avevano presa, gli suggeriva ordini dolcissimi che non poteva
permettersi, perché un’intera organizzazione dipendeva da lui, dai suoi
comandi. Inej era stata un investimento vincente, non poteva diventare uno
spreco di risorse.
In che pericolo si era cacciata?
Riempì la bacinella accanto alla porta
di acqua pulita, dando le spalle al cielo scuro e nuvoloso fuori. I rumori
sguaiati di risse e bevute giunsero soffocati dai piani inferiori.
La avvertì prima di vederla, come sempre
sul davanzale della sua finestra aperta: il profumo dei suoi capelli,
l’appoggio appena udibile del piede destro, il respiro rilasciato solo nel
momento in cui si sistemava in posizione. La avvertì come nessuno sapeva fare.
«Sei tornata.»
«Buonasera, Kaz.»
«Sei in ritardo.» Senza risparmiarle una
nota dura nella voce, si voltò a guardarla.
«Sono stata trattenuta.»
Inej non gli sorrideva, ma la sua posa
era rilassata. I capelli erano raccolti in una treccia più lunga dell’ultima
volta, lievi segni sotto gli occhi le adombravano lo sguardo, dalla manica
sinistra si intravedeva un angolo del tessuto bianco di una benda. Kaz odiò e
ringraziò chiunque le avesse deterso le ferite.
«Sei stanca, Inej?»
Lei non rispose, ma si mise in piedi e
avanzò nella piccola stanza. Kaz si irrigidì appena, maledicendosi l’attimo
successivo, rendendosi conto che lei l’aveva notato: Inej non gli si avvicinò e
deviò per sedersi sulla sua scrivania. «Sono comoda così, in caso ti stessi
preoccupando per me.» Kaz dedicò una veloce occhiata a controllare che nessun
documento importante fosse finito sotto il suo corpo leggero.
«Mi porti notizie?»
«De Vries è fuori dai giochi.» Non lo
disse con soddisfazione, Inej avrebbe evitato ognuna di quelle missioni se la
sua sete di giustizia non fosse stata più forte.
Molte ipotesi di investimento si
aprirono davanti a lui a quella rivelazione, e avrebbe dedicato a ognuna la
giusta attenzione – quando sarebbe stato solo, non nel momento in cui Inej era
tornata da lui. «Bene.»
«Grazie per avermelo detto» lo
corresse.
Sospirò. «Grazie per avermelo detto.»
Qualcuno bussò alla sua porta.
«Sì?» rispose senza preoccuparsi di
aprire.
«Capo, ho notizie dal Quinto Porto! Una
nave ha occupato l’attracco ventidue!»
Inej alzò gli occhi al cielo, ma non
trattenne un leggero sorriso. Kaz sbuffò. «Siete sempre tremendamente lenti. Lo
so già.»
«Scusa, capo.»
«Puoi andare.»
Inej si mise in piedi in un movimento
morbido, le gambe sottili avvolte dal tessuto ruvido e resistente dei pantaloni
che portava andando per mare. «Potresti trattarli meglio.»
«Mia cara Inej, io non ti dico
come trattare il tuo equipaggio.»
«Per fortuna.»
Lo raggiunse e si poggiò allo stipite
della porta. Kaz iniziò a strofinare le mani nell’acqua per tenerle impegnate
nell’unico modo che poteva permettersi – non quello che avrebbe desiderato.
«Ha fatto il nome di chi gli ha
procurato quegli schiavi» raccontò Inej. «Era piuttosto loquace.»
«Chi è stato?» domandò, senza
preoccuparsi di celare l’ira tra le sillabe.
«Ti ha dato la colpa. Ha fatto il tuo
nome.»
Kaz non sollevò lo sguardo dalle proprie
mani, ma smise di muoverle nella bacinella. L’acqua si era fatta gelida come un
incubo. La ragione che l’aveva trattenuta dal tornare prima sarebbe stata
infine la menzogna che l’avrebbe allontanata per sempre?
«Non gli ho creduto.»
Si voltò di scatto verso di lei, che
aveva per lui solo un’espressione tranquilla. «Perché no?»
Inej lo guardò come se avesse fatto una
domanda molto stupida. Qualcosa nei suoi occhi dovette però convincerla a
rispondere: «Non è il tempo di dubitare l’uno dell’altra.»
Gli porse un panno appeso a un chiodo lì
accanto.
Kaz nascose i palmi pallidi tra le
pieghe del tessuto, prima che potessero mostrare il tremore che sentiva dentro.
«Non lo è mai stato» mormorò con un filo di voce.
Con le mani libere ricordò che un paio
di guanti pulito era troppo lontano, nel cassetto in fondo al piccolo armadio
che custodiva tutti gli abiti di Manisporche – e troppo crudele era il pensiero
di allontanarsi da Inej ora.
«Non ho fatto affari con De Vries per
degli schiavi.»
Inej annuì.
«E con nessun altro.»
«Lo so. Sono solo chiacchiere per cercare
di indebolirti, non dobbiamo perdere tempo a parlarne.»
Lui rilasciò il respiro trattenuto e
rilassò le spalle. «E cosa vuoi fare allora, mia cara Inej?» chiese, la
voce finalmente libera da ogni ansia.
Inej gli regalò un sorriso furbo. «Mi
devi ancora una cena dall’ultima volta in cui siamo stati costretti a scappare
dai tuoi nemici dopo la prima portata. E mi serve un nuovo cappotto, l’aria di
mare non è clemente con la lana. E poi voglio andare a teatro come una signora
perbene.»
Kaz contemplò con scarso entusiasmo
ognuna di quelle attività, eppure domandò: «Quanto tempo abbiamo?», non osando
sperare che fosse sufficiente a esaudire ogni sua proposta e molte di più.
Negli ultimi mesi le sue missioni non l’avevano lasciata abbastanza a terra,
non quanto lui avrebbe voluto.
«È abbastanza.»
Non lo era mai. Allungò la mano a
sfiorarle le nocche, poi indicò la porta dietro di lei. Se avesse potuto,
l’avrebbe presa per mano e portata ovunque senza lasciarla mai.
«Andiamo, allora.»
A quel punto sorridevano entrambi, lui
nel modo accennato che gli apparteneva e lei con tutto il suo calore.
«Kaz, si è fatta notte» protestò.
«Questa città non dorme mai, troveremo
da fare.»
Inej scosse la testa, ridacchiando.
«Inizieremo domani mattina.»
Poteva accettarlo, ma solo se lei aveva
in programma di trascorrere abbastanza tempo lontana dall’acqua. Lui avrebbe
spostato tutti gli impegni già presi.
Voglio che resti. Voglio che… Io
voglio te.
«Stavolta fermati qualche giorno in più
prima di ripartire» disse, in un tono più simile a un ordine che a una
preghiera.
«Mi fermerò a Ketterdam per una
settimana.»
«E poi torna, torna quando lo annunci.»
Alzò la mano nuda a sfiorare l’aria sulla sua guancia. «Torna da me.»
Inej voltò la testa, piano, attenta,
perché la sua bocca fosse rivolta alle dita pallide di Kaz pur senza toccarle
mai. «Io tornerò sempre da te.»
*
I marinai
tornano tardi – ma tornano sempre.
Note:
Questa one-shot partecipa
alla challenge GrishaVersi – Tenebre e Titoli indetta da Ciuscream sul
forum Ferisce la penna, nella quale ho scelto il titolo di un brano di Murubutu
come titolo della storia.
La fanfiction è ambientata
dopo la fine della duologia. De Vries è il cognome di un ipotetico schiavista,
non è un personaggio tratto dal canon.
“Tu, Kaz […] il margine migliore” e “Voglio che […] voglio te”
sono citazioni dai libri.
Sono felice di questo
ritorno nel fandom su EFP, amo molto Kaz e Inej e vorrei aver scritto di più su
di loro. Spero che questo racconto vi piaccia, grazie per aver letto!
Se volete mi trovate anche
su Facebook e Instagram.
Alla prossima!
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